ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 03 febbraio 2010
Santa Sede
- Il Papa: nella Chiesa per servire il Vangelo, non per far carriera
- Consacrate e religiose testimoniano l'amore per la vocazione
- Direttore della Caritas Haiti: serve una ricostruzione a misura d'uomo
Notizie dal mondo
Italia
- I social network, un'oasi di pace per i pedofili
- Tra autonomia e autodeterminazione, contro la deriva eugenista
- I docenti delle Università di Roma rilanciano l'appello del Papa per la pace
- Società, economia, politica nella "Caritas in Veritate"
- Ciclo di conferenze a Roma sulle "Epifanie della Bellezza"
Interviste
- Haiti ha bisogno di cibo, alloggi e medicinali
- La Fondazione "Centesimus Annus" indica qual è l'economia virtuosa
Udienza del mercoledì
Santa Sede
Il Papa: nella Chiesa per servire il Vangelo, non per far carriera
All'Udienza generale parla di san Domenico di Guzman
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Coloro che “hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa” devono rifuggire dalla “tentazione della carriera e del potere”. Lo ha detto questo mercoledì Benedetto XVI all'Udienza generale, parlando di san Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, noti anche come Frati Domenicani.
Continuando quest'oggi nell'Aula Paolo VI il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa si è fermato a parlare di quest'Ordine religioso che ha saputo rinnovare profondamente la Chiesa del Medioevo.
San Domenico, ha ricordato il Pontefice nel tratteggiarne la biografia e le qualità spirituali, nacque in Spagna intorno al 1170. Da giovane della nobiltà castigliana che brillava nello studio delle Sacre Scritture, divenne un sacerdote brillante non curante dei privilegi e desideroso soltanto di servire la Chiesa “con dedizione e umiltà”.
“Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa?”, si è chiesto il Papa riflettendo sull'esempio di Domenico di Guzman.
“Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi – ha poi continuato –: ‘Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità’”.
In vita Domenico di Guzman si dedicò poi alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che disprezzava la materia fino a negare l’incarnazione di Cristo e che rigettava il lusso che caratterizzava alcuni esponenti del clero di allora.
Il suo zelo apostolico, ha continuato il Pontefice, ci ricorda che “nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione”.
“E' Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare!”, ha sottolineato.
In particolare, ha aggiunto, i “due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice” sono la vita comunitaria e lo studio, come dimostrarono i primi domenicani che scelsero di andare a formarsi nelle Università.
“Lo sviluppo della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli, di essere ben preparati – ha sottolineato –. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa ‘dimensione culturale’ della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa”.
Ricordando poi l'Anno Sacerdotale in corso, il Santo Padre ha invitato i seminaristi e i sacerdoti “a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate”.
Con la sua vita, ha detto infine il Papa, Domenico di Guzman ci indica “due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Il primo è la devozione mariana, specie attraverso il Rosario”, mentre il secondo è “la preghiera di intercessione”.
“Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso”, ha concluso.
Nei saluti al termine dell'Udienza generale, Benedetto XVI si è rivolto, fra gli altri, ai Vescovi che partecipano all'Incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, auspicando che i giorni “di riflessione e di preghiera siano fruttuosi per il ministero” di ciascuno.
Il Papa ha quindi rivolto anche un saluto agli acrobati cinesi del “Circo Americano”, della Famiglia Togni, che si sono esibiti nell'aula Paolo VI. Vi incoraggio, ha detto loro, “ad operare con generoso impegno” per “contribuire a costruire un futuro migliore per tutti”.
Infne, ricordando l'esempio dei martiri S. Biagio – di cui questo mercoledì ricorre la memoria liturgica -, sant’Agata, S. Paolo Miki e compagni giapponesi, il Papa ha invitato i giovani “ad aprire il cuore all’eroismo della santità”; i malati, “ad offrire il dono prezioso della preghiera e della sofferenza per la Chiesa”; e gli sposi novelli, ad attingere da loro “la forza di improntare le vostre famiglie ai valori cristiani”.
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Consacrate e religiose testimoniano l'amore per la vocazione
Dopo i Vespri a San Pietro nella Giornata della Vita Consacrata
di Carmen Elena Villa
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- I Vespri presieduti da Benedetto XVI questo martedì in occasione della Giornata Mondiale della Vita Consacrata sono diventati un'occasione di rinnovamento interiore e di condivisione con quanti, in base ai vari carismi, consacrano la propria vita a Dio e al servizio della Chiesa.
Con una presenza prevalentemente femminile, vari tipi e colori di abiti hanno riempito la Basilica di San Pietro, in una dimostrazione di come la Chiesa, corpo mistico di Cristo, con la diversità di accenti, nazionalità e carismi accolga e incoraggi quanti hanno risposto alla chiamata a vivere la vita consacrata.
Come ha sottolineato il Papa, la cui omelia ha ricevuto forti applausi da parte dei presenti, la celebrazione della vita consacrata ha un triplice significato: "innanzitutto lodare e ringraziare il Signore per il dono della vita consacrata; in secondo luogo, promuoverne la conoscenza e la stima da parte di tutto il Popolo di Dio; infine, invitare quanti hanno dedicato pienamente la propria vita alla causa del Vangelo a celebrare le meraviglie che il Signore ha operato in loro".
Dopo i Vespri, ZENIT ha parlato con alcune religiose di ciò che rappresenta per loro vivere la vocazione e del senso di questo incontro di fede. Alcune, restando fedeli al voto di obbedienza, si sono astenute dal rispondere dicendo che avrebbero avuto bisogno del permesso della loro superiora.
"Mi consacrerei di nuovo"
Per la religiosa colombiana María Lucía, la partecipazione ai Vespri ha significato "una cosa molto grande", perché è servita a far sì che le persone consacrate vivessero pienamente il fatto di "testimoniare la loro consacrazione nella Chiesa per il servizio degli altri".
"Essermi consacrata è molto importante perché è un modo più pieno di dedicarmi totalmente al Signore", ha aggiunto la religiosa, delle Domenicane di Nostra Signora di Nazareth.
Dal canto suo suor Leonela, delle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue, ha detto di sentirsi orgogliosa e felice della sua vocazione, nella quale "cerchiamo di testimoniare il Vangelo con tutte le nostre forze, donandoci agli ammalati, agli anziani, ai ragazzi ovunque ci troviamo".
Il carisma della sua comunità, ha spiegato, consiste nel riflettere in tutti gli atti la carità del Padre: "Dio Padre ci ha dato Gesù con amore, e il Cristo ha versato il suo preziosisimo sangue per la nostra salvezza".
"Sono felice di aver dato la mia vita al Signore. Sono entrata in congregazione in tenerissima età, però lo farei di nuovo, senza dubbio, con tutto il cuore e con tanta gioia, perché servire Dio nella gioia e nel sacrificio per amore è una cosa meravigliosa", ha aggiunto.
Era presente ai Vespri anche suor Yosa, della comunità del Divino Amore. E' peruviana e vive a Roma da sette anni; di recente si è recata nelle Filippine, dove ha vissuto una forte esperienza di evangelizzazione. Il carisma della sua comunità si basa sulla Regola di Sant'Agostino; le suore lavorano nella carità e nella promozione della donna.
"Essere qui, al cuore del cattolicesimo" è per lei "una benedizione". Molti fedeli lontani, ha sottolineato, "hanno voluto all'improvviso essere qui". Per questo motivo, ha visto nei Vespri un'occasione per "approfittare di questa opportunità, pregare per loro e pregare per il mondo, soprattutto per i poveri".
Per suor Maria dell'Anima Christi, della Famiglia del Verbo Incarnato, essere con il Papa è "davvero sentirsi al cuore della Chiesa". Nei Vespri ha scoperto come rinnovare ogni giorno la sua appartenenza a Gesù, come ha fatto Maria: "continuare a professare la povertà, la castità e l'obbedienza perché Gesù era povero, casto e obbediente".
La sua comunità si dedica all'evangelizzazione della cultura e vuole "riportare i criteri della fede nella società", ha indicato.
Ciò che l'ha più commossa nella cerimonia è stato l'atteggiamento orante di Papa Benedetto XVI: "L'ho visto in grande raccoglimento e ho voluto unirmi alle sue intenzioni - ha confessato -. Solo Dio sa cos'ha nel cuore, ma dobbiamo unire la nostra preghiera alla sua".
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Direttore della Caritas Haiti: serve una ricostruzione a misura d'uomo
Monsignor Pierre-André Dumas all'Udienza generale del Papa
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Il pilastro su cui ricostruire Haiti è la dignità della persona che deve prevalere su ogni altro interesse e sui tornaconti di parte”. E' quanto ha affermato il direttore della Caritas di Haiti, monsignor Pierre-André Dumas, dal 2008 primo Vescovo di Anse-à-Veau et Miragoâne.
Presente anche lui all'Udienza generale del mercoledì, secondo quanto riferito da “L'Osservatore Romano”, insieme ai presuli amici della Comunità di sant'Egidio ha voluto dire “grazie per l'immediato sostegno di preghiera e di carità” al Papa.
“Abbiamo ora l'opportunità di rimettere in piedi il nostro Paese con un volto diverso, con criteri di giustizia, gratuità e solidarietà”, ha aggiunto.
Sotto le macerie monsignor Dumas ha perso una nipotina di due anni e alcuni familiari.
“Tutte le nostre famiglie - ha raccontato - sono state colpite. Con commozione sto constatando che nonostante la tragedia ad Haiti si sta vivendo la speranza che il domani possa essere migliore del passato”.
“E c'è anche un riavvicinamento alla vita spirituale. L'aver perso tutto ci sta riportando all'essenziale e, dunque, alla dimensione trascendente – ha sottolineato il presule –. La Chiesa continuerà a fare il possibile per e con il popolo che sta vivendo un'esperienza di unità pur nel dolore”.
“Ci chiediamo - ha proseguito - quale sarà il futuro di Haiti. Una domanda che ci angoscia mentre dall'emergenza si sta passando alla ricostruzione. Le urgenze sono ora trovare case e cibo per i tanti che non hanno più niente. Ma è già il momento di progettare una ricostruzione giusta, almeno finché i riflettori resteranno accesi su di noi.
“Poi anche gli aiuti internazionali diminuiranno, inevitabilmente, e ricostruire sarà più difficile – ha riconosciuto –. Ecco perché stiamo cercando gemellaggi, penso alle diocesi statunitensi e tedesche, che potrebbero aiutarci a rifare le chiese inviandoci subito équipe di architetti”.
Per i Vescovi haitiani le nuove chiese saranno i segni di speranza per la rinascita, anche per i non credenti. Intanto, ha detto, “i nostri preti vivono nelle tende con la gente per dare speranza”.
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Notizie dal mondo
Francia: i Vescovi contrari a una legge contro il velo islamico
"Non risolverà la questione", afferma monsignor Santier
PARIGI, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Le donne musulmane sarebbero “ancora più emarginate” se in Francia si adottasse un disegno di legge contro il “velo integrale”, sostiene il presidente del Consiglio per i rapporti interreligiosi della Conferenza Episcopale Francese.
Monsignor Michael Santier ha pubblicato questo lunedì un comunicato sulle conclusioni della commissione dell'Assemblea nazionale incaricata di approfondire la questione del velo islamico integrale.
Nel testo, il Vescovo sottolinea che la missione parlamentare sul “velo integrale” “non ha ritenuto opportuno ascoltare l'opinione dei responsabili religiosi cristiani ed ebraici”, né di rispondere alla loro lettera al presidente della missione.
Invita anche “i cittadini francesi, e in primo luogo i cattolici”, a non “lasciarsi prendere dalla paura e dalla teoria dello scontro tra le civiltà”, ma a privilegiare la via del “dialogo” e del “rispetto reciproco”.
Secondo il rappresentante dell'episcopato, “la proposta di una risoluzione che abbia l'assenso dei responsabili del culto musulmano e, a quanto pare, di vari partiti politici può essere un atto importante”.
“Ho molte riserve su una legge che non risolverà la questione”, ha aggiunto il presule, avvertendo che “il risultato potrebbe essere contrario all'effetto desiderato e portare, per reazione, a un aumento del numero di donne che portano questo indumento”.
“Il Consiglio Nazionale di Culto Musulmano, attraverso il suo presidente, il signor Moussaoui, ha dichiarato chiaramente che il 'velo integrale' non è un segno religioso e che il Corano non chiede alle donne di portarlo”, ha ricordato.
“Deve prevalere il buonsenso – ha continuato –. Il numero di donne che portano il velo integrale è molto limitato, le decisioni prese non devono portare a stigmatizzare i credenti musulmani”.
Il comunicato indica che è “essenziale distinguere la maggioranza dei nostri cittadini musulmani, che chiede di poter praticare liberamente il proprio culto, da una minoranza che, in nome dell'islam, cerca di destabilizzare le democrazie”.
“Se vogliamo che i cristiani in situazione di minoranza nei Paesi a maggioranza musulmana dispongano di tutti i loro diritti – dichiara –, dobbiamo rispettare nel nostro Paese i diritti di tutti i credenti all'esercizio del loro culto”.
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Italia
I social network, un'oasi di pace per i pedofili
La denuncia dell'Associazione Meter contenuta nel Rapporto 2009
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La pedofilia è un crimine e uccide i bambini, ma non fa notizia. E mentre tutto questo accade nell’indifferenza generale, i pedofili si specializzano e trovano un proprio spazio “tranquillo” all’interno dei social network più trendy del momento.
Sono questi gli aspetti più preoccupanti che emergono dal Rapporto 2009 presentato il 2 febbraio nella sede nazionale di Avola (SR) dall’Associazione Meter (www.associazionemeter.org), fondata da don Fortunato Di Noto, che coordina 15 sportelli in Italia con 300 operatori a tutela dell’infanzia.
Una vera e propria emergenza sotto gli occhi di tutti: 51.290 siti segnalati in sei anni, 560 segnalazioni ricevute dalla hotline Meter e 2.668 chiamate al Numero verde nazionale, 824 casi al 2009 accompagnati presso il Centro di ascolto e accoglienza dell’Associazione e 120 convegni nel 2009.
Una risposta globale ad un fenomeno altrettanto globale. Un impegno, specialmente quello del monitoraggio online, svolto 24 ore su 24 in collaborazione con la Polizia Postale e delle Comunicazioni – Compartimento di Catania e con il Centro Nazionale di contrasto contro la pedofilia e la pedopornografia online (CNCPO) e con le varie Polizie estere.
Meter e la Polpost collaborano insieme grazie a una Convenzione siglata nel 2008 che consente a Meter di collaborare per un’azione comune di contrato della pedopornografia online e non solo a scopo repressivo, ma anche preventivo ed educativo (il 30% circa delle segnalazioni inserite nella blacklist sono della Meter).
Il 2009, boom di segnalazioni
Il 2009 ha visto un incremento dell’attività di segnalazione svolta dai volontari Meter. In particolare, nel corso dell’anno appena concluso sono state inviate 1.560 segnalazioni alla Polpost e alle Polizie estere, per un totale di 7.240 indirizzi (siti e riferimenti).
Una vera e propria esplosione, visto che nel 2008 le segnalazioni erano state solo 2.850. Anche l’Italia non è esente dal fenomeno di produzione e scambio del materiale pedopornografico, tanto che il 2009 ha visto la segnalazione di 51 indirizzi.
Come emerge dall’analisi delle segnalazioni, gli USA sono in testa all’entità delle segnalazioni con il 23% del totale, tallonati dalla Russia a quota 22%. Al terzo posto l’Europa, che si attesta – nel complesso – al 15%.
Questo basta a sfatare il mito dei paesi del “turismo pedofilo online”, un tempo tradizionalmente indicati nel Sudest asiatico. Anche nella “civile” Europa è dunque possibile produrre e smerciare “filmetti” sullo stupro di bambini da pochi giorni a 12 anni.
Questa cooperazione vede, per conto di Meter, l’attività dei suoi esperti che assicurano continuità metodologica tra le attività di monitoraggio e analisi dei fenomeni della Rete e le finalità investigative.
Soprattutto per quanto concerne la ricerca delle vittime della pedopornografia, Meter aiuta la Polpost – nel rispetto delle normative attualmente in vigore – nella ricerca e individuazione delle vittime di sfruttamento sessuale e produzione del materiale pedopornografico.
Non solo: Meter e Polpost collaborano insieme sulle attività di formazione funzionali alle finalità della Convenzione. Sono ben 560 le segnalazioni raccolte l’anno scorso grazie all’apposito form presente sul portale www.associazionemeter.org.
Un dato incoraggiante che mostra come il mondo virtuale stia prendendo lentamente coscienza del fatto che la rete non può essere un Far West telematico in cui chiunque possa fare qualsiasi cosa.
Social network e programmi di file sharing
Per il momento, i pedofili sembrerebbero aver trovato uno spazio privilegiato in cui agire nei social network. Nel 2009 Meter ha denunciato 851 comunità di pedofili: 509 segnalazioni su Ning (100 profili sequestrati e oscurati da Polpost italiana e USA), 39 su Youtube (su cui sono in corso indagini), 20 su Facebook (indagini in corso) e 5 per Netlog (anche qui indagini in corso), 278 per Grou.ps (anche qui indagini in corso).
Non mancano tra le segnalazioni quelle riguardanti il mondo del file sharing, il 60% delle indagini per detenzione, in alcuni casi produzione e divulgazione riguardano i maggiori strumenti di condivisione e scambio file in Rete. L’attività della Polpost è al momento in corso.
Infantofilia
Il 2009 è stato anche l’anno dell’infantofilia, questo nuovo trend che riguarda l’abbassamento ulteriore dell’età dei bimbi abusati da pochi giorni a due anni, in particolare nelle foto e nei video. Una piaga emergente che si è trasformata anche in un business con un giro d’affari tra 2,04 e 13,62 miliardi di euro, per un totale di 200.000 minori coinvolti ogni anno.
La speranza che non muore
“I numeri sono crudi, spesso asettici e non riescono a rendere tutto il dolore dietro questi dati”, spiega don Fortunato Di Noto.
“E’ stato un anno tremendo, ma la speranza non muore - dichiara il sacerdote -. Perché chi salva un bambino salva un mondo intero e ne abbiamo salvati tanti”.
“La nostra missione è ormai conosciuta in tutto il mondo – continua – tanto che il nostro esempio è studiato anche in Cina e la Polizia Giapponese ha richiesto un nostro contributo di studio per la formulazione di nuovi norme per il contrasto della pedofilia”.
“Ma non è questo a contare – precisa –, conta il fatto che dobbiamo continuare nella lotta contro un nemico sempre più subdolo”.
Poi lancia un appello: “Denunciate e rompete il silenzio, considerate i figli degli altri come figli vostri e non temete di intervenire con le vostre segnalazioni a Meter e Polpost se ritenete che certe situazioni possono portarvi a sospettare”.
“Quello che conta, però, è non perdere il coraggio e la voglia di andare avanti: il male esiste ma possiamo distruggerlo. Si richiede un patto educativo, bisogna partire dai nuovi nati digitali, difendendo e tutelando i già nati”, conclude.
[Il Rapporto 2009 è consultabile al sito www.associazionemeter.org]
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Tra autonomia e autodeterminazione, contro la deriva eugenista
di Claudia Navarini e Tommaso Scandroglio
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Martedì 9 febbraio prossimo, alle ore 9.00, presso l’Università Europea di Roma (via degli Aldobrandeschi 190), si terrà il congresso “Autonomia e autodeterminazione. Profili giuridici, etici e bioetici”, nell’ambito della Settimana delle Scienze Biomediche del Vicariato di Roma.
Nel corso del congresso sarà presentato anche il Progetto “Libertà, autonomia e autodeterminazione”, promosso dal Dipartimento di Didattica e di Ricerca in Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
I concetti di autonomia e di autodeterminazione sono ampiamente utilizzati nel dibattito pubblico, talora con significati differenti che li rendono equivoci.
Il convegno organizzato dall’Università Europea di Roma intende fare luce sui presupposti teorici di tali concetti, con una riflessione seria e argomentata che ne recuperi il nucleo semantico, e al tempo stesso ne delinei le principali implicazioni per l’agire sociale e per la cultura.
Molti sono i temi che verranno toccati. In primo luogo il tema del consenso informato, spesso concepito in modo astratto e bisognoso al contrario di essere riportato nella concretezza e nell’attualità della relazione medico-paziente.
Vi è poi il tema del rapporto fra autonomia e dignità umana: se l’autonomia, intesa sovente come unica espressione della libertà umana, è intesa come marca del valore della vita umana, nascerà fatalmente la tentazione di destituire di valore e di dignità tutti coloro che soffrono di un deficit di autonomia, con un crescente rischio di deriva eugenista.
In terzo luogo occorre puntualizzare le differenti angolature dei termini stessi: il concetto di autodeterminazione è stato utilizzato per secoli dalla filosofia morale come elemento caratterizzante della libertà umana, senza con ciò giungere alla pretesa di fondare (o ri-fondare) il senso dell’umanità e della legge naturale.
I lavori avranno anche l’obiettivo di posare lo sguardo sulle prospettive legislative in tema di dichiarazioni anticipate di trattamento, per osservare quali requisiti fondamentali debba tutelare un stato di diritto al fine di porsi realmente a servizio della vita umana.
Il convegno tenterà altresì di mettere in evidenza quale configurazione assume il principio di autodeterminazione nel nostro ordinamento giuridico in relazione soprattutto al bene “vita”. In modo induttivo possiamo asserire che l’ordinamento giuridico italiano considera il bene “vita” come un bene indisponibile.
Ciò è confermato in prima battuta dagli artt. 579 e 580 c.p che sanzionano rispettivamente l’omicidio del consenziente e l’istigazione e aiuto al suicidio.
Se le leggi italiane ritenessero la vita bene disponibile questi articoli del Codice penale non avrebbero ragione di esistere.
Giustamente non è sanzionato penalmente il tentato suicidio perché il legislatore ha ben compreso che lo strumento della repressione penale in questo caso sarebbe inefficace ed anzi peggiorerebbe la stato psicologico di colui che aveva in animo di togliersi la vita.
La mancanza di una risposta punitiva dello Stato non sta a significare, in questo caso, la liceità della condotta, né l’indifferenza dell’ordinamento giuridico verso questa fattispecie.
Bensì esprime la tolleranza dello Stato verso un comportamento dannoso per sé e per la comunità che abbisogna non di uno strumento repressivo, ma di altri percorsi più rispondenti ai profili specifici del caso.
La traduzione degli articoli sopra citati – artt. 579 e 580 c.p. – in termini eutanasici ed esemplificativi potrebbe essere la seguente. Il medico pratica una iniezione letale, es. barbiturico e cloruro di potassi (omicidio del consenziente).
Oppure: il medico consegna il farmaco letale al paziente e questi si inietterà da sé la sostanza che lo porterà alla morte (aiuto al suicidio). Il medico interrompe attivamente con il consenso del malato quelle cure che potrebbero permettergli di continuare a vivere, assumendo una condotta fattivamente collaborativa (omicidio del consenziente).
L’articolo 50 c.p. non viene poi in soccorso dei sostenitori della dolce morte: «Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne».
Infatti è lo stesso articolo che esplicitamente ci dice che la lesione del diritto può avvenire unicamente su beni disponibili («che può validamente disporne»), e non riguarda i beni indisponibili. Sarebbe una contraddizione in termini disporre di beni indisponibili.
Qualche lettore, in risposta alle argomentazioni esposte sin qui, potrebbe obiettare citando l’articolo 32 secondo comma della Costituzione: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.[…]».
In genere questo articolo viene erroneamente inteso come salvacondotto per l’eutanasia omissiva. La risposta a tale obiezione si articola almeno in due direzioni.
Innanzitutto si deve ricordare il contesto in cui venne alla luce tale articolo. La data della firma della Costituzione – 27 Dicembre 1947 – ci rammenta che gli echi della Seconda Guerra Mondiale non si erano ancora spenti nell’Europa appena pacificata.
Nella memoria dei padri della Costituzione era ancora vivo il ricordo delle aberrazioni perpetrate dal regime nazionalsocialista su ebrei, cristiani, zingari, omosessuali e malati psichici.
Tra questi scempi spiccavano le famigerate sperimentazioni cliniche a scopo eugenetico. Nelle aule della costituente risuonava quindi come un imperativo categorico il divieto di sottoporre ad interventi a carattere clinico i pazienti senza loro consenso.
Così infatti si conclude l’art. 32: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Ben lungi dalle intenzioni dei costituenti perciò un avvallo seppur tacito all’eutanasia omissiva: semmai tutto il contrario.
Infatti nell’art. 32 risplende tutta la profonda consapevolezza del valore altissimo della vita umana che non può essere mai sfruttata per fini utilitaristici, vita a cui occorre accostarsi con rispetto e prudenza.
In seconda battuta l’art. 32 non è un prodromo dell’eutanasia omissiva, né un inno al principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto. Infatti l’articolo stesso precisa che nessun individuo può essere obbligato a sottoporsi a cure «se non per disposizione di legge».
Ciò ci fa intendere che il principio di autodeterminazione non è assoluto ma incontra dei limiti. Uno di questi limiti è posto addirittura dal dettato legislativo. Infatti un soggetto può essere sottoposto coattivamente, a norma di legge, a vaccinazioni obbligatorie o a trattamenti psichiatrici obbligatori.
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I docenti delle Università di Roma rilanciano l'appello del Papa per la pace
Dichiarazione firmata da 170 di loro
I docenti, tra cui figurano anche presidi di facoltà, appartengono ad atenei pontifici, ecclesiastici, cattolici e statali e rappresentano varie aree di ricerca, in particolare Ingegneria, Medicina, Diritto ed Economia.
"Le parole 'custodire' e 'coltivare' utilizzate dal Santo Padre richiamano l'attenzione dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà sulla necessità di un impegno della comunità scientifica per 'fornire soluzioni soddisfacenti ed armoniose alla relazione tra l'uomo e l'ambiente' anche per arginare i rischi potenziali di un uso improprio delle risorse naturali e ambientali rispetto alla pacifica convivenza", scrivono nel documento.
I firmatari confermano poi l'impegno per la "promozione di una nuova cultura della convivenza umana fondata sulla centralità della persona", dicendosi convinti che scienza e tecnologia "possono contribuire ad una più consapevole dinamica del processo di sviluppo sociale ed economico, più attenta alla sostenibilità, alla salvaguardia della biodiversità e alle esigenze ed aspettative delle persone, con uno spirito di rinnovamento culturale consapevole dei diritti, ma anche dei doveri di ciascuno".
Auspicando "nuovi più elevati livelli di efficienza e di compatibilità ambientale", i docenti affermano quindi che "gli standard più elevati non devono limitare o frenare lo sviluppo dei Paesi più poveri ai quali deve essere assicurata la collaborazione allo sviluppo oltre che l'accesso alle tecnologie pulite".
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Società, economia, politica nella "Caritas in Veritate"
Al centro di un Convegno svoltosi all'Università di Padova
di Antonio Gaspari
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Il vero sviluppo dell’uomo passa nella scoperta del progetto di Dio su di noi e nell’amare i fratelli nella verità del progetto di Dio”. Con queste parole monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, ha concluso il suo intervento venerdì 29 gennaio nell’aula magna dell’Università di Padova.
Il convegno dal titolo “Società, economia, politica nella Caritas in Veritate” ha visto la partecipazione e gli interventi di: Giuseppe Zaccaria, del rettore dell’Università di Padova; Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo; Pierluigi Bersani, segretario nazionale del Partito Democratico; Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà; e Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali.
L'incontro è stato organizzato dall’associazione Rosmini in collaborazione con Centro giovanile Antonianum, Centro Universitario Padovano, Collegio universitario Forcellini, Collegio universitario Murialdo, Compagnia delle Opere del Veneto, Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci), Istituto Filosofico Aloisianum, Istituto Romano Bruni, Lista studentesca Ateneo Studenti, Pastorale Sociale e del Lavoro - Diocesi di Padova, e Pastorale Universitaria - Diocesi di Padova.
Monsignor Crepaldi ha ricordato che la Dottrina sociale della Chiesa “consiste nell’annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società, e sente il bisogno di incontrare l’università, ossia il sapere e i saperi”, perchè – ha aggiunto citando la Fides et ratio – “questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio dell’era cristiana”.
“Non si tratta solo di una esigenza epistemologica - ha continuato -, si tratta invece dell’uomo e del suo bene” perché “il cristianesimo è la fede nel Dio dal volto umano”.
Citando gli interventi del Pontefice Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Trieste ha ricordato che i cattolici credono “in quel Dio che è Spirito creatore, Ragione creativa” e “questa Ragione creativa è Bontà, è Amore”.
Per questo motivo “la ragione può parlare di Dio, deve anzi parlare di Dio, se non vuole amputare se stessa”.
Secondo monsignor Crepaldi, “lo sviluppo stesso dell’uomo quindi richiede l’incontro tra la fede e la ragione e la Dottrina sociale della Chiesa si trova proprio in questo punto di incontro”.
In questo contesto la “'Caritas in Veritate' spiega che Lo sviluppo non è la semplice crescita: lo sviluppo diventa possibile in vista di un fine che ci viene incontro e ci attrae”
A questo proposito l’Arcivescovo di Trieste ha ripreso un altro passaggio di Benedetto XVI il quale al College del Bernardins ha detto che “i monaci cercavano Dio, ma così facendo hanno anche sviluppato la grammatica della convivenza umana”; mentre nell’enciclica “Spe salvi” si cita San Bernardo di Chiaravalle, secondo il quale “nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire la dove le anima inselvatichiscono” .
“La collaborazione tra la scienza e la fede cristiana nell’orizzonte della Dottrina sociale della Chiesa - ha sottolineato monsignor Crepaldi - ha anche l’effetto positivo di farci guidare nelle tematiche dello sviluppo da un sano realismo piuttosto che dalle prospettive ideologiche”.
E “ascoltare il sapere e i saperi è importante per la carità, perché possa essere vera” perché “non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore”.
In conclusione l’Arcivescovo di Trieste ha affermato che “questa 'armonia' risulta particolarmente evidente nella 'Caritas in veritate' quando essa enuncia il principio secondo il quale la gratuità e il dono non si aggiunge solo dopo l’attività economica ma le deve riguardare fin dall’inizio”.
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Ciclo di conferenze a Roma sulle "Epifanie della Bellezza"
Incontri per scoprire Dio nell'arte al Centro Russia Ecumenica
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il Centro Russia Ecumenica presenta a Roma un ciclo di otto conferenze sulle “Epifanie della Bellezza”, una per ogni giovedì dei mesi di febbraio e marzo.
“Sono 33 anni esatti che il Centro Russia Ecumenica diffonde in tanti modi la conoscenza delle ricchezze e bellezze dell'Oriente Cristiano. Quest'anno lo fa con un ciclo di otto incontri”, spiega il direttore, padre Sergio Mercanzin.
“Cinque autorevoli studiosi e tre dei migliori maestri iconografi presenti in Italia parleranno di liturgia, di simboli, di inni, di icone”, informa il direttore del Centro situato nel Borgo Pio, a due passi del Vaticano.
Il ciclo si apre giovedí, 4 febbraio, alle ore 17.00, con una conferenza della docente Maria Giovanna Muzj “sull'affascinante tema della Settimana Santa in Oriente”, spiega padre Mercanzin.
“Una studiosa di fama mondiale, Barbara Frale, parlerà della sindone e del suo misterioso rapporto con le icone”.
“Il professore John Lindsay Opie, noto iconologo, farà criticamente una scelta tra verità e falsità che vengono dette sulle icone”.
“Il maestro iconografo greco, Stefano Armakolas, brillante conversatore, parlerà della doratura nell'iconografia un dettaglio, a prima vista, che si rivela invece un campo immenso, ricco di sorprese”, spiega ancora il direttore di Russia Ecumenica.
“Due maestri iconografi italiani, Paolo Orlando e Ivan Polverari, parleranno di simboli e colori delle icone”, mentre “il mariologo padre Ermanno Toniolo illustrerà l'Akathistos, il più bello e famoso inno mariano inventato e recitato continuamente dai cristiani orientali”.
Infine il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, chiuderà il ciclo il professore Gaetano Passarelli, con il tema del giorno: “l'Annunciazione e le infinite icone che la rappresentano da sempre”.
“Per dare un titolo a un ciclo così ricco e vario ho avuto l'ispirazione di prendere a prestito un'espressione di Benedetto XVI: 'epifanie della bellezza', un'espressione pronunciata nel suo discorso agli artisti il 21 novembre scorso”, ha confessato a ZENIT padre Mercanzin.
“Anche Benedetto XVI l'ha a sua volta presa in prestito: da Giovanni Paolo II. Si trova infatti nella lettera che il grande suo predecessore ha scritto agli artisti di tutto il mondo per l'anno santo del 2000”.
“Sono infinite le vie che portano a Dio, una speciale è la 'via pulchritudinis'. E' quella che il Centro Russia Ecumenica propone in questi 8 incontri”, conclude padre Mercanzin.
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Interviste
Haiti ha bisogno di cibo, alloggi e medicinali
Testimonianza di fr. Manuel Rivero, vicario provinciale dei Domenicani nel Paese
di Marine Soreau
SAN PAOLO, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- L'urgenza maggiore per Haiti dopo il devastante terremoto del 12 gennaio scorso è affrontare le "necessità essenziali di cibo, alloggio e medicinali".
Fr. Manuel Rivero, O.P., vicario provinciale dei Domenicani ad Haiti, ha spiegato a ZENIT la vita quotidiana della sua comunità e gli sforzi della Famiglia Domenicana, a livello internazionale, per aiutare la ricostruzione del Paese devastato.
Descrive anche la grande fede degli haitiani, che "non smettono di pregare".
Dopo il terribile terremoto che ha devastato Haiti com'è la vita quotidiana della comunità domenicana?
Fr. Manuel Rivero: La vita quotidiana dei fratelli e delle sorelle consiste nell'occuparsi dei feriti, dei morti e degli scomparsi, delle loro famiglie e delle persone a loro vicine: bambini delle scuole, docenti, famiglie dei quartieri poveri...
Come tutti, i fratelli e le sorelle trascorrono il giorno e la notte fuori casa perché le abitazioni potrebbero crollare in caso di nuove scosse.
Le suore domenicane hanno accolto altre suore infermiere e psicologhe per aiutare la popolazione.
Abbiamo ricevuto dalla Famiglia Domenicana della Repubblica Dominicana medicinali e cibo grazie all'associazione Vera Paz.
In questo momento ci sono segni visibili di un inizio di ricostruzione?
Fr. Manuel Rivero: Per il momento bisogna affrontare le necessità essenziali di cibo, alloggio e medicinali.
Non ci sono abbastanza tende per accogliere le centinaia di migliaia di persone rimaste senza un tetto.
Che funzione hanno la Chiesa e la vostra comunità?
Fr. Manuel Rivero: La Chiesa e la Famiglia Domenicana lavorano a livello internazionale per aiutare la ricostruzione del Paese.
Attualmente mi trovo in Brasile, dove sono riuniti i fratelli e le sorelle domenicani dell'America Latina, che riflettono insieme per aiutare meglio l'Ordine di Santo Domingo e la Chiesa di Haiti a breve, medio e lungo termine.
Si tratta di un aiuto non solo economico, ma anche umano e spirituale. La Chiesa, mistero di comunione, è fonte di speranza per il popolo haitiano.
Sente che Dio è presente in tutta questa sofferenza?
Fr. Manuel Rivero: Di fronte alla sofferenza e alla morte provocate dal sisma, l'uomo deve scegliere tra l'assurdo e il mistero.
Gli haitiani, credenti, non smettono di pregare. In Europa molti dicono di non comprendere questo gesto di fede: "Perché pregano, se Dio non ha fatto nulla per evitare il dolore e la morte?".
Per la maggior parte degli haitiani, Dio non ha preso parte a questa catastrofe. Al contrario, Gesù Cristo continua a difendere la sua Chiesa. Durante le scosse successive al grande terremoto, si elevava una preghiera al cielo: "Gesù! Gesù!".
Come vede il futuro, e come possiamo contribuire?
Fr. Manuel Rivero: La solidarietà e l'amicizia tra i popoli sono fonte di speranza. La cosa peggiore sarebbe sentirisi abbandonati. Ma non è questo il caso!
Chi vuole aiutarci può vedere come farlo sulla pagina web della Curia dell'Ordine dei Predicatori: http://curia.op.org/es/.
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La Fondazione "Centesimus Annus" indica qual è l'economia virtuosa
La Dottrina Sociale della Chiesa si diffonde negli ambienti economici
ROMA, mercoledì, 3 febbraio 2010 (ZENIT.org).- L'Enciclica Caritas in Veritate ha suscitato un enorme interesse nella comunità economica, finanziaria e lavorativa del mondo intero.
In particolare, stanno giungendo a Roma sempre più domande per conoscere e approfondire la Dottrina Sociale della Chiesa cattolica.
Per avere un'idea di cosa sta accadendo, ZENIT ha intervistato Domingo Sugranyes Bickel, neo Presidente del Consiglio d'Amministrazione della Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice.
Domingo Sugranyes Bickel, di nazionalità spagnola, è nato a Friburgo (Svizzera), dove si è laureato in Scienze Economiche e Politiche. Sposato, ha 3 figli e 7 nipoti, e attualmente risiede a Madrid. Prima della sua nomina era vicepresidente della Fondazione.
Dal 1969 fa parte dell'International Christian Union of Business Executives (UNIAPAC), della quale è stato segretario generale dal 1974 al 1981 e presidente dal 1997 al 2000. Ha ricoperto vari incarichi tra Londra, Barcellona, Roma e Ginevra. Dal 1981 lavora a Madrid per la MAPFRE, la prima compagnia assicurativa spagnola, nella quale ha avuto varie cariche, tra cui quella di vicepresidente esecutivo della Corporación MAPFRE.
Attualmente è membro del Board della Fondazione MAPFRE e del Comitato di Controllo del Gruppo, oltre ad essere membro del Board della Società Cattolica di Assicurazione di Verona. E' anche impegnato in iniziative come il Forum Cristianismo y Sociedad (Fondazione Paolo VI, Madrid) e l'Observatoire de la Finance (Ginevra).
Dottrina Sociale della Chiesa e mondo economico finanziario: quali strade seguire per fare in modo che il Magistero sociale sia sempre più un punto di riferimento per gli operatori economici?
Domingo Sugranyes: La Dottrina Sociale della Chiesa non è fortunatamente un libro di ricette, ma una fonte di riflessione e di ispirazione. I testi del Magistero richiedono dagli operatori economici in primo luogo uno sforzo personale di cambiamento nel modo di vedere gli obiettivi e le modalità del proprio agire. E' un invito che le Encicliche rivolgono ai credenti e "a tutti gli uomini di buona volontà". Non esistono scorciatoie che permettano di "applicare" la Dottrina Sociale senza questo lungo cammino personale.
Su questa linea, la Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice continuerà ad apportare il proprio contributo allo sforzo di diffusione e discussione indispensabile per aumentare l'influenza della Dottrina Sociale negli ambienti economici.
Il pensiero del Santo Padre in materia economica e sociale gode attualmente di una crescente autorità perché sottolinea instancabilmente la centralità della persona umana e la grandezza di un lavoro partecipativo per il bene comune, una linea di pensiero, molto lontana dalle visioni meccaniche o deterministiche dell'economia, che affronta oggi una profonda aspirazione della società e conferma le conclusioni empiriche di molti economisti.
La risposta alla sua domanda è quindi semplice: bisogna far conoscere il "tesoro nascosto" rappresentato dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dibattere su questo tema in gruppi di responsabili economici per trarre dal loro studio conclusioni teoriche e pratiche. E' questo che cerca di fare la Fondazione.
La Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice, con i suoi 500 soci presenti in una decina di Paesi, è una realtà internazionale capace di osservare i fenomeni che caratterizzano le dinamiche dell'economia mondiale. Qual è l'opera che la Fondazione svolge per sensibilizzare gli imprenditori?
Domingo Sugranyes: In primo luogo, cerchiamo di far sì che il numero dei soci continui ad aumentare e che l'ambito abbracciato dalla Fondazione si estenda ad altri Paesi.
Per convincere gli imprenditori è necessario avvicinarsi alle loro preoccupazioni; in questo contesto, l'Enciclica Caritas in Veritate ci offre alcuni orientamenti estremamente interessanti sul ruolo ampliato dell'iniziativa imprenditoriale, che non è mai stata determinata meccanicamente dal mero desiderio di benefici a breve termine (le logiche dell'imprenditore e dell'investitore passivo sono piuttosto diverse), ma che oggi si deve arricchire con nuove aspettative e nuove dimensioni del bene comune, in cui possano confluire le "leggi" del mercato e della politica con motivazioni caratterizzate dal dono e dalla gratuità.
Per comprendere in profondità questi orientamenti e tradurli in termini concreti di dinamica economica, contiamo da un lato sui nostri consulenti spirituali, dall'altro su un gruppo internazionale di studiosi riuniti in un Comitato Scientifico presieduto da un prestigioso economista italiano, il professor Quadrio Curzio, vicepresidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei. I lavori che ne derivano sono resi noti nei Convegni internazionali della Fondazione e in numerosi atti organizzati dai soci a livello nazionale o locale.
Formare le coscienze secondo una prospettiva cristiana è un compito molto importante che la Fondazione svolge fin dalla sua nascita. Quali sono i programmi e gli obiettivi che intende perseguire in questo ambito durante il suo mandato?
Domingo Sugranyes: I soci della Fondazione assumono l'obbligo di formarsi nella Dottrina Sociale della Chiesa. In Italia hanno la possibilità di farlo nei corsi organizzati dalla Fondazione insieme alla Pontificia Università Lateranense. In altri Paesi esistono altre istituzioni che forniscono questo tipo di formazione, e la Fondazione ha previsto di stabilire nei prossimi anni accordi con queste realtà per costituire una rete di centri di formazione a disposizione dei soci.
Allo stesso modo, sono utili a questo scopo le riunioni regolari dei soci con gli assistenti spirituali della Fondazione nominati nei vari Paesi dalle Conferenze Episcopali. Oltre alla formazione teorica, la Fondazione persegue un altro obiettivo statutario più concreto: raccogliere fondi per sostenere opere o istituzioni scelte dal Santo Padre o che egli sottopone alla nostra attenzione. In questo modo per i soci c'è anche un dovere di impegno materiale.
In quali altri ambiti si orienterà la sua azione?
Domingo Sugranyes: Sulla linea descritta, per espressa indicazione del Santo Padre attraverso il Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), Sua Eminenza il Cardinale Attilio Nicora, al quale la Fondazione fa riferimento, cercheremo di sostenere materialmente un'altra istituzione vaticana, il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica (PISAI).
Si tratta di un istituto di altissimo valore accademico che prepara laici e religiosi destinati a conoscere e a comprendere in profondità il mondo arabo e l'islam. Il PISAI ha più di 100 anni di vita ed è conosciuto e rispettato anche in ambienti islamici. Ci è stato chiesto di aiutare i suoi responsabili a modernizzare le strutture e a fornire borse di studio. Ci avviciniamo quindi anche a un campo di enorme interesse nel mondo attuale: il dialogo interreligioso sulle questioni di etica economica e sociale.
Il primo rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel mondo, pubblicato dall'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla DSC, ha ricordato le tante iniziative per la diffusione del Compendio della DSC. La Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice è nata proprio per questo. Può spiegare le iniziative e l'impegno della Fondazione in questo ambito?
Domingo Sugranyes: Tutti i nostri sforzi saranno orientati a far conoscere la Dottrina e a far riflettere gli eminenti esperti di economia e di etica sociale con i nostri soci, per trarre conseguenze e un rinnovato impegno. Ma non siamo soli! Fortunatamente nel mondo ci sono molte iniziative che operano nella stessa direzione e c'è molto da fare per tutti, cercando l'arricchimento che deriva da esperienze così varie.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Udienza del mercoledì
Benedetto XVI riflette sugli insegnamenti di san Domenico di Guzman
Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di san Domenico di Guzman.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
la settimana scorsa ho presentato la luminosa figura di Francesco d’Assisi, quest’oggi vorrei parlarvi di un altro santo che, nella stessa epoca, ha dato un contributo fondamentale al rinnovamento della Chiesa del suo tempo. Si tratta di san Domenico, il fondatore dell’Ordine dei Predicatori, noti anche come Frati Domenicani.
Il suo successore nella guida dell’Ordine, il beato Giordano di Sassonia, offre un ritratto completo di san Domenico nel testo di una famosa preghiera: "Infiammato dello zelo di Dio e di ardore soprannaturale, per la tua carità senza confini e il fervore dello spirito veemente ti sei consacrato tutt’intero col voto della povertà perpetua all’osservanza apostolica e alla predicazione evangelica". E’ proprio questo tratto fondamentale della testimonianza di Domenico che viene sottolineato: parlava sempre con Dio e di Dio. Nella vita dei santi, l’amore per il Signore e per il prossimo, la ricerca della gloria di Dio e della salvezza delle anime camminano sempre insieme.
Domenico nacque in Spagna, a Caleruega, intorno al 1170. Apparteneva a una nobile famiglia della Vecchia Castiglia e, sostenuto da uno zio sacerdote, si formò in una celebre scuola di Palencia. Si distinse subito per l’interesse nello studio della Sacra Scrittura e per l’amore verso i poveri, al punto da vendere i libri, che ai suoi tempi costituivano un bene di grande valore, per soccorrere, con il ricavato, le vittime di una carestia.
Ordinato sacerdote, fu eletto canonico del capitolo della Cattedrale nella sua diocesi di origine, Osma. Anche se questa nomina poteva rappresentare per lui qualche motivo di prestigio nella Chiesa e nella società, egli non la interpretò come un privilegio personale, né come l’inizio di una brillante carriera ecclesiastica, ma come un servizio da rendere con dedizione e umiltà. Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa, durante la consacrazione di alcuni Vescovi: "Non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità" (Omelia. Cappella Papale per l’Ordinazione episcopale di cinque Ecc.mi Presuli, 12 Settembre 2009).
Il Vescovo di Osma, che si chiamava Diego, un vero e zelante pastore, notò ben presto le qualità spirituali di Domenico, e volle avvalersi della sua collaborazione. Insieme si recarono nell’Europa del Nord, per compiere missioni diplomatiche affidate loro dal re di Castiglia. Viaggiando, Domenico si rese conto di due enormi sfide per la Chiesa del suo tempo: l’esistenza di popoli non ancora evangelizzati, ai confini settentrionali del continente europeo, e la lacerazione religiosa che indeboliva la vita cristiana nel Sud della Francia, dove l’azione di alcuni gruppi eretici creava disturbo e l’allontanamento dalla verità della fede. L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mète apostoliche che Domenico si propose di perseguire. Fu il Papa, presso il quale il Vescovo Diego e Domenico si recarono per chiedere consiglio, che domandò a quest’ultimo di dedicarsi alla predicazione agli Albigesi, un gruppo eretico che sosteneva una concezione dualistica della realtà, cioè con due principi creatori ugualmente potenti, il Bene e il Male. Questo gruppo, di conseguenza, disprezzava la materia come proveniente dal principio del male, rifiutando anche il matrimonio, fino a negare l’incarnazione di Cristo, i sacramenti nei quali il Signore ci "tocca" tramite la materia, e la risurrezione dei corpi. Gli Albigesi stimavano la vita povera e austera – in questo senso erano anche esemplari – e criticavano la ricchezza del Clero di quel tempo. Domenico accettò con entusiasmo questa missione, che realizzò proprio con l’esempio della sua esistenza povera e austera, con la predicazione del Vangelo e con dibattiti pubblici. A questa missione di predicare la Buona Novella egli dedicò il resto della sua vita. I suoi figli avrebbero realizzato anche gli altri sogni di san Domenico: la missione ad gentes, cioè a coloro che ancora non conoscevano Gesù, e la missione a coloro che vivevano nelle città, soprattutto quelle universitarie, dove le nuove tendenze intellettuali erano una sfida per la fede dei colti.
Questo grande santo ci rammenta che nel cuore della Chiesa deve sempre bruciare un fuoco missionario, il quale spinge incessantemente a portare il primo annuncio del Vangelo e, dove necessario, ad una nuova evangelizzazione: è Cristo, infatti, il bene più prezioso che gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo hanno il diritto di conoscere e di amare! Ed è consolante vedere come anche nella Chiesa di oggi sono tanti – pastori e fedeli laici, membri di antichi ordini religiosi e di nuovi movimenti ecclesiali – che con gioia spendono la loro vita per questo ideale supremo: annunciare e testimoniare il Vangelo!
A Domenico di Guzman si associarono poi altri uomini, attratti dalla stessa aspirazione. In tal modo, progressivamente, dalla prima fondazione di Tolosa, ebbe origine l’Ordine dei Predicatori. Domenico, infatti, in piena obbedienza alle direttive dei Papi del suo tempo, Innocenzo III e Onorio III, adottò l’antica Regola di sant’Agostino, adattandola alle esigenze di vita apostolica, che portavano lui e i suoi compagni a predicare spostandosi da un posto all’altro, ma tornando, poi, ai propri conventi, luoghi di studio, preghiera e vita comunitaria. In particolar modo, Domenico volle dare rilievo a due valori ritenuti indispensabili per il successo della missione evangelizzatrice: la vita comunitaria nella povertà e lo studio.
Anzitutto, Domenico e i Frati Predicatori si presentavano come mendicanti, cioè senza vaste proprietà di terreni da amministrare. Questo elemento li rendeva più disponibili allo studio e alla predicazione itinerante e costituiva una testimonianza concreta per la gente. Il governo interno dei conventi e delle provincie domenicane si strutturò sul sistema di capitoli, che eleggevano i propri Superiori, confermati poi dai Superiori maggiori; un’organizzazione, quindi, che stimolava la vita fraterna e la responsabilità di tutti i membri della comunità, esigendo forti convinzioni personali. La scelta di questo sistema nasceva proprio dal fatto che i Domenicani, come predicatori della verità di Dio, dovevano essere coerenti con ciò che annunciavano. La verità studiata e condivisa nella carità con i fratelli è il fondamento più profondo della gioia. Il beato Giordano di Sassonia dice di san Domenico: "Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano" (Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum autore Iordano de Saxonia, ed. H.C. Scheeben, [Monumenta Historica Sancti Patris Nostri Dominici, Romae, 1935]).
In secondo luogo, Domenico, con un gesto coraggioso, volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica, e non esitò a inviarli nelle Università del tempo, anche se non pochi ecclesiastici guardavano con diffidenza queste istituzioni culturali. Le Costituzioni dell’Ordine dei Predicatori danno molta importanza allo studio come preparazione all’apostolato. Domenico volle che i suoi Frati vi si dedicassero senza risparmio, con diligenza e pietà; uno studio fondato sull’anima di ogni sapere teologico, cioè sulla Sacra Scrittura, e rispettoso delle domande poste dalla ragione. Lo sviluppo della cultura impone a coloro che svolgono il ministero della Parola, ai vari livelli, di essere ben preparati. Esorto dunque tutti, pastori e laici, a coltivare questa "dimensione culturale" della fede, affinché la bellezza della verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata e anche difesa. In quest’Anno Sacerdotale, invito i seminaristi e i sacerdoti a stimare il valore spirituale dello studio. La qualità del ministero sacerdotale dipende anche dalla generosità con cui ci si applica allo studio delle verità rivelate.
Domenico, che volle fondare un Ordine religioso di predicatori-teologi, ci rammenta che la teologia ha una dimensione spirituale e pastorale, che arricchisce l’animo e la vita. I sacerdoti, i consacrati e anche tutti i fedeli possono trovare una profonda "gioia interiore" nel contemplare la bellezza della verità che viene da Dio, verità sempre attuale e sempre viva. Il motto dei Frati Predicatori - contemplata aliis tradere – ci aiuta a scoprire, poi, un anelito pastorale nello studio contemplativo di tale verità, per l’esigenza di comunicare agli altri il frutto della propria contemplazione.
Quando Domenico morì nel 1221, a Bologna, la città che lo ha dichiarato patrono, la sua opera aveva già avuto grande successo. L’Ordine dei Predicatori, con l’appoggio della Santa Sede, si era diffuso in molti Paesi dell’Europa a beneficio della Chiesa intera. Domenico fu canonizzato nel 1234, ed è lui stesso che, con la sua santità, ci indica due mezzi indispensabili affinché l’azione apostolica sia incisiva. Anzitutto, la devozione mariana, che egli coltivò con tenerezza e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà. In secondo luogo, Domenico, che si prese cura di alcuni monasteri femminili in Francia e a Roma, credette fino in fondo al valore della preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Solo in Paradiso comprenderemo quanto la preghiera delle claustrali accompagni efficacemente l’azione apostolica! A ciascuna di esse rivolgo il mio pensiero grato e affettuoso.
Cari fratelli e sorelle, la vita di Domenico di Guzman sproni noi tutti ad essere ferventi nella preghiera, coraggiosi a vivere la fede, profondamente innamorati di Gesù Cristo. Per sua intercessione, chiediamo a Dio di arricchire sempre la Chiesa di autentici predicatori del Vangelo.
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i Vescovi partecipanti all'incontro internazionale promosso dalla Comunità di sant'Egidio, ed auspico che questi giorni di riflessione e di preghiera siano fruttuosi per il ministero che ciascuno è chiamato a svolgere nella propria Diocesi. Saluto i rappresentanti dell’Unione sportiva "Anagni Calcio" e gli artisti del "Circo Americano", della Famiglia Togni, e li incoraggio ad operare con generoso impegno nei rispettivi ambiti per contribuire a costruire un futuro migliore per tutti.
Desidero, infine, indirizzare il mio pensiero a voi, cari giovani, malati e sposi novelli. Ricorre oggi la memoria liturgica del martire S. Biagio e nei prossimi giorni ricorderemo altri martiri: sant’Agata, S. Paolo Miki e compagni giapponesi. Il coraggio di questi eroici testimoni di Cristo aiuti voi, cari giovani, ad aprire il cuore all’eroismo della santità; sostenga voi, cari malati, ad offrire il dono prezioso della preghiera e della sofferenza per la Chiesa; e dia a voi, cari sposi novelli, la forza di improntare le vostre famiglie ai valori cristiani.
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