ROMA - Quella di Silvio Berlusconi è una "concezione non proprio liberale della democrazia" e viene dimostrato "dall'invito a dimettermi dalla presidenza di Montecitorio perché è venuta meno la fiducia del Pdl". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel corso di una breve dichiarazione alla stampa. "Ieri sera in due ore e senza poter esprimere le mie ragioni - ha aggiunto Fini - sono stato di fatto espulso dal partito che ho contribuito a fondare".
"Non darò le dimissioni da presidente della Camera" conferma Gianfranco Fini. Il gruppo che nascerà dai deputati e senatori che hanno lasciato il Pdl "è formato di uomini e donne liberi che sosterranno lealmente il governo ogni qual volta saranno prese scelte nel solco del programma elettorale e lo contrasteranno se le scelte saranno ingiustamente lesive dell'interesse generale", ha aggiunto Fini.
"Ovviamente non darò le dimissioni perché a tutti è noto che il presidente deve garantire il rispetto del Regolamento e la imparziale conduzione dell'attività della Camera, non deve certo garantire la sola maggioranza che lo ha eletto". "Sostenerlo dimostra una logica aziendale - prosegue Fini - modello amministratore delegato-consiglio d'amministrazione, che di certo non ha nulla a che vedere con le nostre istituzioni".
Il nome dei nuovi gruppi parlamentari formati da deputati e senatori finiani è 'Futuro e liberta' per l'Italia'. Lo si apprende da alcuni deputati vicini al presidente di Montecitorio e confermato dal sito di Generazione Italia.
"Gli amici di Fini al governo lavorano bene, non ho dubbi sulla loro lealtà e non ho ragione di modificare la squadra di governo. Quindi si prosegue così". A margine del consiglio dei ministri, il premier Silvio Berlusconi - secondo quanto riferito - ha ripetuto al ministro Andrea Ronchi il concetto già espresso ieri quando, annunciando alla stampa la rottura con Fini, aveva spiegato che sulla permanenza dei finiani al governo avrebbe deciso il governo, ma per quanto lo riguardava personalmente non avrebbe avuto difficoltà a continuare la collaborazione con i "validi ministri" finiani.
PD ASPETTA LE MOSSE DI FINI, TUTTI DISPONIBILI A LARGHE INTESE - Il Pd supera le logiche di maggioranza e minoranza interna e davanti "ad una crisi che non é del Pdl ma del governo" si compatta sulla linea del segretario Pier Luigi Bersani di chiedere al premier di venire in Aula a verificare la fiducia per poi, in assenza dei numeri, aprire ad una fase di transizione, ad un governo di larghe intese che "impedisca al paese di precipitare nel baratro", come avverrebbe in caso di elezioni anticipate. Non erano mancati nei giorni scorsi i maldipancia di parlamentari, come il veltroniano Giorgio Tonini o Arturo Parisi, contrari ad una fase di transizione e soprattutto al fatto che Bersani aveva lanciato ami senza prima una discussione interna.
Oggi invece nell'assemblea, nella sala del Mappamondo, tutti i big, da Massimo D'Alema a Walter Veltroni a Dario Franceschini e Piero Fassino, avrebbero sostenuto la "disponibilità" del Pd ad un governo di transizione. Veltroni non ha usato espressioni come larghe intese, spiegano alcuni partecipanti, ma avrebbe anche lui escluso la via delle urne anticipate in caso di crisi di governo. Nell'assemblea, allargata a deputati e senatori, si è poi concordato sul fatto che, come spiega il vicepresidente dei deputati Michele Ventura, "la presidenza della Camera va tenuta fuori dallo scontro". Di fatto, quindi, il Pd offre uno scudo contro l'attacco del Pdl che anche stamattina, in Aula, ha insistito nel chiedere le dimissioni di Fini.
La crisi del Pdl arriva in aula alla Camera, con il capogruppo Fabrizio Cicchitto che "sfiducia" il presidente Gianfranco Fini, e le opposizioni, a partire dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ha chiesto che il premier Berlusconi venga a chiarire in Parlamento. Intanto c'è attesa per la replica di Fini, all'indomani della rottura con Berlusconi. Alle ore 15, presso l'Hotel Minerva a Roma, il presidente della Camera farà una dichiarazione alla stampa.
All'inizio dei lavori dell'Assemblea di Montecitorio, i deputati del Pd si sono presentati al completo, in un'aula vuota visto che non erano previste votazioni. Bersani ha incalzato Berlusconi: "Non si pensi che è agosto e che si vada a finire a tarallucci e vino. Il Presidente del Consiglio venga in Parlamento", visto che la crisi dentro al Pdl "é insanabile". "E per cortesia - ha aggiunto - non ci venga propinato l'antico rito che 'e successo ma non e' successo', 'il motore e' rotto ma la macchina va'. Il Paese non ha questi tempi, ha altre esigenze".
Anche l'Udc, con Angelo Compagnon, e l'Idv con Carlo Monai, hanno fatto un'analoga richiesta a Berlusconi. Immediata la controreplica di Cicchitto, spalleggiato in aula dal suo vice Osvaldo Napoli e da una manciata di altri deputati: "Certamente si è aperta una questione seria all'interno del Pdl, ma non ci sono ragioni perché il presidente del Consiglio venga a riferire in Parlamento", perché "la maggioranza che sostiene il governo c'é ed è salda". Il capogruppo del Pdl è quindi passato al contrattacco, mettendo sul banco degli imputati Fini: "Si è aperto tra noi un confronto politico serio e serrato in cui si mette in discussione il rapporto nel Pdl tra noi e Gianfranco Fini. E' venuto meno il rapporto che si era acceso quando lo abbiamo eletto presidente della Camera e siamo davanti ad una questione politica, ad un dato su cui Fini deve riflettere".
A difesa di Fini il Pd: "Il presidente della Camera è di tutti - ha detto Bersani - anche di quelli che non lo hanno votato". E Franceschini ha ricordato che "il Presidente della Camera, dal momento della sua elezione, è il presidente di tutti, anche di chi non lo ha votato, e non può essere sfiduciato in base alla Costituzione". Il braccio di ferro non si è chiuso così. Il Pd si è iscritto in massa nella discussione generali su due decreti (quello sulla Tirrena e quello sull'energia), cosa che implicherà una contromossa della maggioranza per assicurarne l'approvazione.
Fabrizio Cicchitto, del Pdl afferma: "Certamente si è aperta una questione seria all'interno del Pdl, ma non ci sono ragioni perché il presidente del Consiglio venga a riferire in Parlamento". "La maggioranza che sostiene il governo c'è ed è salda e lo ha dimostrato il voto sulla manovra economica", ha aggiunto.
BERLUSCONI SFIDUCIA FINI, VIA DA PDL E DALLA CAMERA
Di Paolo Dallorso e Matteo Guidelli