Un'idea per questa Settimana Santa
Hai mai pensato che il tuo contributo economico alla causa di ZENIT può essere un gesto concreto di carità cristiana?
ZENIT solo esiste grazie ai contributi generosi e volontari dei suoi lettori.
Decine di migliaia di nostri affezionati lettori vivono in paesi poveri, e grazie a ZENIT possono sentirsi più vicini al Papa e più informati e partecipi delle vita della Chiesa.
Ricordati di ZENIT quando ti domandi durante questa quaresima come puoi indirizzare un atto di carità per il bene di tante persone, in tutto il mondo.
Per inviare una donazione: http://www.zenit.org/italian/donazioni.html
ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 03 aprile 2010
Documenti
- Pasqua, lievito nuovo per il mondo
- "La luce della Pasqua illumina la Sindone"
- Dum volvitur mundus, Crux stat
Documenti
Pasqua, lievito nuovo per il mondo
ROMA, sabato, 3 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito una riflessione di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto.
* * *
“O Signore dei mondi, è perfettamente chiaro al Tuo cospetto che è nostra intenzione compiere la Tua volontà. Ma chi ce lo impedisce? Il lievito che è nell’impasto”. Quest’antichissimo testo ebraico, che si trova nel Talmud babilonese, mi sembra esprimere bene la concezione della vita e della storia propria della Bibbia. L’Eterno ha avuto tempo per l’uomo, si è anzi destinato alla Sua creatura in un rapporto d’alleanza fedele. Il popolo eletto sa bene che la sua felicità sta nel destinarsi a sua volta all’Eterno, facendo la Sua volontà.
Eppure – lo riconosciamo umilmente – l’incontro si inceppa: c’è nella pasta, di cui è fatto il tempo, qualcosa che ne trattiene la crescita verso il Regno di Dio. Bisogna cambiare il lievito del mondo: e questo può farlo solo un Dio che accetti di “sporcarsi le mani” con gli uomini, entrando nel tempo e facendolo Suo. Il passaggio del Mar Rosso – le cui acque si aprono per far passare Israele dalla schiavitù d’Egitto al cammino verso la libertà della terra promessa – è il grande evento della liberazione non perché l’uomo sia tratto fuori della storia, ma perché Dio agisce in essa come il Dio della speranza, che schiude le vie dell’esodo e assicura la conquista del paese dove “scorre latte e miele”. La potenza del braccio del Signore è intervenuta in quell’ora drammatica perché il popolo pellegrino verso la terra della Sua promessa sapesse di non essere solo nel cammino, di poter anzi contare su un lievito nuovo, capace di far fermentare la massa del tempo verso la patria della libertà.
Quest’evento fondatore viene sancito nell’alleanza del Sinai, dove ciò che è avvenuto una volta per sempre è consegnato alla memoria della fede, per sostenerla in ogni ora del pellegrinaggio del tempo. L’ebraico userà la parola “ziqqaron”, “memoriale”, per dire questa memoria che non è pura operazione della mente per andare dal presente al passato, ma compimento, riattualizzazione, per cui il passato delle meraviglie di Dio si fa presente qui e ora dove il Suo popolo celebra il passaggio del Signore, che consente il passaggio del popolo in esodo verso le sponde della libertà. È questa la fede che celebriamo in questo giorno: Pasqua – “pesaq”, “passaggio” – è appunto il memoriale della liberazione dell’esodo, la festa della compromissione di Dio, l’inizio compiutosi una volta per sempre e attualizzato sempre di nuovo del pellegrinaggio verso la Terra della promessa del Signore. Così anche l’ebreo Gesù celebra la Pasqua: e quando nella Sua ultima cena pasquale ordina ai Suoi di “fare questo in memoria di Lui” istituisce il memoriale dell’alleanza nel Suo sangue, di quell’esodo che si compie nel Suo cammino verso la morte di Croce e da essa, attraverso il Sabato santo del silenzio di Dio, verso la vita nuova della resurrezione, compiuta in Lui come pegno e promessa di quella di tutti coloro che crederanno in Lui.
Per la coscienza cristiana l’alleanza mai revocata col popolo d’Israele trova nella Pasqua di Cristo non un’abrogazione, ma un inaudito compimento, a sua volta nuovo inizio nel cammino verso la Gerusalemme celeste. È per questo che i cristiani riconoscono nella fede d’Israele la loro “santa radice” (Rom 11,16. 18) e possono rivolgersi agli Ebrei come ai loro “fratelli maggiori”, da cui hanno ricevuto la religione dell’esodo e del Regno, nutrita dalla fede di Abramo e dalla speranza dei profeti. Cristo non ha voluto eliminare neanche un apice dalla Legge, ma è stato in persona il compimento dell’alleanza, la Torah fatta carne, rivelando come la compromissione di Dio – che risplende negli eventi dell’esodo – si sia spinta fino al paradosso dell’incarnazione del Figlio eterno per amore di tutto l’uomo, di ogni uomo.
In un’epoca segnata dalla crisi degli orizzonti di senso offerti dalle ideologie, la Pasqua di Gesù che celebriamo è allora veramente un messaggio straordinario di speranza, la testimonianza che il lievito nella massa può ancora essere rinnovato, per far crescere il tempo verso la sponda dell’eternità e tirare il futuro di Dio nel presente degli uomini. È l’augurio di Paolo: “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. (1 Cor 5,7s)
È il mio augurio per tutti noi! Buona Pasqua!
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
"La luce della Pasqua illumina la Sindone"
ROMA, sabato, 3 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio per la Pasqua 2010 e per l’Ostensione della Sindone del Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino.
* * *
1. Il Beato Sebastiano Valfrè, grande devoto della Santa Sindone, diceva: “La Sindone è un segno di Gesù paragonabile alla croce, ma con questa particolarità: la croce ha accolto Gesù vivo e ce l’ha restituito morto, la Sindone invece lo ha accolto morto e ce l’ha restituito vivo”.
In questi giorni della settimana santa siamo convocati a contemplare ed incontrare Gesù Cristo che si presenta a noi giudicato da tribunali umani, rifiutato dal suo popolo, sottomesso ad ogni forma di torture, crocifisso, morto in croce e soprattutto risorto dopo tre giorni. Per poter dire con fede convinta e con amore sincero “Gesù è il Signore!” è necessario fermarsi per celebrare la Pasqua. Che significa per noi “celebrare la Pasqua”?
Credere che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; sostare in contemplazione davanti a questo amore incarnato nella persona di Gesù sofferente nella sua Passione, crocifisso, morto e risorto e perciò vivo e presente insieme a noi e in noi; guardare con estrema sincerità alla nostra vita di peccatori per lasciarci toccare da questo amore di Dio che ci perdona, ci fa rinascere ad una vita nuova fondata sul bene e sulle virtù e non più sui vizi e ci rende capaci di testimoniare e portare l’amore del Signore ai tanti fratelli che vivono male perché non sanno quanto sarebbe bella la loro vita impostata sull’osservanza dei comandamenti di Dio. Inoltre celebrare bene la Pasqua significa anche accostarsi ai sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia in sintonia con i messaggi che ci vengono dalle solenni celebrazioni liturgiche della settimana santa. Essi sono il vero dono pasquale della vita nuova che Gesù Cristo ci offre e che sarebbe da stolti rifiutare e sottovalutare.
2. Celebrata la Pasqua saremo ancora invitati a continuare la nostra meditazione sulla Passione e Risurrezione di Gesù venerando, da pellegrini credenti e fiduciosi, la Santa Sindone che per sei settimane rimarrà esposta nella nostra Cattedrale. Qual è il fascino che questo sacro Lenzuolo suscita nella moltitudine di persone che verranno a Torino per vederlo, contemplarlo in meditazione orante e silenziosa? Noi sappiamo che la nostra fede non si fonda sulla Sindone, bensì sui Vangeli e sull’annuncio che i testimoni del Risorto, gli Apostoli, ci hanno dato e che da duemila anni risuona nella Chiesa. Ma ciò che colpisce e commuove i cuori davanti alla Sindone è il constatare che in quel misterioso lino c’è un’immagine di un uomo crocifisso che corrisponde con una precisione di particolari impressionante al Gesù sofferente e crocifisso descritto dai Vangeli. Lasciamo agli scienziati e agli storici seri, non ai prevenuti in partenza, il compito di valutare e risolvere la questione relativa all’autenticità della Sindone, cioè nel dire con certezza assoluta se essa corrisponde al vero lenzuolo che ha avvolto il Corpo di Gesù nella sua sepoltura. A noi basta sapere che quanti l’hanno studiata a lungo e con criteri scientifici oggettivi finora non sono riusciti a spiegare come si sia formata quell’immagine, concludendo che non è certamente un manufatto e quindi permangono fondate molte probabilità in favore della sua autenticità. La nostra fede in Gesù che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, e soprattutto che risuscitò dai morti, e quindi è il vero Salvatore di tutti gli uomini, per essere forte e sicura non ha bisogno della Sindone bensì del Vangelo, ma la Sindone rimane comunque un grande aiuto alla nostra fede e alla nostra preghiera perché ci invita a meditare sulla Passione del Signore e sull’amore per noi che quella Passione veicola come messaggio e come dono.
In questa Ostensione è inoltre importante sottolineare il messaggio che ci viene offerto dal motto da me proposto per questo evento: “Passio Christi, Passio hominis”. La contemplazione della Sindone ci porta a ripercorrere il mistero della terribile sofferenza di Cristo. “Essa è – come disse Giovanni Paolo II nel 1998 – un segno dal quale viene un messaggio per noi. È un’immagine intensa e struggente di uno strazio inenarrabile, immagine della sofferenza, immagine dell’amore di Dio, oltre che del peccato dell’uomo, immagine di impotenza, immagine del silenzio. Essa diventa così un invito a vivere ogni esperienza, compresa quella della sofferenza e della suprema impotenza, nell’atteggiamento di chi crede che l’amore misericordioso di Dio vince ogni povertà, ogni condizionamento, ogni tentazione di disperazione”. Queste parole del Papa, pellegrino davanti alla Sindone, ci stimolano a non sottovalutare la terribile tragedia del Cristo sofferente come pure ci aiutano a cercare con speranza nella Passione di Gesù il balsamo di consolazione su tutte le sofferenze nostre e dell’intera umanità. Ciascuno di noi è invitato a mettere a confronto le moltissime croci dell’umanità ed anche le proprie croci personali con la salvifica croce di Cristo.
Solo così è possibile gettare un fascio di luce sull’oscurità misteriosa di tante nostre sofferenze di fronte alle quali restiamo muti e disorientati. Quante croci schiacciano le spalle di molti nostri fratelli e sorelle: le croci degli ammalati e moribondi, dei tanti poveri che ci vivono accanto, quelle di coloro che non hanno lavoro e quindi un reddito, la situazione di tante famiglie lacerate e divise, la fatica di molti immigrati onesti a sentirsi accolti e integrati, le persecuzioni di vario tipo che ancora oggi colpiscono la Chiesa. Tutto questo noi portiamo a Gesù come il sacrificio nostro e dei fratelli unito al suo sacrificio. Così riusciamo ad andare oltre il nostro limite e considerare che Gesù, l’innocente per eccellenza, ha scelto di soffrire e patire, fino a morire crocifisso per legare ad ogni nostra sofferenza il dono di una grazia che porta con sé un valore redentivo per noi e per l’umanità, soprattutto quando, pur senza capire, riusciamo a fare di ogni croce un’offerta sacrificale al Signore con la certezza di fede che mai il suo amore ci viene a mancare, anche nella possibile e sicuramente più grande prova del silenzio di Dio.
3. Da ultimo non dobbiamo dimenticare che durante il tempo dell’Ostensione avremo la gioia della presenza a Torino del Santo Padre Benedetto XVI, quando il 2 Maggio prossimo Egli verrà in Visita Pastorale alla nostra città e diocesi. Personalmente mi attendo molto da questa Visita del Papa non solo perché Sua Santità si fa presente a tutti noi per confermarci nella fede, secondo il mandato che Gesù ha affidato a Pietro, di cui il Papa è successore. Ma so che il Santo Padre quando sarà davanti alla Sindone ci proporrà una sua meditazione. Quanto ci dirà in quel momento lo considereremo un dono preziosissimo perché Papa Benedetto ha il carisma particolare di saper presentare le grandi verità della fede non solo con la sua straordinaria competenza di grande teologo, ma anche con uno stile di linguaggio semplice e comprensibile a tutti. Quanto il Papa ci dirà davanti alla Sindone sarà per noi un tesoro prezioso da custodire a lungo nel cuore: dovremo ascoltarlo, entrando in sintonia con la sua parola e la sua testimonianza di fede e poi conservare le sue parole come il frutto più prezioso dell’evento dell’Ostensione della Sindone del 2010.
Questo è l’augurio che con affetto di pastore in questa “Pasqua speciale” desidero fare a coloro che dal Signore sono stati affidati al mio ministero episcopale. Ho voluto far parlare il cuore per esprimere in modo essenziale i frutti spirituali che auspico possano venire a noi di Torino e ai numerosi pellegrini che giungeranno nella nostra città nell’occasione dell’Ostensione della Sindone e prima ancora dalla celebrazione della Pasqua.
Fin d’ora dobbiamo intensificare la nostra preghiera perché da sempre sono convinto che la peculiare grazia a noi concessa che la Sindone sia arrivata a Torino ci stimola a domandarci che cosa il Signore ha voluto dire a noi di Torino con questa scelta e quanta responsabilità dobbiamo sentire per vivere più sintonizzati alla sofferenza di Cristo, di cui la Sindone è un forte richiamo, e di conseguenza per migliorare la qualità della nostra vita cristiana a tutti i livelli: personale, familiare e sociale, così che tutti possano ricevere uno stimolo maggiore per una sincera ricerca della luce della fede dalla nostra testimonianza di veri discepoli di Cristo crocifisso e risorto.
Quel Gesù, di cui il Telo sindonico è specchio e messaggio, e che noi credenti professiamo nella fede pasquale come veramente risorto e perciò vivo e presente nella nostra storia, raggiunga il cuore di ogni uomo e donna di buona volontà per far loro sentire che in qualunque situazione di vita si trovino sono da Lui amati in modo infinito e personale.
+ Severino Card. POLETTO
Arcivescovo di Torino
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Dum volvitur mundus, Crux stat
ROMA, sabato, 3 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell'omelia pronunciata venerdì dal Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, in occasione della celebrazione della Passione del Signore nella Cattedrale di San Lorenzo.
* * *
La nostra voce si unisce a quella della Liturgia solenne e austera del Venerdì Santo. Presi per mano dai sacri riti, ci sentiamo condotti anche noi sulla via del Calvario, confusi in quella folla vociante e scomposta, dietro a quell'uomo vacillante sotto il legno della sua condanna. Anche noi, quasi col fiato sospeso, ci vediamo in cima a quel piccolo colle dove è piantata la croce. Vediamo un'aria frenetica intorno, quasi che tutti, soldati e capi, vogliano concludere presto quell' "affare", concluderlo e non parlarne più! Issato sulla croce, ponte fra terra e cielo, la folla sembra placarsi e da urlante – "via, via, crocifiggilo!" – diventa ora silenziosa, in attesa dell'ultimo respiro. Così tutto sarà finito! Essi non sanno che, in realtà, niente finisce, ma tutto si compie. Sì, perché quando si porta a termine una missione, essa più che finire, si compie: lo scopo è raggiunto e un mondo nuovo inizia, una novità che è ormai incisa nella carne della vita, per sempre. La folla crede di terminare una questione fastidiosa, ma in realtà Gesù porta a compimento un progetto di salvezza che viene da lontano, dal cuore di Dio, da quando Dio si è commosso per il nostro niente. Ad un certo momento succede l'imprevisto: "era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce disse: Padre, nelle tue mani consegno il spirito. E detto questo, spirò" (Lc 23, 44-46). Il cielo e la terra sembrano precipitare nell'angoscia, e tutto si avvolge di tenebra: non solo gli occhi della folla, ma anche gli occhi dell'universo guardano a quel piccolo punto della terra, a quel legno intriso dal sangue di Dio, diventato l'altare dove si ricongiunge l'uomo e Dio.
Da quel momento, il turbinio della storia troverà il suo riscatto in quel punto, attorno alla croce. Passeranno le epoche e le generazioni, affannati si rincorreranno i secoli, cambieranno idee e popoli, incalzeranno mode e costumi, si divorerà tutto e il suo contrario, regneranno tempi di ordine e di confusione...ma la Croce di Cristo sarà sempre là, segno sicuro di contraddizione e di speranza. Viviamo oggi tempi non solo di complessità e di ricchezze, ma non si può negare anche di confusione: qual è il bene e il male? cos'è la verità e la menzogna? esiste qualcosa per cui valga la pena di vivere e di morire? Oppure siamo assediati dall'impressione che tutto sia incerto, opinabile, relativo, consegnato ai gusti individuali? Forse ci sentiamo immersi come in una nebbia di smarrimento, di insicurezza, non trovando un punto fermo al quale aggrappare la vita? Senza toccare un lembo di terra ferma perché tutto - idee e valori, persone e istituzioni, doveri e affetti – sembra franare non appena allunghiamo la mano come un naufrago? Si dice che l'uomo deve trovare in se stesso il suo fondamento non fuori, in altro o in altri: ciò sarebbe un segno di debolezza e di viltà. Ma l'esperienza ci dice che non è fuggire da sé, ma difendersi da se stessi, dall'inganno che ognuno – in certa misura – è per se stesso. Nel momento in cui l'uomo crede di essere lui la risposta alla sua domanda di infinito e di pienezza, al suo bisogno di riscatto dal male, di valore vero e perenne...si accorge prima o dopo di perdere se stesso e di perdere gli altri, di allontanarsi dall'uomo. La storia di ieri e di oggi insegna che chiudersi a Dio è abbandonare l'uomo. Sembra, a volte, che si abbia paura di Cristo, forse dimenticando che è Lui il fondamento di civiltà e cultura, di quella visione dell'uomo, della sua incomprimibile dignità, di cui tutti oggi godono. Ecco perché la Croce di Gesù è stabile mentre il mondo cambia nel vortice delle sue illusioni e delle sue menzogne: "dum volvitur mundus, Crux stat!".
Cari fratelli e sorelle, non lasciamoci confondere dalla confusione che circola e che viene alimentata: guardiamo al punto fermo, la Croce, strada sicura della vita presente e futura. Dietro alla Croce camminiamo come discepoli che formano la Chiesa, il popolo santo di Dio. Non sono gli errori degli uomini che ce la fanno amare di meno; semmai, siamo provocati a crescere nel suo amore perché risplenda purificata e possa continuare la sua missione nel mondo, possa continuare a parlare di giorni di speranza dentro a giorni di desolazione. La speranza che scende da quella Croce insanguinata e che continua ad offrirsi al mondo
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo