ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 14 febbraio 2010
Santa Sede
- Benedetto XVI: la Chiesa non abbandona i poveri
- Le beatitudini propongono un "nuovo orizzonte di giustizia", spiega il Papa
- Il Papa sottolinea l'importanza dei valori cristiani dell'Europa
- Procedono i negoziati tra la Santa Sede e Israele
- Monsignor Mario Meini, nuovo Vescovo di Fiesole
- Il senso del dolore e i miracoli, secondo il portavoce vaticano
- Presto on-line gli archivi segreti vaticani sulla II Guerra Mondiale
- Che senso ha il dolore nel mondo contemporaneo?
Analisi
Bioetica
Angelus
Documenti
- Lectio Divina di Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore
- Il Papa ai partecipanti alla XVI Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita
- Benedetto XVI: la Chiesa, casa per i poveri
- Nota dottrinale su Matrimonio e Unioni omosessuali
Santa Sede
Benedetto XVI: la Chiesa non abbandona i poveri
La carità cristiana fa parte dell'evangelizzazione
ROMA, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- "Sappiate che la Chiesa vi ama profondamente e non vi abbandona, perché riconosce nel volto di ognuno di voi il volto di Cristo", ha detto questa domenica Papa Benedetto XVI alle persone assistite nell'Ostello romano "Don Luigi Di Liegro" della Caritas.
Il Papa ha visitato nelle prime ore della mattinata questo complesso assistenziale creato 23 anni fa, costituito da un ostello, una mensa e un piccolo centro medico, destinato ai poveri e ai senzatetto di Roma.
Nel suo discorso, ha affermato che il centro "è diventato un luogo dove, grazie al generoso servizio di tanti operatori e volontari, si attuano ogni giorno le parole di Gesù: 'Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto'".
"La testimonianza della carità, che in questo luogo trova speciale concretizzazione, appartiene alla missione della Chiesa insieme con l'annuncio della verità del Vangelo - ha affermato -. L'uomo non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su se stesso, sulla sua dignità".
La Chiesa, "con il suo servizio a favore dei poveri, è dunque impegnata ad annunciare a tutti la verità sull'uomo, che è amato da Dio, creato a sua immagine, redento da Cristo e chiamato alla comunione eterna con Lui", ha ricordato.
"Tante persone hanno potuto così riscoprire, e tuttora riscoprono, la propria dignità, smarrita a volte per tragici eventi, e ritrovano fiducia in se stessi e speranza nell'avvenire".
La certezza profonda di sapersi amati da Dio "genera nel cuore dell'uomo una speranza forte, solida, luminosa, una speranza che dona il coraggio di proseguire nel cammino della vita nonostante i fallimenti, le difficoltà e le prove che la accompagnano", ha aggiunto il Pontefice.
"La Chiesa vive nella storia con la consapevolezza che le angosce e i bisogni degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure quelli dei discepoli di Cristo".
Il Papa ha quindi invitato quanti lavorano nell'Ostello a imitare "l'esempio di Gesù, che per amore si fece nostro servo e ci amò fino alla fine", e a considerare le persone accolte nel centro "uno dei tesori più preziosi" della loro vita.
Il Vescovo di Roma ha poi voluto approfittare del suo intervento per esortare "non solo i cattolici, ma ogni uomo di buona volontà, in particolare quanti hanno responsabilità nella pubblica amministrazione e nelle diverse istituzioni, ad impegnarsi nella costruzione di un futuro degno dell'uomo".
Per fare ciò, ha avvertito, è necessario scoprire "nella carità la forza propulsiva per un autentico sviluppo e per la realizzazione di una società più giusta e fraterna".
"Per promuovere una pacifica convivenza che aiuti gli uomini a riconoscersi membri dell'unica famiglia umana è importante che le dimensioni del dono e della gratuità siano riscoperte come elementi costitutivi del vivere quotidiano e delle relazioni interpersonali".
Tutto ciò diventa sempre più urgente in un mondo in cui, invece, sembra prevalere la logica del profitto e della ricerca del proprio interesse.
Il Papa ha infine invitato i giovani a vivere l'esperienza del volontariato, che rappresenta "un'autentica scuola in cui si impara ad essere costruttori della civiltà dell'amore, capaci di accogliere l'altro nella sua unicità e differenza".
"Nel suo servizio alle persone in difficoltà la Chiesa è mossa unicamente dal desiderio di esprimere la propria fede in quel Dio che è il difensore dei poveri e che ama ogni uomo per quello che è e non per quello che possiede o realizza", ha concluso.
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Le beatitudini propongono un "nuovo orizzonte di giustizia", spiega il Papa
Tema a cui è dedicato il Messaggio per la Quaresima di quest'anno
Lo ha ricordato Benedetto XVI questa domenica mattina recitando a mezzogiorno la preghiera mariana dell'Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini accorsi in Piazza San Pietro in Vaticano per questo appuntamento settimanale.
Gesù, ha spiegato il Pontefice, "non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell'amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione".
"Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore", ha aggiunto richiamando il brano evangelico del giorno, tratto dal Vangelo di Luca.
"Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, dice: 'Beati voi, poveri... beati voi, che ora avete fame... beati voi, che ora piangete... beati voi, quando gli uomini... disprezzeranno il vostro nome' per causa mia. Perché li proclama beati?", ha chiesto.
"Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d'ora nel suo regno".
Le beatitudini, ha sottolineato Benedetto XVI, "si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato".
Dopo i quattro "beati voi", infatti, l'evangelista Luca aggiunge quattro ammonimenti: "'guai a voi, ricchi... guai a voi, che ora siete sazi,... guai a voi, che ora ridete' e 'guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi', perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi".
Come ha ricordato il Papa, la giustizia e la beatitudine "si realizzano nel 'Regno dei cieli', o 'Regno di Dio', che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia".
"Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita, lì si manifesta la giustizia di Dio".
"E' questo il compito che i discepoli del Signore sono chiamati a svolgere anche nella società attuale", ha commentato riferendosi alla sua visita all'Ostello della Caritas Romana alla Stazione Termini, visitato questa domenica mattina prima di tornare in Piazza San Pietro per recitare l'Angelus.
A questo proposito, ha incoraggiato "di cuore" "quanti operano in tale benemerita istituzione e quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in simili opere di giustizia e di amore".
Ricordando che il tema della giustizia è al centro del suo Messaggio per la Quaresima di quest'anno, che inizierà il prossimo mercoledì, il Papa ha confessato di volerlo consegnare "idealmente a tutti, invitando a leggerlo e a meditarlo".
Ha quindi concluso il suo intervento esortando tutti i presenti di farsi guidare durante il periodo quaresimale dalla Vergine Maria, "per essere liberati dall'illusione dell'autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace".
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Il Papa sottolinea l'importanza dei valori cristiani dell'Europa
Nella festa dei Santi Cirillo e Metodio, patroni del continente
Lo ha ricordato dopo la recita della preghiera mariana dell'Angelus, nel suo saluto ai pellegrini polacchi nel giorno della festa dei Santi Cirillo e Metodio, patroni d'Europa.
"I valori che essi hanno propagato nel nostro continente, cioè il segno della Croce, il Vangelo di Cristo e la vita secondo il Vangelo, rimangono il solido fondamento della forza spirituale dei popoli e dell'unità dell'Europa", ha dichiarato.
"Sono valori importanti anche per noi contemporanei. Chiediamo che i santi apostoli degli Slavi continuino a condurci sulle vie della fede".
Nei suoi saluti ai presenti, il Pontefice ha anche approfittato per ricordare che in vari Paesi dell'Asia, come la Cina e il Vietnam, e in molte comunità di tutto il mondo si celebrava questa domenica il capodanno lunare.
"Sono giorni di festa, che quei popoli vivono come occasione privilegiata per rinsaldare i vincoli familiari e generazionali", ha osservato.
"Auguro a tutti di mantenere e accrescere la ricca eredità di valori spirituali e morali, che si radicano saldamente nella cultura di quei popoli", ha concluso.
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Procedono i negoziati tra la Santa Sede e Israele
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Procedono i negoziati tra la Santa Sede e Israele, come si apprende dal comunicato congiunto emesso dopo l'ultima riunione dei loro rappresentanti, il 10 febbraio.
L'incontro della Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele cercava di continuare il suo lavoro su un Accordo in conformità all'Articolo 10 § 2 dell'Accordo Fondamentale tra le Parti del 1993.
Quell'Accordo ha permesso di stabilire relazioni diplomatiche, ma ha lasciato a negoziati successivi le questioni fiscali e relative alle proprietà della Chiesa nello Stato di Israele, che ora sono in fase di analisi.
"I colloqui sono stati proficui e si sono svolti in un'atmosfera di grande cordialità. Il prossimo incontro avrà luogo il 18 marzo", spiega la nota congiunta, diffusa dalla Sala Stampa della Santa Sede questo sabato.
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Monsignor Mario Meini, nuovo Vescovo di Fiesole
Monsignor Meini sostituisce nell'incarico monsignor Luciano Giovannetti, di cui il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Fiesole in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Monsignor Meini è nato a Legoli di Peccioli, nella Diocesi di Volterra, il 17 novembre 1946.
Dopo gli studi ginnasiali nel Seminario Minore di Volterra e quelli liceali e teologici nel Pontificio Seminario Regionale "Pio XII" di Siena, ha conseguito la Laurea in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana.
È stato ordinato sacerdote per la Diocesi di Volterra il 27 giugno 1971.
Tra i vari incarichi che ha ricoperto figurano quelli di Vicario Cooperatore nella Parrocchia di San Michele in Volterra, dal 1973 al 1976; professore di Teologia Dogmatica nel Seminario Regionale di Siena, dal 1973 al 1984; Vicario Economo della Parrocchia di San Cipriano, dal 1977 al 1986; Parroco di San Giusto in Volterra, dal 1976 al 1996; Vicario Foraneo della città di Volterra, dal 1985 al 1990; Direttore della Scuola di Formazione Teologica della diocesi, dal 1980 al 1996; professore di Teologia Dogmatica presso lo Studio Teologico Fiorentino, dal 1985 al 1996.
Eletto alla sede vescovile di Pitigliano-Sovana-Orbetello il 13 luglio 1996, è stato ordinato Vescovo il 7 settembre dello stesso anno.
Attualmente è membro della Commissione Episcopale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per la Liturgia.
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Il senso del dolore e i miracoli, secondo il portavoce vaticano
Commento di padre Lombardi alla Giornata Mondiale del Malato
Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha compiuto un bilancio delle attività a cui Benedetto XVI e la Santa Sede hanno partecipato in occasione della Giornata Mondiale del Malato, celebrata l'11 febbraio, commemorazione della Madonna di Lourdes.
"Il Papa ha voluto celebrare solennemente e presiedere personalmente la Messa per la giornata dei malati, e mettere in luce con le sue parole quali sono i veri miracoli, cioè i segni che attirano meraviglia, perché illuminano più profondamente la realtà sconfinata della sofferenza umana", afferma padre Lombardi nell'ultimo editoriale di "Octava Dies", settimanale del Centro Televisivo Vaticano.
"La sofferenza è il luogo dove l'amore - duramente provato - si manifesta nel modo più intenso e più puro. Nella debolezza del malato grave è sempre più evidente che il rapporto di amore, dato e ricevuto, è la vera rivelazione del senso di una vita ridotta all'essenziale; tutto il resto non conta più", aggiunge.
"Non sappiamo se sarebbe stato pensabile un mondo senza sofferenza. Nel nostro ce n'è un mare, ma questa sofferenza non è solo nell'uomo, è anche nel cuore di Dio e può manifestare l'amore".
"Si può comprendere e vivere il senso misterioso della sofferenza in un mondo senza Dio e senza la croce di Cristo?", si chiede il sacerdote. E risponde: "E' immensamente difficile, forse impossibile. Per questo la sofferenza è parte essenziale della vita e del servizio della Chiesa. Per salvare la speranza del mondo".
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Presto on-line gli archivi segreti vaticani sulla II Guerra Mondiale
Il Vaticano acconsente alla proposta della Fondazione Pave the Way
di Jesús Colina
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Verrà pubblicata presto su Internet, con accesso gratuito, una mole immensa di documenti della Santa Sede relativi alla Seconda Guerra Mondiale.
L'iniziativa ha luogo come risposta da parte del Vaticano a una richiesta della "Pave the Way Foundation" (PTWF) di digitalizzare e pubblicare successivamente 5.125 documenti dell'Archivio Segreto Vaticano, datati tra marzo 1939 e maggio 1945.
Gary Krupp, fondatore e presidente della "Pave the Way Foundation", ha annunciato ufficialmente a ZENIT che "gli Atti e i Documenti della Santa Sede relativi alla Seconda Guerra Mondiale saranno disponibili molto presto per lo studio mondiale on-line, senza alcuna spesa".
"I documenti saranno disponibili sia sulla pagina web della 'Pave the Way Foundation' (www.ptwf.org) che su quella del Vaticano (www.vatican.va)", rivela.
La "Pave the Way Foundation" è un'organizzazione nata per rimuovere gli ostacoli tra le religioni, promuovere la cooperazione e porre fine all'abuso della religione a fini politici.
"Nello sviluppo della nostra missione, abbiamo constatato che il Papato di Pio XII (Eugenio Pacelli) durante la Seconda Guerra Mondiale è un motivo di frizione, il che ha un impatto su più di mille milioni di persone. La controversia si centra sull'ipotesi che abbia fatto abbastanza per prevenire il massacro degli ebrei da parte dei nazisti", riconosce Krupp, ebreo di New York.
"La nostra ricerca ha rivelato che cinque anni dopo la morte di Pio XII i servizi segreti sovietici, il KGB, organizzarono un complotto per screditare il loro nemico, la Chiesa cattolica, chiamato 'Seat 12'. Un trucco sporco, che ha condannato Papa Pio XII per il suo 'silenzio' durante l'Olocausto, basato sull'opera teatrale 'Il vicario' di Rolf Hochhuth, nel 1963", aggiunge il fondatore.
Nel 1964, Papa Paolo VI chiese che un'équipe di tre storici gesuiti, i sacerdoti Pierre Blet, Burkhart Schneider e Angelo Martini, realizzassero un'ampia ricerca per individuare documenti rilevanti degli anni della guerra nella sezione non aperta al pubblico degli Archivi Segreti Vaticani. Pochi anni dopo, il sacerdote statunitense Robert Graham si unì al gruppo.
Quella ricerca venne raccolta negli atti ora pubblicati on-line. Il primo degli undici volumi è stato pubblicato nel 1965, l'ultimo nel 1981.
"Nel 1999, il Cardinale Edward Cassidy creò una commissione speciale di accademici ebrei e cattolici per studiare congiuntamente i documenti. Questa iniziativa fallì il 21 luglio 2001 perché i professori non erano capaci di capire la lingua dei tanti documenti. Pubblicarono una lista di 47 domande e chiesero l'apertura degli archivi del periodo compreso tra il 1939 e il 1958, anche se non erano ancora catalogati", informa Krupp.
Per aprire tutti i documenti relativi alla Seconda Guerra Mondiale dell'Archivio Segreto Vaticano, la Santa Sede ha bisogno di terminare la catalogazione: circa 16 milioni di documenti.
"Nello svolgimento della nostra missione di rendere pubblico il maggior numero possibile di documenti per eliminare questo ostacolo tra ebrei e cattolici alla luce della verità documentata, la nostra Fondazione ha chiesto il permesso di digitalizzare questa collezione e di metterla a disposizione di chi la voglia studiare".
Gary Krupp aggiunge che l'iniziativa "cerca solo di mostrare in modo chiaro gli sforzi di Pio XII per mitigare la sofferenza di tante persone durante la guerra, e di far capire che la 'leggenda nera' che ha offuscato il suo nome semplicemente non è vera".
"Questo accesso che stiamo offrendo non vuole sostituire il pieno accesso agli archivi della Seconda Guerra Mondiale, ma mostrerà in modo unico gli sforzi di Pio XII e i pericoli che affrontò sotto la diretta minaccia del regime nazista", indica il fondatore.
"Gli Archivi Segreti Vaticani fino al 1939, aperti due anni fa e che mostrano il 65% del ministero di Pacelli, sono stati ironicamente ignorati dai critici che per anni ne hanno chiesto l'apertura", ricorda Krupp.
La "Pave the Way Foundation" ringrazia la Segreteria di Stato e la Libreria Editrice Vaticana per "la sua fiducia in noi nel concederci questo privilegio senza precedenti".
"Speriamo sinceramente che gli storici internazionali studino con molta attenzione questi documenti. Speriamo che la digitalizzazione di queste oltre 9.000 pagine richieda circa quattro settimane. Quando avremo terminato le pubblicheremo su Internet".
"Nel frattempo, abbiamo già pubblicato on-line (www.ptwf.org) migliaia di documenti e video di testimoni per lo studio".
"Chiediamo che i ricercatori francesi, italiani e tedeschi ci aiutino a tradurre i documenti in inglese e inviino questo lavoro alla 'Pave the Way Foundation' per poter mettere queste informazioni alla portata del maggior numero possibile di accademici per la ricerca. Ci piacerebbe anche ricevere ogni tipo di commenti, positivi o negativi, sul contenuto di questi documenti", conclude Krupp.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Che senso ha il dolore nel mondo contemporaneo?
Il Cardinale Angelo Comastri interviene sul tema
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- A questo mondo niente è più certo della morte, e paradossalmente questa è un tema tabù e perfino proibito in molti ambienti.
Il Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di San Pietro, si è riferito a questo fenomeno durante il suo intervento "Il dolore e la sofferenza hanno senso per l'uomo nel mondo contemporaneo?".
Il discorso è stato pronunciato in occasione del Congresso "La Chiesa al servizio dell'amore per i sofferenti", svoltosi nei giorni scorsi nell'Aula Nuova del Sinodo, in Vaticano, per commemorare i 25 anni della fondazione del Pontificio Consiglio per la Salute.
Un tema inevitabile che molti vogliono evitare
Il porporato si è riferito ai termini "sofferenza" e "morte" osservando che sono come "due sorelle che si chiamano vicendevolmente e si tengono per mano", e ha definito la morte come "la consumazione delle sofferenze".
Utilizzando esempi e statistiche, il Cardinale ha illustrato come la mentalità contemporanea cerchi sempre più il comfort e ciò che porta a sfuggire dal dolore e dall'inevitabile morte.
"Perché tanto silenzio attorno al problema della morte? Perché circola tanta paura attorno alla morte, che è un passo ineludibile di ogni persona che nasce? E, di conseguenza, perché tanta paura della malattia e della sofferenza?", si è chiesto.
L'Arciprete ha risposto affermando che la morte "smonta la falsa visione della vita, che ha fatto presa sugli uomini del XX secolo", e ha alluso a questo proposito al pensatore francese Jean-Paul Sartre (1905 - 1980), che affermava che l'uomo "nasce senza ragione, sopravvive per debolezza, muore per caso".
"Apriamo gli occhi!", ha esortato. "E facciamoli aprire ai giovani, che, come farfalle, girano attorno alle false luci della modernità e ci cadono dentro, morendo e stoltamente".
Il porporato ha quindi criticato i sistemi economici che riducono l'uomo al solo livello produttivo, dimenticando il vero senso della sua vita: "L'uomo infatti non vive di solo pane: l'uomo ha bisogno di capire perché mangia il pane, perché vive e... perché muore. Se rinuncia a questo, rinuncia all'umanità!"
Nonostante tanti progressi della medicina, ha aggiunto, "poco è cambiato da venticinque secoli da quando il salmista biblico esclamò: 'Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti. Passano presto e noi ci dileguiamo'" (Salmo 90).
Per questo, ha indicato che "non possiamo accettare la soluzione del nichilismo, cioè la soluzione di chi pensa che l'uomo venga dal niente e al niente ritorni".
Il Cardinale ha portato l'esempio della celebre rivista nordamericana Playboy, in cui "è proibito parlare di bambini, di prigioni, di disgrazie, di vecchi, di malattie. Ma, soprattutto, è rigorosamente vietato parlare di morte".
Di fronte a questo fenomeno, ha affermato che "la civiltà del consumismo vuole soltanto consumatori, bocche che mangiano, corpi che cercano sensazioni ma non cercano alcun senso, alcun significato per la loro vita".
Ad ogni modo, si è accettato il fatto che nel cuore umano esista sempre la possibilità che sbocci un senso del vivere, del soffrire e del morire.
"Tuttavia noi dobbiamo sapere che esiste questo dramma: il dramma di una cultura che ha rifiutato Dio e non è pentita di questo rifiuto, però avverte un senso lacerante di 'vuoto'", ha osservato.
Ha poi ricordato la testimonianza di un giovane italiano chiamato Ricciardetto, che nel 1970 si rese conto di avere una malattia terminale. "Se avessi il conforto della fede potrei rifugiarmi in essa, e in essa troverei la necessaria rassegnazione - diceva -. Ma la fede, purtroppo, l'ho perduta da tempo".
Per mostrare un esempio recente del modo cristiano di sopportare il dolore, ha allora citato la giovane venerabile Benedetta Bianchi Porro, morta a 27 anni nel 1964 dopo una lunga e prolungata paralisi del corpo. "In questo abisso di dolore, Benedetta incontra Gesù e il dolore diventa un 'luogo' in cui vivere la speranza e, soprattutto, la carità", ha segnalato.
Il Cardinale ha ricordato come Benedetta iniziò a evangelizzare attraverso lettere che scriveva a persone nella sua stessa situazione: "questa è la notizia meravigliosa che Benedetta grida con tutta la sua sconvolgente storia: Dio abita anche nel dolore; e, pertanto, il dolore non è più dolore, non è più causa di disperazione, non è più senza senso".
Il Congresso "La Chiesa al servizio dell'amore per i sofferenti" si è concluso giovedì, quando la Chiesa celebrava la Giornata Mondiale del Malato. Nei corridoi dell'Aula Nuova del Sinodo si ascoltavano commenti molto positivi da parte degli intervenuti all'evento accademico, nel corso del quale con conferenze e tavole rotonde si è voluto formare gli agenti della Pastorale sanitaria.
Il Congresso ha avuto anche un carattere spirituale attraverso prolusioni - come quella del Cardinal Comastri - che esortavano a riflettere sul senso del dolore. Non sono poi mancati il senso artistico, con la mostra di pittura del maestro Francesco Guadagnuolo, inaugurata nel contesto di questo evento, e il concerto di musica classica di mercoledì, e quello liturgico, con l'Eucaristia presieduta nella Basilica di San Pietro da Papa Benedetto XVI.
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Analisi
La distorsione della sessualità
Alcuni studi dimostrano l'impatto della pornografia sul matrimonio
di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La pornografia dà una visione distorta della sessualità rappresentando una grave minaccia per il matrimonio, secondo un rapporto pubblicato a dicembre dal Family Research Council.
Patrick F. Fagan, senior fellow e direttore del Centro di ricerca su matrimonio e religione del Consiglio, ha descritto gli effetti sociali e psicologici della pornografia nello studio dal titolo "The Effects of Pornography on Individuals, Marriage, Family and Community".
Contrariamente all'argomentazione secondo cui la pornografia è un piacere innocuo, Fagan riferisce di prove cliniche da cui risulta che essa provoca distorsioni significative nei comportamenti e nella percezione della natura della sessualità.
I fruitori abituali di pornografia tendono infatti ad avere livelli più elevati di tolleranza verso comportamenti sessuali anormali, osserva lo studio. L'uso della pornografia crea anche dipendenza, a causa del rilascio di ormoni che stimolano i centri cerebrali del piacere.
Fagan riconosce che le energie sessuali sono una forza potente, ma proprio per questo la società deve incanalarle in modo da contribuire al bene comune. In questo senso, il matrimonio legittima l'intimità sessuale, tutela i bambini che sono il frutto del suo esercizio e promuove la stabilità sociale.
Porre limiti all'attività sessuale aiuta gli adolescenti a maturare un corretto orientamento della propria sessualità. Purtroppo, constata lo studio, gli sviluppi moderni dei media hanno demolito queste barriere e aumentato enormemente le modalità in cui la pornografia può insinuarsi nella vita familiare.
Conseguenze per la famiglia
Per quanto riguarda le conseguenze per il matrimonio, Fagan richiama degli studi che dimostrano come l'uso della pornografia da parte del marito incida gravemente sulla moglie.
In molti casi la moglie di un utilizzatore di pornografia sviluppa ferite psicologiche, tra cui sentimenti di tradimento, di perdita, diffidenza e rabbia, osserva l'autore. Dopo aver scoperto che il marito fa uso di pornografia, la moglie può iniziare a sentirsi non più attraente o sessualmente inadeguata, il che può portare a forme di depressione.
Gli uomini fruitori di pornografia, aggiunge Fagan, tendono a ridurre il loro coinvolgimento emotivo nel rapporto sessuale, cosa che produce nella moglie il senso di una minore intimità con il marito. In uno studio, i mariti hanno riferito di amare meno le proprie mogli dopo lunghi periodi di fruizione pornografica.
La pornografia ha anche un impatto sul lato fisico del rapporto, perché un'esposizione prolungata alimenta sensi di insoddisfazione rispetto al coniuge e al comportamento sessuale.
Secondo altri studi riferiti da Fagan, i fruitori di pornografia vedono il matrimonio come un limite alla sessualità, e questo porta a mettere in dubbio il valore del matrimonio come istituzione sociale.
Vera infedeltà
L'allontanamento affettivo dalla moglie e dal matrimonio non è privo di conseguenze. Fagan osserva che l'uso della pornografia e di altre forme di contatto sessuale on-line è considerato da molte mogli dannoso per il loro rapporto quanto le infedeltà reali.
In effetti, gli uomini e le donne reagiscono alla pornografia in modo diverso. Secondo uno studio svolto su un campione di universitari, gli uomini sono risultati più adirati da un'infedeltà sessuale, mentre le donne più da un'infedeltà affettiva.
Un altro studio esamina le diverse tipologie di pornografia. Tre temi principali sono stati considerati, sia dagli uomini che dalle donne, quelli più degradanti, ma ad essi sono state attribuite intensità diverse: le donne li hanno definiti più degradanti rispetto all'indicazione data dagli uomini.
L'impatto sulla moglie aumenta quando il marito diventa dipendente dalla pornografia. Uno studio citato da Fagan rivela che il 40% di chi ha questa dipendenza sessuale finisce per perdere la propria moglie. La ricerca relativa al rapporto tra pornografia e divorzio non è molto estesa, ma secondo uno studio sugli avvocati divorzisti il 68% dei casi di divorzio è dovuto all'incontro su Internet di un nuovo partner e il 56% all'ossessivo interesse di uno dei coniugi alla pornografia su Internet.
Non sono solo le donne che soffrono quando la pornografia diventa dipendenza. Nel rapporto, osserva Fagan, l'uso dipendente della pornografia porta a una minore autostima degli uomini e a una loro ridotta capacità di condurre una vita sociale e lavorativa significativa.
Da uno studio sui dipendenti da pornografia risulta che, a causa della loro dipendenza, queste persone hanno sperimentato difficoltà e minori capacità in un importante aspetto della propria vita.
Illusoria
La pornografia, osserva Fagan, presenta l'attività sessuale come una sorta di momento sportivo o divertimento innocente senza alcun impatto emotivo o di salute. Ciò, semplicemente non corrisponde alla realtà, sostiene l'autore.
La pornografia porta infatti a una distorta percezione della realtà sociale: un'esagerata percezione del livello di attività sessuale nella popolazione generale e una stima gonfiata della diffusione di attività sessuali prematrimoniali ed extramatrimoniali. Porta anche a sovrastimare l'effettiva presenza di perversioni come il sesso di gruppo, il bestialismo e il sadomasochismo.
"In questo senso, i convincimenti che si formano nella mente di chi guarda pornografia sono ben lontani dalla realtà", commenta Fagan. "Ci si potrebbe interrogare se la costante visione di pornografia provochi una malattia mentale in materia sessuale".
Le principali convinzioni distorte causate dalla pornografia sono le seguenti: 1) i rapporti sessuali hanno natura ricreativa; 2) gli uomini sono normalmente guidati dal sesso; 3) la donna è un oggetto o una merce sessuale.
Di conseguenza, Fagan descrive come la pornografia alimenti l'idea che la degradazione della donna sia accettabile. Inoltre, poiché i maschi usano la pornografia molto più spesso delle donne, ciò porta a considerare la donna come un oggetto o una merce sessuale.
Fagan osserva che una significativa quota di pornografia ha contenuti violenti. Da uno studio su diversi prodotti di pornografia, si è riscontrata violenza in quasi un quarto delle riviste, in più di un quarto dei video e in poco più del 40% della pornografia on-line.
Gli studi suggeriscono che vi è una connessione tra l'esposizione alla pornografia e successive forme di aggressione sessuale, aggiunge. Anche il consumo di pornografia non violenta aumenta la propensione a imporre i propri desideri sessuali a partner riluttanti.
L'uso della pornografia è anche associato ai reati sessuali, afferma Fagan, che cita uno studio su persone condannate per reati sessuali su Internet. Questi individui hanno affermato di aver trascorso più di undici ore alla settimana visionando immagini pornografiche di minori su Internet.
Un altro studio che considera sia i criminali sessuali che in non criminali ha rivelato significative differenze nel loro uso della pornografia nell'adolescenza. Quote significative di stupratori e molestatori avevano infatti fatto uso di pornografia hard quando erano adolescenti.
Adolescenza
La pornografia, quindi, non danneggia solo i matrimoni, ma ha un impatto grave anche sugli adolescenti. Uno studio su questa fascia di età ha mostrato che l'uso abituale della pornografia porta spesso all'abbandono della fedeltà verso le fidanzate. L'uso della pornografia risulta inoltre aver aumentato la successiva infedeltà coniugale di più del 300%.
Fagan spiega che la visione della pornografia in età adolescenziale disorienta la persona nella fase dello sviluppo, ovvero nel momento in cui si impara a gestire la propria sessualità e si è più vulnerabili nelle convinzioni sulla sessualità e sui valori morali.
Secondo uno studio sugli adolescenti, l'esposizione a materiale sessualmente esplicito su Internet aumenta significativamente la loro incertezza sulla sessualità. Un altro studio ha rivelato che l'esposizione degli adolescenti ad alte dosi di pornografia riduce i livelli di autostima sessuale.
Esiste anche un rapporto significativo tra il frequente uso di pornografia e sentimenti di solitudine, con serie forme di depressione.
Un alto consumo di pornografia in età adolescenziale è legato anche a un significativo aumento dell'attività sessuale tra amici non legati sentimentalmente e può essere un fattore significativo nell'insorgenza di gravidanze adolescenziali.
Ben prima dell'avvento di Internet, il Concilio Vaticano II, nel suo decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter Mirifica, aveva osservato che questi, se utilizzati bene, potevano essere di grande utilità per l'umanità.
La Chiesa sa "che l'uomo può adoperarli contro i disegni del Creatore e volgerli a propria rovina; anzi, il suo cuore di madre è addolorato per i danni che molto sovente il loro cattivo uso ha provocato all'umanità", osserva il decreto (n. 2). Un uso cattivo che oggi troppo spesso avvelena le famiglie e il matrimonio.
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Bioetica
Le bugie raccontate sull'Interruzione Volontaria di Gravidanza
ROMA, domenica, 14 febbraio 2010 (ZENIT.org).- In queste settimane, forse complici alcune candidature, in molti sono stati costretti ad uno sforzo di memoria circa alcuni avvenimenti, purtroppo spesso rimossi in quanto scomodi o dolorosi.
Eppure, come insegnano i latini, contra factum non valet argumentum. Hanno aiutato a ricordare alcune foto del passato riproposte sui giornali, complice la campagna elettorale alle porte.
Mi sto riferendo ad un periodo, quello che attraversa la fine degli anni '60 ed ha lambito il termine del decennio successivo, caratterizzato da sommovimenti tellurici che investirono l'ambito della moralità e che trascinarono nella loro caduta concetti fondanti il diritto stesso nel suo aspetto più essenziale, quello dei diritti fondamentali.
Il terremoto di allora si fa ancora oggi sentire attraverso un bradisismo relativista che nel biodiritto e nella biopolitica tende a spostare l'arbitrio nell'ambito del lecito.
Eppure, scava, scava, alla radice di grandi iniquità si nasconde sempre la menzogna e la falsificazione dei fatti. Se cerca una gemma preziosa e splendente la cui vista è celata da tonnellate di dura roccia, il minatore deve indirizzare i propri colpi di piccone con perizia, forza e costanza; un lavoro lungo ed estenuante, spesso non appagato nei risultati a breve termine.
La verità è simile a quella gemma, è coperta dalle menzogne, dalla manipolazione delle fonti, dalla dittatura dell'opinione; la ricerca di essa è sempre faticosa. Eppure se si guarda bene vi sono dei varchi che aiutano ad aprirsi la strada.
Riguardo al tema della clandestinità dell'aborto prima della legge 194 un illuminante aiuto alla comprensione è offerto dalla lettura di un depliant di 16 pagine dell'ottobre 1974 edito dal C.I.S.A. (Centro informazioni sterilizzazione aborto) riproposto su uno dei siti radicali.[1]
Il C.I.S.A. era un organismo che provvedeva ad organizzare viaggi all'estero per le donne che abortivano e, attraverso strutture proprie, metteva a disposizione medici che nel territorio italiano praticavano in maniera illegale l'aborto. Nel sommario si riporta una stesura organizzata "in paragrafi didatticamente molto precisi".
Si tratta di un materiale che nelle intenzioni dovrebbe essere istruttivo. In un certo senso siamo d'accordo, è un materiale altamente istruttivo della ignoranza di chi lo ha redatto. Nel descrivere ad esempio l'aborto mediante metodo Barman così si legge: "si aspira in contenuto dell'utero, ancora informe e grumoso, prima del terzo mese, cioè prima che l'ovulo fecondato si agganci alla parete dell'utero e inizi il ciclo morfologico, cioè prenda forma. Fino a quel momento l'ovulo fecondato non è vitale né capace di vita".
Che, giunti al terzo mese o poco prima "il contenuto dell'utero" sia "informe e grumoso", è menzogna che qualsiasi studente che abbia una minima cognizione di embriologia riconosce come tale. Che il metodo Karman agisca "su un ovulo fecondato" e non su un embrione o un feto prima che questi "si agganci alla parete dell'utero" è indizio di una ignoranza della biologia che fa davvero poco onore a quanti hanno sempre rivendicato la scientificità delle proprie posizioni, spesso definendo le posizioni dei contraddittori "oscurantiste".
In tempi non sospetti, quando non vi era la necessità di dipingere come invasivo e doloroso l'aborto chirurgico per propagandare l'aborto chimico, nel descrivere l'aborto per isterosuzione il C.I.S.A. scriveva che "se la donna resta rilassata, non avverte nessun dolore. In genere dopo l'intervento si ha un dolore diffuso del tipo di quello delle mestruazioni, che può durare da qualche minuto a mezz'ora, e una supposta di qualunque antidolorifico è sufficiente a calmare eventuali spasmi e crampi".
E di seguito: "L'aborto fatto con l'aspirazione dura in media tre minuti effettivi [...] In genere le donne sane e normali si riprendono in un quarto d'ora e dopo venti minuti urlano dalla fame e vanno di corsa a mangiare" Ma come? Oggi gli antiaboristi contrari alla RU 486 si fanno passare per gente che vuole fare soffrire le donne con l'aborto chirurgico, ieri invece lo stesso aborto chirurgico era una passeggiata di salute che stimolava l'appetito.
Alla faccia della coerenza! Ma non è finita; sempre dal solito opuscolo apprendiamo che al C.I.S.A. il prezzo per un aborto chiesto alle donne era di 100.000 lire, ma si aggiungeva subito che si trattava di un "prezzo politico", insomma sembrerebbe d'intendere che non vi fosse alcun guadagno.
La cosa è riportata anche nel libro dell'onorevole Carlo Casini che, ripercorrendo quei giorni vissuti in prima persona in qualità di magistrato che svolgeva le indagini sulla clinica del C.I.S.A. a Firenze, parla di 150.000 lire ad aborto, oltre che di "corposi versamenti bancari" e di "documenti personali di donne trattenuti nello studio del medico a garanzia dei pagamenti".
Secondo l'allora magistrato inquirente "Si trattava evidentemente di una vera e propria organizzazione. In effetti dalle indagini risultò che per tre volte la settimana, a giorni alterni, dalle 14 alle 17, vi venivano eseguiti a catena una quarantina di aborti al giorno, con un record di 80, come, confessando, dichiarò il medico". Ma quanti soldi erano allora 150.000 lire? Nel sito cronologia.it, curato da Franco Gonzato, ci viene ricordato che lo stipendio medio di un operaio era nel 1975 di 154.000.
Facendo qualche conticino si può stimare che l'incasso settimanale fosse di 18 milioni di lire e che in fondo all'anno si potessero raggiungere intorno ai 900 milioni, cifre che, rapportate ai valori attuali starebbero intorno ai 5 milioni di euro.
Delle belle sommette come "prezzo politico". Ma era davvero tale? Mah! Il medico che operava nella villa fiorentina fu arrestato nel 1996 di nuovo con l'accusa di "aborti clandestini" (eppure la legge che liberalizzava l'aborto era in vigore da otto anni).
Il Corriere della Sera del tempo riportò un compenso percepito di 600 mila lire.[2] In anni a noi più vicini le cifre emerse nelle indagini per aborto clandestino spesso sono state di alcune centinaia di euro, una cifra non molto distante dal "prezzo politico" del C.I.S.A.
Se ne potrebbe dedurre che o tutti i medici che praticano gli aborti clandestini lo fanno a prezzo politico (ma non si capisce perché, data l'attuale liberalizzazione), oppure che i prezzi del C.I.S.A. erano dei prezzi comuni "di mercato" giustificati dagli alti costi: pompe da bicicletta come aspiratori e barattoli di marmellata da usare come contenitori.
Vi sarebbe poi la storia del numero degli aborti clandestini, ma di questo spero avremo modo di riparlare in una prossima occasione.
[1] http://www.radioradicale.it/exagora/c-i-s-a-centro-informazioni-sterilizzazione-aborto (accesso del 3 febbraio 2010).
[2] Corriere della Sera, 17 marzo 1996, p. 13.
* Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.
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Angelus
Benedetto XVI: le beatitudini, segno della giustizia divina
Consegna idealmente il suo Messaggio per la Quaresima durante l'Angelus
* * *
Cari fratelli e sorelle,
l'anno liturgico è un grande cammino di fede, che la Chiesa compie sempre preceduta dalla Vergine Madre Maria. Nelle domeniche del Tempo Ordinario, tale itinerario è scandito quest'anno dalla lettura del Vangelo di Luca, che oggi ci accompagna "in un luogo pianeggiante" (Lc 6,17), dove Gesù sosta con i Dodici e dove si raduna una folla di altri discepoli e di gente venuta da ogni parte per ascoltarLo. In tale cornice si colloca l'annuncio delle "beatitudini" (Lc 6,20-26; cfr Mt 5,1-12). Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, dice: "Beati voi, poveri... beati voi, che ora avete fame... beati voi, che ora piangete... beati voi, quando gli uomini... disprezzeranno il vostro nome" per causa mia. Perché li proclama beati? Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d'ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l'evangelista Luca, dopo i quattro "beati voi", aggiunge quattro ammonimenti: "guai a voi, ricchi... guai a voi, che ora siete sazi,... guai a voi, che ora ridete" e "guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi", perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30).
Questa giustizia e questa beatitudine si realizzano nel "Regno dei cieli", o "Regno di Dio", che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita, lì si manifesta la giustizia di Dio. E' questo il compito che i discepoli del Signore sono chiamati a svolgere anche nella società attuale. Penso alla realtà dell'Ostello della Caritas Romana alla Stazione Termini, che stamani ho visitato: di cuore incoraggio quanti operano in tale benemerita istituzione e quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in simili opere di giustizia e di amore.
Al tema della giustizia ho dedicato quest'anno il Messaggio per la Quaresima, che inizierà il prossimo mercoledì, detto delle Ceneri. Oggi desidero, pertanto, consegnarlo idealmente a tutti, invitando a leggerlo e a meditarlo. Il Vangelo di Cristo risponde positivamente alla sete di giustizia dell'uomo, ma in modo inatteso e sorprendente. Gesù non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell'amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione. Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore.
Cari amici, rivolgiamoci ora alla Vergine Maria. Tutte le generazioni la proclamano "beata", perché ha creduto nella buona notizia che il Signore ha annunciato (cfr Lc 1,45.48). Lasciamoci guidare da Lei nel cammino della Quaresima, per essere liberati dall'illusione dell'autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
In vari Paesi dell'Asia, penso, ad esempio, alla Cina e al Vietnam, e in molte comunità sparse nel mondo si celebra oggi il capodanno lunare. Sono giorni di festa, che quei popoli vivono come occasione privilegiata per rinsaldare i vincoli familiari e generazionali. Auguro a tutti di mantenere e accrescere la ricca eredità di valori spirituali e morali, che si radicano saldamente nella cultura di quei popoli.
Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai bambini di Mariano al Brembo, con i genitori e i catechisti, ai cresimandi di Galzignano Terme, Saccolongo e Creola, come pure ai fedeli venuti da Napoli, Guarcino e Tecchiena, e a quelli della parrocchia romana della Gran Madre di Dio a Ponte Milvio. A tutti auguro una buona domenica.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Documenti
Lectio Divina di Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore
* * *
ogni anno è per me una grande gioia essere con i seminaristi della diocesi di Roma, con i giovani che si preparano a rispondere alla chiamata del Signore per essere lavoratori nella sua vigna, sacerdoti del suo mistero. E' questa la gioia di vedere che la Chiesa vive, che il futuro della Chiesa è presente anche nelle nostre terre, proprio anche a Roma.
In quest'Anno Sacerdotale, vogliamo essere particolarmente attenti alle parole del Signore concernenti il nostro servizio. Il brano del Vangelo ora letto parla indirettamente, ma profondamente, del nostro Sacramento, della nostra chiamata a stare nella vigna del Signore, ad essere servitori del suo mistero.
In questo breve brano, troviamo alcune parole-chiave, che danno l'indicazione dell'annuncio che il Signore vuole fare con questo testo. "Rimanere": in questo breve brano, troviamo dieci volte la parola "rimanere"; poi, il nuovo comandamento: "Amatevi come io vi ho amato", "Non più servi ma amici", "Portate frutto"; e, finalmente: "Chiedete, pregate e vi sarà dato, vi sarà data la gioia". Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad entrare nel senso delle sue parole, perché queste parole possano penetrare il nostro cuore e così possano essere via e vita in noi, con noi e tramite noi.
La prima parola è: "Rimanete in me, nel mio amore". Il rimanere nel Signore è fondamentale come primo tema di questo brano. Rimanere: dove? Nell'amore, nell'amore di Cristo, nell'essere amati e nell'amare il Signore. Tutto il capitolo 15 concretizza il luogo del nostro rimanere, perché i primi otto versetti espongono e presentano la parabola della vite: "Io sono la vite e voi i rami". La vite è un'immagine veterotestamentaria che troviamo sia nei Profeti, sia nei Salmi e ha un duplice significato: è una parabola per il popolo di Dio, che è la sua vigna. Egli ha piantato una vite in questo mondo, ha coltivato questa vite, ha coltivato la sua vigna, protetto questa sua vigna, e con quale intento? Naturalmente, con l'intento di trovare frutto, di trovare il dono prezioso dell'uva, del vino buono.
E così appare il secondo significato: il vino è simbolo, è espressione della gioia dell'amore. Il Signore ha creato il suo popolo per trovare la risposta del suo amore e così questa immagine della vite, della vigna, ha un significato sponsale, è espressione del fatto che Dio cerca l'amore della sua creatura, vuole entrare in una relazione d'amore, in una relazione sponsale con il mondo tramite il popolo da lui eletto.
Ma poi la storia concreta è una storia di infedeltà: invece di uva preziosa, vengono prodotte solo piccole "cose immangiabili", non giunge la risposta di questo grande amore, non nasce questa unità, questa unione senza condizioni tra uomo e Dio, nella comunione dell'amore. L'uomo si ritira in se stesso, vuole avere se stesso solo per sé, vuole avere Dio per sé, vuole avere il mondo per sé. E così, la vigna viene devastata, il cinghiale del bosco, tutti i nemici vengono, e la vigna diventa un deserto.
Ma Dio non si arrende: Dio trova un nuovo modo per arrivare ad un amore libero, irrevocabile, al frutto di tale amore, alla vera uva: Dio si fa uomo, e così diventa Egli stesso radice della vite, diventa Egli stesso la vite, e così la vite diviene indistruttibile. Questo popolo di Dio non può essere distrutto, perché Dio stesso vi è entrato, si è impiantato in questa terra. Il nuovo popolo di Dio è realmente fondato in Dio stesso, che si fa uomo e così ci chiama ad essere in Lui la nuova vite e ci chiama a stare, a rimanere in Lui.
Teniamo presente, inoltre, che, nel capitolo 6 del Vangelo di Giovanni, troviamo il discorso sul pane, che diventa il grande discorso sul mistero eucaristico. In questo capitolo 15 abbiamo il discorso sul vino: il Signore non parla esplicitamente dell'Eucaristia, ma, naturalmente, dietro il mistero del vino sta la realtà che Egli si è fatto frutto e vino per noi, che il suo sangue è il frutto dell'amore che nasce dalla terra per sempre e, nell'Eucaristia, il suo sangue diventa il nostro sangue, noi diventiamo nuovi, riceviamo una nuova identità, perché il sangue di Cristo diventa il nostro sangue. Così siamo imparentati con Dio nel Figlio e, nell'Eucaristia, diventa realtà questa grande realtà della vite nella quale noi siamo rami uniti con il Figlio e così uniti con l'amore eterno.
"Rimanete": rimanere in questo grande mistero, rimanere in questo nuovo dono del Signore, che ci ha reso popolo in se stesso, nel suo Corpo e col suo Sangue. Mi sembra che dobbiamo meditare molto questo mistero, cioè che Dio stesso si fa Corpo, uno con noi; Sangue, uno con noi; che possiamo rimanere - rimanendo in questo mistero - nella comunione con Dio stesso, in questa grande storia di amore, che è la storia della vera felicità. Meditando questo dono - Dio si è fatto uno con noi tutti e, nello stesso tempo, ci fa tutti uno, una vite - dobbiamo anche iniziare a pregare, affinché sempre più questo mistero penetri nella nostra mente, nel nostro cuore, e sempre più siamo capaci di vedere e di vivere la grandezza del mistero, e così cominciare a realizzare questo imperativo: "Rimanete".
Se continuiamo a leggere attentamente questo brano del Vangelo di Giovanni, troviamo anche un secondo imperativo: "Rimanete" e "Osservate i miei comandamenti". "Osservate" è solo il secondo livello; il primo è quello del "rimanere", il livello ontologico, cioé che siamo uniti con Lui, che ci ha dato in anticipo se stesso, ci ha già dato il suo amore, il frutto. Non siamo noi che dobbiamo produrre il grande frutto; il cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e, nel contesto del suo Corpo, nel contesto dello stare in Lui, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo.
L'etica è conseguenza dell'essere: prima il Signore ci dà un nuovo essere, questo è il grande dono; l'essere precede l'agire e da questo essere poi segue l'agire, come una realtà organica, perché ciò che siamo, possiamo esserlo anche nella nostra attività. E così ringraziamo il Signore perché ci ha tolto dal puro moralismo; non possiamo obbedire ad una legge che sta di fonte a noi, ma dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova identità. Quindi non è più un'obbedienza, una cosa esteriore, ma una realizzazione del dono del nuovo essere.
Lo dico ancora una volta: ringraziamo il Signore perché Lui ci precede, ci dà quanto dobbiamo dare noi, e noi possiamo essere poi, nella verità e nella forza del nostro nuovo essere, attori della sua realtà. Rimanere e osservare: l'osservare è il segno del rimanere e il rimanere è il dono che Lui ci dà, ma che deve essere rinnovato ogni giorno nella nostra vita.
Segue, poi, questo nuovo comandamento: "Amatevi come io vi ho amato". Nessun amore è più grande di questo: "dare la vita per i propri amici". Che cosa vuol dire? Anche qui non si tratta di un moralismo. Si potrebbe dire: "Non è un nuovo comandamento; il comandamento di amare il prossimo come se stessi esiste già nell'Antico Testamento". Alcuni affermano: "Tale amore va ancora più radicalizzato; questo amare l'altro deve imitare Cristo, che si è dato per noi; deve essere un amare eroico, fino al dono di se stessi". In questo caso, però, il cristianesimo sarebbe un moralismo eroico. E' vero che dobbiamo arrivare fino a questa radicalità dell'amore, che Cristo ci ha mostrato e donato, ma anche qui la vera novità non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto Lui: il Signore ci ha dato se stesso, e il Signore ci ha donato la vera novità di essere membri suoi nel suo corpo, di essere rami della vite che è Lui. Quindi, la novità è il dono, il grande dono, e dal dono, dalla novità del dono, segue anche, come ho detto, il nuovo agire.
San Tommaso d'Aquino lo dice in modo molto preciso quando scrive: "La nuova legge è la grazia dello Spirito Santo" (Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 1). La nuova legge non è un altro comando più difficile degli altri: la nuova legge è un dono, la nuova legge è la presenza dello Spirito Santo datoci nel Sacramento del Battesimo, nella Cresima, e datoci ogni giorno nella Santissima Eucaristia. I Padri qui hanno distinto "sacramentum" ed "exemplum". "Sacramentum" è il dono del nuovo essere, e questo dono diventa anche esempio per il nostro agire, ma il "sacramentum" precede, e noi viviamo dal sacramento. Qui vediamo la centralità del sacramento, che è centralità del dono.
Procediamo nella nostra riflessione. Il Signore dice: "Non vi chiamo più servi, il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi". Non più servi, che obbediscono al comando, ma amici che conoscono, che sono uniti nella stessa volontà, nello stesso amore. La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato, ma non trovato o solo indovinato da lontano. Dio si è fatto vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto "conosciuto", e così ci ha fatto amici. Pensiamo come nella storia dell'umanità, in tutte le religioni arcaiche, si sa che c'è un Dio. Questa è una conoscenza immersa nel cuore dell'uomo, che Dio è uno, gli dèi non sono "il" Dio. Ma questo Dio rimane molto lontano, sembra che non si faccia conoscere, non si faccia amare, non è amico, ma è lontano. Perciò le religioni si occupano poco di questo Dio, la vita concreta si occupa degli spiriti, delle realtà concrete che incontriamo ogni giorno e con le quali dobbiamo fare i calcoli quotidianamente. Dio rimane lontano.
Poi vediamo il grande movimento della filosofia: pensiamo a Platone, Aristotele, che iniziano a intuire come questo Dio è l'agathòn, la bontà stessa, è l'eros che muove il mondo, e tuttavia questo rimane un pensiero umano, è un'idea di Dio che si avvicina alla verità, ma è un'idea nostra e Dio rimane il Dio nascosto.
Poco tempo fa, mi ha scritto un professore di Regensburg, un professore di fisica, che aveva letto con grande ritardo il mio discorso all'Università di Regensburg, per dirmi che non poteva essere d'accordo con la mia logica o poteva esserlo solo in parte. Ha detto: "Certo, mi convince l'idea che la struttura razionale del mondo esiga una ragione creatrice, la quale ha fatto questa razionalità che non si spiega da se stessa". E continuava: "Ma se può esserci un demiurgo - così si esprime -, un demiurgo mi sembra sicuro da quanto Lei dice, non vedo che ci sia un Dio amore, buono, giusto e misericordioso. Posso vedere che ci sia una ragione che precede la razionalità del cosmo, ma il resto no". E così Dio gli rimane nascosto. E' una ragione che precede le nostre ragioni, la nostra razionalità, la razionalità dell'essere, ma non c'è un amore eterno, non c'è la grande misericordia che ci dà da vivere.
Ed ecco, in Cristo, Dio si è mostrato nella sua totale verità, ha mostrato che è ragione e amore, che la ragione eterna è amore e così crea. Purtroppo, anche oggi molti vivono lontani da Cristo, non conoscono il suo volto e così l'eterna tentazione del dualismo, che si nasconde anche nella lettera di questo professore, si rinnova sempre, cioè che forse non c'è solo un principio buono, ma anche un principio cattivo, un principio del male; che il mondo è diviso e sono due realtà ugualmente forti: e che il Dio buono è solo una parte della realtà. Anche nella teologia, compresa quella cattolica, si diffonde attualmente questa tesi: Dio non sarebbe onnipotente. In questo modo si cerca un'apologia di Dio, che così non sarebbe responsabile del male che troviamo ampiamente nel mondo. Ma che povera apologia! Un Dio non onnipotente! Il male non sta nelle sue mani! E come potremmo affidarci a questo Dio? Come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?
Ma Dio non è più sconosciuto: nel volto del Cristo Crocifisso vediamo Dio e vediamo la vera onnipotenza, non il mito dell'onnipotenza. Per noi uomini potenza, potere è sempre identico alla capacità di distruggere, di far il male. Ma il vero concetto di onnipotenza che appare in Cristo è proprio il contrario: in Lui la vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire: qui si mostra la sua vera onnipotenza, che può giungere fino al punto di un amore che soffre per noi. E così vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio, che è amore, é potere: il potere dell'amore. E noi possiamo affidarci al suo amore onnipotente e vivere in questo, con questo amore onnipotente.
Penso che dobbiamo sempre meditare di nuovo su questa realtà, ringraziare Dio perché si è mostrato, perché lo conosciamo in volto, faccia a faccia; non è più come Mosé che poteva vedere solo il dorso del Signore. Anche questa è un'idea bella, della quale San Gregorio Nisseno dice: "Vedere solo il dorso vuol dire che dobbiamo sempre andare dietro a Cristo". Ma nello stesso tempo Dio ha mostrato con Cristo la sua faccia, il suo volto. Il velo del tempio è squarciato, è aperto, il mistero di Dio è visibile. Il primo comandamento che esclude immagini di Dio, perché esse potrebbero solo sminuirne la realtà, è cambiato, rinnovato, ha un'altra forma. Possiamo adesso, nell'uomo Cristo, vedere il volto di Dio, possiamo avere icone di Cristo e così vedere chi è Dio.
Io penso che chi ha capito questo, chi si è fatto toccare da questo mistero, che Dio si è svelato, si è squarciato il velo del tempio, mostrato il suo volto, trova una fonte di gioia permanente. Possiamo solo dire: "Grazie. Sì, adesso sappiamo chi tu sei, chi è Dio e come rispondere a Lui". E penso che questa gioia di conoscere Dio che si è mostrato, mostrato fino all'intimo del suo essere, implica anche la gioia del comunicare: chi ha capito questo, vive toccato da questa realtà, deve fare come hanno fatto i primi discepoli che vanno dai loro amici e fratelli dicendo: "Abbiamo trovato colui del quale parlano i Profeti. Adesso è presente". La missionarietà non è una cosa esteriormente aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa. Chi ha visto, chi ha incontrato Gesù, deve andare dagli amici e deve dire agli amici: "Lo abbiamo trovato, è Gesù, il Crocifisso per noi".
Continuando poi, il testo dice: "Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il frutto vostro rimanga". Con questo ritorniamo all'inizio, all'immagine, alla parabola della vite: essa è creata per portare frutto. E qual è il frutto? Come abbiamo detto, il frutto è l'amore. Nell'Antico Testamento, con la Torah come prima tappa dell'autorivelazione di Dio, il frutto era compreso come giustizia, cioè vivere secondo la Parola di Dio, vivere nella volontà di Dio, e così vivere bene.
Ciò rimane, ma nello stesso tempo viene trasceso: la vera giustizia non consiste in un'obbedienza ad alcune norme, ma è amore, amore creativo, che trova da sé la ricchezza, l'abbondanza del bene. Abbondanza è una delle parole chiave del Nuovo Testamento, Dio stesso dà sempre con abbondanza. Per creare l'uomo, crea questa abbondanza di un cosmo immenso; per redimere l'uomo dà se stesso, nell'Eucaristia dà se stesso. E chi è unito con Cristo, chi è ramo nella vite, vive di questa legge, non chiede: "Posso ancora fare questo o no?", "Devo fare questo o no?", ma vive nell'entusiasmo dell'amore che non domanda: "questo è ancora necessario oppure proibito", ma, semplicemente, nella creatività dell'amore, vuole vivere con Cristo e per Cristo e dare tutto se stesso per Lui e così entrare nella gioia del portare frutto. Teniamo anche presente che il Signore dice "Vi ho costituiti perché andiate": è il dinamismo che vive nell'amore di Cristo; andare, cioè, non rimanere solo per me, vedere la mia perfezione, garantire per me la felicità eterna, ma dimenticare me stesso, andare come Cristo è andato, andare come Dio è andato dall'immensa sua maestà fino alla nostra povertà, per trovare frutto, per aiutarci, per donarci la possibilità di portare il vero frutto dell'amore. Quanto più siamo pieni di questa gioia di aver scoperto il volto di Dio, tanto più l'entusiasmo dell'amore sarà reale in noi e porterà frutto.
E finalmente giungiamo all'ultima parola di questo brano: "Questo vi dico: ‘Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda'". Una breve catechesi sulla preghiera, che ci sorprende sempre di nuovo. Due volte in questo capitolo 15 il Signore dice "Quanto chiederete vi do" e una volta ancora nel capitolo 16. E noi vorremmo dire: "Ma no, Signore, non è vero". Tante preghiere buone e profonde di mamme che pregano per il figlio che sta morendo e non sono esaudite, tante preghiere perché succeda una cosa buona e il Signore non esaudisce. Che cosa vuol dire questa promessa? Nel capitolo 16 il Signore ci offre la chiave per comprendere: ci dice quanto ci dà, che cosa è questo tutto, la charà, la gioia: se uno ha trovato la gioia ha trovato tutto e vede tutto nella luce dell'amore divino. Come San Francesco, il quale ha composto la grande poesia sul creato in una situazione desolata, eppure proprio lì, vicino al Signore sofferente, ha riscoperto la bellezza dell'essere, la bontà di Dio, e ha composto questa grande poesia.
È utile ricordare, nello stesso momento, anche alcuni versetti del Vangelo di Luca, dove il Signore, in una parabola, parla della preghiera, dicendo: "Se già voi che siete cattivi date cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre nel cielo darà a voi suoi figli lo Spirito Santo". Lo Spirito Santo - nel Vangelo di Luca - è gioia, nel Vangelo di Giovanni è la stessa realtà: la gioia è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo è la gioia, o, in altre parole, da Dio non chiediamo qualche piccola o grande cosa, da Dio invochiamo il dono divino, Dio stesso; questo è il grande dono che Dio ci dà: Dio stesso. In questo senso dobbiamo imparare a pregare, pregare per la grande realtà, per la realtà divina, perché Egli ci dia se stesso, ci dia il suo Spirito e così possiamo rispondere alle esigenze della vita e aiutare gli altri nelle loro sofferenze. Naturalmente, il Padre Nostro ce lo insegna. Possiamo pregare per tante cose, in tutti i nostri bisogni possiamo pregare: "Aiutami!". Questo è molto umano e Dio è umano, come abbiamo visto; quindi è giusto pregare Dio anche per le piccole cose della nostra vita di ogni giorno.
Ma, nello stesso tempo, il pregare è un cammino, direi una scala: dobbiamo imparare sempre più per quali cose possiamo pregare e per quali cose non possiamo pregare, perché sono espressioni del mio egoismo. Non posso pregare per cose che sono nocive per gli altri, non posso pregare per cose che aiutano il mio egoismo, la mia superbia. Così il pregare, davanti agli occhi di Dio, diventa un processo di purificazione dei nostri pensieri, dei nostri desideri. Come dice il Signore nella parabola della vite: dobbiamo essere potati, purificati, ogni giorno; vivere con Cristo, in Cristo, rimanere in Cristo, è un processo di purificazione, e solo in questo processo di lenta purificazione, di liberazione da noi stessi e dalla volontà di avere solo noi stessi, sta il cammino vero della vita, si apre il cammino della gioia.
Come ho già accennato, tutte queste parole del Signore hanno un sottofondo sacramentale. Il sottofondo fondamentale per la parabola della vite è il Battesimo: siamo impiantati in Cristo; e l'Eucaristia: siamo un pane, un corpo, un sangue, una vita con Cristo. E così anche questo processo di purificazione ha un sottofondo sacramentale: il sacramento della Penitenza, della Riconciliazione nel quale accettiamo questa pedagogia divina che giorno per giorno, lungo una vita, ci purifica e ci fa sempre più veri membri del suo corpo. In questo modo possiamo imparare che Dio risponde alle nostre preghiere, risponde spesso con la sua bontà anche alle preghiere piccole, ma spesso anche le corregge, le trasforma e le guida perché possiamo essere finalmente e realmente rami del suo Figlio, della vite vera, membri del suo Corpo.
Ringraziamo Dio per la grandezza del suo amore, preghiamo perché ci aiuti a crescere nel suo amore, a rimanere realmente nel suo amore.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Il Papa ai partecipanti alla XVI Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita
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Cari Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri Membri della Pontificia Academia Pro Vita
Gentili Signore e Signori!
Sono lieto di accogliervi e di salutarvi cordialmente in occasione dell'Assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita, chiamata a riflettere su temi attinenti al rapporto tra bioetica e legge morale naturale, che appaiono sempre più rilevanti nel contesto attuale per i costanti sviluppi in tale ambito scientifico. Rivolgo un particolare saluto a Mons. Rino Fisichella, Presidente di codesta Accademia, ringraziandolo per le cortesi parole che ha voluto rivolgermi a nome dei presenti. Desidero, altresì, estendere il mio personale ringraziamento a ciascuno di voi per il prezioso e insostituibile impegno che svolgete a favore della vita, nei vari contesti di provenienza.
Le problematiche che ruotano intorno al tema della bioetica permettono di verificare quanto le questioni che vi sono sottese pongano in primo piano la questione antropologica. Come affermo nella mia ultima Lettera enciclica Caritas in veritate: "Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l'assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell'uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l'uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio. Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell'immanenza" (n. 74). Dinanzi a simili questioni, che toccano in modo così decisivo la vita umana nella sua perenne tensione tra immanenza e trascendenza, e che hanno grande rilevanza per la cultura delle future generazioni, è necessario porre in essere un progetto pedagogico integrale, che permetta di affrontare tali tematiche in una visione positiva, equilibrata e costruttiva, soprattutto nel rapporto tra la fede e la ragione.
Le questioni di bioetica mettono spesso in primo piano il richiamo alla dignità della persona, un principio fondamentale che la fede in Gesù Cristo Crocifisso e Risorto ha da sempre difeso, soprattutto quando viene disatteso nei confronti dei soggetti più semplici e indifesi: Dio ama ciascun essere umano in modo unico e profondo. Anche la bioetica, come ogni disciplina, necessita di un richiamo capace di garantire una coerente lettura delle questioni etiche che, inevitabilmente, emergono dinanzi a possibili conflitti interpretativi. In tale spazio si apre il richiamo normativo alla legge morale naturale. Il riconoscimento della dignità umana, infatti, in quanto diritto inalienabile trova il suo fondamento primo in quella legge non scritta da mano d'uomo, ma iscritta da Dio Creatore nel cuore dell'uomo, che ogni ordinamento giuridico è chiamato a riconoscere come inviolabile e ogni singola persona è tenuta a rispettare e promuovere (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1954-1960). Senza il principio fondativo della dignità umana sarebbe arduo trovare una fonte per i diritti della persona e impossibile giungere a un giudizio etico nei confronti delle conquiste della scienza che intervengono direttamente nella vita umana. E' necessario, pertanto, ripetere con fermezza che non esiste una comprensione della dignità umana legata soltanto ad elementi esterni quali il progresso della scienza, la gradualità nella formazione della vita umana o il facile pietismo dinanzi a situazioni limite. Quando si invoca il rispetto per la dignità della persona è fondamentale che esso sia pieno, totale e senza vincoli, tranne quelli del riconoscere di trovarsi sempre dinanzi a una vita umana. Certo, la vita umana conosce un proprio sviluppo e l'orizzonte di investigazione della scienza e della bioetica è aperto, ma occorre ribadire che quando si tratta di ambiti relativi all'essere umano, gli scienziati non possono mai pensare di avere tra le mani solo della materia inanimata e manipolabile. Infatti, fin dal primo istante, la vita dell'uomo è caratterizzata dall'essere vita umana e per questo portatrice sempre, dovunque e nonostante tutto, di dignità propria (cfr Congr. per la Dottrina della fede, Istruzione Dignitas personae su alcune questioni di bioetica, n. 5). Contrariamente, saremmo sempre alla presenza del pericolo di un uso strumentale della scienza, con l'inevitabile conseguenza di cadere facilmente nell'arbitrio, nella discriminazione e nell'interesse economico del più forte.
Coniugare bioetica e legge morale naturale permette di verificare al meglio il necessario e ineliminabile richiamo alla dignità che la vita umana possiede intrinsecamente dal suo primo istante fino alla sua fine naturale. Invece, nel contesto odierno, pur emergendo con sempre maggior insistenza il giusto richiamo ai diritti che garantiscono la dignità della persona, si nota che non sempre tali diritti sono riconosciuti alla vita umana nel suo naturale sviluppo e negli stadi di maggior debolezza. Una simile contraddizione rende evidente l'impegno da assumere nei diversi ambiti della società e della cultura perché la vita umana sia riconosciuta sempre come soggetto inalienabile di diritto e mai come oggetto sottoposto all'arbitrio del più forte. La storia ha mostrato quanto possa essere pericoloso e deleterio uno Stato che proceda a legiferare su questioni che toccano la persona e la società, pretendendo di essere esso stesso fonte e principio dell'etica. Senza principi universali che consentono di verificare un denominatore comune per l'intera umanità, il rischio di una deriva relativistica a livello legislativo non è affatto da sottovalutare (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1959). La legge morale naturale, forte del proprio carattere universale, permette di scongiurare tale pericolo e soprattutto offre al legislatore la garanzia per un autentico rispetto sia della persona, sia dell'intero ordine creaturale. Essa si pone come fonte catalizzatrice di consenso tra persone di culture e religioni diverse e permette di andare oltre le differenze, perché afferma l'esistenza di un ordine impresso nella natura dal Creatore e riconosciuto come istanza di vero giudizio etico razionale per perseguire il bene ed evitare il male. La legge morale naturale "appartiene al grande patrimonio della sapienza umana, che la Rivelazione, con la sua luce, ha contribuito a purificare e a sviluppare ulteriormente" (cfr Giovanni Paolo II, Discorso alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 6 febbraio 2004).
Illustri Membri della Pontificia Accademia per la Vita, nel contesto attuale il vostro impegno appare sempre più delicato e difficile, ma la crescente sensibilità nei confronti della vita umana incoraggia a proseguire con sempre maggiore slancio e con coraggio in questo importante servizio alla vita e all'educazione ai valori evangelici delle future generazioni. Auguro a tutti voi di continuare lo studio e la ricerca, perché l'opera di promozione e di difesa della vita sia sempre più efficace e feconda. Vi accompagno con la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a quanti condividono con voi questo quotidiano impegno.
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Benedetto XVI: la Chiesa, casa per i poveri
Visita l'Ostello della Caritas "Don Luigi di Liegro"
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Cari amici,
ho accolto con gioia l'invito a visitare questo Ostello intitolato "Don Luigi Di Liegro", primo Direttore della Caritas diocesana di Roma, nata più di trent'anni fa. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario Agostino Vallini e l'Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato, Ingegner Mauro Moretti, per le parole che cortesemente mi hanno indirizzato. Con particolare affetto esprimo la mia gratitudine a tutti voi, che frequentate questo Ostello e attraverso la voce della Signora Giovanna Cataldo avete voluto rivolgermi un caloroso saluto, accompagnato dal prezioso dono del Crocifisso di Onna, segno luminoso di speranza. Saluto Mons. Giuseppe Merisi, Presidente della Caritas Italiana, il Vescovo Ausiliare Mons. Guerino Di Tora, e il Direttore della Caritas di Roma, Mons. Enrico Feroci. Sono lieto di salutare le Autorità presenti, in particolare il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Onorevole Altero Matteoli, che ringrazio per le sue parole, il Sindaco di Roma, Onorevole Gianni Alemanno, che ringrazio per il fattivo e costante aiuto offerto dal Comune di Roma alle attività dell'Ostello. Saluto i volontari e tutti i presenti. Grazie per la vostra accoglienza!
Sono trascorsi ormai 23 anni dal giorno in cui questa struttura, realizzata con la collaborazione delle Ferrovie dello Stato, che generosamente misero a disposizione i locali, e il sostegno economico del Comune di Roma, iniziò ad accogliere i primi ospiti. Nel corso degli anni, all'offerta di un riparo per chi non aveva dove dormire, si sono aggiunti ulteriori servizi, come il poliambulatorio e la mensa sociale ed ai primi donatori se ne sono uniti altri come l'ENEL, la Fondazione Roma, l'Ing. Agostini Maggini, la Fondazione Telecom ed il Ministero dei Beni Culturali-Arcis spa, a testimonianza della forza aggregante dell'amore. In questo modo l'Ostello è diventato un luogo dove, grazie al generoso servizio di tanti operatori e volontari, si attuano ogni giorno le parole di Gesù: "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato" (Mt 25,35-36).
Cari fratelli e amici che qui trovate accoglienza, sappiate che la Chiesa vi ama profondamente e non vi abbandona, perché riconosce nel volto di ognuno di voi il volto di Cristo. Egli ha voluto identificarsi in maniera del tutto particolare con coloro che si trovano nella povertà e nell'indigenza. La testimonianza della carità, che in questo luogo trova speciale concretizzazione, appartiene alla missione della Chiesa insieme con l'annuncio della verità del Vangelo. L'uomo non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su se stesso, sulla sua dignità. Come ho ricordato nell'Enciclica Caritas in veritate, "senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente" (n. 3).
La Chiesa, con il suo servizio a favore dei poveri, è dunque impegnata ad annunciare a tutti la verità sull'uomo, che è amato da Dio, creato a sua immagine, redento da Cristo e chiamato alla comunione eterna con Lui. Tante persone hanno potuto così riscoprire, e tuttora riscoprono, la propria dignità, smarrita a volte per tragici eventi, e ritrovano fiducia in se stessi e speranza nell'avvenire. Attraverso i gesti, gli sguardi e le parole di quanti prestano qui il loro servizio, numerosi uomini e donne toccano con mano che le loro vite sono custodite dall'Amore, che è Dio, e grazie ad esso hanno un senso e un'importanza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 35). Questa certezza profonda genera nel cuore dell'uomo una speranza forte, solida, luminosa, una speranza che dona il coraggio di proseguire nel cammino della vita nonostante i fallimenti, le difficoltà e le prove che la accompagnano. Cari fratelli e sorelle che operate in questo luogo, abbiate sempre davanti ai vostri occhi e nel vostro cuore l'esempio di Gesù, che per amore si fece nostro servo e ci amò "fino alla fine" (cfr Gv 13,1), fino alla Croce. Siate, dunque, gioiosi testimoni dell'infinita carità di Dio e, imitando l'esempio del diacono san Lorenzo, considerate questi vostri amici uno dei tesori più preziosi della vostra vita.
La mia visita avviene nell'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, indetto dal Parlamento Europeo e dalla Commissione Europea. Venendo in questo luogo come Vescovo di Roma, la Chiesa che fin dai primi tempi del Cristianesimo presiede alla carità (cfr S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 1,1), desidero incoraggiare non solo i cattolici, ma ogni uomo di buona volontà, in particolare quanti hanno responsabilità nella pubblica amministrazione e nelle diverse istituzioni, ad impegnarsi nella costruzione di un futuro degno dell'uomo, riscoprendo nella carità la forza propulsiva per un autentico sviluppo e per la realizzazione di una società più giusta e fraterna (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, 1). La carità, infatti, "è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici" (ibid., 2). Per promuovere una pacifica convivenza che aiuti gli uomini a riconoscersi membri dell'unica famiglia umana è importante che le dimensioni del dono e della gratuità siano riscoperte come elementi costitutivi del vivere quotidiano e delle relazioni interpersonali. Tutto ciò diventa giorno dopo giorno sempre più urgente in un mondo nel quale, invece, sembra prevalere la logica del profitto e della ricerca del proprio interesse.
L'Ostello della Caritas costituisce, per la Chiesa di Roma, una preziosa occasione per educare ai valori del Vangelo. L'esperienza di volontariato che qui molti vivono è, specie per i giovani, un'autentica scuola in cui si impara ad essere costruttori della civiltà dell'amore, capaci di accogliere l'altro nella sua unicità e differenza. In questo modo l'Ostello manifesta concretamente che la comunità cristiana, attraverso i propri organismi e senza venir meno alla Verità che annuncia, collabora utilmente con le istituzioni civili per la promozione del bene comune. Confido che la feconda sinergia qui realizzata si estenda anche ad altre realtà della nostra Città, in particolare nelle zone dove più si avvertono le conseguenze della crisi economica e maggiori sono i rischi dell'esclusione sociale. Nel suo servizio alle persone in difficoltà la Chiesa è mossa unicamente dal desiderio di esprimere la propria fede in quel Dio che è il difensore dei poveri e che ama ogni uomo per quello che è e non per quello che possiede o realizza. La Chiesa vive nella storia con la consapevolezza che le angosce e i bisogni degli uomini, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure quelli dei discepoli di Cristo (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 1) e per questo, nel rispetto delle competenze proprie dello Stato, si adopera perché ad ogni essere umano venga garantito ciò che gli spetta.
Cari fratelli e sorelle, per Roma l'Ostello della Caritas diocesana è un luogo dove l'amore non è solo una parola o un sentimento, ma una realtà concreta, che consente di far entrare la luce di Dio nella vita degli uomini e dell'intera comunità civile. Questa luce ci aiuta a guardare con fiducia al domani, certi che anche nel futuro la nostra Città resterà fedele al valore dell'accoglienza, così fortemente radicato nella sua storia e nel cuore dei suoi cittadini. La Vergine Maria, Salus populi romani, vi accompagni sempre con la sua materna intercessione e aiuti ciascuno di voi a fare di questo luogo una casa dove fioriscono le stesse virtù presenti nella santa casa di Nazaret. Con questi sentimenti, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, estendendola a quanti vi sono cari e a tutti coloro che in questo luogo vivono e si donano con generosità.
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Nota dottrinale su Matrimonio e Unioni omosessuali
Del Cardinale Carlo Caffarra
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Nota dottrinale su Matrimonio e Unioni omosessuali
La presente Nota si rivolge in primo luogo ai fedeli perché non siano turbati dai rumori mass-mediatici. Ma oso sperare che sia presa in considerazione anche da chi non-credente intenda fare uso, senza nessun pregiudizio, della propria ragione.
1. Il matrimonio è uno dei beni più preziosi di cui dispone l'umanità. In esso la persona umana trova una delle forme fondamentali della propria realizzazione; ed ogni ordinamento giuridico ha avuto nei suoi confronti un trattamento di favore, ritenendolo di eminente interesse pubblico.
In Occidente l'istituzione matrimoniale sta attraversando forse la sua più grave crisi. Non lo dico in ragione e a causa del numero sempre più elevato dei divorzi e separazioni; non lo dico a causa della fragilità che sembra sempre più minare dall'interno il vincolo coniugale: non lo dico a causa del numero crescente delle libere convivenze. Non lo dico cioè osservando i comportamenti.
La crisi riguarda il giudizio circa il bene del matrimonio. È davanti alla ragione che il matrimonio è entrato in crisi, nel senso che di esso non si ha più la stima adeguata alla misura della sua preziosità. Si è oscurata la visione della sua incomparabile unicità etica.
Il segno più manifesto, anche se non unico, di questa "disistima intellettuale" è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all'unione legittima fra uomo e donna, includendo anche l'abilitazione all'adozione dei figli.
A prescindere dal numero di coppie che volessero usufruire di questo riconoscimento - fosse anche una sola! - una tale equiparazione costituirebbe una grave ferita al bene comune.
La presente Nota intende aiutare a vedere questo danno. Ed anche intende illuminare quei credenti cattolici che hanno responsabilità pubbliche di ogni genere, perché non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa.
2. L'equiparazione in qualsiasi forma o grado della unione omosessuale al matrimonio avrebbe obiettivamente il significato di dichiarare la neutralità dello Stato di fronte a due modi di vivere la sessualità, che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune.
Mentre l'unione legittima fra un uomo e una donna assicura il bene - non solo biologico! - della procreazione e della sopravvivenza della specie umana, l'unione omosessuale è privata in se stessa della capacità di generare nuove vite.
Le possibilità offerte oggi dalla procreatica artificiale, oltre a non essere immuni da gravi violazioni della dignità delle persone, non mutano sostanzialmente l'inadeguatezza della coppia omosessuale in ordine alla vita.
Inoltre, è dimostrato che l'assenza della bipolarità sessuale può creare seri ostacoli allo sviluppo del bambino eventualmente adottato da queste coppie. Il fatto avrebbe il profilo della violenza commessa ai danni del più piccolo e debole, inserito come sarebbe in un contesto non adatto al suo armonico sviluppo.
Queste semplici considerazioni dimostrano come lo Stato nel suo ordinamento giuridico non deve essere neutrale di fronte al matrimonio e all'unione omosessuale, poiché non può esserlo di fronte al bene comune: la società deve la sua sopravvivenza non alle unioni omosessuali, ma alla famiglia fondata sul matrimonio.
3. Un'altra considerazione sottopongo a chi desideri serenamente ragionare su questo problema.
L'equiparazione avrebbe, dapprima nell'ordinamento giuridico e poi nell'ethos del nostro popolo, una conseguenza che non esito definire devastante. Se l'unione omosessuale fosse equiparata al matrimonio, questo sarebbe degradato ad essere uno dei modi possibili di sposarsi, indicando che per lo Stato è indifferente che l'uno faccia una scelta piuttosto che l'altra.
Detto in altri termini, l'equiparazione obiettivamente significherebbe che il legame della sessualità al compito procreativo ed educativo, è un fatto che non interessa lo Stato, poiché esso non ha rilevanza per il bene comune.
E con ciò crollerebbe uno dei pilastri dei nostri ordinamenti giuridici: il matrimonio come bene pubblico. Un pilastro già riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione, ma anche dagli ordinamenti giuridici precedenti, ivi compresi quelli così fieramente anticlericali dello Stato sabaudo.
4. Vorrei prendere in considerazione ora alcune ragioni portate a supporto della suddetta equiparazione.
La prima e più comune è che compito primario dello Stato è di togliere nella società ogni discriminazione, e positivamente di estendere il più possibile la sfera dei diritti soggettivi.
Ma la discriminazione consiste nel trattare in modo diseguale coloro che si trovano nella stessa condizione, come dice limpidamente Tommaso d'Aquino riprendendo la grande tradizione etica greca e giuridica romana: «L'uguaglianza che caratterizza la giustizia distributiva consiste nel conferire a persone diverse dei beni differenti in rapporto ai meriti delle persone: di conseguenza se un individuo segue come criterio una qualità della persona per la quale ciò che le viene conferito le è dovuto non si verifica una considerazione della persona ma del titolo» [2,2, q.63, a. 1c].
Non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, non è discriminazione ma semplicemente riconoscere le cose come stanno. La giustizia è la signoria della verità nei rapporti fra le persone.
Si obietta che non equiparando le due forme lo Stato impone una visione etica a preferenza di un'altra visione etica.
L'obbligo dello Stato di non equiparare non trova il suo fondamento nel giudizio eticamente negativo circa il comportamento omosessuale: lo Stato è incompetente al riguardo. Nasce dalla considerazione del fatto che in ordine al bene comune, la cui promozione è compito primario dello Stato, il matrimonio ha una rilevanza diversa dall'unione omosessuale.
Le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, e pertanto il diritto civile deve conferire loro un riconoscimento istituzionale adeguato al loro compito. Non svolgendo un tale ruolo per il bene comune, le coppie omosessuali non esigono un uguale riconoscimento.
Ovviamente - la cosa non è in questione - i conviventi omosessuali possono sempre ricorrere, come ogni cittadino, al diritto comune per tutelare diritti o interessi nati dalla loro convivenza.
Non prendo in considerazione altre difficoltà, perché non lo meritano: sono luoghi comuni, più che argomenti razionali. Per es. l'accusa di omofobia a chi sostiene l'ingiustizia dell'equiparazione; l'obsoleto richiamo in questo contesto alla laicità dello Stato; l'elevazione di qualsiasi rapporto affettivo a titolo sufficiente per ottenere riconoscimento civile.
5. Mi rivolgo ora al credente che ha responsabilità pubbliche, di qualsiasi genere.
Oltre al dovere con tutti condiviso di promuovere e difendere il bene comune, il credente ha anche il grave dovere di una piena coerenza fra ciò che crede e ciò che pensa e propone a riguardo del bene comune.
È impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno alla equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono.
Ovviamente la responsabilità più grave è di chi propone l'introduzione nel nostro ordinamento giuridico della suddetta equiparazione, o vota a favore in Parlamento di una tale legge. È questo un atto pubblicamente e gravemente immorale.
Ma esiste anche la responsabilità di chi dà attuazione, nella varie forme, ad una tale legge. Se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie.
È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell'altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Mi piace concludere rivolgendomi soprattutto ai giovani. Abbiate stima dell'amore coniugale; lasciate che il suo puro splendore appaia alla vostra coscienza. Siate liberi nei vostri pensieri e non lasciatevi imporre il giogo delle pseudo-verità create dalla confusione mass-mediatica.
La verità e la preziosità della vostra mascolinità e femminilità non è definita e misurata dalle procedure consensuali e dalle lotte politiche.
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