i calciatori proclamano lo stop
della quinta giornata: «Non
siamo oggetti». I club: «Ridicolo»
La partita, stavolta, finisce ancor prima di cominciare. Niente pallone il prossimo 25 e 26 settembre, stop a Roma-Inter e alle altre nove sfide di campionato perché «noi siamo lavoratori come tutti gli altri, avere ingaggi alti non può significare godere di meno diritti. Lo sciopero è contro il mancato rinnovo del contratto collettivo, ma anche contro lo status di oggetto con cui noi calciatori siamo trattati». La voce è quella di Massimo Oddo, difensore del Milan, ma, soprattutto portavoce dei giocatori della serie A. Dietro ad Oddo, c'è la firma di tutti i capitani, quella di Del Piero, di Totti, di Javier Zanetti.
Nuova lotta di classe, dunque. Ma perché? Il duello sul rinnovo del contratto collettivo è appena cominciato, anzi entrerà nel vivo lunedì negli uffici della Federcalcio. Fino ad ora, le parti hanno dialogato più al loro interno che con chi deve riscrivere l'accordo, quanto basta per interrompere le comunicazioni. Il punto di rottura si era intravisto già ad agosto quando la Lega Calcio di A aveva avanzato all'Associazione calciatori una bozza in sette punti. «Si può trattare sugli ingaggi flessibili (un minimo garantito, il resto legato ai risultati, ndr), ma non sulla tutela sanitaria o sul tema del fuori-rosa...», era stato il messaggio dei rappresentanti sindacali ai club. Un mese dopo, quella bozza è diventata una piattaforma su cui confrontarsi, ma dalla quale la Confindustria del pallone non intende discostarsi se non in modifiche di forma, ma non di sostanza. I sette punti sono diventati otto e l'ottavo ha spezzato la trama perché inaccettabile, agli occhi dei giocatori, è l'impossibilità di opporsi ad un trasferimento se due società hanno raggiunto l'accordo, alle medesime condizioni di ingaggio esistenti.
I calciatori di serie A fermano la quinta giornata di campionato (in 41 anni di storia, solo nel '96 l'Aic proclamò uno sciopero che, poi, attuò), i club passano al contrattacco. Maurizio Beretta, gran capo della Lega di A, parla di «un atto grave, immotivato, senza precedenti» e si chiede «come si possa parlare di mancanze di tutele per una categoria che, di media, percepisce uno stipendio da un milione e 300 mila euro». Se i giocatori si dicono compatti come mai, le società non sono da meno soprattutto sul tema dei fuori-quota, della flessibilità e dei trasferimenti. «Lunedì non ci sottrarremo all'appuntamento con l'Aic, ma - continua Beretta - non si è mai visto proclamare uno sciopero a trattativa ancora da iniziare. Per prima cosa ho pensato ad una barzelletta, invece era tutto vero. Si presentano al tavolo con la pistola carica: qua a rimetterci sono solo i cittadini. Se prenderemo provvedimenti economici qualora si concretizzasse la serrata? Vedremo».
Oddo è affiancato da Seedorf, Gattuso, Amelia, Zanetti, Cordoba, Orlandoni e Mannini. «Noi andremo avanti al di là delle decisioni che verranno prese», dice il portavoce dell'Aic. Avanti andrà anche la Figc perché, spiega il presidente Abete, «se non si troverà un accordo con riunioni fiume prima del 25, agiremo noi così come previsto dall'Alta Corte» (in assenza di accordo la Federcalcio dovrà nominare un commissario ad acta). Il calcio finisce di nuovo nel corto circuito, lo sport italiano prende le distanze. «Il calcio non è più il motore del nostro sport. Bisogna - così il presidente del Coni, Gianni Petrucci - stare attenti a non alzare troppo i toni». Il numero uno del Foro Italico parla dai giardini del Quirinale dove si festeggiano i 50 dei Giochi di Roma '60. «Chi sciopera avrà le sue ragioni, ma non mi fate parlare di questo...», sussurra il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Uno sciopero che non trova consensi fra i campioni. «Stiamo parlando di un mondo a noi distante...», così le stelle azzurre Pellegrini, Vezzali, Igor Cassina.