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ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 14 maggio 2010
Santa Sede
- Benedetto XVI: il mondo attende Cristo, anche senza saperlo
- Il Papa chiede al Portogallo di testimoniare appassionatamente il Vangelo
- "Nonostante le prove, la Chiesa vive e cammina"
- Benedetto XVI: anche nella tempesta, la Chiesa è un luogo di speranza
- I portoghesi scoprono il vero volto di Benedetto XVI
- Accordo tra Vaticano e Vodafone Italia per la telefonia mobile
Notizie dal mondo
- Card. Erdő: annuncio sì, ma rispettando la molteplicità delle culture
- Premio "Path to Peace" a Mary Ann Glendon
- India: muore un sacerdote dopo aver salvato tre giovani dall'annegamento
Interviste
Spiritualità
Parola e vita
Forum
Documenti
- Comunicato vaticano sulla Giornata internazionale delle famiglie
- Parole di congedo di Benedetto XVI dal Portogallo
- Omelia del Papa nella Messa presieduta a Porto
Santa Sede
Benedetto XVI: il mondo attende Cristo, anche senza saperlo
Lancia a tutta la Chiesa un invito solenne alla missione "ad gentes"
di Inma Álvarez
PORTO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Senza imporre ma senza smettere di proporre, i cristiani devono rispondere urgentemente alla necessità dell'evangelizzazione, ha affermato Papa Benedetto XVI nell'omelia della Messa celebrata questo venerdì a Porto al termine della sua visita apostolica in Portogallo.
Il Papa ha dedicato il suo discorso a quella che Giovanni Paolo II ha definito la “nuova evangelizzazione” nelle società secolarizzate.
La celebrazione si è svolta nell'Avenida dos Aliados, di fronte al Municipio. Vi hanno partecipato circa 120.000 fedeli, provenienti da tutto il Portogallo ma anche dalla Spagna e da altri Paesi europei.
Il Papa è giunto in papamobile direttamente dall'eliporto militare della Serra do Pilar, accompagnato dal Vescovo di Porto, monsignor Manuel Clemente.
“Il cristiano è, nella Chiesa e con la Chiesa, un missionario di Cristo inviato nel mondo. Questa è la missione improrogabile di ogni comunità ecclesiale”, perché “ogni situazione di indebolimento e di morte sia trasformata, mediante lo Spirito Santo, in occasione di crescita e di vita”, ha detto.
“In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto?”.
Di fronte alla tentazione dello scoraggiamento, Benedetto XVI ha aggiunto che la “sproporzione tra le forze in campo che oggi ci spaventa, già duemila anni fa stupiva coloro che vedevano e ascoltavano Cristo”.
“C’era soltanto Lui, dalle sponde del Lago di Galilea fino alle piazze di Gerusalemme, solo o quasi solo nei momenti decisivi: Lui in unione con il Padre, Lui nella forza dello Spirito. Eppure è avvenuto che, alla fine, dallo stesso amore che ha creato il mondo, la novità del Regno è spuntata come piccolo seme che germina dalla terra”.
Ad gentes
Il Papa ha affermato che l'umanità ha sperimentato grandi cambiamenti ai quali è necessario dare risposta: “oggi la Chiesa è chiamata ad affrontare nuove sfide ed è pronta a dialogare con culture e religioni diverse, cercando di costruire insieme ad ogni persona di buona volontà la pacifica convivenza dei popoli”.
Questo campo della missione ad gentes (verso i gentili, quelli che non credono) “si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche”, ha indicato.
“Ci attendono non soltanto i popoli non cristiani e le terre lontane, ma anche gli ambiti socio-culturali e soprattutto i cuori che sono i veri destinatari dell’azione missionaria del popolo di Dio”.
“Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo”, ha spiegato ai presenti, segnalando che bisogna essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla”.
Anche senza saperlo, ha proseguito il Papa, “è Gesù colui che tutti attendono”. “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”.
Per questo, ha aggiunto, noi cristiani “siamo chiamati a servire l’umanità del nostro tempo, confidando unicamente in Gesù, lasciandoci illuminare dalla sua Parola”.
“Quanto tempo perduto, quanto lavoro rimandato, per inavvertenza su questo punto! Tutto si definisce a partire da Cristo, quanto all’origine e all’efficacia della missione: la missione la riceviamo sempre da Cristo”.
Incontro vocazionale
Al termine della Messa, Papa Benedetto XVI ha benedetto la prima pietra del seminario Redemptoris Mater Santa Teresa del Bambin Gesù di Porto. In questo tipo di seminario, diocesano, missionario e internazionale, si formeranno i giovani del Cammino Neocatecumenale.
Migliaia di giovani di questa realtà ecclesiale si sono recati in pellegrinaggio a Fatima in questi giorni per assistere all'incontro con il Papa. Secondo quanto ha reso noto a ZENIT l'ufficio stampa del Cammino Neocatecumenale in Spagna, sono circa 20.000 ragazzi di tutta Europa.
Prima di tornare nei propri Paesi d'origine, i giovani hanno avuto un incontro vocazionale con gli iniziatori del Cammino, Kiko Argüello, Carmen Hernández e Mario Pezzi, nel Santuario di Fatima. L'incontro è stato presieduto dal Cardinale José Policarpo, Patriarca di Lisbona.
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Il Papa chiede al Portogallo di testimoniare appassionatamente il Vangelo
Per un "autentico rinnovamento" della società, afferma congedandosi dal Paese
di Roberta Sciamplicotti
PORTO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Congedandosi questo venerdì pomeriggio dal Portogallo al termine della sua visita pastorale nel Paese, iniziata questo martedì, Benedetto XVI ha chiesto una testimonianza appassionata del Vangelo per rinnovare la società.
Con il discorso che ha pronunciato all'aeroporto Francisco Sá Carneiro di Porto, il Pontefice ha concluso il 15° viaggio internazionale del suo pontificato, il 9° in Europa, sul tema “Con te camminiamo nella speranza – Saggezza e missione”.
Al suo arrivo in papamobile sulla pista, è stato accolto dal Presidente della Repubblica Portoghese, Aníbal Cavaco Silva, accompagnato dalla moglie. Dopo che una banda militare ha eseguito l'inno vaticano e quello portoghese, Benedetto XVI ha preso la parola confessando di sperare che la sua visita “divenga incentivo per un rinnovato ardore spirituale e apostolico”.
“Che il Vangelo venga accolto nella sua integralità e testimoniato con passione da ogni discepolo di Cristo, affinché esso si riveli come lievito di autentico rinnovamento dell’intera società!”, ha auspicato.
Visita di successo
Il Papa ha quindi espresso la sua soddisfazione per “la densità di tanti momenti vissuti in questo pellegrinaggio in Portogallo”.
“Custodita nell’anima porto la cordialità della vostra affettuosa accoglienza, la forma tanto calorosa e spontanea con la quale si sono cementati i vincoli di comunione con i gruppi che ho potuto contattare, l’impegno che ha significato la preparazione e la realizzazione del programma pastorale”, ha spiegato.
“È stata per me una gioia essere testimone della fede e della devozione della comunità ecclesiale portoghese”.
“Ho potuto vedere l’entusiasmo dei bambini e dei giovani, la fedele adesione dei presbiteri, dei diaconi e dei religiosi, la dedizione pastorale dei Vescovi, la voglia di ricercare la verità e la bellezza evidente nel mondo della cultura, la creatività degli operatori della pastorale sociale, il vibrare della fede dei fedeli nelle Diocesi che ho visitato”.
Appello alla concordia
Il Pontefice si è quindi rivolto a “tutti i portoghesi, cattolici o no”, e a quanti vivono in Portogallo pur non essendoci nati, che nelle cerimonie di questi giorni hanno mostrato la propria presenza sventolando la bandiera del Paese d'origine.
“Non cessi di crescere tra voi la concordia, che è essenziale per una salda coesione, via necessaria per affrontare con responsabilità comune le sfide che vi stanno dinnanzi”, ha esortato.
A questo proposito, ha rivelato di aver pregato a Fatima “chiedendo che il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un maggiore rispetto reciproco e una rinnovata fiducia e confidenza in Dio, nostro Padre che è nei cieli”.
Allo stesso modo, ha auspicato che la “gloriosa Nazione” portoghese continui a manifestare “la grandezza d’animo, il profondo senso di Dio, l’apertura solidale, retta da principi e valori impregnati di umanesimo cristiano”.
Saudade
Nel suo discorso al Papa, il Presidente della Repubblica ha voluto rinnovargli i “sentimenti di profonda riconoscenza del popolo portoghese per i segni di particolare affetto che Sua Santità gli ha voluto testimoniare”.
Le folle “impressionanti” che hanno accolto il Pontefice durante il suo viaggio e “le manifestazioni della profonda devozione e della gioia” che hanno contrassegnato le tappe della visita “rimarranno vive nella memoria di tutti noi”, ha aggiunto.
Cavaco Silva ha sottolineato che la visita pastorale di Benedetto XVI ha permesso di “conoscere meglio la sua persona”, nella quale i portoghesi hanno potuto riscontrare “la bontà umana, il carisma sereno, la profondità di pensiero, la forza d'animo”, “segnali ispiratori in un momento di grandi sfide come quello che viviamo”.
“La sua presenza, la sua parola e il suo esempio hanno portato speranza al cuore grato dei portoghesi”, ha indicato, definendo il Papa come “un pastore che indica un cammino a quanti lo seguono” e “un pellegrino saggio che va incontro a tutti gli uomini di buona volontà”.
“Il Portogallo si congeda da voi rinvigorito dal messaggio di speranza e fiducia che lei ci lascia – ha commentato il Presidente –. Vediamo partire il Santo Padre con un sentimento che nessun'altra lingua ha ancora saputo tradurre in tutta la sua profondità e che riserviamo a chi ci è più caro, la saudade”.
Cavaco Silva ha quindi concluso il suo discorso augurando al Papa buon viaggio e pregandolo di tenere sempre presente nello spirito e nelle preghiere il Portogallo e i suoi abitanti, “come i portoghesi non dimenticheranno la sua presenza in Portogallo”.
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"Nonostante le prove, la Chiesa vive e cammina"
Padre Federico Lombardi commenta la visita del Papa a Fatima
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- “Nonostante le prove – esterne ed interne – la Chiesa vive e cammina, accompagnata dallo Spirito”.
Lo afferma padre Federico Lombardi, S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nell'ultimo editoriale di “Octava Dies”, settimanale del Centro Televisivo Vaticano, che dirige.
Il portavoce vaticano ricorda l'esperienza vissuta da Benedetto XVI a Fatima, tappa centrale del viaggio che ha compiuto in Portogallo da martedì 11 maggio a questo venerdì in occasione del 10° anniversario della beatificazione dei pastorelli Giacinta e Francesco, che insieme alla cugina Lucia furono i testimoni delle apparizioni mariane nel 1917.
“Mentre la processione attraversava l’immensa folla raccolta sulla spianata di Fatima, osservavo i volti illuminati dalle tremule fiammelle delle candele: centinaia di migliaia, persone semplici, donne e uomini, giovani, vecchi, mamme con i loro bambini”, spiega il sacerdote.
“Sguardi intensi, volti segnati dal dolore e dall’esperienza dura della vita, volti innocenti”, “commozione sincera e profonda, lacrime e sorrisi”.
Il Papa è giunto a Fatima da Lisbona il 12 maggio. La sera la spianata del Santuario è diventata un mare di luce, con centinaia di migliaia di persone che hanno recitato insieme a lui il rosario tenendo in mano le candele.
“Il popolo, il Popolo di Dio è qui: nella lunga notte della vigilia e poi nel giorno, incurante della pioggia, del vento, del sole. E’ arrivato da ogni parte del Portogallo e dell’Europa con ogni mezzo - in aereo, in macchina, a piedi – portando nel cuore la sua preghiera segreta, in mano la fiaccola, sulle labbra l’amata canzone 'A Maria'”.
“Chi lo ha chiamato? Chi lo ha convocato?”, chiede padre Lombardi. “Non certo i media – risponde –, non esperti organizzatori, neppure i Vescovi, neppure il Papa”.
“Sappiamo bene che questa gente è stata chiamata qui da una 'piccola e luminosa Signora' apparsa a tre pastorelli”. “Sono passati quasi cent’anni e il richiamo non ha perso la sua forza”.
Negli ultimi 40 anni, ha ricordato, il 13 maggio, festa della Madonna di Fatima, anche il Papa ha visitato la cittadina portoghese: Paolo VI nel 1967, Giovanni Paolo II nel 1982, nel 1991 e nel 2000, Benedetto XVI quest'anno.
“Anche lui non ha voluto sottrarsi alla forza di questo richiamo e si è fatto pellegrino con il popolo di Dio che gli è stato affidato. E’ venuto anche lui a dire 'amo', a pregare e fare penitenza per la conversione e la salvezza di tutti i popoli, a comandarne a Dio i dolori e le angosce, le gioie e le speranze”.
“Come Papa Benedetto ha spiegato in volo verso Fatima – conclude padre Lombardi –, il Papa 'sta per la Chiesa': dove è lui, c’è la Chiesa e dove c’è la Chiesa, c’è anche lui”.
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Benedetto XVI: anche nella tempesta, la Chiesa è un luogo di speranza
Nel messaggio al "Kirchentag", la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Anche nei momenti di tribolazione, la Chiesa resta luogo della speranza: è quanto scrive Benedetto XVI nel messaggio inviato ai partecipanti al Kirchentag, la Giornata ecumenica delle Chiese, apertasi giovedì a Monaco di Baviera, sul tema “Affinché abbiate la speranza”.
“La Chiesa è veramente luogo di speranza?”, una domanda ha riconosciuto Benedetto XVI, secondo quanto riferito dalla Radio Vaticana, che si è fatta più urgente in questi mesi in cui “siamo stati confrontati costantemente con notizie che vorrebbero toglierci la gioia della Chiesa, oscurarla come luogo di speranza”.
Come fecero i servi del padrone nella parabola del Regno dei Cieli, scrive il Papa, anche noi ci chiediamo da dove venga la zizzania. Una zizzania, prosegue, che “esiste proprio in mezzo alla Chiesa e tra coloro che il Signore in modo particolare ha chiamato al suo servizio”.
Eppure, rassicura, “la luce di Dio non è tramontata, il frumento buono non è stato soffocato dalla semina del male”. Anzi, afferma, “se osserviamo non soltanto quanto vi è di oscuro, ma anche quello che è luminoso nel nostro tempo, vediamo come la fede renda le persone pure e buone e le educhi all’amore”.
La Chiesa, ribadisce il Papa, è dunque luogo di speranza, “perché da essa continua a venire a noi la Parola di Dio che ci purifica e ci indica la via della fede”. Il Signore, infatti, “continua a donarsi nella grazia dei Sacramenti” e “questo non può essere oscurato né distrutto dal nulla”.
Di questo, si legge ancora, “dobbiamo gioire nei momenti di tribolazione”. Tuttavia, è il monito del Papa, parlare della Chiesa come “luogo della speranza che viene da Dio” implica allo stesso tempo “un esame di coscienza”, verificando se siamo disposti ad estirpare la zizzania che è in noi.
“Mentre riflettiamo su tutto quello che possiamo e dobbiamo fare – constata poi – ci rendiamo conto che le cose più grandi non le possiamo fare”.
Esse, annota il Papa, “possono venire a noi soltanto come un dono: l’amicizia, l’amore, la gioia, la felicità”. Anche la vita, prosegue, “non possiamo darcela da soli”. Oggi, aggiunge, “quasi nessuno parla più della vita eterna, che una volta era il vero oggetto della speranza”.
Senza speranza, infatti, vediamo che la vita “inevitabilmente diventa egoista e alla fine rimane insaziata”, e la vera fonte della speranza è Gesù Cristo.
“Noi – scrive il Papa – non siamo stati lasciati soli. Dio è vivo”, “possiamo rivolgerci a Lui e Lui mi ascolta”.
Noi “possiamo conoscere Dio” e “Lui conosce noi”. Questa, conclude il Papa, è “la nostra speranza e la nostra gioia”.
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I portoghesi scoprono il vero volto di Benedetto XVI
Padre Lombardi commenta il viaggio papale
di Anita S. Bourdin
FATIMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- I portoghesi stanno scoprendo il vero volto di Benedetto XVI, che non è affatto quello di una persona lontana, constata padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede.
In un'intervista concessa alla giornalista Aura de Miguel, il portavoce vaticano ha riconosciuto che “la tappa di Lisbona è stata meravigliosa, accompagnata dalla folla, non solo nella spianata per la Messa, ma anche nelle strade, con un grande entusiasmo”.
“I portoghesi pensavano che il Papa fosse un uomo lontano, distante, freddo, ma hanno visto che è il contrario. E' discreto, ma molto vicino, gentile, pieno d'amore. Lo abbiamo potuto constatare con i giovani, ma anche con i bambini. E' un primo risultato di questo viaggio”.
Lisbona veniva presentata come una “grande città secolarizzata”, ha proseguito padre Lombardi, ma si è scoperto che “il Papa ama il popolo portoghese, è al suo fianco”.
Per questo, padre Lombardi riconosce che “è molto contento, grato per l'accoglienza che gli è stata riservata: sente l'amore dei portoghesi e il loro desiderio di incontrare il Papa, che si manifesta con sorrisi, canti, gioia. E' un momento molto felice per lui”.
A Fatima, ha aggiunto il portavoce, l'atmosfera è stata “completamente diversa, con centinaia di migliaia di pellegrini e questa manifestazione di una fede semplice, popolare. Si sente l'amore, questa gioia di stare con il Papa, di celebrare questa grande festa: è un'esperienza eccezionale”.
Padre Lombardi ha riconosciuto che questi quattro giorni di viaggio sono estremamente intensi, pieni di incontri pubblici e privati, e che il Pontefice sente le tre priorità condivise dai Vescovi del Portogallo: “la cultura, i sacerdoti, l'impegno sociale, punti cruciali per la vita della Chiesa e della società”.
Per questo, il portavoce vaticano è convinto che questo viaggio “aiuterà il rinnovamento della Chiesa, non solo del Portogallo”.
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Accordo tra Vaticano e Vodafone Italia per la telefonia mobile
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ha siglato questo venerdì con Vodafone Italia un accordo per la gestione dei servizi di telefonia mobile.
L’accordo prevede la fornitura di circa 2000 utenze. Vodafone, informa un comunicato congiunto, si è aggiudicata la gara indetta dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano con il quale ha stipulato un contratto di durata triennale, anche in virtù della sua capillare presenza internazionale e degli elevati standard di servizio garantiti.
L’intesa è stata firmata alla presenza del segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, mons. Carlo Maria Viganò, e del presidente di Vodafone Italia, Pietro Guindani.
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Notizie dal mondo
Card. Erdő: annuncio sì, ma rispettando la molteplicità delle culture
Durante una Messa al "Kirchentag", la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- La missione della Chiesa è annunciare la buona novella di Cristo rispettando la varietà delle lingue e delle culture. E' quanto ha detto questo venerdì il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), nella Messa celebrata presso la Chiesa di San Michele a Monaco.
Durante la celebrazione inserita nel contesto della seconda edizione della "Kirchentag", la Giornata ecumenica delle Chiese in Germania, il porporato ha offerto una riflessione sul tema "Una Chiesa in molte lingue e popoli" sottolineando il significato teologico delle diverse culture in cui "si cela una ricchezza incommensurabile di esperienze e creatività delle comunità umane" di cui occorre tener conto nell'annuncio e nel lavoro pastorale.
"La buona novella - ha ricordato - deve essere annunciata al popolo eletto e a tutti gli altri popoli e questa missione è percepita già dalle prime generazioni degli apostoli e lo stesso è avvenuto anche nei lunghi secoli trascorsi da allora".
Il porporato ha quindi aggiunto che "non contano solo le conoscenze linguistiche degli stranieri", "ma anche il riconoscimento dell'identità culturale di una comunità in cui ci si senta a casa, in cui sia possibile parlare anche della fede. La varietà delle lingue e delle nazioni non viene annullata dal Cristianesimo ma viene aperta dallo Spirito Santo all'incontro e alla comprensione".
"L'incontro nella molteplicità, reso possibile dallo Spirito Santo - ha proseguito - comporta una meravigliosa unità interna ottenuta nella diversità, e non a dispetto di essa".
"Preghiamo dunque, chiedendo la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché con il nostro servizio nella missione e nella cura pastorale dei diversi popoli e delle diverse comunità possiamo diventare un segno autentico e uno strumento della carità divina che redime tutti gli uomini", ha concluso il porporato.
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Premio "Path to Peace" a Mary Ann Glendon
Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
NEW YORK, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Mary Ann Glendon, riceverà il premio 2010 della Fondazione Path to Peace.
Lo ha annunciato l'Arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e presidente della Fondazione “Path to Peace”, segnala un comunicato della Fondazione, il cui obiettivo è sviluppare progetti di sostegno al lavoro della Missione della Santa Sede alle Nazioni Unite.
Il premio verrà consegnato l'8 giugno durante una cena di gala della Fondazione al Club Athletic di New York.
Mary Ann Glendon è docente di Diritto all'Università di Harvard ed è stata ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede dal 29 febbraio 2008 al 19 gennaio 2009.
La Fondazione “Path to Peace” sottolinea le numerose opere scritte dalla Glendon nel settore dei diritti umani, del diritto comparato, del diritto costituzionale e della teoria politica.
“Il suo libro più recente – ricorda il comunicato –, Traditions in Turmoil (Tradizioni in confusione, ndr) (2006), ha vinto il Premio Internazionale Capri-San Michele e il Premio Capalbio nel 2008”.
“Il suo articolo sul contesto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite A World Made New: Eleanor Roosevelt and the Universal Declaration of Human Rights (2001) è stato descritto dalla critica del New York Times come lo studio definitivo di questo risultato storico”.
Nel 1993, il suo studio comparativo The Transformation of Family Law (La trasformazione del diritto di famiglia, ndr) ha vinto il premio principale dell'Accademia Legale.
Nel 1988 ha ricevuto il Premio Scribes Book della Società Americana degli Scrittori su Temi Legali per l'opera Abortion and Divorce in Western Law (Aborto e divorzio nella legislazione occidentale, ndr).
Mary Ann Glendon è membro dell'Accademia Americana delle Arti e delle Scienze e dell'Accademia Internazionale di Diritto Comparato, ed è stata presidente dell'Associazione Internazionale di Scienza Legale, patrocinata dall'UNESCO.
E' stata nominata presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali da Papa Giovanni Paolo II il 9 marzo 2004. Era già membro dell'Accademia fin dai suoi inizi, nel 1994. Nel 2009 Papa Benedetto XVI l'ha riconfermata in questo incarico per cinque anni.
Nel 1995 la Glendon ha guidato la delegazione – di 22 persone – della Santa Sede alla Quarta Conferenza delle Nazioni Unite a Pechino.
E' stata nominata dal Presidente statunitense George W. Bush presidente del Consiglio di Presidenza sulla Bioetica per il periodo 2002-2005.
Nel 1994 ha firmato l'Evangelicals and Catholics Together (Evangelici e cattolici uniti, ndr), un documento ecumenico per l'avvicinamento tra cattolici ed evangelici.
La Fondazione “Path to Peace” conferirà, oltre al Premio Path to Peace, il Premio Servitor Pacis per il suo contributo al bene comune a Kevin M. Ryan, presidente dell'organizzazione per bambini senza famiglia Covenant House, e a Peter J. Kelly, presidente dell'équipe dei direttori della Fondazione CRUDEM, che amministra l'Ospedale del Sacro Cuore della città haitiana di Milot.
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India: muore un sacerdote dopo aver salvato tre giovani dall'annegamento
GOA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Un sacerdote è morto domenica dopo aver salvato tre giovani dall'annegamento sulla spiaggia di Galgibaga, in India, dove un gruppo della sua parrocchia stava celebrando una giornata di convivenza, ha informato l'agenzia Cathnewsindia.
Padre Thomas Remedios Fernandes, di 37 anni, vicario della parrocchia di Gesù, Maria e Giuseppe del villaggio di Nuvem, non ha esitato a gettarsi in acqua per soccorrere tre giovani che gridavano chiedendo aiuto perché erano in difficoltà a causa del mare mosso.
E' riuscito a salvare i tre giovani, due ragazze e un ragazzo tra i 17 e i 19 anni, ma quando stava portando in salvo il terzo ha avuto un attacco cardiaco fatale.
La tragedia è accaduta nel pomeriggio e ha commosso le oltre 70 persone che avevano partecipato all'escursione sulla spiaggia, situata a 28 chilometri a sud della capitale dello Stato indiano del Panaji.
Il sacerdote è stato soccorso e portato in ospedale, dove i medici ne hanno constatato il decesso. I tre giovani salvati sono stati dimessi dopo aver ricevuto i primi soccorsi.
Nella comunità cattolica di Goa la perdita del sacerdote viene vissuta con dolore, ma anche con speranza e ammirazione.
“E' un pastore che ha dato la vita per le sue pecore”, si dice. “In questo Anno Sacerdotale è un esempio e una testimonianza per tutti i sacerdoti”.
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Interviste
Tutti i nodi della Rete
Intervista a don Fortunato Di Noto, fondatore dell'Associazione Meter
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervista a don Fortunato Di Noto apparsa su PaulusWeb (anno II n. 20 - maggio 2010).
* * *
di Paolo Pegoraro
18 indagati per divulgazione e detenzione di materiale pedopornografico su Internet: è il risultato dell’ultimo bliz della Polizia Postale di Catania, scattato il 6 maggio a concludere un’operazione partita da una segnalazione dell’Associazione Meter. Che oggi gode della massima stima nazionale e internazionale. Ma non è sempre stato così. Converrebbe scorrere all’indietro gli archivi dei quotidiani online per rendersi conto che una decina d’anni fa la parola d’ordine sulla bocca di tanti ministri e onorevoli fosse “non creare allarmi sociali”. Nonostante il palese vuoto normativo. Quando ammettere la diffusione del male non andava giù a nessuno. Don Fortunato Di Noto ci lavora da oltre vent’anni. Ha affrontato subito la marea nera che montava sul web, senza sconti né illusioni. Lo hanno ripetutamente accusato di dare la caccia alle streghe. Ora il Presidente della Repubblica invia annualmente a Meter il proprio Messaggio in occasione della XIV Giornata dei Bambini Vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza. E quest’anno anche papa Benedetto XVI ha voluto esprimere la propria stima e incoraggiamento all’Associazione di Avola (Sr). «Caro Papa, non ti sentire mai solo» hanno risposto i bambini in una lettera commovente rivolta al Santo Padre. Una lettera per la quale Benedetto XVI ha voluto inviare il suo ringraziamento pochi giorni dopo. Don Di Noto ne è chiaramente contento.
Partiamo dallo speciale saluto che il Santo Padre ha rivolto alla vostra Associazione lo scorso 25 aprile...
«Sono più che felice che il Santo Padre abbia voluto concederci un riconoscimento di così alto profilo. Evidentemente il nostro impegno è stato conosciuto e apprezzato, anche perché si tratta di un impegno sereno, equilibrato, silenzioso. Che si preoccupa non solo di tutelare le vittime e di prevenire gli abusi, ma anche d’informare le comunità cristiane in Italia e all’estero, nonché di seguire i rapporti istituzionale con vari governi. Un riconoscimento, quello di papa Benedetto, che ci sprona a fare sempre di più e a fare bene, secondo un criterio di attenzione e di cura adatto alle delicate situazioni di sofferenza dei bambini».
Come cominciarono i primi passi di Meter intorno al 1989. Perché proprio lei – un sacerdote – si sentì chiamato in prima persona a occuparsi delle vittime di abusi?
«Teniamo conto che in quegli anni mancava una normativa adeguata a tutelare in maniera efficace i diritti dell’infanzia. Proprio nel 1989 si era appena visto il barlume della Convenzione del Fanciullo... nulla a che vedere che l’apparato di cui godiamo oggi, però.
Personalmente c’è stata quasi una coincidenza profetica tra quanto stavo vivendo all’inizio del mio sacerdozio e ciò che poi è avvenuto. Da una parte, io sono sempre stato innamorato delle nuove tecnologie e posso dire di essere ormai da vent’anni un missionario della rete. Dall’altra, invece, mi venivano raccontate le storie di questi bambini: nel 1989-’90, anche se nessuno ne era a conoscenza, già circolavano le immagine pedopornografiche online. Questo mi pose automaticamente una questione: intervenire o lasciar perdere? Decisi di operare. Cominciò così un percorso con la mia comunità parrocchiale di Avola – diocesi di Noto – nella quale giunsi nel 1995. Con i giovani della parrocchia – molti dei quali oggi sono professionisti, ma soprattutto papà e mamme – abbiamo cominciato quest’avventura che ci ha portato a essere, dopo tanti anni, una delle realtà più importanti al mondo per la prevenzione degli abusi, il contrasto della pedofilia e la tutela dell’infanzia».
All’inizio non mancarono le incomprensioni, anche in ambito ecclesiale, mentre oggi le giunge questo riconoscimento. Lei, come pastore impegnato nella difesa dei più piccoli, come legge l’attuale crisi degli abusi che sta attraversando la Chiesa?
«Credo che tutto ciò che diventa purificazione sia sempre un bene. È molto importante che la Chiesa, da un punto di vista operativo, stia facendo pulizia di questi sacerdoti che si sono macchiati di così gravi reati. Dal momento in cui si sono macchiati di questi atti, questi preti non possono vivere il loro sacerdozio in pienezza: comprendiamo il perdono, ma anche la devastazione avvenuta su quei bambini, che non a caso vengono chiamiati “sopravvissuti”. La Chiesa – oggi più che mai e grazie anche alle Linee guida volute dall’attuale Pontefice – non tornerà indietro.
Non possiamo tacere. Ricordo che ancora nel 1996 scrissi al Corriere della Sera una lettera, poi pubblicata, dove invitavo a una pastorale ordinaria e limpida della Chiesa in tal senso. Se oggi ci troviamo a essere investiti dallo scandalo di alcuni sacerdoti è anche perché alcuni vescovi hanno irresponsabilmente taciuto... ma questo non lo dico io, lo dicono le dichiarazioni della Chiesa e le ultime dimissioni. Questo ovviamente comporta un dolore da una parte, ma dall’altra un impegno ulteriore. Insieme possiamo sicuramente far sì che la Chiesa sia sempre un luogo accogliente e di protezione, ma soprattutto un luogo di annuncio dell’amore di Dio. E questa è la cosa più importante».
Il tema della 44ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali investe proprio la presenza del sacerdote nella rete, esperienza che lei vive da lungo tempo. Come si è andato regolarizzando il web, in questi anni?
«Partiamo dal fatto che internet è un dono di Dio all’uomo e deve essere utilizzato nel migliore dei modi. È un mezzo che ha cambiato le relazioni e il nostro modo di percepire la realtà, ma proprio perché “mezzo”, chi lo utilizza ha una responsabilità etica... l’uomo non può limitarsi ad “abitare” il web, proprio perché nel web l’uomo testimonia se stesso. E se l’uomo ha una sua identità, coerenza e responsabilità, testimonia ciò è e ciò che ha incontrato: per noi cristiani Gesù Cristo, per tanti altri l’onestà di vivere nella verità e nella giustizia.
Per di più, internet è un processo irreversibile. Evitiamo perciò di pensare a censurarlo o chiuderlo; e tuttavia, proprio perché è un mezzo che veicola l’uomo, non nascondiamoci che ci sono molti uomini che hanno scelto il male e veicolano e amplificano il proprio male. Per questo il web è diventato anche un pericoloso strumento invasivo di cybercrime, di pedofilia online, di adescamento di bambini... Ma chiediamoci anche: perché questo può avvenire? perché un bambino può cadere nella trappola dell’adescamento? Molte volte perché c’è una privazione affettiva nella realtà quotidiana della loro vita.
Internet può diventare uno strumento per la comunicazione del vangelo, ma anche uno strumento di lucro sulle foto o video pedopornografiche di bambini che sono stati violati. Il problema non è il mezzo, ma l’uomo».
L’avvento del web 2.0 e dei social network ha imposto un cambio di prospettiva?
«Tantissimo. Personalmente, sono convinto che il fenomeno dei social network finirà tra cinque anni, dopo questo boom e le utilizzazioni spesso improprie. Questo creare relazioni, o ritrovarle, è interessantissimo, ma siamo onesti: su FaceBook, anche se ho duemila “amici”, mi sento molto più solo che nella vita reale. Su questa piattaforma la comunicazione avviene solo per alcuni aspetti superficiali o molto pratici.
Eppure la mia presenza sui social network può essere di aiuto per chi ne ha bisogno, per chi cerca di superare un dolore o attraversa una fatica. L’uomo ha necessità di relazione. E la vita virtuale deve vivere di vita reale. Non dimentichiamolo, altrimenti rischiamo di diventare non persone, ma avatar... cioè illusioni di uomini reali».
A questo proposito – secondo i dati da voi forniti nel volume L’innocenza tradita (Città Nuova 2006) – l’età del cyberpedofilo si aggira tra i 21 e i 30 anni... ovvero l’età in cui le energie affettive dovrebbero esplodere nella vita reale. Dati confermati a oggi?
«Sono dati purtroppo riconfermati. Non solo. Come Associazione Meter stiamo studiando le modificazioni di profilo del cyberpedofilo, perché l’età si sta abbassando ulteriormente. Tanto che abbiamo oramai minori che abusano di altri minori. Vediamo quincenni e sedicenni che fanno di tutto, abusando di bambini anche molto più piccoli. Questo dimostra come la banalizzazione – della relazione affettiva e sessuale da una parte, e dall’altra del corpo come strumento di comunicazione dell’amore pervertito in strumento di soddisfacimento immediato – stia creando molti e seri problemi.
Assistiamo inoltre al crescere di un altro filone drammatico, quello dell’infantofilia, dove le vittime hanno tra gli 0 ai 2 anni al massimo. Il profilo del cyberpedofilo, dunque, si modifica alla luce della produzione e della fruzione del materiale che viene prodotto e poi messo in rete. Questo è il grande dramma sotto gli occhi di tutti, al quale dovremmo reagire non solo commuovendoci, ma in maniera ben più forte e ben più intensa».
È stato scritto che l’altra faccia del problema della pedofilia è un Occidente affetto da pedofobia: incapace cioè di rispettare i più piccoli, impaurito dall’innocenza, preoccupato di sessualizzare quanto prima i propri giovani.
«È vero, oggi viviamo in una società adultocentrica. Tutto è a misura dell’adulto e i bambini sono adultizzati in mille maniere. Faccio un esempio banale: alle trasmissioni televisive abbiamo bambini che cantano secondo estensioni vocali non sono adatte allo sviluppo delle loro corde.
Questo succede perché tutto ciò che riguarda l’infanzia, nel mondo occidentale, è misurato secondo le regole della produzione: il bambino è diventato merce e produce merce. Produce benessere. Basti dire come la pedopornografia fa un giro di affari di 13 miliardi di euro l’anno: quale migliore dimostrazione di bambini trasformati in oggetti di consumo!».
Cos’ha da dire a questa società la religione del Dio che si è fatto Bambino?
«Dobbiamo tornare a guardare a questo Bambino per il nostro operare e agire bene. Forse è maturo il momento per fare un patto educativo comune, per creare non steccati ma collaborazione fattiva, affinché ognuno apporti ciò che è bene per domani.
In fondo, ciò che abbiamo fra le mani è il futuro: i bambini crescono e attraverso l’educazione formiamo gli uomini e le donne di domani, che promuoveranno e faranno il bene.
Rendiamoci conto che il digital divide non riguarda solo internet, e nemmeno la povertà materiale, quanto invece la povertà affettiva che nutre le deviazioni e le assurde speculazioni che avvengono sulla pelle degli esseri umani. Molto già si fa – e molto fa la Chiesa cattolica attraverso l’aspetto educativo e di formazione – ma, insieme, bisogna fare di più».
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Spiritualità
Le meraviglie dello Spirito Santo
* * *
Caro don Piero,
le scrivo per renderla partecipe della mia gioia, che mi sta dando il Signore, per le grazie copiose che mi elargisce. Dopo un periodo di preparazione chiamato "Seminario di Vita Nuova", il 25 aprile scorso ho ricevuto l'"effusione" dello Spirito Santo. E' stata una giornata intensa, forte, dove ho sperimentato la grandezza del Signore e per la prima volta ho sentito in me una calma, una serenità indescrivibile. Erano spariti da me l'ansia, il nervosismo, l'agitazione lasciando il posto alla calma, alla gioia. Per completare il tutto, i giorni 29 e 30 aprile e 1 e 2 maggio sono stata a Rimini alla XXXIIII Convocazione dello Spirito Santo. Sono state giornate intense, forti, dove si è "toccato con mano" la presenza del Signore. Dove il pianto e il riso si intrecciavano in un'unica lode al Signore. Una giornata è stata dedicata interamente ai sacerdoti, abbiamo pregato con loro e per loro ed infine invocato lo Spirito Santo su di loro. E' stato un momento veramente intenso ed emozionante. Poi le varie testimonianze di persone che, dopo aver "toccato il fondo" nella loro vita, hanno incontrato, sul loro cammino di disperazione, qualcuno che ha parlato loro di Gesù, di Gesù risorto, di Gesù vivo, di un sepolcro vuoto, e attraverso tutto questo, la svolta della vita, la conversione.
Io ha avuto la grazia del Signore di essere stata abbastanza vicina a Lui con alti e bassi, momenti di freddezza e momenti di tiepidezza, ma oggi, dopo aver tante volte visto il "bicchiere mezzo pieno" e spesso "mezzo vuoto", ora vorrei gridare al mondo, come ho gridato che "Gesù è risorto", è "veramente risorto", vorrei gridare che il mio bicchiere non è "mezzo pieno" ma è completamente "pieno", pieno delle grazie del Signore. La mia vita sta veramente cambiando, e con l'aiuto del Signore, spero di continuare in questo cammino in salita, che mi dà gioia, trepidazione, serenità. Non da sola, ma con Gesù, Maria, la Mamma celeste, portando con me chi mi sta accanto, chi più ha bisogno di questa serenità, di questa gioia, che solo stando attaccati al Signore e alla sua Chiesa è possibile sentire e sperimentare.
Le chiedo, in conclusione di questo mio scritto, una preghiera di ringraziamento al Signore per queste grazie che mi sta elargendo e che mi aiuti a trasmettere a chi mi sta accanto la percezione che non sono io che sono così, ma è Cristo in me che mi rende felice, gioiosa, serena e che attraverso di me vedano la grandezza e la potenza di Cristo salvatore, e possano credere che "CRISTO VIVE, CRISTO E' RISORTO, E' VERAMENTE RISORTO! Alleluja!!!
Inoltre, tra le varie emozioni di queste giornate, ho potuto assistere anche a delle guarigioni da varie infermità: una signora ha portato sul palco la sua carrozzella ed è corsa lungo tutto il palco senza l'aiuto di nessuno, un'altra ha lasciato le sue stampelle, tre persone hanno lasciato le protesi acustiche, senza contare quante confessioni! I sacerdoti presenti spesso venivano esortati dal palco per la costante richiesta di confessioni.
Il tema principale di queste giornate: "E' lo Spirito che dà testimonianza, perchè è la verità” (1 Gv 5, 6b). Poi c'è stata la sessione dedicata alla potenza di Dio che consola, libera e guarisce, la sessione dedicata alla diffusione delle "Ragioni dello Spirito" per la promozione di una cultura della Pentecoste nel mondo, una sessione dedicata alla Misericordia di Dio che perdona e riconcilia, seguita dalla sessione dedicata ai sacerdoti e la festa sacerdotale "d'ora in poi sarai pescatore di uomini" (Lc 5, 10b), poi una riflessione sul tema "Il fare è cieco senza il sapere e il sapere è sterile senza l'amore.... C'è sempre bisogno di spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità" (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, nn. 29-30) ed altro ancora. So di essere stata un po' lunga, ma non potevo risolvere tutto in poche righe. E debbo frenare il mio impulso di scrivere ancora. Mi perdoni. Un abbraccio fraterno nel Signore, Ardea Zoli - Trieste.
Cara signora Ardea,
grazie della sua lettera che è molto bella. Si vede proprio che questa esperienza è stata per lei veramente entusiasmante e spiritualmente gratificante. Sono stato anch’io due volte con i Pentecostali o come si chiamano oggi. A Brescia una quindicina di anni fa ho tenuto loro un ritiro spirituale con due meditazioni e la Santa Messa e a Roma in tempi più recenti al Santuario del Divino Amore hanno avuto un loro convegno nazionale di alcuni giorni su fede e mass media e ho parlato sul giornalismo cattolico.
Debbo dire che ambedue le volte i partecipanti a questi incontri mi sono piaciuti e mi hanno confermato in quanto ho sempre pensato. Che i cosiddetti “movimenti” (Focolari, CL, Neo-catecumenali, Cursillos, movimenti familiari, Pentecostali e altri) sono un’opera dello Spirito. Ciascuno di essi, secondo il proprio carisma, e tutti assieme stanno rinnovando la Chiesa, non solo nei nostri paesi di antica cristianità, ma ho visto anche nelle missioni, nelle giovani Chiese (cito solo Vietnam e Corea del sud e l’influsso notevole che ha avuto la Legio Mariae nella Cina). Il loro limite è quello di assolutizzare un modo di essere cristiani, mentre sono solo vie diverse per giungere alla stessa meta che è di amare e imitare Cristo, di vivere in unione con Lui.
A volte si sente dire: “Questo movimento è la via migliore per vivere autenticamente il Vangelo”. Comprensibile (per l’ingenuo entusiasmo), ma sbagliato dire o pensare così. Ciascun movimento attira alcune persone e altre no, altri ne attirano altre. Ecco perché lo Spirito suscita “vie diverse”, senza che nessuna di esse diventi unica, poiché il mistero e l’esempio di Cristo non potremo mai esaurirli nella nostra comprensione e imitazione. di uomini. Lo stesso si può dire dei movimenti riguardo alla Chiesa. Il movimento non è la Chiesa, è un ramo dell’albero che è la Chiesa, rappresentata dai vescovi uniti al Papa, dalle diocesi e parrocchie. Se un movimento (o un credente) si stacca dalla Chiesa anche solo con la disaffezione, non può più essere con Cristo e di Cristo.
Grazie ancora. La ricordo al Signore e anche lei preghi per me. Un caro saluto dal suo padre Piero Gheddo
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Parola e vita
Ascensione: la felicità della vita nell'arte della preghiera
Ascensione del Signore, 16 maggio 2010
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: 'Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finchè non siate rivestiti di potenza dall’alto'. Poi li condusse fuori verso Betania, e, alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24,45-53).
A giudicare dalla scena descritta da Luca, l’Ascensione è il distacco benedicente e definitivo di Gesù dai suoi discepoli, letteralmente il suo “a-Dio”, il ritorno al Padre. Un addio narrato oggi due volte: la prima, nel Vangelo, con una nota di letizia: “poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”; la seconda, negli Atti, con una punta di comprensibile nostalgia: “fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava..”(At 1,9-10).
Viene in mente un terzo racconto lucano di addio, più dettagliato e commovente, il congedo di Paolo dagli anziani di Efeso, a Mileto: “E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno di Dio. (…) Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge, (…) E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, (…) Dopo aver detto questo si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in pianto, e gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave” (At 20,25-38).
Confrontando questa scena paolina con l’Ascensione di Betania, notiamo che mentre gli amici di Paolo tornano a casa in lacrime, i discepoli di Gesù rientrano a Gerusalemme “con grande gioia”, simile a quella provata la sera di Pasqua quando il Risorto era apparso inaspettatamente in mezzo a loro a porte chiuse.
Sappiamo che tre giorni prima, nel clima di profondo turbamento del Cenacolo, Gesù aveva promesso questa gioia pasquale, dichiarandola inalienabile: “Ora siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Il Signore si riferiva agli imminenti eventi pasquali, ma le sua parole si possono applicare anche al mistero dell’Ascensione (il suo secondo congedo da loro), quando, ormai vivo per sempre, lascia i suoi per andare incontro al Padre.
A Betania, nell’imminenza della dipartita definitiva del Signore, il cuore dei discepoli non è afflitto: la Risurrezione ha ormai cambiato l’afflizione di un tempo in gioia inalienabile, ed ora che Egli se ne va per sempre, la sentono ancor più limpida, come se il distacco inaugurasse una presenza di Gesù tanto intima, intensa e nuova da coincidere con la loro stessa esistenza personale.
E’ il segno dell’inizio di ciò che scrive Paolo non molti anni dopo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Alla luce di tutto ciò comprendiamo meglio la portata di queste altre parole di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). In realtà, con l’Ascensione, equivalgono a queste: “Me ne vado perché abbiate sempre la gioia di vivere, e la abbiate in abbondanza, qualunque cosa sia accaduta, accada ed accadrà”.
Sì, la “grande gioia” dell’Ascensione è la prova e il segno che il vuoto dell’assenza è stato colmato da una presenza migliore: “Il Signore non si allontana dai suoi. Sarà sempre in cammino con tutti i pellegrini, come con i due di Emmaus. Ma la sua presenza non sarà fisica, limitata nello spazio e nel tempo. Sarà spirituale, illimitata, ovunque e sempre. La sua distanza assoluta è in realtà una vicinanza assoluta. Se prima era vicino a noi con il suo corpo, ora è in noi con il suo stesso Spirito. Prima era visibile con il volto di un altro; ora è invisibile, come il nostro stesso volto trasfigurato nel suo dalla Parola e dal Pane. “Tornarono a Gerusalemme con grande gioia”: non c’è la nostalgia di un distacco, ma la certezza di un dono” (Silvano Fausti, “Una comunità legge il Vangelo di Luca”, p. 805s).
Nell’Ascensione del Signore sta dunque il segreto della gioia di vivere, soprattutto per coloro che si ritrovino ad averla perduta per un fatto irrimediabile.
Per comprendere come ciò sia possibile, la prima chiarezza da fare riguarda proprio l’evento che celebriamo oggi: in cosa è consistito realmente? Cos’è e cosa significa l’Ascensione del Signore per noi?
L’Ascensione è caratterizzata da due aspetti: il primo è la separazione umana dolorosa, il distacco che lascia nel cuore un vuoto ed una nostalgia intollerabile; il secondo è il dono di una Presenza divina che colma in maniera traboccante il vuoto lasciato. In quanto separazione, l’Ascensione (Lc 24,51) dice la fine di un certo modo di relazione tra Gesù e i suoi discepoli; in quanto elevazione in Cielo, l’Ascensione è simbolo di quella glorificazione del Signore che è per l’uomo fonte di somma felicità, in quanto Gesù può ora mandare il suo Spirito che non solo annulla la distanza del precedente doloroso distacco, ma colma di profonda consolazione e rinnovata gioia la vita, poiché Egli ora ha il potere di fare nuove tutte le cose passate, presenti e future, “restituendo” in se stesso molto più di tutto ciò che abbiamo perduto, com’è vero che il Creatore è infinitamente di più della creatura.
In pratica il movimento del Signore nell’Ascensione è questo: da Gerusalemme Gesù Risorto “sale” verso l’alto, rientrando nel “santuario del Cielo” (Eb 9,24), che è il mondo del Padre, per poter discendere con il Padre e lo Spirito Santo, nell’anima del battezzato, divenuta il suo e loro Cielo preferito. Il Cielo è perciò dentro di noi, ed è qui che è dato incontrare il Signore risorto e vivo, immergendoci nella gioia della sua Presenza come ci si tuffa (o si entra a poco a poco) nell’acqua.
Si tratta allora, anche per noi, di “ascendere al Cielo”, vale a dire entrare inabissandoci nell’intimo del nostro cuore per mezzo del raccoglimento e della preghiera. Scrive una ventiquattrenne monaca carmelitana ad un’amica: “Ah, se potessi insegnarti il segreto della felicità come il buon Dio l’ha insegnato a me! Tu dici che io non ho né preoccupazioni, né sofferenze, ed è vero che sono quanto mai felice, ma se tu sapessi come si può essere del tutto felici pur in mezzo alle contrarietà! Bisogna sempre tenere lo sguardo rivolto al buon Dio. Bisogna che tu costruisca come me una celletta dentro la tua anima. Penserai che il buon Dio è lì e vi entrerai di tanto in tanto. Quando ti senti innervosita o ti assale la malinconia, corri subito nel tuo rifugio e confida tutto al Maestro. Se tu lo conoscessi la preghiera non ti annoierebbe più. In realtà è un riposo, credimi, una distensione. Un andare con tutta semplicità da colui che si ama, uno stare accanto a Lui come un bambino tra le braccia della mamma, un abbandono del cuore…” (Elisabetta della Trinità, “Scritti”, Lettera 179).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
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Forum
Modernità e tradizione. La grande lezione del Papa dal Portogallo
ROMA, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Mentre - in modo peraltro comprensibile - l'attenzione sul viaggio del Papa in Portogallo si concentra sull'interpretazione del messaggio di Fatima e sulle sue relazioni con la crisi nella Chiesa che nasce dagli episodi dei preti pedofili, per molti rischia di andare perduta la straordinaria lezione della modernità impartita da Benedetto XVI nel Paese iberico, che ci riporta al cuore stesso del magistero di Papa Ratzinger.
Nel discorso del 2006 a Ratisbona e nell'enciclica Spe salvi del 2007 il Pontefice aveva già proposto un giudizio sui momenti centrali della modernità: Lutero, l'illuminismo, le ideologie del XX secolo. In ciascuno di questi momenti aveva distinto un aspetto esigenziale dove c'è qualche cosa di condivisibile - la reazione al razionalismo rinascimentale per Lutero, la critica del fideismo e la rivalutazione della ragione nell'illuminismo, il desiderio di affrontare i problemi e le ingiustizie causate dalle trascrizioni sociali e politiche dell'illuminismo per le ideologie novecentesche - e un esito finale catastrofico dove, ogni volta, si butta via il bambino con l'acqua sporca e si propongono rimedi peggiori dei mali che si dichiara di voler curare.
Così Lutero insieme al razionalismo butta via la ragione, smantellando la sintesi di fede e di ragione che aveva dato vita alla cristianità medievale; l'illuminismo per rivalutare la ragione la separa radicalmente dalla fede, diventa laicismo e finisce per compromettere l'integrità stessa di quella ragione che voleva salvare; le ideologie del Novecento criticando l'idea astratta di libertà dell'illuminismo finisco per mettere in discussione l'essenza stessa della libertà, trasformandosi in macchine sanguinarie di tirannia e di oppressione. Nella modernità dunque a esigenze o istanze dove non tutto è sbagliato corrispondono esiti o risposte che partono da gravi errori e si risolvono in drammatici orrori.
Il tema ha anche una sua attualità all'interno della Chiesa, dove il magistero di Benedetto XVI si è concentrato sulla corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si dice, senza sbagliare, che il Concilio si fece carico della modernità. Ma questo significa che il Concilio accolse le istanze del moderno oppure che condivise anche le risposte dell'ideologia della modernità a queste istanze? Nel primo caso il Concilio può essere letto alla luce della Tradizione della Chiesa, che - dal Concilio di Trento, il quale si confrontò con le domande poste da Lutero dando però risposte totalmente diverse, fino a Leone XIII, di cui ricorre quest'anno il secondo centenario della nascita, di fronte alle ideologie nascenti - ha sempre accolto le istanze proposte dalla storia trovando nel suo patrimonio gli elementi per farvi fronte. Nel secondo caso il Vaticano II sarebbe invece un'innovazione radicale, un cedimento della Chiesa all'ideologia della modernità, una rivolta contro la Tradizione da leggere secondo quella che Benedetto XVI chiama "ermeneutica della discontinuità e della rottura" rispetto a tutto quanto è venuto prima.
In Portogallo il Papa torna su questi temi: e il discorso del 12 maggio a Lisbona rivolto al mondo della cultura è destinato a prendere posto fra i discorsi principali del suo pontificato. Qui, come di consueto, il punto di partenza è il Vaticano II, "nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l'Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall'altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita". Benedetto XVI invita dunque a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le "istanze", di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore - ma "superandole" -, e gli "errori e vicoli senza uscita" in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole e di condivisibile.
Per il Papa la modernità come plesso di esigenze può e deve essere presa sul serio e diventare oggetto di discernimento. La modernità come ideologia dev'essere invece oggetto di una rigorosa critica. Questa ideologia comporta il rifiuto della tradizione - quella con la "t" minuscola, come patrimonio culturale trasmesso dalle generazioni passate, e quella con la "T" maiuscola come verità conservata e veicolata dalla Chiesa - e l'idolatria del presente. In Portogallo il Papa denuncia un'ideologia che "assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato" e quindi fatalmente finisce per presentarsi "senza l'intenzione di delineare un futuro".
Considerare il presente la sola "fonte ispiratrice del senso della vita" porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo - e non solo - "ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una ‘sapienza', cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un ‘ideale' da adempiere", strettamente legati all'idea di verità e all'identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque "si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo". Il "‘conflitto' fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita".
In questo conflitto la Chiesa non ha dubbi su da che parte stare. "La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione": parole di Benedetto XVI che richiamano - certo con uno stile e un linguaggio diverso - quelle del suo predecessore san Pio X nella lettera apostolica del 1910 "Notre charge apostolique" secondo cui "i veri operai della restaurazione sociale, i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti".
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*Massimo Introvigne è Direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (www.cesnur.it)
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Documenti
Comunicato vaticano sulla Giornata internazionale delle famiglie
"L'impatto della migrazione sulle famiglie nel mondo"
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Sabato 15 maggio si celebra la “Giornata internazionale delle famiglie”, sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Il tema di quest’anno è “L’impatto della migrazione sulle famiglie nel mondo”.
Per l'occasione il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, congiuntamente al Pontificio Consiglio della Famiglia, hanno rilasciato alla stampa il seguente comunicato.
* * *
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani riconosce che la famiglia è “l’elemento naturale e fondamentale della società” (articolo 16) e Papa Benedetto XVI ha affermato che essa è “luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori” (Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2007), per cui deve essere oggetto della “più ampia protezione e assistenza possibili” (Patto dei Diritti Economici Sociali e Culturali, articolo 10).
Essa gioca un ruolo insostituibile per la felicità dei suoi membri, per la pace e la coesione sociale, per lo sviluppo educativo e il benessere generale, per la crescita economica e l’integrazione sociale. La compattezza dei legami familiari, di fatto, garantisce stabilità, tutela l’equilibrio sociale e promuove lo sviluppo. La coesione familiare costituisce il mezzo vitale per preservare e trasmettere i valori, agisce come garante dell’identità culturale e della continuità storica, assicura un ambiente favorevole per l’apprendimento e offre efficaci rimedi per la prevenzione del crimine e della delinquenza.
Pertanto, la società civile e le comunità cristiane sono interpellate dai problemi e dalle difficoltà, ma anche dai valori e dalle risorse di cui ogni famiglia è portatrice.
Costatiamo, però, che i movimenti migratori tracciano solchi profondi nel presente storico dei villaggi e delle città, degli Stati e dei continenti. Ne sono coinvolti i singoli, cittadini autoctoni e cittadini immigrati. Soprattutto, ne sono implicate le famiglie. Nel contesto migratorio, dunque, la famiglia si pone come sfida e possibilità, non solo per il migrante e per i suoi cari, ma anche per le collettività dei Paesi di partenza e di arrivo.
In effetti, accanto alla tradizionale migrazione maschile, sta aumentando esponenzialmente il numero delle donne che lascia il Paese d’origine alla ricerca di una vita più dignitosa, coltivando il sogno di attrarre a sé il coniuge, i figli e, talvolta, i parenti più stretti. Anche i minori e gli anziani entrano nel vortice dei flussi migratori, portando con sé il triste bagaglio dello smarrimento, della solitudine e dello sradicamento, talvolta reso anche più pesante da sfruttamento e abuso.
Dunque, l’unità familiare, disgregata dal progetto migratorio, ambisce a ricomporsi, anche per un migliore successo dei processi di inserimento nelle società di accoglienza.
Per tali ragioni, auspichiamo che le Istituzioni competenti elaborino politiche familiari responsabili, che facilitino i ricongiungimenti, permettano agli irregolari di uscire da situazioni di anonimato e di precarietà mediante vie realmente praticabili e garantiscano il diritto di tutti alla partecipazione e alla corresponsabilità, sociale e civile, anche attraverso il riconoscimento del diritto alla cittadinanza.
Incoraggiamo, infine, l’adozione di misure adeguate che facilitino, da una parte, l’inserimento nel tessuto sociale che accoglie gli immigrati e le loro famiglie e, dall’altra, occasioni di crescita – personale, sociale ed ecclesiale – basate sul rispetto delle minoranze, delle differenti culture e delle religioni, nonché sul reciproco scambio di valori.
L’educazione alla interculturalità può contribuire a creare una nuova sensibilità, volta a instaurare più amichevoli rapporti tra singoli individui e tra famiglie, nell’ambito della scuola e in quelli di vita e di lavoro, con prioritaria attenzione all’infanzia, agli adolescenti e ai giovani in un mondo di rapidi cambiamenti.
Solidarietà e reciprocità, nel rispetto delle legittime differenze, sono condizioni indispensabili per assicurare una pacifica interazione e un futuro sereno alle nostre società civili e alle comunità ecclesiali.
Ennio Cardinale Antonelli X Antonio Maria Vegliò
Presidente del Pontificio Consiglio Presidente del Pontificio Consiglio
della Famiglia della Pastorale per i Migranti
e gli Itineranti
Città del Vaticano, 14 maggio 2010
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Parole di congedo di Benedetto XVI dal Portogallo
All'aeroporto internazionale di Porto
PORTO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo venerdì congedandosi dal Portogallo all'aeroporto internazionale di Porto, al termine della sua visita apostolica iniziata l'11 maggio.
* * *
Signor Presidente della Repubblica,
Illustri Autorità,
Amati Fratelli nell’Episcopato
Cari amici,
Al termine della mia visita, rivive nel mio spirito la densità di tanti momenti vissuti in questo pellegrinaggio in Portogallo. Custodita nell’anima porto la cordialità della vostra affettuosa accoglienza, la forma tanto calorosa e spontanea con la quale si sono cementati i vincoli di comunione con i gruppi che ho potuto contattare, l’impegno che ha significato la preparazione e la realizzazione del programma pastorale.
In questo momento di congedo, esprimo a tutti la mia sincera gratitudine: al Signor Presidente della Repubblica, che mi ha onorato con la sua presenza da quando sono arrivato qui, ai miei fratelli Vescovi con i quali ho rinnovato la profonda unione nel servizio del Regno di Cristo, al Governo e a tutte le autorità civili e militari, che si sono prodigate con visibile dedizione lungo l’intero viaggio. Vi auguro ogni bene! I mezzi di comunicazione sociale mi hanno permesso di arrivare a molte persone, alle quali non era possibile vedermi da vicino. Anche a loro mi sento molto grato.
A tutti i portoghesi, cattolici o no, agli uomini e alle donne che vivono qui, anche se non sono nati qui, va il mio saluto nel momento di congedarmi da voi. Non cessi di crescere tra voi la concordia, che è essenziale per una salda coesione, via necessaria per affrontare con responsabilità comune le sfide che vi stanno dinnanzi. Continui questa gloriosa Nazione a manifestare la grandezza d’animo, il profondo senso di Dio, l’apertura solidale, retta da principi e valori impregnati di umanesimo cristiano. A Fatima, ho pregato per il mondo intero chiedendo che il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un maggiore rispetto reciproco e una rinnovata fiducia e confidenza in Dio, nostro Padre che è nei cieli.
È stata per me una gioia essere testimone della fede e della devozione della comunità ecclesiale portoghese. Ho potuto vedere l’entusiasmo dei bambini e dei giovani, la fedele adesione dei presbiteri, dei diaconi e dei religiosi, la dedizione pastorale dei Vescovi, la voglia di ricercare la verità e la bellezza evidente nel mondo della cultura, la creatività degli operatori della pastorale sociale, il vibrare della fede dei fedeli nelle diocesi che ho visitato. Il mio desiderio è che la mia visita divenga incentivo per un rinnovato ardore spirituale e apostolico. Che il Vangelo venga accolto nella sua integralità e testimoniato con passione da ogni discepolo di Cristo, affinché esso si riveli come lievito di autentico rinnovamento dell’intera società!
Scenda sul Portogallo e su tutti i suoi figli e le sue figlie la mia Benedizione Apostolica, portatrice di speranza, di pace e di coraggio, che imploro da Dio per l’intercessione di Nostra Signora di Fatima, alla quale vi rivolgete con tanta fiducia e saldo amore. Continuiamo a camminare nella speranza! Addio!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Omelia del Papa nella Messa presieduta a Porto
Si aprono nuovi campi alla missione
PORTO, venerdì, 14 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia che Benedetto XVI ha pronunciato nella Messa all'aperto che ha presieduto nell'Avenida dos Aliados di Porto questo venerdì mattina.
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Cari Fratelli e Sorelle,
«Sta scritto […] nel libro dei Salmi: […] il suo incarico lo prenda un altro. Bisogna dunque che […] uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione» (At 1, 20-22). Così disse Pietro, leggendo ed interpretando la parola di Dio in mezzo ai suoi fratelli, radunati nel Cenacolo dopo l’Ascensione di Gesù al Cielo. Fu scelto Mattia, che era stato testimone della vita pubblica di Gesù e del suo trionfo sulla morte, restandogli fedele sino alla fine, nonostante l’abbandono di molti. La «sproporzione» tra le forze in campo che oggi ci spaventa, già duemila anni fa stupiva coloro che vedevano e ascoltavano Cristo. C’era soltanto Lui, dalle sponde del Lago di Galilea fino alle piazze di Gerusalemme, solo o quasi solo nei momenti decisivi: Lui in unione con il Padre, Lui nella forza dello Spirito. Eppure è avvenuto che, alla fine, dallo stesso amore che ha creato il mondo, la novità del Regno è spuntata come piccolo seme che germina dalla terra, come scintilla di luce che irrompe nelle tenebre, come alba di un giorno senza tramonto: È Cristo risorto. Ed è apparso ai suoi amici, mostrando loro la necessità della croce per giungere alla risurrezione.
Un testimone di tutto ciò cercava Pietro in quel giorno. Presentati due, il Cielo ha designato «Mattia, che fu associato agli undici apostoli» (At 1,26). Oggi celebriamo la sua gloriosa memoria in questa «Città Invitta», che si è rivestita di festa per accogliere il Successore di Pietro. Rendo grazie a Dio per avermi portato in mezzo a voi, incontrandovi attorno all’altare. Il mio cordiale saluto va a voi, fratelli e amici della città e diocesi di Porto, a quelli che sono venuti dalla provincia ecclesiastica del nord di Portogallo e anche dalla vicina Spagna, e a quanti altri sono in comunione fisica o spirituale con questa nostra assemblea liturgica. Saluto il Vescovo di Porto, Mons. Manuel Clemente, che ha desiderato con grande sollecitudine la mia visita, che mi ha accolto con grande affetto e si è fatto interprete dei vostri sentimenti all’inizio di quest’Eucaristia. Saluto i suoi Predecessori e gli altri Fratelli nell’Episcopato, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, e i fedeli laici, con un pensiero particolare verso quanti sono coinvolti nel dare dinamicità alla Missione diocesana e, più in concreto, nella preparazione di questa mia Visita. So che essa ha potuto contare sull’effettiva collaborazione del Sindaco di Porto e di altre Autorità pubbliche, molte delle quali mi onorano con la loro presenza; approfitto di questo momento per salutarle e augurare ad esse, e a quanti rappresentano e servono, i migliori successi per il bene di tutti.
«Bisogna che uno divenga testimone, insieme a noi, della risurrezione», diceva Pietro. E il suo attuale Successore ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù. In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto? Il cristiano è, nella Chiesa e con la Chiesa, un missionario di Cristo inviato nel mondo. Questa è la missione improrogabile di ogni comunità ecclesiale: ricevere da Dio e offrire al mondo Cristo risorto, affinché ogni situazione di indebolimento e di morte sia trasformata, mediante lo Spirito Santo, in occasione di crescita e di vita. A tale scopo, in ogni celebrazione eucaristica, ascolteremo più attentamente la Parola di Cristo e gusteremo assiduamente il Pane della sua presenza. Ciò farà di noi testimoni e, più ancora, portatori di Gesù risorto nel mondo, recandolo ai diversi settori della società e a quanti in essi vivono e lavorano, diffondendo quella «vita in abbondanza» (cfr Gv 10,10) che Egli ci ha guadagnato con la sua croce e risurrezione e che sazia i più legittimi aneliti del cuore umano.
Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla. Per esperienza personale e comune, sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell’irrecusabile missione che ci compete, poiché «senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. Di fronte agli enormi problemi dello sviluppo dei popoli che quasi ci spingono allo sconforto e alla resa, ci viene in aiuto la parola del Signore Gesù Cristo che ci fa consapevoli: "Senza di me non potete far nulla" (Gv 15,5), e c’incoraggia: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20)» (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 78).
Tuttavia, se questa certezza ci consola e ci tranquillizza, non ci esime dall’andare incontro agli altri. Dobbiamo vincere la tentazione di limitarci a ciò che ancora abbiamo, o riteniamo di avere, di nostro e di sicuro: sarebbe un morire a termine, in quanto presenza di Chiesa nel mondo, la quale, d’altronde, può soltanto essere missionaria nel movimento diffusivo dello Spirito. Sin dalle sue origini, il popolo cristiano ha avvertito con chiarezza l’importanza di comunicare la Buona Novella di Gesù a quanti non lo conoscevano ancora. In questi ultimi anni, è cambiato il quadro antropologico, culturale, sociale e religioso dell’umanità; oggi la Chiesa è chiamata ad affrontare nuove sfide ed è pronta a dialogare con culture e religioni diverse, cercando di costruire insieme ad ogni persona di buona volontà la pacifica convivenza dei popoli. Il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche; in effetti ci attendono non soltanto i popoli non cristiani e le terre lontane, ma anche gli ambiti socio-culturali e soprattutto i cuori che sono i veri destinatari dell’azione missionaria del popolo di Dio.
Si tratta di un mandato il cui fedele compimento «deve procedere per la stessa strada seguita da Cristo, la strada, cioè, della povertà, dell’obbedienza, del servizio e dell’immolazione di se stesso fino alla morte, da cui uscì vincitore con la sua risurrezione» (Decr. Ad gentes, 5). Sì! Siamo chiamati a servire l’umanità del nostro tempo, confidando unicamente in Gesù, lasciandoci illuminare dalla sua Parola: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Quanto tempo perduto, quanto lavoro rimandato, per inavvertenza su questo punto! Tutto si definisce a partire da Cristo, quanto all’origine e all’efficacia della missione: la missione la riceviamo sempre da Cristo, che ci ha fatto conoscere ciò che ha udito dal Padre suo, e siamo investiti in essa per mezzo dello Spirito, nella Chiesa. Come la Chiesa stessa, opera di Cristo e del suo Spirito, si tratta di rinnovare la faccia della terra partendo da Dio, sempre e solo da Dio!
Cari fratelli e amici di Porto, alzate gli occhi verso Colei che avete scelto come patrona della città, l’Immacolata Concezione. L’Angelo dell’annunciazione ha salutato Maria come «piena di grazia», significando con quest’espressione che il suo cuore e la sua vita erano totalmente aperti a Dio e, perciò, completamente invasi dalla sua grazia. Che Ella vi aiuti a fare di voi stessi un «sì» libero e pieno alla grazia di Dio, affinché possiate essere rinnovati e rinnovare l’umanità attraverso la luce e la gioia dello Spirito Santo.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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