ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 06 febbraio 2010
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Interrogativi e sfide alla vita consacrata
Intervento del Cardinale Franc Rodé
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo alcuni stralci dell'intervento pronunciato il 3 febbraio a Napoli dal Cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in occasione del II Convegno diocesano dedicato ai religiosi.
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La crisi che vivono certe comunità religiose, soprattutto nell'Europa occidentale e nell'America del Nord, riflette la crisi più profonda della società europea e americana. Tutto questo ha inaridito le sorgenti che per secoli hanno alimentato la vita consacrata e missionaria della Chiesa. La cultura secolarizzata è penetrata nella mente e nel cuore anche di alcune persone consacrate e di alcune comunità, confusa come un accesso alla modernità e come una modalità d'approccio al mondo contemporaneo, con tutte le sue conseguenze: sequela senza rinuncia; preghiera senza incontro; vita fraterna senza comunione; obbedienza senza fiducia; carità senza trascendenza. La credibilità, l'affidabilità della vita consacrata, al contrario, emerge quando i consacrati e le consacrate fanno ciò che dicono, quando ciò che trasmettono come parola annunciata è da loro vissuto: evangelizzano perché sono evangelizzati, trasmettono la fede perché sono credenti, diffondono la carità perché vivono il comandamento nuovo.
In questo senso, ai consacrati e alle consacrate è richiesta la capacità di riferimento a Gesù Cristo, alla sua vita quale esegesi del Dio invisibile. Infatti, solo se la vita consacrata è memoria viva dell'esistenza, dell'azione e dello stile di Gesù, essa svolge il suo compito: i religiosi sono presenti nella Chiesa per incarnare, vivere e ricordare a tutti i gesti e i comportamenti vissuti da Gesù nella sua vita umana e nella sua missione. In sintesi, nell'assumere la forma vitae Jesu i consacrati «fanno segno», sono memoria vivente del Vangelo.
Viviamo, quindi, in un tempo in cui come consacrati e consacrate ci sentiamo sollecitati da molte domande e da molti interrogativi. Le sfide, come abbiamo rilevato, non provengono soltanto dal mondo esterno, ma sorgono anche dal nostro stesso cuore, dall'interno della stessa vita consacrata, e sono di diversa indole e natura: dal calo numerico delle vocazioni alla loro fragilità, dall'invecchiamento che porta all'incertezza del futuro, dalla formazione iniziale e permanente all'inculturazione degli istituti nelle realtà nelle quali vivono, fino alla testimonianza limpida e coerente nelle Chiese locali.
Secondo i dati dell'Annuario Statistico della Chiesa al 31 dicembre 2007 i sacerdoti diocesani erano 272.431, quelli religiosi erano 135.297, i religiosi fratelli 54.956, le religiose professe 746.814, i membri non sacerdoti degli istituti secolari 665, le sodali degli istituti secolari 26.778, per un totale di 964.510 consacrati. I numeri si riferiscono esclusivamente agli istituti di diritto pontificio.
Se guardassimo i dati numerici a partire dagli inizi del Novecento ci renderemmo conto che la vita consacrata ha vissuto una parabola nella sua fase crescente a partire dai primi anni del secolo scorso, dove i religiosi — specie gli istituti femminili — si distinsero soprattutto sulla frontiera della carità. Questa espansione numerica — massima negli anni 1930/1950 — in Italia s'è tradotta anche in una capillare presenza territoriale, anch'essa prevalentemente legata alla testimonianza della carità, e ricca di opere assistenziali ed educative, spesso unite all'impegno parrocchiale diretto. Questa parabola numerica ascendente avrà il suo culmine negli anni Settanta. Da quel momento iniziò la fase caratterizzata da una certa stanchezza progettuale dopo il tempo dell'immediato post-concilio, ricco di sperimentazioni, ma povero di una robusta e convincente progettualità. Inoltre, iniziò a farsi evidente — insieme con il ridursi numerico dei nuovi membri e la crisi vocazionale — la difficoltà ad assicurare il normale ricambio generazionale, con il conseguente necessario ripensamento delle strutture, il ridimensionamento e la chiusura delle comunità, che ridisegneranno una nuova e diversa geografia delle presenze.
I consacrati e le consacrate, specie nel mondo Occidentale, in Europa e nell'America Settentrionale, hanno un'età media piuttosto elevata — di norma, oltre i sessanta anni, con punte di settanta e ottanta. Da un punto di vista sociologico, non si può negare che questa sia una situazione negativa, poiché con l'invecchiamento è connessa la conseguente sfida dell'abbandono delle opere e la chiusura degli istituti. Questo comporta anche problematiche interne ulteriori che riguardano l'inserimento delle nuove vocazioni in comunità anziane, con le ovvie difficoltà d'integrazione, accettazione e partecipazione, diversità di esperienze di vita e d'esigenze concrete, e fatica nella socializzazione.
Dinanzi a questi dati, da un lato è necessario non pensare unicamente in termini di numero e d'età. Per essere valida la vita dei consacrati e delle consacrate non richiede la massa e per provare la sua validità non sono indispensabili i grandi numeri. È necessario tenere d'occhio la qualità della vita consacrata, non solo la quantità, e ciò deve contraddistinguere e dare senso alla nostra vita. È urgente per noi tornare ad aprirsi al mistero di Cristo Signore, al realismo inaudito della sua incarnazione; superare l'egocentrismo in cui spesso gli istituti si trovano rinchiusi per aprirsi a progetti comuni, in collaborazione con altri istituti, con le Chiese locali, con i fedeli laici.
Non pochi istituti hanno cercato di risolvere il problema della scarsità o mancanza di nuove vocazioni con le «vocazioni straniere»: soprattutto dall'Africa, dall'India e dalle Filippine. È facile, in situazioni di crisi, ricorrere a scorciatoie ingannevoli e dannose, tentare d'abbassare i criteri e i parametri per l'ingresso nella vita consacrata e il prosieguo nella formazione iniziale e permanente. Il discernimento vocazionale deve essere serio e accurato. La formazione, deve essere solida, completa, personalizzata. Occorre che le nostre comunità siano in grado di formare persone appassionate. In un tempo così difficile e travagliato, la formazione deve essere la migliore possibile, abbracciando tutte le dimensioni della persona: umana, culturale, religiosa, carismatica. Il consacrato e la consacrata devono essere persone complete e preparate in grado d'affrontare tutte le sfide che la cultura e il mondo lanciano alla Chiesa e alla vita consacrata. Anche in questo caso, nessuna scorciatoia e nessun trucco sono leciti: ne va di mezzo non solo la persona stessa, ma anche l'istituto e la Chiesa. La formazione dovrà, pertanto, accompagnare nell'esperienza viva della sequela Christi, secondo lo stile di vita proprio di ogni singolo istituto, nella dinamicità e complessità del mondo e della società attuale.
È necessario poi rammentare che, specialmente i giovani, sono particolarmente sensibili all'influsso dell'ambiente e della società nei quali vivono, in qualche modo più vulnerabili. Molti di loro vivono sotto il segno dell'emozione e della provvisorietà e sono dominati dalla dittatura del relativismo per la quale tutto, sempre, è passibile d'una negoziazione, tutto è sospetto, e alimenta incertezze, insicurezze e instabilità. Molti rischiano di continuare a essere sedotti dalla cultura del part time e dello zapping, che porta a non saper accogliere e assumere impegni di lunga durata, e a passare da un'esperienza all'altra, senza essere capaci d'andare nel profondo. La seduzione d'una cultura light è concreta, generando vite «al ribasso» e portando con sé l'incapacità d'impegno, di sacrificio, di rinuncia. È evidente come tutto questo contrasta con l'esigenza della «misura alta» della vita cristiana. Se la formazione non riesce a superare questi ostacoli generiamo persone senza entusiasmo, consacrati stanchi, rassegnati, frustrati, persone che non sono capaci di proseguire lungo il cammino vocazionale o che si fermano e lasciano gli istituti senza neanche sapere le proprie motivazioni. Senza una proposta carismatica, avvincente e coinvolgente, diventa difficile il processo di identificazione vocazionale. La debolezza delle proposte provoca uno sviluppo d'identità incerte e confuse. Il ritorno ai carismi dei fondatori è uno degli elementi decisivi dell'identità degli istituti.
È urgente cambiare mentalità e considerare queste sfide, pur impegnative, non come difficoltà e ostacoli ma come un nuovo kairós, un tempo di grazia in cui è presente il soffio vivificante dello Spirito. Occorre avere la coscienza d'essere alternativi alla cultura dominante, che è cultura di morte, di violenza, di sopraffazione, con la testimonianza gioiosa che siamo portatori di vita e di speranza. In un mondo tutto mercificato, essere testimoni che l'unico valore è la dignità della persona umana riscattata dalla grazia di Cristo. La vera libertà non è l'assenza di regole ma l'obbedienza alla voce del Padre che ci chiama a essere figli e liberi in Cristo Gesù, nella gioia di vivere secondo le beatitudini evangeliche. Il senso della vita non è dato dalle cose ma dall'adesione a una Persona, il nostro adorabile Salvatore. Occorre comprendere e riconquistare il valore dell'essere fermento nella massa, segno di profezia e di speranza. Il problema non è la massa, ma la qualità del lievito che deve fermentarla.
[Fonte: “L'Osservatore Romano”]
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Lettera aperta ai "bambini digitali"
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera ai bambini indirizzata da don Fortunato Di Noto, parroco e presidente Associazione Meter onlus (www.associazionemeter.org).
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Cari Bambini,
ho pensato di scrivervi questa lettera per comunicarvi che voi più piccoli (o, come vi chiamano gli esperti “nuovi nati digitali”), sarete i nuovi annunciatori e portatori di Gesù nel web. Perché è proprio vero, e ne sono convinto: i bambini salveranno la bellezza del web e la vera comunicazione del Vangelo nell’era digitale.
La Chiesa italiana (come spero vi abbiano comunicato le catechiste e i vostri parroci), si sta preparando a vivere un momento di incontro a Roma dal 22 al 24 aprile prossimi, che culminerà nell’udienza da Papa Benedetto XVI, dove si rivolgerà ai “testimoni digitali”, cioè a tutti coloro che utilizzano i nuovi mezzi di comunicazione per annunciare il Vangelo all’uomo globalizzato. Si rifletterà insieme su come utilizzare bene tutti gli strumenti di navigazione che la tecnologia ci offre, non solo per chattare (perdendo solo del tempo!) ma soprattutto, per lo studio e per la didattica, per la solidarietà e per l’annuncio dell’amico Gesù, il Figlio di Dio, che tutti voi (come noi) avete incontrato e al quale siete felici di appartenere.
Chi di voi, come regalo della Prima Comunione, non ha ricevuto un cellulare o un Computer o un iPod e non si è avventurato a “navigare” - una navigazione che preferiremmo fosse accompagnata dai genitori, con regole ben definite -?
Forse, i genitori o i nonni hanno un po’ esagerato nel regalo, ma bisogna essere “trendy”, cioè alla moda, (un processo irreversibile!) e in esso vogliamo vedere il positivo e non solo il negativo.
Comunque tanti di voi ormai hanno il cellulare e navigano su Internet (circa il 90% dei minori, solo in Europa). Si naviga e gioca, si scrive e studia, si guardano i film e leggono libri e riviste. Ci si incontra con gli amici, quelli veri (vi ricordate il detto “chi trova un amico, trova un tesoro”?, ma attenzione, capita spesso che su internet si facciano incontri di falsi amici che vogliono farvi del male), e se ne cercano tanti altri. Bellissima cosa: chi di noi non vorrebbe avere un amico, e in casi significativi qualche minore ha trovato anche la gioia di essere ascoltato nelle giornate di profonda solitudine e amarezza.
Internet è bello veramente!
Su Internet si può incontrare anche Gesù, che parla attraverso la Parola di Dio (chi di voi sa che esistono tanti siti adatti a questo?) oppure attraverso le pagine web della tua parrocchia, del tuo gruppo. Pensate a una chat solo per voi, fatta per incontrarvi e discutere delle “cose del Padre mio” (come ci dice Gesù stesso), o sui social network dove possiamo creare dei “gruppi per stare insieme”, e anche su Youtube per caricare dei filmati su delle attività di solidarietà e diffondere un messaggio di pace.
Chi di voi, cari bambini, non ha un profilo su Facebook o non mi sa tradurre queste faccine (linguaggio universale) chiamate anche emoticons? Per dire che sto pregando, oppure che ho incontrato il vescovo ed anche che ti voglio tanto bene .
Sono nuovi linguaggi: attraverso le immagini si comunica pensando e parlando di Lui, Gesù il Figlio di Dio che è in mezzo a noi e ci parla attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, e noi siamo suoi testimoni e annunciatori mediatici.
Accadeva anche ai primi cristiani, i quali comunicavano attraverso dei segni che rimandavano al significato dell’Eucarestia, e della preghiera. E li incidevano dovunque: sui muri, nelle pergamene, nelle tombe e nelle case. Un segno che comunicava la bella notizia del Vangelo e che tutti comprendevano, anche i lontani e i non cristiani. Erano i segni nuovi che significavano Verità per tutti gli uomini.
Pensate al pesce che in greco si dice IXTHYC (ichtùs). Disposte verticalmente, le lettere di questa parola formano un acròstico: Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr = Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Acròstico è una parola greca che significa …. cercatela nel vocabolario online! Questo è un simbolo diffuso di Cristo, emblema e compendio della fede cristiana.
E pensate anche alla colomba, con il ramoscello d'olivo nel becco, simbolo dell'anima nella pace divina; o all'àncora, simbolo della salvezza, dell'anima che ha felicemente raggiunto il porto dell'eternità.
Faccine del 2° e 3° secolo dopo Cristo, che possiamo altrettanto chiamare “emoticons”, che rimandavano al senso della vita, della fede, della resurrezione. Non solo una semplice emozione: raccontavano la vita cristiana.
Un vecchio e nuovo modo di comunicare tra i coetanei, tra voi bambini e tra voi giovani, che spesso noi adulti non comprendiamo.
Voi siete i primi ad essere coinvolti in questo nuovo e affascinante mondo digitale e noi adulti dobbiamo responsabilizzarci per aiutarvi ad incarnare, attraverso Internet, col vivere bene con gioia ed entusiasmo, l’essere di Gesù, che ha salvato l’uomo dal peccato e dalle brutture della vita ed è venuto a portarci non “eventi di sventura, ma di pace”, amicizia tra Dio, suo Padre, e gli uomini.
Sarà una bella e nuova avventura essere “bambini che diffondono Gesù” nelle chat, attraverso un sito (magari quello della parrocchia), ed anche attraverso un sms mattutino ai tuoi amici, non solo per dire “ciao”, ma per scrivere una frase del Vangelo di Gesù. I bambini digitali saranno i portatori di Gesù nel web. Perché è proprio vero: i bambini salveranno la bellezza del web e la vera comunicazione del Vangelo.
Non dimenticate mai di andare a Messa (in parrocchia), confessarvi (con il parroco e non online), pregare e vivere insieme realmente. Perché il reale non esclude il virtuale, e il virtuale ha più significato se parimenti giochiamo insieme al pallone, nel campetto dell’oratorio, e ci incontriamo non solo in webcam, ma nel fare una bella passeggiata guardando le stelle e il sole tramontare e sorgere.
Avola, 4 febbraio 2010
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