Nell’ultima versione del decreto legge sulla cosiddetta “spending review”, la revisione della spesa dello Stato che comporterà un risparmio di 4,5 miliardi per il 2012 e di 10,5 miliardi per il 2013, gli aumenti delle tasse universitarie riguarderebbero tutti gli studenti e non solo quelli fuori corso come si era detto inizialmente.
Oggi, alle 10.30, il Senato dovrà votare (e si dovrebbe conoscere nei dettagli) quest’ultima versione del decreto, che comprende le modifiche contenute in un maxi emendamento e sulla quale ieri sera il governo ha posto la propria fiducia: «Pongo la fiducia sul testo con alcune modifiche di coordinamento», aveva annunciato poco prima della discussione il ministro per i rapporti con il Parlamento, Pietro Giarda. Nell’ambito delle “modifiche di coordinamento” rientrerebbero anche alcuni elementi di sostanza, come per esempio l’estensione dell’aumento delle tasse universitarie anche agli studenti in corso.
Lo ha spiegato ieri sera il presidente della Commissione bilancio del Senato, Antonio Azzollini, che ha esaminato il testo del decreto e dato la sua approvazione venerdì scorso. Il decreto sulla revisione della spesa pubblica contiene infatti alcuni interventi sulla scuola, compreso quello sulle tasse universitarie. Il testo uscito nei giorni scorsi dalla commissione Bilancio prevedeva la possibilità di alzare le tasse solo per i fuori corso in base a tre diverse classi di aumento stabilite su altrettante fasce di reddito: aumento del 25 per cento con un ISEE (reddito) familiare fino a 90 mila euro lordi l’anno, del 50 per cento fino a 150 mila, del 100 per cento oltre i 150 mila.
Il maxi emendamento avrebbe confermato queste regole, aggiungendo il fatto che l’aumento delle tasse diventa possibile anche per gli studenti in corso con il limite che per i primi tre anni a partire dall’anno accademico 2013-2014 e se il reddito familiare di tali studenti è medio-basso, cioè inferiore ai 40 mila euro lordi l’anno, questi rincari non potranno «essere superiori all’indice dei prezzi al consumo dell’intera collettività» .
Il Corriere della Sera spiega come quest’ultima versione (già ipotizzata dal governo e poi scartata «per dare all’intervento un significato non solo economico ma anche meritocratico») sia legata alle analisi fatte dalla Ragioneria generale dello Stato e dal ministero dell’Economia:
E qui bisogna guardare alle difficili condizioni delle università italiane. Attualmente ogni ateneo non può ottenere dalle tasse degli iscritti più del 20% di quello che riceve ogni anno dal ministero dell’Istruzione con il cosiddetto Ffo, il fondo di finanziamento ordinario. Il punto è che negli ultimi anni il Ffo è in costante calo e così anche le università che non hanno fatto salire le tasse hanno finito per violare quella regola. Solo pochi mesi fa un ateneo prestigioso come quello di Pavia è stato condannato dal Tar della Lombardia per aver sforato quella soglia dell’1,33%. E altre sentenze sarebbero arrivate a breve perché – secondo i calcoli dell’Udu, l’Unione degli universitari – una buona metà degli atenei italiani è nelle stesse condizioni. Per questo – sempre nel decreto sulla spending review – il governo ha tirato fuori dal calcolo di quel 20% le tasse pagate dagli studenti fuori corso. La speranza era che sarebbe stato sufficiente alzare quella parte del gettito, le tasse dei fuori corso, per mettere a posto i conti di un settore sempre più in sofferenza. Ma le cose non stanno così.
Inoltre, l’aumento del 100 per cento delle tasse per chi è fuori corso e ha un reddito familiare superiore ai 150 mila euro si applicherebbe solo a 30 mila persone e non garantirebbe alle università un’entrata sufficiente. Anche per questo l’aumento delle tasse sarebbe quindi stato esteso anche agli studenti in corso. Il nuovo provvedimento, se otterrà stamattina il voto del Senato, passerà alla Camera per essere convertito in legge giovedì o venerdì.
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