domenica 7 febbraio 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 07 febbraio 2010

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Benedetto XVI: "Nessuno è padrone della propria vita"
Alla preghiera dell'Angelus in occasione della Giornata per la Vita

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Nessuno è padrone della propria vita” e “tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla, dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale”. Lo ha detto questa domenica Benedetto XVI ricordando la Giornata odierna per la Vita.

“Mi associo volentieri ai Vescovi italiani – ha detto il Papa al termine dell'Angelus e al loro messaggio sul tema: 'La forza della vita, una sfida nella povertà'”.

“Nell’attuale periodo di difficoltà economica – ha spiegato – diventano ancora più drammatici quei meccanismi che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi”.

“Tale situazione, pertanto, impegna a promuovere uno sviluppo umano integrale per superare l’indigenza e il bisogno, e soprattutto ricorda che il fine dell’uomo non è il benessere, ma Dio stesso e che l’esistenza umana va difesa e favorita in ogni suo stadio”.

Questa Giornata – ha ricordato il Pontefice - si prolunga nella Diocesi di Roma nella “Settimana della vita e della famiglia”.

“Auguro – ha poi aggiunto – la buona riuscita di questa iniziativa ed incoraggio l’attività dei consultòri, delle associazioni e dei movimenti, come pure dei docenti universitari, impegnati a sostegno della vita e della famiglia”.

Prima di recitare la preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli radunatisi in piazza San Pietro, il Papa ha preso spunto dalla liturgia del giorno per soffermarsi a riflettere su come “l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato”.

A questo proposito ha parlato della chiamata divina di Isaia, della pesca miracolosa che vede come testimone Simon Pietro e della coscienza di Paolo “di essere stato un persecutore della Chiesa” e quindi di essere “indegno di essere chiamato apostolo”.

“Nonostante questa fragilità – ha spiegato il Papa –, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo”.

Di qui l'invito del Papa a “non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire i cuore, e continuare, con gioia, a lasciare tutto per Lui”.

“‘L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore’, e rende degli uomini poveri e deboli, ma che hanno fede in Lui, intrepidi apostoli e annunciatori della salvezza”, ha continuato.

Il Pontefice ha poi ricordato l'Anno sacerdotale in corso ed ha invitato “tutti i sacerdoti a ravvivare la loro generosa disponibilità a rispondere ogni giorno alla chiamata del Signore con la stessa umiltà e fede di Isaia, di Pietro e di Paolo”.

Nei saluti finali Benedetto XVI ha ricordato ai fedeli che l’11 febbraio, memoria della beata Vergine di Lourdes, nella Giornata mondiale del malato, celebrerà al mattino la Santa Messa con gli ammalati nella Basilica di San Pietro.

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Il Papa: da profitto e individualismo, un falso modello di sviluppo
Nell'udienza ai dirigenti e al personale dell'Azienda Comunale Energia e Ambiente

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Occorre “ripensare un modello di sviluppo basato soprattutto sulla finanza e sul profitto” e far crescere la consapevolezza della “responsabilità sociale dell'impresa”. E' quanto ha detto Benedetto XVI nell'incontrarsi questo sabato, in Vaticano, con i dirigenti e il personale dell'Azienda Comunale Energia e Ambiente (ACEA), che di recente ha festeggiato i cento anni di fondazione.

Durante l'udienza - che ha visto presenti anche i membri del direttivo nazionale dell'UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) e l’Arcivescovo emerito di Palermo, il Cardinale Salvatore De Giorgi, Consulente ecclesiastico nazionale dell'associazione - il Papa ha fatto riferimento alla crisi economica ed ha sottolineato la necessità di “rimettere al centro dell'azione dell'uomo la sua capacità di produrre, di innovare, di pensare e costruire il futuro”.

Richiamando quanto già accennato nella sua Enciclica “Caritas in veritate”, il Papa ha poi parlato dell'importanza di far crescre una “consapevolezza circa la necessità di una più ampia ‘responsabilità sociale’ dell’impresa, che spinga a tenere nella giusta considerazione le attese e i bisogni dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e dell’intera comunità, e ad avere una particolare attenzione verso l’ambiente”.

“In questo modo la produzione di beni e servizi non sarà legata esclusivamente alla ricerca del profitto economico, ma anche alla promozione del bene di tutti”, ha aggiunto.

Il Pontefice ha quindi espresso il proprio apprezzamento per l’impegno dell’azienda nel tutelare l’ambiente attraverso la gestione sostenibile delle risorse naturali, la riduzione dell’impatto ambientale e il rispetto del creato.

A questo proposito, nel suo indirizzo di saluto al Papa, il Presidente dell'ACEA, Giancarlo Cremonesi, ha assicurato il rinnovato impegno della sua azienda “per il rispetto ambientale attraverso i principi del risparmio energetico e dello sviluppo sostenibile”, come indicato nel recente messaggio pontificio per la Giornata Mondiale della Pace 2010.

Distribuire luce ed acqua a tutti - ha affermato Cremonesi secondo quanto riportato da “L'Osservatore Romano” - “ha significato e continua a significare per noi garantire vita, uguaglianza di diritti, sviluppo umano.”

“Ecco – ha aggiunto – la più alta missione che con i nostri fornitori condividiamo da anni nell'ambito di uno straordinario codice etico, e che umilmente nella speranza della nostra fede vorremmo oggi affidata alla sua altissima preghiera”.

Benedetto XVI ha quindi manifestato apprezzamento per il progetto dell'ACEA di collaborare con la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, che si propone l’obiettivo di rispondere all’urgenza di acqua e di energia in alcuni Paesi in via di sviluppo, e per i sistemi di illuminazione dei monumenti di Roma.

Il Santo Padre ha evidenziato, inoltre, l'importanza di “favorire un’ecologia umana, che sia in grado di rendere gli ambienti di lavoro e le relazioni interpersonali degne dell’uomo” ed ha parlato degli “effetti di una cultura che esaspera il concetto di individuo” e che si avvertono anche in una città come Roma.

“Spesso si vive chiusi in se stessi – ha detto –, ripiegati sui propri problemi, distratti dalle tante preoccupazioni che affollano la mente e rendono l’uomo incapace di cogliere le semplici gioie presenti nella vita di ciascuno”.

“La custodia della creazione – ha infine concluso –, compito affidato dal Creatore all’umanità, implica anche la custodia di quei sentimenti di bontà, generosità, correttezza e onestà che Dio ha posto nel cuore di ogni essere umano, creato a sua ‘immagine e somiglianza’”.


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Il Papa al nuovo ambasciatore del Guatemala: no a povertà e corruzione
Lo sviluppo democratico, un passo imprescindibile per lo sviluppo integrale della persona
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Lotta alla povertà diffusa e alla corruzione, e riforma della giustizia: sono solo alcuni dei temi al centro dell'udienza che Benedetto XVI ha concesso questo sabato al nuovo ambasciatore del Guatemala, Alfonso Alberto Matta Fahsen, in occasione della presentazione delle Lettere credenziali.

Nel suo discorso il Papa ha apprezzato le azioni portate avanti in Guatemala per il rafforzamento della democrazia, richiamando tuttavia la necessità di “applicare in modo giusto le leggi” e di “sradicare la sensazione di impunità rispetto a coloro che esercitano qualsiasi forma di violenza o disprezzano i diritti umani fondamentali”.

Nel suo indirizzo di saluto al Santo Padre, l'ambasciatore del Guatemala ha raccontato come il suo Paese, nel corso della storia, sia stato segnato da diversi cambiamenti culturali, politici, sociali ed economici, che hanno portato con sé un progresso in molteplici settori.

“Hanno però comportato anche un aumento delle disuguaglianze sociali e della povertà esistenti in Guatemala”, ha continuato l'ambasciatore – secondo quanto riferito da “L'Osservatore Romano” - accennando anche ai cambiamenti climatici che hanno portato all'acuirsi di alcuni problemi e a situazioni di emergenza in quelle zone già colpite dalla siccità.

Per non parlare poi, ha continuato il diplomatico, del conflitto armato che ha insanguinato il Guatemala per quasi trent'anni ha provocato l'esodo di intere famiglie nei Paesi vicini.

Lo sviluppo democratico e la stabilità politica, ha sottolineato a questo proposito il Pontefice, sono essenziali per “un autentico sviluppo integrale della persona che si rifletta in maniera positiva in ogni ambito della società”.

Benedetto XVI ha quindi sottolineato il diritto fondamentale di ogni persona a disporre del cibo necessario, che deve essere dunque un obiettivo prioritario. Di qui l’invito del Papa a lavorare affinché i più vulnerabili ricevano una adeguata alimentazione.

“Operare in questa direzione - ha affermato il Papa - significa promuovere e rendere degna la vita di tutti, specialmente quella delle persone più vulnerabili e indifese, come i bambini che, senza un'adeguata alimentazione, vedono la loro crescita fisica e psichica compromessa”.

Tra le varie iniziative portate avanti nel Paese, l'ambasciatore aveva menzionato poco prima che “nell'aprile del 2008, il Governo del presidente Colom ha avviato un programma che ha come obiettivi specifici l'educazione, la salute e la nutrizione, messo a punto soprattutto per aiutare le famiglie più povere”.

“Nel 2009 – ha spiegato – ne hanno beneficiato circa 480.000 famiglie ed è stata offerta assistenza medica e sanitaria a circa 500.000 bambini da 0 a 5 anni. Circa un milione di bambini in età scolare ha potuto inoltre ricevere un'istruzione”.

Nel suo discorso, il Papa ha poi lodato la Costituzione guatemalteca che garantisce la vita umana dal concepimento alla morte naturale ed ha esortato i rappresentanti del popolo e le istituzioni legislative “a mantenere e rafforzare questo elemento base della cultura della vita”.

I valori umani ed evangelici, come l’amore per la famiglia e la fede in Dio, ha evidenziato il Pontefice, rappresentano i veri motivi di speranza per il futuro del Guatemala.

Da questo patrimonio spirituale, ha concluso, i guatemaltechi possono trovare le forze necessarie “per contrastare quei fattori che deteriorano il tessuto sociale guatemalteco come il narcotraffico, la violenza” e ancora “l’insicurezza, l’analfabetismo, le sette o la perdita di riferimenti morali nelle nuove generazioni”.


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Il Presidente dello IOR: "L'origine vera della crisi è il crollo della natalità"
Tutela delle famiglie, più figli e austerità, la formula proposta dal prof. Gotti Tedeschi

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “L’origine vera della crisi è il crollo della natalità nei Paesi occidentali”. A sostenerlo è il prof. Ettore Gotti Tedeschi, Presidente dell'Istituto per le Opere di Religione (IOR), in una intervista al settimanale informativo "Octava Dies" del Centro Televisivo Vaticano.

Oggi nel mondo occidentale, ha ricordato il prof. Gotti Tedeschi, il tasso di crescita della popolazione è arrivato allo zero per cento, cioè a 2 figli per coppia, fatto che ha comportato un cambiamento profondo della struttura della società.

A questo proposito, ha osservato, “invece di stimolare le famiglie e la società a ricominciare a credere nel futuro e a fare figli [...] abbiamo smesso di far figli e abbiamo creato una situazione, un contesto economico negativo di decrescita, e decrescita vuol dire maggior austerità”.

“Crollando le nascite – ha sottolineato –, ci sono meno persone giovani che entrano nel mondo del lavoro produttivamente e ci sono molte più persone anziane che escono dal sistema produttivo e diventano un costo per la collettività”.

“In pratica – ha spiegato –: se la popolazione non cresce, i costi fissi di questa struttura economica e sociale aumentano, quanto drammaticamente dipende da quanto è evidentemente squilibrata la struttura della popolazione e quant’è la sua ricchezza. I costi fissi però aumentano: aumentano i costi della sanità e aumentano i costi sociali. Non solo: non si possono più diminuire le tasse”.

“C’è poi un altro fenomeno che impatta grazie al non tasso di crescita delle popolazione nell’economia, ed è il crollo del risparmio – hacontinuato l'economista –. I giovani che non hanno lavoro spostano il ciclo di accumulazione del risparmio di anni; le famiglie non si formano; molto spesso non si formano famiglie con un certo numero di impegni nei confronti dei figli, cosicché il risparmio si estingue”.

“A questo punto quando il crollo dello sviluppo del mondo occidentale è dovuto alla non natalità diventa un fatto preoccupante – ha affermato Gotti Tedeschi –. Ci si inventa il tentativo di compensare questo crollo dello sviluppo attraverso attività finanziarie e quindi anzitutto con la delocalizzazione – si cerca di trasferire tutte quelle produzioni in Asia, per riportarle al nostro interno a costi minori; e con una maggior produttività, ma la maggior produttività ha dei limiti”.

“Negli ultimi 10 anni – ha spiegato –, il tasso di indebitamento delle famiglie americane, già abbastanza alto (che era il 68 per cento del prodotto interno lordo nel 1998 circa) dal 68 per cento passa nel 2008 al 96 per cento del prodotto interno lordo, aumenta cioè di 28 punti”.

“Se lei prende 28 punti percentuali di crescita su 10 anni e lo divide per 10 anni, ha una media del tasso di crescita del 2.8 per cento all’anno dovuto esclusivamente al consumismo a debito delle famiglie americane”.

“In pratica, questa è stata l’origine della crisi, fino poi ad arrivare agli eccessi dei cosiddetti subprime – ha dichiarato –. L’origine per cui lo strumento finanziario, la leva a debito, l’espansione del credito è stata fatta è per compensare il tasso di crescita dello sviluppo dell’economia legato al fatto che non nascevano figli”.

Secondo il presidente dello IOR, “l’origine della crisi non è nelle banche e nella finanza. Le banche e la finanza hanno concorso ad aggravare la crisi nelle sue origini, cercando di compensare dei problemi che erano stati generati precedentemente e cioè il crollo dello sviluppo economico, che si è cercato di camuffare attraverso l’uso di strumenti finanziari”.

“Se posso addirittura, quindi, essere molto polemico, dirò che più che i banchieri hanno avuto responsabilità alcuni governanti, che hanno stimolato, supportato e giustificato quell’espansione creditizia che venne utilizzata per sostenere un tasso di crescita che è stato riconosciuto essere fittizio”, ha osservato.

“Il debito totale dei governi, delle famiglie, delle istituzioni finanziarie e delle istituzioni non finanziarie e di quelle industriali, oggi deve essere sgonfiato. Sgonfiamento vuol dire che prenderà fra i 5 e i 7 anni, in Paesi maturi come l’Europa e gli Stati Uniti, per potersi ridimensionare, per poter ritornare a dei criteri accettabili”.

Il prof. Gotti Tedeschi ha poi preso ancora in prestito come esempio il caso americano per spiegare la forma negativa di sussidiarietà, e cioè quella dell’individuo verso lo Stato.

“Gli americani – ha detto – sono stati utilizzati per 15 anni per sostenere a debito la crescita del prodotto interno lordo americano che vacillava. E gli Stati Uniti, come sappiamo, hanno avuto anche dei periodi complessi - pensiamo all’11 settembre del 2001 - dovendo ricostruire un atteggiamento nei confronti del terrorismo, come grandi guardiani dell’umanità, probabilmente aumentando notevolmente le loro spese anche di difesa, e le spese si pagano”.

“Ecco l’esigenza di una crescita del pil – ha evidenziato –. Una spesa forte nella difesa, per gli armamenti, dopo l’11 settembre, che è aumentata negli anni successivi con tassi del 14, 15 per cento all’anno, deve essere sostenuta dalla crescita di un prodotto interno lordo”.

“Da qui l’esigenza di far crescere il prodotto interno lordo – ha aggiunto poi –. E come si fa a farlo crescere? Ecco l’abitudine americana: si lascia la libertà nell’individuo di farlo; lo si mette in condizione di farlo: tassi bassi e attrattiva per una forma di consumismo”.

“Dopo 10 anni le famiglie americane sono diventate povere, hanno perso una grande parte dei loro investimenti liquidi, hanno perso una gran parte del valore della loro casa, che non hanno ancora pagato, hanno perso una parte del fondo pensione, che è privato notoriamente, si sono indebitate per due o tre anni e rischiano di perdere il posto di lavoro”.

Secondo l'economista, infine, l'unico “modo per ricostituire un equilibrio economico-finanziario” è l'“austerità”.

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Uguaglianza degli omossessuali e libertà, la vera posizione del Papa
Chiarimento del portavoce vaticano
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il discorso pronunciato da Benedetto XVI, il primo febbraio, nell'udienza ai Vescovi di Inghilterra e Galles (http://www.zenit.org/article-21227?l=italian) ha suscitato una serie di reazioni critiche sui giornali e in Internet che accusano il Papa d'ingerenza per essersi scagliato contro un progetto di legge sulla uguaglianza degli omossessuali.

A questo proposito, il portavoce della Santa Sede ha affermato che le parole del Pontefice non sono state comprese adeguatamente, poiché “assicurare pari opportunità per tutti i membri della società è  un nobile obiettivo. Tuttavia in certi casi si cerca di raggiungerlo con leggi che impongono limiti ingiusti alla libertà delle comunità  religiose di agire secondo le proprie convinzioni”.

“Se poi queste leggi contraddicono la legge naturale, si mina il fondamento che garantisce l’uguaglianza e quindi il diritto a godere di pari opportunità”, ha spiegato padre Federico Lombardi, S.I., nell'ultimo editoriale di “Octava Dies”, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano.

Incontrandosi con i Vescovi britannici il Papa ha detto: “Il vostro Paese è bene noto per il suo saldo impegno nell'assicurare pari opportunità per tutti i membri della società. Tuttavia, come avete giustamente evidenziato, l'effetto di una certa legislazione per raggiungere questo obiettivo è stato l'imposizione di limitazioni ingiuste alla libertà di agire secondo il proprio credo a comunità religiose. Per alcuni aspetti essa viola veramente la legge naturale su cui si fonda l'uguaglianza di tutti gli esseri umani e per mezzo della quale essa è garantita”.

Quando il Pontefice ha pronunciato queste parole al Parlamento britannico era in discussione un progetto di legge sull'uguaglianza, che ha provocato critiche da parte di vari ambienti, in quanto obbliga le organizzazioni private a seguire una politica delle assunzioni che può confliggere con le loro convinzioni più profonde.

Alcune di queste istituzioni, non solo quelle cattoliche, si sono infatti lamentate che questa legge li costringerebbe ad assumere degli impiegati dichiaratamente gay.

Le parole del Papa, secondo il sacerdote gesuita, “toccano un punto critico dei dibattiti sull’uguaglianza dei diritti, assai attuali in molti Paesi del mondo; dibattiti che coinvolgono aspetti fondamentali della visione dell’uomo: diritto alla vita, sessualità, famiglia…”.

Il portavoce vaticano ha detto che “non si tratta in alcun modo di interferenza della Chiesa nella dinamica sociale e politica, ma di doverosa – e quindi anche coraggiosa - manifestazione delle sue posizioni al servizio del bene comune”.

Padre Lombardi ha quindi citato Sir Jonathan Sacks, Rabbino Capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth britannico, che mettendo in guardia da un uso ideologico del tema dell’uguaglianza dei diritti che giunge ad usarlo anche per attaccare le religioni, ha scritto sul Times: “Piuttosto che vedere le parole del Papa come un intervento inappropriato, dovremmo usarle come stimolo per avviare un onesto dibattito su dove porre la linea fra la nostra libertà come individui e la nostra libertà come membri di comunità di fede. L’una non può essere guadagnata a costo dell’altra”.

Per questo motivo, conclude il portavoce vaticano: “Non solo i cattolici vedono quindi il problema: è un problema per tutti, da affrontare onestamente se vogliamo veramente costruire insieme una società migliore”.


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Dibattito in Vaticano su pastorale della famiglia e diritti dell'infanzia
Dall'8 al 10 febbraio si terrà la plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Lunedì 8 febbraio si aprirà a Roma la XIX Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che riunirà per tre giorni membri e consultori intorno al tema dei diritti dell’infanzia, nel XX anniversario della Convenzione Internazionale sulle misure a tutela del bambino, adottata dalle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

In apertura dei lavori, che si svolgeranno presso la Casa Bonus Pastor, il Cardinale Ennio Antonelli, presenterà del Dicastero da lui presieduto le attività realizzate successivamente al VI incontro mondiale delle famiglie, tenutosi nel gennaio 2009 a Città del Messico.

Nella sessione pomeridiana verranno presentate, invece, le priorità della pastorale della famiglia e della vita nelle diverse aree geografiche e la proposta di un Vademecum per la preparazione al matrimonio, con gli interventi del Segretario del Dicastero, mons. Jean Laffitte e del Sotto-Segretario, mons. Carlos Simón Vázquez.

La giornata centrale della Plenaria, martedì 9 febbraio, focalizzerà la portata innovativa della “Convenzione” e i suoi sviluppi successivi. Sei gli interventi, introdotti dal Capo Ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, padre Gianfranco Grieco.

Tra i relatori, l’Arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra, evidenzierà l’azione della Sede Apostolica circa i diritti dell’infanzia dall’89 ad oggi, mentre il prof. Vincenzo Buonomo, docente di Diritto Internazionale alla Lateranense, parlerà della violazione dei diritti dei minori nel processo di applicazione della “Convenzione” stessa.

Si aprirà quindi una tavola rotonda, con la finalità di esaminare il ruolo delle ONG cattoliche a servizio dell’infanzia e l’opera svolta nell’assicurare il rispetto della Carta ONU del 1989. Per l'occasione si confronteranno: Johan Ketelers, Segretario generale dell'International Catholic Migration Commission; Fermina Álvarez Alonso; Officiale della Segreteria di Stato vaticano; e Yves-Marie Lanoe, Presidente del Bureau International Catholique de l'Enfance.

Concluderà la giornata con una riflessione storico-filosofica sui diritti dei genitori e dei bambini, il prof. Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del Diritto all’Università di Roma “Tor Vergata”.

La Plenaria terminerà, nella mattina di mercoledì 10, con una tavola rotonda sui “Rapporti Famiglia-Bambino” che vedrà la partecipazione della prof.ssa Rosa Rosnati, docente associato di psicologia sociale all'Università Cattolica di Milano, del prof. Sergio Belardinelli, Ordinario di Sociologia dei Processi culturali all'Università di Bologna, e del prof. Lorenzo Macario, docente di Metodologia pedagogica evolutiva e di Pedagogia familiare alla Pontificia Università Salesiana.

A seguire la presentazione dei rilievi conclusivi da parte del Cardinale Antonelli.

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Mons. Novatus Rugambwa, nuovo Nunzio apostolico in São Tomé e Príncipe

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato Nunzio apostolico in São Tomé e Príncipe mons. Novatus Rugambwa, finora Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Tagaria, con dignità di Arcivescovo.

Mons. Novatus Rugambwa è nato a Bukoba (Tanzania) l'8 ottobre 1957. È stato ordinato sacerdote il 6 luglio 1986. Si è incardinato a Bukoba. È laureato in Diritto Canonico.

Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1991, ha prestato successivamente la propria opera nelle Rappresentanze Pontificie in Panama, Repubblica del Congo, Pakistan, Nuova Zelanda e in Indonesia.

È stato nominato Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il 28 giugno 2007.

Conosce il kiswahili, l’inglese, l’italiano, il francese, lo spagnolo e il tedesco.

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Analisi


Cresce l'utilizzo dei media da parte dei giovani
La Chiesa attenta ai giovani dell'era digitale

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Chi dice che la Chiesa non è al passo con i tempi? Nel suo recente messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, Benedetto XVI ha invitato i sacerdoti a comunicare attraverso gli strumenti digitali.

“Il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all’esortazione paolina: ‘Guai a me se non annuncio il Vangelo!’”, scrive il Papa.

Pochi giorni dopo la pubblicazione del messaggio, uno studio svolto dalla Kaiser Family Foundation, reso noto il 21 gennaio, ha evidenziato quanto sia importante che la Chiesa sia presente in queste forme mediatiche in rapido sviluppo.

Lo studio dal titolo “Generation M2: Media in the Lives of 8 to 18 Year Olds”, è il terzo di una serie di studi nazionali svolti su larga scala dalla Fondazione, sul tema dell’utilizzo dei media da parte dei giovani.

Lo studio rivela che oggi i ragazzi tra gli 8 e i 18 anni dedicano in media 7 ore e 38 minuti al giorno utilizzando strumenti informatici, per un totale di 53 ore alla settimana. Ma questa cifra non può neanche considerarsi esaustiva, poiché non tiene conto che molti di loro utilizzano più di uno strumento alla volta. Se calcoliamo separatamente questa sovrapposizione nel consumo dei media, il totale arriva a 10 ore e 45 minuti al giorno.

Il rapporto si basa su un sondaggio condotto su un campione rappresentativo su scala nazionale di 2.002 studenti tra la terza elementare e l’ultimo anno di scuola in età tra gli 8 e i 18 anni. In aggiunta, un gruppo di 702 volontari ha compiuto un periodo di sette giorni nell’uso di strumenti elettronici, al fine di calcolare le proporzioni multitasking.

Rispetto all’ultimo sondaggio svolto dalla Kaiser Family Foundation nel 2004, la quantità di tempo trascorso sui media è aumentato di un'ora e 17 minuti al giorno nell’arco degli ultimi cinque anni.

Il rapporto individua nella rivoluzione della comunicazione mobile e di Internet una delle principali cause dell’aumento generalizzato dell’uso dei media. Negli ultimi cinque anni il tempo trascorso nella lettura è lievemente diminuito, rispetto all’aumento del tempo dedicato ai media digitali.

Comunicazione mobile

Per un adolescente medio è facile che la prima e l’ultima cosa da fare ogni giorno sia quella di controllare il proprio cellulare, osserva il rapporto. Gli sviluppi nella tecnologia mobile implicano che mentre prima la televisione doveva essere guardata stando seduti davanti all’apparecchio, ora molti programmi sono disponibili sui portatili e sui cellulari.

Secondo il rapporto, il 20% del consumo di media, nel gruppo campione, ha riguardato apparecchi mobili, e quasi un’ora era formata da contenuti “tradizionali” come programmi televisivi, che sono oggi visti attraverso il computer o altre forme di downloading.

Il consumo di media da parte dei giovani è anche facilitato dalla possibilità di accesso che ne hanno nelle loro camere da letto. Non meno del 71% di tutti i giovani tra gli 8 e i 18 anni, oggetto dello studio, hanno una televisione nella propria camera. Inoltre, la metà di loro ha un videogioco (50%) o la TV via cavo (49%) e un terzo ha un computer (36%) con accesso a Internet (33%) in camera.

Inoltre, nell’arco degli ultimi cinque anni la percentuale di giovani tra gli 8 e i 18 anni che possiedono un portatile è aumentata dal 12% al 29%, mentre quella di chi ha un telefono cellulare è balzata dal 39% al 66%. Mentre coloro che hanno un iPod o altro lettore di MP3 sono passati dal 18% al 76%.

Una delle caratteristiche nell’uso dei media da parte dei giovani, che ha rivelato il sondaggio, è l’enorme salto che avviene quando raggiungono l’età tra gli 11 e i 14 anni. I giovani di questa età vedono un aumento di più di tre ore al giorno nel tempo trascorso sui media: un aumento totale di quattro ore al giorno se si considera il multitasking.

Questo cambiamento significa che in totale il gruppo di età tra gli 11 e i 14 anni, mediamente, usa i media per poco meno di 8 ore e 40 minuti al giorno, ovvero quasi 12 ore considerato il multitasking. Come sottolineato nel rapporto, questa esposizione ai media avviene in un periodo in cui i giovani attraversano una fase di transizione verso l’adolescenza.

Preoccupazioni

Il rapporto esamina anche alcuni risvolti problematici derivanti dal fatto che i giovani spendono sempre più tempo utilizzando media. Riguardo l’attività fisica, lo studio rivela che, diversamente dall’opinione comune secondo cui l’uso dei media sostituisce il tempo dedicato all’esercizio fisico, i giovani che sono i maggiori utilizzatori di media hanno fatto registrare livelli di dedizione all’esercizio fisico o di attività fisica analoga ai coetanei che utilizzano meno i media.

Sulla questione del rendimento scolastico, la situazione è sicuramente più grave. I ragazzi che sono pesanti utilizzatori solitamente risultano avere voti solo discreti o sufficienti. Secondo il sondaggio, il 47% di tutti i forti utilizzatori di media afferma di ottenere voti discreti o sufficienti, rispetto al 23% di chi utilizza poco i media.

Inoltre, questa correlazione tra l’esposizione ai media e il rendimento scolastico risulta essere costante, a prescindere da fattori come età, sesso, razza e istruzione dei genitori. Allo stesso tempo, gli autori dello studio sottolineano che dalla loro ricerca non è stato possibile stabilire se vi sia un rapporto di causa ed effetto tra l’uso dei media e il rendimento scolastico.

Passando al rapporto tra felicità e uso dei media, lo studio rivela che la grande maggioranza dei giovani fa registrare livelli piuttosto elevati di soddisfazione sentimentale. Ciò nonostante, coloro che sono meno soddisfatti trascorrono più tempo sui media, rispetto a chi si colloca ai primi posti in graduatoria. Analogamente alla questione dei rendimenti scolastici, il rapporto afferma che non è stato possibile determinare se vi sia un rapporto di causa ed effetto tra l’uso dei media e il senso personale di soddisfazione.

Regole

Un’altra dimensione dell’uso dei media da parte dei giovani, che è esaminata dal rapporto è l’argomento del controllo dei genitori. Anzitutto, lo studio rivela che molti giovani vivono in case in cui la TV è solitamente accesa durante i pasti ed è spesso lasciata accesa in sottofondo, anche se non vi è nessuno che la guarda.

Agli studenti è stato anche chiesto di riferire di eventuali regole poste dai genitori sui diversi apparecchi elettronici. La maggioranza del campione ha risposto di non avere regole sul tipo di contenuti di cui poter fruire, né sulla quantità di tempo da dedicarvi. Un’eccezione riguarda l’uso del computer, per il quale il 52% ha detto di avere delle regole.

Meno della metà – il 46% – ha affermato di avere regole su cosa poter guardare alla TV. Per quanto riguarda i videogiochi e la musica, la percentuale è rispettivamente del 30% e del 26%.

Nell’insieme, i genitori sono più propensi a essere restrittivi sui contenuti, piuttosto che sulla quantità di tempo. In questo senso, il 46% dei ragazzi ha affermato di avere regole su ciò che possono vedere alla TV, rispetto al 28% di chi ha detto di avere regole sul tempo che possono guardarla.

Non sorprende che le restrizioni dei genitori sono più frequenti per le fasce più giovani. Solo il 3% di quelli tra gli 8 e i 10 anni ha riferito di non avere regole, rispetto al 30% di quelli tra i 15 e i 18 anni.

Inoltre, i genitori applicano le regole in modo più severo con i figli più giovani. Mentre quando questi raggiungono la piena adolescenza, la severità cala considerevolmente. Nel gruppo dei più grandi, solo il 12% ha riferito di avere regole sull’uso dei videogame o della musica. E il 26%, di avere regole sui programmi TV che non possono vedere.

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il Papa ha espresso il desiderio che i sacerdoti e i consacrati utilizzino i media digitali per consentire al messaggio di Dio di muoversi sulle autostrade virtuali del cyberspazio, perché Nostro Signore possa bussare alle porte delle nostre case e dei nostri cuori ed entrare nella nostra vita. Un novo modo di rispondere al comandamento di Cristo di andare e predicare il Vangelo fino ai confini della Terra, fisicamente o virtualmente.



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Italia


Progetto Gemma: un bene per mamme, bambini e adottanti
Il racconto della responsabile, Erika Vitale

di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Dal 1994, grazie all’iniziativa di alcuni volontari del Movimento per la Vita e dei Centri di Aiuto alla Vita è nato il Progetto Gemma. Si tratta di un servizio per l'adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino.

Una mamma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l'aiuto necessario. Attraverso questo servizio e con un contributo minimo mensile di 160 euro, si può adottare per 18 mesi una mamma e aiutare così il suo bambino a nascere.

Intervistata da ZENIT la responsabile del progetto Gemma, Erika Vitale ha raccontato che in 15 anni di vita, sono stati salvati 16mila tra bambini e bambine. Dal 1994 il progetto Gemma è sempre cresciuto, ad eccezione di questo ultimo anno segnato dalla crisi economica che ha fatto alzare il numero delle richieste e diminuire le offerte.

Il progetto prevede l’adozione a distanza di una mamma in gravidanza entro il terzo mese, e garantisce un contributo per 18 mesi fino al compimento di un anno di età del bambino. Erika precisa che si tratta di un atto di vera carità dove la caratteristica è l'“amore gratuito”. Gli adottanti infatti conosceranno solo la data di nascita ed il nome del bambino o bambina che avranno aiutato.

Secondo la responsabile del progetto è un'azione estremamente educativa soprattutto per i giovani.

I donatori sono persone che appartengono a tutti gli strati sociali, dai più ricchi a quelli più poveri. “Pensi – ci ha detto Erika – che anche le mamme che hanno usufruito del Progetto Gemma e che ora sono nelle condizioni di lavorare, sono diventate donatrici”.

Ci sono delle mamme che a qualche punto della gravidanza, quando hanno deciso di portare a termine la gravidanza, risolvono i problemi iniziali che li stava spingendo ad abortire e così passano ad altre il loro aiuto.

Erika ha raccontato di un famiglia di un Centro di Aiuto alla Vita (CAV) che stava in montagna quando hanno visto una giovane ragazza ripiegata su se stessa e disperata che piangeva. Si sono fermati per assisterla, e questa ha raccontato che a causa del fatto che era incinta, i genitori l’avevano cacciata di casa.

I due l’hanno ospitata per un pò di giorni a casa di una volontaria del CAV dopodichè l’hanno portata in una casa protetta tra quelle a disposizione del CAV.

Questo atto di solidarietà e condivisione, ha toccato l’orgoglio dei genitori della ragazza, i quali hanno pensato: “ma come, noi l’abbiamo cacciata e degli estranei l’aiutano?”. Così l’hanno ripresa in casa, è nato il bambino, e quando la volontaria dei CAV è andata a trovarla ha visto la nonna del bambino che ricamava i bavaglini e il nonno che cullava in braccio il bambino per farlo addormentare.

Questo è un segno che dimostra che i CAV lavorano bene e che se si inizia un processo virtuoso di bene questo si diffonde.

“Il Progetto Gemma – ha sottolineato Erika – è il punto di incontro di un bisogno che ci arriva tramite i CAV i quali segnalano mamme che per difficoltà economiche vorrebbero abortire, così dall’altra parte gli attivisti del progetto Gemma raccolgono le offerte delle persone e molto spesso troviamo la soluzione per aiutarle”.

La grande maggioranza degli aiuti arriva dalle persone, ma ci sono state occasioni di avere l’appoggio di 15 differenti Comuni, i quali hanno riconosciuto il valore sociale dei progetti Gemma. Forse nel 2010 ci saranno altri due comuni che aiuteranno il Progetto Gemma.

Si tratta di Comuni preoccupati dalle dimensioni del crollo demografico, ed anche dalle implicazioni negative dal punto di vista sanitario e sociale delle depressioni post aborto.

“In questo senso – ha rilevato Erika – il Progetto Gemma potrebbe essere una opportunità per una politica sociale pubblica che difenda la vita e la famiglia”.

“La buona notizia del 2009 che si è appena concluso – ha continuato - è che nonostante la crisi, il terremoto in Abruzzo, e tante altre brutte storie, grazie al Progetto Gemma nasceranno altri 1000 tra bambini e bambine”.

Queste nascite che “dal punto di vista sociale rappresentano un valore impagabile”, sono un contributo notevole anche allo sviluppo ed al progresso dell’Italia, perchè solo facendo un calcolo di minima, daranno vita ad almeno 50 classi scolastiche, con relativi insegnanti, bidelli, medici ecc.

“Così il bene si diffonde, non solo per le mamme aiutate ma anche per gli adottanti siano essi singole persone o gruppi”, ha commentato Erika.

A questo proposito la responsabile del Progetto Gemma ha raccontato di un gruppo di bambini che frequentava la lezione di catechismo, e che hanno raccolto 5 euro al mese ciascuno per sostenere un Progetto Gemma.

I bambini e le loro famiglie erano ben felici di contribuire alla vita di un fratellino o sorellina e alla loro mamma. Hanno contribuito a salvare almeno due vite che rischiavano di essere spezzate.

Questo mostra che ci sono benefici per le mamme bisognose ma anche per i donatori che così colgono l’occasione per compiere una buona azione e si educano a praticare l’amore gratuito.

Sempre a questo proposito Erika ha raccontato la storia di un liceo che l’anno scorso a Natale ha organizzato un banco, vendendo oggetti e abiti usati, piccoli oggetti di artigianato, palloni e attrezzature sportive. In questo modo i ragazzi sono riusciti a raccogliere denaro per finanziare tre Progetti Gemma.

Sulla base di queste storie Erika ha spiegato che “l’aborto divide, la mamma dal concepito, la donna dall’uomo, mentre ogni Progetto Gemma, ogni bambino o bambina salvati, unisce non solo le famiglie di coloro che ricevono ma anche di quelli che danno”.

“Possiamo dire che – ha concluso – ogni bambino o bambina che nasce riaccende la luce dove sembrava che il buio avesse vinto”.

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La civiltà dell'amore comincia con i Centri di Aiuto alla Vita
Solo a Bra, 150 mamme e relativi bambini e bambine salvati dall'aborto

di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Ogni anno in Italia circa 130.000 tra bambini e bambine concepiti, non arrivano a vedere la luce del giorno. Tristezza, solitudine, paura, disperazione, terrorizzano le mamme fino al punto da compiere un atto letale. Così per ogni bambino o bambina che non nascono ci sono tante altre vittime.

Ma a fronte di questo buio e freddo destino, ci sono persone, che invece lanciano il cuore oltre l’ostacolo e cercano di dare amore, solidarietà, entusiasmo, speranza a quelle mamme. Si tratta di persone comuni, eroi sconosciuti, angeli in carne ed ossa, con un cuore grande e custodi di un amore che nobilita e salva l’umanità.

Sono i volontari dei Centri di Aiuto alla Vita (CAV), persone che si dedicano ogni giorno ad accogliere, consolare, sostenere le mamme in difficoltà, la maggior parte delle quali hanno già il certificato di interruzione della gravidanza in mano.

ZENIT ne ha incontrate due, Domenica e Caterina, due signore attivissime nei CAV di Bra e di Fossano in provincia di Cuneo.

Racconta Domenica che ai volontari del CAV non è permesso stare in forma stabile nei pressi del Consultorio, per questo motivo lei e Caterina vanno spesso nelle sale di aspetto o nei corridoi e cercano di parlare con le persone.

Dopo tanti anni di attività, adesso i medici, le ostetriche, le infermiere del consultorio, informano le donne che possono essere aiutate dal CAV. In tutta libertà viene loro distribuito il depliant del CAV e fornito il numero di telefono per mettersi in contatto.

Domenica racconta che in realtà la rete di assistenza civica è molto più diffusa, perchè la cassiera della banca, le varie insegnanti e tante altre persone e famiglie, quando scoprono donne in difficoltà le consigliano di andare o mettersi in contatto con il CAV.

In una occasione, per esempio, è stata la cassiera della banca ad aver segnalato il caso di una ragazza la cui mamma preoccupata era passata di là.

Questa situazione di attenzione della comunità civile di Bra, cittadina di 20.000 abitanti in provincia di Cuneo, è cresciuta grazie al lavoro svolto dal CAV che in 15 anni ha convinto 150 mamme con il certificato per l’interruzione di gravidanza in mano, a non farlo, ed ora, pur tra le difficoltà della vita, sono tutte felici.

Nessuna di loro si è mai rammaricata della scelta di vita. Mentre quasi tutte quelle che hanno scelto l’ivd si sono pentite di non aver dato retta ai volontari del CAV. 

I giornali locali hanno riportano quante mamme sono state aiutate, quanti bambini e bambine sono nati, quante persone sono state ospitate nelle case di accoglienza del CAV.

Secondo i rapporti nazionali sull’applicazione della legge 194/78 la principale causa che porta all’interruzione di gravidanza è quella economica. Ma Domenica e Caterina sostengono che non è questo il punto.

E' vero che il consultorio in genere utilizza le difficoltà economiche come causa che giustifica l’interruzione di gravidanza, ma l’esperienza dei CAV porta a risultati diversi. Dopo il primo incontro quando le persone parlano veramente delle cause che portano a decidere per l’ivg, quasi nessuno parla di motivazioni economiche.

“Se fossero solo problemi economici – hanno spiegato Domenica e Caterina – allora tutto sarebbe facilmente risolvibile”.

I problemi più comuni sono quelli in cui il partner non accetta la gravidanza, quando l'amante, il convivente o il marito rifiuta la gravidanza e mette la donna dinanzi al quesito: se tieni il bambino me ne vado se non lo tieni rimango con te.

In realtà quello che accade è che la relazione finisce, perchè la donna vede nel compagno colui che l’ha costretta ad una scelta improponibile. Se tiene il bambino invece quasi sempre il partner ritorna. Accogliere il bambino aiuta la relazione. Se viene abortito danneggia anche la relazione.

Un altro problema riguarda le ragazze adolescenti tra i 15 e i 17 anni che rimangono incinte. Diverse docenti delle medie superiori contattano il CAV per aiutare ragazze in difficoltà. Anche perchè al CAV si fa il test gratuito di gravidanza. In questo caso si va a parlare con i genitori e si cerca di arrivare a un soluzione positiva.

La difficoltà per i volontari dei CAV non è solo quella di incontrare le mamme che hanno deciso per l’ivg, ma anche quello di poter seguire queste persone per tutto il percorso che porta alla nascita dei bambini e poi dopo.

Domenica ha raccontato la storia di una ragazza che aveva strappato il certificato di aborto, ma poi quando si avvicinava la scadenza della dodicesima settimana non ce l’ha fatta ed era già sul lettino per l’intervento.

Le ha quindi detto: non va bene ma ti sarò accanto lo stesso, ti tengo la mano. E’ andata in ospedale e quando le ha stretto la mano, la ragazza ha avuto un sussulto, si è messa a piangere, si è strappata di dosso il camice verde ed è scappata coperta solo dal cappotto dall’ospedale. Ha ricucito il rapporto con la sua famiglia ed ora ogni volta che incontra Domenica la ringrazia.

“Purtroppo – ha sottolineato ancora la volontaria del CAV di Bra – è molto brutto dirlo, ma il consultorio svolge ormai solo una funzione di autorizzazione degli aborti”. Così la struttura pubblica favorisce le ivg, mentre la società civile cerca di resistere e difendere la vita e il tessuto sociale che viene lacerato.

Caterina e Domenica, come gli altri volontari dei CAV, sono persone dedicate. Rispondono all’impegno dettato da Madre Teresa di Calcutta e cioè “che nessuna donna sia costretta ad abortire”. Svolgono la loro vita comune, ma poi trovano tempo, risorse morali, coraggio e cuore per aiutare chi si trova in difficoltà. E lo fanno a tempo pieno.

Il telefono del CAV di Bra e Fossano può suonare anche nel pieno della notte, la telefonata arriva ai loro cellulari, e come angeli custodi si prodigano a consolare e aiutare chi ha bisogno. Domenica ha raccontato anche di prostitute raccolte sulla strada con gravidanze avanzate. Con denunce dei protettori.

Si tratta di una vocazione che ha coinvolto anche le famiglie di Domenica e Caterina. Il marito di Domenica è il presidente del CAV di Bra e capisce bene cosa questo significhi.

Per quanto riguarda le richieste alle istituzioni civili Domenica e Caterina sostengono che la cosa più importante è l’impegno totale e assoluto nella difesa della persona, dal concepimento alla morte naturale. Con particolare attenzione ai nuclei familiari che possono aiutare le mamme e i bambini che per diversi motivi rimangono soli.

Ma non bastano le strutture pubbliche, è la società civile che deve ricucire il tessuto sociale, senza di questo, senza amorevole attenzione, nessun aiuto è veramente efficace.

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In difesa della vita e della maternità
Docenti universitari firmano una Carta per "La maternità dell'Italia nel terzo millennio"

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- In occasione della 32° Giornata nazionale per la Vita, le scuole di Ostetricia e Ginecologia della Università romane in collaborazione con l’ufficio della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma si sono incontrate per affrontare il tema della “tutela della maternità”.

Un tema di grandissima attualità e urgenza perchè racchiude in sé i problemi sollevati dal crollo delle nascite, delle maternità difficili, dell’importanza della fertilità e della sua preservazione, degli impedimenti della sterilità e le difficoltà per l’adozione.

A conclusione dell'incontro gli Ordinari di Ginecologia e Ostetricia delle Università romane hanno sottoscritto un documento condiviso che hanno chiamato “Carta di Roma - 32° Giornata per la Vita 'La maternità nell’Italia del III millennio'”.

“Nel corso degli ultimi anni – è scritto nella Carta – si è molto riflettuto sull'inizio della vita umana e sulla reale identità dell'embrione”, per questo motivo, affermano i docenti, “riteniamo fondamentale pertanto ribadire con forza in questa carta l'importanza della vita umana ed il suo valore imprescindibile fin dal concepimento”.

“In secondo luogo - continua la Carta -, consapevoli che l'embrione sia, nel corso della gravidanza, il ‘soggetto debole’, è importante riflettere anche sul ruolo di garanzia che la donna può interpretare durante la propria maternità”.

Secondo i firmatari “diventa pertanto importante assicurare alla donna le opportune tutele, in tutte le fasi della vita, valorizzando le peculiari caratteristiche della femminilità anche nel mondo professionale”.

“Chiediamo dunque – scrivono gli autori della Carta - che le forze politiche s'impegnino maggiormente nel sostegno delle famiglie, dei nuclei numerosi o di quelli in condizioni di disagio economico, ponendo particolare attenzione verso le madri dei gruppi etnici immigrati, che talvolta hanno maggiore difficoltà nel far rispettare i propri diritti; chiediamo altresì che sostengano la vita nascente e la maternità”.

“Infine - conclude il documento - in un'ottica di reale prevenzione della sterilità, doloroso fenomeno in costante crescita, proponiamo di sviluppare strategie globali volte a promuovere nelle giovani generazioni l'educazione ad una sessualità responsabile e rispettosa della Ecologia e della Dignità umana, che aiuti a preservare l'inestimabile patrimonio connesso alla fertilità”.

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Interviste


Da francescani in dialogo ecumenico nel paese della Mezzaluna
Intervista a un frate minore che vive in Turchia
di Chiara Santomiero

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- "Per andare a Istanbul ci vuole molta fantasia: non vi diremo cosa fare": è stata questa la "consegna" ricevuta da fr. Ruben Tierrablanca, all'epoca Guardiano della casa generalizia dei Frati minori a Roma, quando alcuni anni fa accolse l'invito di costituire con altri due compagni la Fraternità internazionale di Istanbul per la promozione del dialogo ecumenico ed interreligioso.

Fr. Tierrablanca ne ha parlato con ZENIT all'approssimarsi del sesto anniversario di nascita della comunità e del progetto ad essa legato.

In che cosa consiste il progetto?

Fr. Tierrablanca: Da diversi anni l'Ordine francescano - presente in Turchia fin dal XIII secolo - pensava ad una presenza che promuovesse in particolar modo il dialogo ecumenico ed interreligioso, sull'esempio di S. Francesco e del suo incontro con il sultano Malik-al-Kamil a Damietta nel 1219. La presenza di diverse Chiese cristiane - greco-ortodossa, armena, siriaca, protestante nelle varie denominazioni - rende Istanbul un luogo particolarmente adatto alla promozione del dialogo ecumenico. Con naturalezza, da questo discende l'apertura all'incontro con le comunità musulmana ed ebraica.

I tempi per l'attuazione del progetto sono maturati nel settembre del 2003 quando ci siamo trovati prima in tre, poi in quattro, presso il convento di S. Maria Draperis, nel centrale quartiere di Pera, per iniziare questa avventura. Abbiamo accolto come un segno della Provvidenza il fatto che i quattro frati minori che si sono ritrovati qui provengano da quattro paesi e continenti diversi: Corea (Asia), Congo (Africa), Francia (Europa) e Messico (America).

Già a partire da noi si realizza la sfida di una convivenza tra culture e lingue diverse in un paese che non è di nessuno dei quattro. La fraternità è stata poi ufficialmente inaugurata nel febbraio del 2004 dal ministro generale, fr. José Rodriguez Carballo.

Quali attività svolgete?

Fr. Tierrablanca: Ci muoviamo su diversi livelli. Innanzitutto vogliamo essere presenza francescana per il rapporto con le chiese cristiane. Questa disponibilità si traduce nell'attenzione alle festività, alle cerimonie religiose, agli eventi rilevanti vissuti da ciascuna chiesa - per condividerle con semplicità - e nell'organizzazione di momenti comuni di confronto e preghiera.

Si è conclusa da poco la settimana di intercessione per l'unità dei cristiani durante la quale, come si è soliti fare dappertutto, ci sono state celebrazioni insieme nelle varie chiese. E' stato bello constatare non solo una maggiore partecipazione dei fedeli, ma anche una maggiore mescolanza tra loro e la presenza alle celebrazioni nelle chiese diverse dalla propria. Per la prima volta, inoltre, in questa occasione le Chiese orientali hanno usato il turco per la preghiera e non il greco o il siriaco: non sono passaggi da poco. In maniera progressiva si acquista sempre più fiducia gli uni negli altri.

La fraternità di Istanbul ha anche l'obiettivo di essere presenza francescana in ricerca del rapporto con l'Islam. Sebbene non ci consideriamo degli specialisti in materia, svolgiamo però uno studio costante ed approfondito delle religioni con cui entriamo in contatto.

Un altro impegno è quello di offrire ai confratelli di tutto il mondo periodi di formazione sul dialogo ecumenico ed interreligioso. L'esperienza diretta di vivere accanto alle altre chiese e comunità religiose permette di entrare più facilmente nello spirito del dialogo. Sono aperti a chi lo desidera e si svolgono ad ottobre, di solito dal 17 al 28, perché il 27 c'è una preghiera interreligiosa nello spirito dell'incontro di Assisi voluto in quella data da Giovanni Paolo II nel 1986.

L'ultimo aspetto della nostra attività è riportare fuori dalla Turchia - laddove ci invitino a farlo - riflessioni ed esperienze relative al nostro cammino qui.

Un progetto da inventare giorno per giorno...

Fr. Tierrablanca: Tutto da inventare, da sognare anche. Con spirito francescano: non si insegna nulla, piuttosto si impara.

Dai progetti elaborati a tavolino spesso scaturiscono delusioni. Forse non abbiamo trovato tutto ciò che ci aspettavamo venendo qui, ma molto più di quanto desideravamo. Scopriamo il desiderio di tutti i cristiani di avere un contatto e questa è la benedizione di essere in pochi.

Il dialogo con l'Islam non è sempre facile, ma in Turchia ci sono buone relazioni di amicizia ed accoglienza rispetto ad altri paesi.

Non pesa essere una minoranza?

Fr. Tierrablanca: Minoranza sa di statistica e lamentazione. Non sempre dove sono garantite tutte le possibilità di espressione, la Chiesa è più autentica e forte. Qui ci è data l'occasione di vivere un approfondimento radicale della fede attraverso il riconoscersi fratelli in Cristo, centrando attenzione e spirito nella fede trinitaria e con l'Eucarestia come punto di riferimento speciale.

Veneriamo insieme i santi del calendario cattolico e di quello della Chiesa orientale: questo apre alla ricchezza della tradizione cristiana cioè la comunione dei santi. Essendo in pochi abbiamo la possibilità di conoscerci tutti e di camminare insieme con il desiderio di costituire una presenza significativa.

La situazione di minoranza diventa una grazia e la vocazione religiosa e cristiana si purifica e si approfondisce. Si rompono tutte le strutture mentali sul "se" e "come". Una cosa che non avevo mai sognato prima.

Ci sono restrizioni alla vostra attività?

Fr. Tierrablanca: Purificare la fede significa anche stabilire l'ordine delle priorità. Per legge - vale per tutti, anche per l'Islam -, fuori dai luoghi di culto è vietata ogni attività religiosa, tranne la voce dell'imam e il suono delle campane. Non si può svolgere un servizio negli ospedali, per esempio, o nelle scuole e le processioni all'esterno non si possono fare, ma non si può dire che una fede che non può essere manifestata in questo modo sia meno significativa. C'è una maggiore libertà: nulla da difendere, tutto è guadagno.

Certo le difficoltà esistono. Negli ultimi anni, la grande crescita dell'industrializzazione ha creato zone abitate fuori dalla città, dove vivono anche cristiani e cattolici e non ci sono chiese. Loro non possono venire sempre in centro e noi possiamo visitare le famiglie, ma non più di una volta, altrimenti questa attività viene intesa come proselitismo e si corre il rischio dell'espulsione.

Ma non viviamo tutto questo con il peso che sembra avere: d'altra parte né Gesù né Paolo hanno cambiato l'impero romano; si sono limitati ad andare avanti.

Lo spirito francescano è semplicità, gioia e rispetto. Siamo ospiti e ringraziamo per l'accoglienza in questo Paese. Le limitazioni non ci impediscono di vivere la nostra fede ma ci aiutano a darci da fare. Le regole da rispettare, cioè, ci danno lo spazio per fare le cose che si possono fare.

Ad ottobre si svolgerà il Sinodo sul Medio Oriente: quale cammino di preparazione è previsto?

Fr. Tierrablanca: Abbiamo preso visione dei Lineamenta e stiamo programmando il cammino di riflessione sul documento. Proprio in questi giorni c'è stato un incontro delle tre case della famiglia francescana - frati minori, conventuali e cappuccini - per un convegno da fare insieme.

In vista del Sinodo si era pensato anche a una riflessione comune con i musulmani ma forse è un progetto troppo ambizioso. Rimane però la proposta di un incontro a metà settembre insieme ad esponenti della comunità musulmana e docenti universitari per una riflessione sui valori spirituali che utilizzi un taglio più pastorale che dottrinale, così da porre al centro la vita concreta della gente e di tutti noi.

Spero che il Sinodo ci aiuti a maturare un pensiero condiviso sulle necessità che maggiormente sono evidenti oggi nella vita delle nostre comunità: il bisogno di tornare alla radici della fede per dare rinnovato vigore alla Chiesa in Turchia e il bisogno di allargare il dialogo ecumenico ed interreligioso a tutti i livelli, non solo quello istituzionale.

Lei è messicano, è stato a lungo a Roma: come si trova in questa nuova e complessa realtà?

Fr. Tierrablanca: Ho riscoperto la gioia di "manifestarsi" cristiani. Qui un rahiq, un consacrato è molto stimato dalla gente, perché c'è grande rispetto per la consacrazione a Dio, al di là della religione di appartenenza.

Chi mi conosce sa che dico spesso: "Io sono nato a 50 anni, quando sono venuto a Istanbul".

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Bioetica


Aborto: la sconfitta dell'Europa
Commento al Messaggio per la Giornata per la Vita 2010

di Carlo Casini*

ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Il titolo è bellissimo: “La forza della vita, una sfida nella povertà”. Mi ha fatto subito venire in mente mia madre e mio padre. Lui manovale delle ferrovie, morto il primo luglio 1938 in un infortunio sul lavoro; lei, come allora si diceva, atta a casa.

Nove figli, di cui otto viventi al momento in cui mia madre rimaneva vedova: la più grande 17 anni, la più piccola un anno e mezzo. Io avevo tre anni. Nessuno lavorava. Nessuna ricchezza se non la fede in Dio, che nella mia casa si chiamava “Provvidenza”, e l’amicizia della comunità degli uomini, in primo luogo quella cristiana.

Pensando alle giornate di mia madre (nella guerra, nella malattia, nel dolore) iniziate sempre con la Santa Messa all’alba (perché allora si celebrava anche alle cinque del mattino) ho subito pensato: “E’ proprio vero: la forza della vita!”.

Supero quel tanto di pudore imposto dal carattere personale e familiare di questa memoria non solo per rendere omaggio ai miei genitori. Mi aiuta in questo Madre Teresa di Calcutta che spesso iniziava i suoi discorsi per celebrare la vita rivolgendo un ringraziamento a tutti i genitori delle persone presenti.

In realtà credo di evocare una esperienza molto comune. L’esperienza di una straordinaria forza della vita capace di superare le difficoltà più gravi, tra le quali quelle economiche che non sempre sono le più pesanti. L’esperienza di una forza invincibile Se nella mente e nel cuore la vita diviene la Vita (con la maiuscola).

Mi pare bello e giusto richiamare questa esperienza – certamente anche quella di molti lettori – in un tempo e in un luogo tanto ricchi di beni, quanto incontentabili e tristi. Parlo dell’Occidente, dove gli uomini vengono spesso chiamati “consumatori” quando si analizzano le crisi economiche e si progetta il progresso.

Non voglio ignorare certo la povertà vera e talora disperata, nemica della vita, ma prima voglio capire bene il senso della sfida tra la vita e la povertà. Perciò corro col pensiero in luoghi del mondo dove l’indigenza è generale, dove si mangia una volta al giorno e i vestiti durano una vita. Ci sono tanti bambini. Molti più che da noi. E’ saggezza la nostra preoccupazione per il secondo o terzo figlio ed è stoltezza il generare senza calcolo tra le malattie e la fame?

Un tempo i demografi rispondevano concordemente di sì e paragonavano la bomba atomica alla “bomba demografica”, causa – dicevano – di sottosviluppo, di morte, di disastri ecologici. Ma oggi, almeno per l’Occidente, tutti hanno cambiato opinione: “l’inverno demografico” mette a rischio l’esistenza stessa dei popoli, prepara il fallimento degli Stati, frena l’innovazione. Un milione e trecentomila bambini distrutti legalmente prima di nascere ogni anno con l’aborto nell’Unione europea non sono solo un problema morale.

Anche accantonando per un momento il ruolo dei diritti umani nella costruzione della società; anche limitando lo sguardo alla dimensione economico-sociale il problema appare chiaramente grave e politico. Giovanni Paolo II non ha esitato a chiamare l’aborto legale e di massa “la sconfitta dell’Europa”.

Invece in un futuro non lontano i popoli del così detto Terzo Mondo irromperanno impetuosamente sulla scena mondiale. E’ la forza della vita nella povertà. Non si tratta, certo, di giustificare l’ingiustizia degli attuali rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri, né di rinunciare all’idea di una procreazione cosciente e responsabile. Si tratta, invece, di scoprire un collegamento tra i figli e la speranza. Sebbene in modo spesso irriflesso, proprio i poveri più dei ricchi collocano il loro sogno in un mondo futuro, che magari essi non vedranno. In ogni caso oggettivamente la vita va avanti.

C’è poi l’esperienza dei nostri Cav. La causa economica della propensione all’aborto è indicata spesso. Il nostro rapporto “Trenta anni a servizio della vita” del 2008 documenta che le madri che nel corso degli anni si sono rivolte ai nostri centri hanno lamentato la difficoltà economica in una percentuale variante tra il 20% e il 44%. Ma le operatrici e gli operatori dei Cav testimoniano anche l’irriducibile coraggio di donne disposte persino a rischiare la vita pur di far nascere il loro bambino.

Testimoniano la giovinezza ritrovata – con la sua capacità di sorriso e di fiducia – quando il figlio è accolto nonostante tutto e tutti dopo le prime esitazioni e disperazioni. Testimoniano che solo la presenza del figlio nella mente e nel cuore della madre fa scattare la molla del coraggio e che, d’altra parte, molto spesso la vita del figlio rigenera la vita stessa della madre e, talvolta, dei suoi stessi familiari.

Testimoniano che “le difficoltà della vita non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà” e che l’“insieme” che crea la solidarietà è determinato soprattutto dalla contemplazione della vita che la madre povera (nei molti sensi in cui si può essere ‘poveri’) porta in sé.

Ultimamente, insomma, è la forza della vita che salva la vita. La “necessità” di abortire – questa la nostra esperienza – non è tanto determinata dalla povertà materiale, quanto dall’annebbiamento del valore della vita. Noi proviamo dolore quando il nostro insistere nel proclamare la dignità piena della vita anche appena concepita viene accusata di astrattezza.

Altri – ci dicono – sono i problemi concreti della gente. Date casa, lavoro, sicurezza e vedrete che la vita sarà più rispettata. Eppoi la vita è di tutti – non solo del concepito. Perché non vi impegnate per tutta la vita, anche di coloro che sono già nati? Che cosa fate concretamente per i figli che avete fatto nascere, quando essi divengono ragazzi? Rispondiamo come la Pira. Accusato di essere un visionario, replicava: io sono anche un ragioniere, so fare i calcoli, sono un costruttore della città.

Così noi rispondiamo: certo, la vita è tutta la vita, ci sono problemi enormi generali. Cerchiamo di fare ciò che possiamo anche in termini concreti per tradurre in azione l’annuncio: lo testimoniano le case di accoglienza e gli oltre centomila bambini nati anche per il sostegno operoso dei Cav. Ma per risolvere i problemi generali e di tutti è necessaria la mobilitazione della intera società. Ci vuole un edificio nuovo. Noi mettiamo la prima pietra. Ecco: la prima pietra di un generale rinnovamento civile e morale.

Diceva Madre Teresa: “se accettiamo che una madre possa sopprimere il proprio figlio, che cosa ci resta?”. Cioè: “se non diciamo nulla, se non facciamo nulla per aiutare i più piccoli e deboli (sono i concepiti, ma anche molto spesso le loro madri schiacciate dalla solitudine se non addirittura dalla pressione dell’ambiente) come faremo ad avere l’energia e la forza necessaria per cambiare il mondo?”.

Davvero la questione della vita è diventata oggi la questione sociale. Ci conforta in questo senso l’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ci rallegra che movimenti avvezzi per la loro origine e la loro storia a difendere i lavoratori pongano oggi a tema la vita come questione sociale. La forza della vita. La prima pietra della questione sociale.

La diffusa decadenza spirituale è sotto gli occhi di tutti. Soprattutto nel campo familiare. Dalle colonne dei giornali i “saggi” irridono una Chiesa che continua a predicare una morale, che – così dicono – nessuno ascolta più. L’aria è impregnata da un pansessualismo pornografico ideologico che è causa non secondaria di tanto rifiuto di responsabilità verso la vita umana.

Sorge spontanea la domanda: se è giusto non distruggere il modello di famiglia cosiddetto “tradizionale”, da dove ricominceremo? Come, liberati dai tabù di un tempo, recupereremo la bellezza e la gioia del matrimonio, dell’amore fedele, della castità? Accanto ad una povertà materiale c’è una indigenza spirituale.

Molti pensano che occorra agire sulle cose per avere una qualche speranza di ascolto dei valori. Naturalmente c’è del vero in questo; ma c’è un intreccio più complesso che dobbiamo scoprire. Dobbiamo continuamente chiedere una nuova politica della famiglia, ma dobbiamo essere accorti: parlare, ad esempio, di casa per i giovani che intendono sposarsi o di lotta contro la disoccupazione, etc. non deve essere uno strumento di censura per non sentire il grido dei bambini eliminati in massa a causa di una cultura della scissione che separa il sesso dalla generazione, il sesso dalla famiglia, la famiglia dal matrimonio.

Anzi è proprio questo grido che deve dare più grande consistenza agli sforzi per risolvere i problemi della casa, del lavoro, etc. Del resto non è vero che tra i poveri di cose materiali la indigenza spirituale, sia più diffusa che tra i ricchi, specie in materia di morale familiare. Molti pensano che non valga la pena parlare troppo del valore della vita se prima non si ricostruisce una cultura della famiglia.

E se fosse vero l’inverso? Che, cioè, proprio a partire dalla contemplazione del bambino non ancora nato, realtà irresistibile sol che non si rivolga altrove lo sguardo, è possibile penetrare un po’ nel significato misterioso della sessualità, dell’amore e della famiglia e trovare così la forza di una coerenza di mente e di azione?

La più grande povertà è quella di chi crede che il non senso sia il senso dell’universo, della storia, della propria vita personale. Se la pietra tombale è l’esito della vita, allora non vale la pena programmare il futuro rinunciando a qualcosa del presente. Lo stordimento del possesso di cose e del piacere che ne può conseguire è lo scopo prammatico del vivere nell’immediato e nel progetto di futuro.

Questa povertà è vinta non soltanto dalla luce abbagliante della Rivelazione ma anche in chi ritiene di non avere il dono della fede, dalla percezione di essere all’interno di un mistero grandioso e stupefacente nel quale c’è ampio spazio per una risposta di senso positivo almeno sperato, intuito, postulato, scommesso. Nel nostro tempo questa speranza viene formalmente ripetuta tutte le volte che nelle carte dei diritti umani, nelle Costituzioni e nelle leggi proclamiamo la uguale dignità di ogni essere umano, che è come dire che il vivere di ogni uomo è un valore supremo nell’ordine del creato.

Sotto questo riguardo la contemplazione dell’uomo nella sua povertà più totale, come quando è appena concepito (o sta per morire) può essere la prima pietra di un cammino spirituale, al termine del quale c’è il Padre a attendere con le braccia aperte.

“L’uomo è la via della Chiesa”: è stata la parola d’ordine di Giovanni Paolo II. Il mistero della vita facilmente constatabile guardando negli occhi un bimbo, od anche una semplice ecografia di un embrione, ci fa intuire l’intelligenza e la bellezza di una potenza creatrice e ordinatrice. La forza della vita, anche nella povertà, parla di Dio.

Che cosa è la povertà? E’ privazione del necessario. Cosa è più necessario della vita? Niente. Ancora Madre Teresa di Calcutta diceva che il bambino non nato, minacciato di essere abortito, è il più povero tra i poveri. L’uomo comincia la sua esistenza nella nudità più assoluta. Non possiede nulla se non la sua qualità di essere umano. E’il totalmente dipendente. La sua unica possibilità è l’accoglienza e l’amore della mamma.

Abbiamo già citato la cifra conosciuta dei poveri eliminati legalmente ogni anno: 1.300.000 nei 27 paesi dell’Unione Europea; 130.000 in Italia; dicono 40.000.000 nel mondo. Possiamo parlare di povertà e non pensare a loro? C’è una vecchia questione che ci tormenta: come far pensare a loro? Come affrontare la sfida? Tirando pugni nello stomaco oppure risvegliando coscienze, stupori, riconoscimenti, amori e coraggi assopiti?

Il movimento per la vita ha sempre scelto la seconda linea. Ci sono i momenti in cui il linguaggio deve essere duro, ma, di regola, preferiamo mostrare la meraviglia della vita umana piuttosto che l’orrore dell’aborto. Ce lo suggeriscono le lacrime di tante giovani donne. Anche nel dibattito culturale e politico vale il proverbio che persuade di più un cucchiaio di miele che un fiasco di aceto: il silenzio, la censura, l’irrisione e persino la violenza verbale di tanti possono essere interpretati come il riflesso della inquietudine di chi, in definitiva, si riconosce nella logica dei diritti umani e nel fondo del suo cuore sa che l’argomento della vita è irresistibile. Se la sfida è accettata la forza della vita vince.

Ma, in nessun caso, proprio per questo, la scelta di un linguaggio maieutico di accompagnamento più che di scontro può dimenticare che il bambino è sempre bambino anche prima di nascere, uno di noi, un figlio, una persona. Per questo 32 anni fa fu istituita la Giornata della vita. Nel corso dell’anno tante altre giornate ecclesiali impegnano i credenti e i non credenti in un servizio di vario genere in favore delle più diverse categorie di “poveri”. La prima domenica di febbraio ha il compito specifico di ricordarci lui: il più piccolo e il più povero.

Tanti anni sono passati, ma la Chiesa non si rassegna alla assuefazione. Proprio per questo si scrisse allora, subito dopo l’approvazione della ingiusta legge 194, che la giornata avrebbe dovuti dimostrare che “la Chiesa non si rassegna e non si rassegnerà mai”, affinché nonostante la legge, a difendere la vita resti, almeno, il baluardo della coscienza. E prenda vigore, ogni anno di più, quella solidarietà concreta verso le madri in difficoltà, che testimoniando con i fatti l’amore alla vita, penetri nelle coscienze assopite e vi risvegli la forza della vita.

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*Carlo Casini è Presidente del Movimento per la Vita italiano.

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Forum


Gli americani cercano un vero cambiamento economico-politico
L'enciclica del Papa come guida per un mercato etico

di Carl Anderson*


NEW HAVEN, Connecticut, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Per gli americani il loro Paese continua ad essere orientato nella direzione sbagliata.

Nel 2008, il presidente Obama aveva percepito questa sensazione e aveva brillantemente colto l’attimo con la sua campagna “Change we can believe in”, [“Cambiamento in cui possiamo credere”, meglio nota in Italia con lo slogan “Yes we can”, ndt]. Ora, a un anno dall’inizio della sua presidenza, Washington non sembra in grado di reggere le aspettative e gli americani stanno perdendo fiducia nel Governo.

Un recente sondaggio svolto dai Cavalieri di Colombo e dal Marist Institute for Public Opinion ha svelato che sebbene Obama riscuota nell’insieme un consenso positivo da parte della maggioranza della popolazione americana, quasi 6 persone su 10 hanno invece perso fiducia nella capacità dell’Amministrazione di Washington di gestire la crisi economica.

Inoltre, il 55% degli intervistati si è detto convinto che una maggiore regolamentazione da parte del Governo non farebbe che danneggiare ulteriormente l’economia.

Ma se gli americani non vedono con favore una maggiore regolamentazione e non manifestano grande fiducia nelle misure adottate dal Governo, questo non significa che non abbiano una visione critica nei confronti di Wall Street.

Infatti, un numero crescente di persone dimostra disapprovazione per l’avidità presente nel mondo della finanza.

Non sarà facile per la finanza impedire una maggiore regolamentazione da parte del Governo, poiché la maggior parte degli americani ripone ancora meno fiducia negli operatori della finanza e per questo non vuole regole a maglie larghe.

Un buon 81% di americani ritiene che i responsabili della finanza abbiano due diverse scale etiche che applicano, una nel lavoro, e l’altra nella vita personale. E il 75% sostiene che ciò non sia giusto.

La gente si aspetta dei cambiamenti nel mondo degli affari e della finanza.

Ci si aspetta un più alto livello qualitativo e un maggior impegno etico nell’economia.

Questo sentimento popolare non può essere liquidato definendolo un rabbioso populismo. Esso è piuttosto espressione del desiderio di un libero mercato, dotato però di regole che ne conservino il senso. Gli americani comprendono – giustamente – che il libero mercato deve avere come fondamento essenziale una bussola morale.

Gli americani si aspettano che il mercato rifletta il loro stile di vita e si basi su valori come l’onestà, il fair play e la solidarietà verso il prossimo. Questo è sempre stato il meglio dell’ideale americano ed è l’unico modo per gli esponenti della finanza di ricucire i rapporti con la gente.

I top manager di oggi sono in grado di assicurare una versione di libero mercato che corrisponda al “cambiamento in cui possiamo credere”?

Affari etici

È interessante ricordare che nel 1985, l’allora cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, aveva avvertito delle conseguenze di un sistema che aveva abbandonato le proprie fondamenta morali. Diceva: “Sta diventando un fatto di storia economica sempre più evidente il fatto che lo sviluppo di sistemi economici incentrati sul bene comune dipende da un determinato sistema etico che, a sua volta, può nascere ed essere sostenuto solo da forti convinzioni religiose. Viceversa, è diventato altrettanto evidente che il venir meno di tale sistema può effettivamente portare al collasso delle leggi di mercato”.

Abbiamo visto il mercato separarsi dall’etica e abbiamo visto il mercato collassare sotto il peso di avide ed egoistiche operazioni d’investimento. La questione è: siamo in grado di ridare etica al sistema di mercato?

Lo scorso anno, in un precedente sondaggio svolto congiuntamente dai Cavalieri di Colombo e dal Marist Institute for Public Opinion abbiamo visto che tre quarti degli americani e il 94% dei manager ritenevano che un’impresa potesse al contempo essere etica e avere successo. È necessario dunque che la maggioranza degli operatori recuperi il senso morale del processo decisionale.

Se i dirigenti d’azienda fossero pronti ad applicare i loro standard etici, ciò potrebbe rappresentare per gli americani quella vera alternativa rispetto alla maggiore regolamentazione, che peraltro si è dimostrata incapace di risolvere una crisi e tanto più sarà incapace di prevenirne una nuova.

Ma se la finanza non procederà a riancorarsi all’etica, gli americani saranno costretti a scegliere tra l’avidità di Wall Street e la mano pesante di Washington.

Non sorprende che oltre a manifestare pessimismo per il piano del Governo di uscita dalla crisi economica, la maggioranza degli americani si senta colpita personalmente dalla crisi. Nel nostro sondaggio, il 55% ha detto che la propria carriera potrebbe risentire negativamente dal contesto economico attuale.

Se dunque la maggioranza si sente personalmente minacciata dalla crisi, questo non è un problema destinato a dissolversi da solo.

Voto di sfiducia

Nella vita reale domina la delusione – e l’opposizione – sia per una maggiore regolamentazione che per l’avidità della finanza, e la convinzione che nessuna delle due ipotesi sarà in grado di risolvere il fallimento morale procurato dal divorzio tra etica ed economia.

Finché gli americani non vedranno il “cambiamento in cui possiamo credere”, sia a Washington che a Wall Street, finché non vedranno decisioni economiche prese su basi morali, la crisi di fiducia tra i lavoratori e i consumatori americani proseguirà, e non ci potranno che essere cattivi presagi per tutti noi.

Ma la speranza c’è. Anzitutto, i cattolici imprenditori, dirigenti, investitori e consumatori, devono capire che la loro mancanza di azione – o meglio, di azione pubblica – contribuisce a consolidare il silenzio che caratterizza la dimensione morale della crisi economica.

Potremmo dire, con Shakesperare, che “la colpa non sta nelle stelle ma in noi stessi”, e una volta capito questo, potremmo anche scoprire che questa situazione può essere cambiata.

Benedetto XVI ci ha dato una meravigliosa guida per raggiungere un futuro in cui l’economia possa ricomprendere la sua etica. Per anni, e in particolare nella sua più recente enciclica “Caritas in veritate”, il Papa ci ha mostrato il cammino verso un futuro in cui l’etica è al centro dell’economia e non ai margini.

Così, con il nostro esempio, dobbiamo risvegliare il 75% degli americani e il 94% dei manager che credono di poter fare i soldi anche agendo eticamente. Con questa maggioranza schiacciante non dovrebbe essere difficile riuscire a cambiare il modo di fare gli affari.

È il tipo di cambiamento in cui tre quarti del Paese già crede e che potrebbe trasformare il mondo in un luogo migliore per tutti noi.



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*Carl Anderson è il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller secondo la classifica del
New York Times.


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Angelus


Benedetto XVI: la fede rende intrepidi apostoli anche gli uomini deboli
Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.




* * *

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia di questa quinta domenica del tempo ordinario ci presenta il tema della chiamata divina. In una visione maestosa, Isaia si trova al cospetto del Signore tre volte Santo ed è preso da grande timore e dal sentimento profondo della propria indegnità. Ma un serafino purifica le sue labbra con un carbone ardente e cancella il suo peccato, ed egli, sentendosi pronto a rispondere alla chiamata, esclama: "Eccomi Signore, manda me!" (cfr Is 6,1-2.3-8). La stessa successione di sentimenti è presente nell’episodio della pesca miracolosa, di cui ci parla l’odierno brano evangelico. Invitati da Gesù a gettare le reti, nonostante una notte infruttuosa, Simon Pietro e gli altri discepoli, fidandosi della sua parola, ottengono una pesca sovrabbondante. Di fronte a tale prodigio, Simon Pietro non si getta al collo di Gesù per esprimere la gioia di quella pesca inaspettata, ma, come racconta l’Evangelista Luca, gli si getta alle ginocchia dicendo: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore". Gesù, allora, lo rassicura: "Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini" (cfr Lc 5,10); ed egli, lasciato tutto, lo segue.

Anche Paolo, ricordando di essere stato un persecutore della Chiesa, si professa indegno di essere chiamato apostolo, ma riconosce che la grazia di Dio ha compiuto in lui meraviglie e, nonostante i propri limiti, gli ha affidato il compito e l’onore di predicare il Vangelo (cfr 1Cor 15, 8-10). In queste tre esperienze vediamo come l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato. Ma, nonostante questa fragilità, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo. L’umiltà testimoniata da Isaia, da Pietro e da Paolo invita quanti hanno ricevuto il dono della vocazione divina a non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a "lasciare tutto" per Lui. Egli, infatti, non guarda ciò che è importante per l’uomo: "L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore" (1 Sam 16,7), e rende degli uomini poveri e deboli, ma che hanno fede in Lui, intrepidi apostoli e annunciatori della salvezza.

In quest’Anno Sacerdotale, preghiamo il Padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe e perché quanti sentono l’invito del Signore a seguirlo, dopo il necessario discernimento, sappiano rispondergli con generosità, non confidando nelle proprie forze, ma aprendosi all’azione della sua grazia. In particolare, invito tutti i sacerdoti a ravvivare la loro generosa disponibilità a rispondere ogni giorno alla chiamata del Signore con la stessa umiltà e fede di Isaia, di Pietro e di Paolo.

Alla Vergine Santa affidiamo tutte le vocazioni, particolarmente quelle alla vita religiosa e sacerdotale. Maria susciti in ciascuno il desiderio di pronunciare il proprio "sì" al Signore con gioia e dedizione piena.


[DOPO L’ANGELUS]

Si celebra oggi in Italia la Giornata per la Vita. Mi associo volentieri ai Vescovi italiani e al loro messaggio sul tema: "La forza della vita, una sfida nella povertà". Nell’attuale periodo di difficoltà economica, diventano ancora più drammatici quei meccanismi che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi. Tale situazione, pertanto, impegna a promuovere uno sviluppo umano integrale per superare l’indigenza e il bisogno, e soprattutto ricorda che il fine dell’uomo non è il benessere, ma Dio stesso e che l’esistenza umana va difesa e favorita in ogni suo stadio. Nessuno, infatti, è padrone della propria vita, ma tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla, dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.

Mentre esprimo apprezzamento per coloro che più direttamente operano al servizio dei bambini, dei malati e degli anziani, saluto con affetto i molti fedeli di Roma qui convenuti, guidati dal Cardinale Vicario e da alcuni Vescovi Ausiliari. La Diocesi di Roma dedica speciale attenzione alla Giornata per la Vita e la prolunga nella "Settimana della vita e della famiglia". Auguro la buona riuscita di questa iniziativa ed incoraggio l’attività dei consultòri, delle associazioni e dei movimenti, come pure dei docenti universitari, impegnati a sostegno della vita e della famiglia.

In questo contesto ricordo che il prossimo 11 febbraio, memoria della Beata Vergine di Lourdes e Giornata Mondiale del Malato, al mattino celebrerò la Santa Messa con gli ammalati, nella Basilica di San Pietro.

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare l’Associazione "Amici di Papa Luciani", di Padova, e i fedeli provenienti da Milano, Pescara e Valenzano. A tutti auguro una buona domenica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Documenti


Discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Guatemala
Nessuna impunità per chi viola i diritti umani

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel ricevere questo sabato in Vaticano il signor Alfonso Roberto Matta Fahsen, Ambasciatore del Guatemala presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle lettere credenziali.

 




* * *

Signor Ambasciatore,

1. Ricevo con piacere dalle sue mani le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica del Guatemala presso la Santa Sede. Le porgo un cordiale benvenuto nel momento in cui dà inizio all'alta responsabilità che le è stata affidata, e allo stesso tempo la ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto e per il deferente saluto che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza, l'ingegnere Álvaro Colom Caballero, Presidente del Guatemala. Le sarei grato se gli facesse pervenire i miei migliori auguri per lui e per il suo Governo, che accompagno con le mie preghiere per la sua Patria e il suo nobile popolo.

2. Lei, Eccellenza, conosce bene l'attenzione che la Santa Sede presta al Guatemala, la cui storia è da secoli permeata e arricchita in modo fecondo dalla sapienza che proviene dal Vangelo. In effetti, il popolo guatemalteco, con la sua varietà di etnie e di culture, nutre una fede profondamente radicata in Dio, una sincera devozione per Maria Santissima e un amore fedele al Papa e alla Chiesa. Ciò rispecchia le strette e fluide relazioni che il suo Paese mantiene da tempo con la Santa Sede, e che hanno acquistato particolare rilievo con la creazione della Nunziatura Apostolica in Guatemala. È auspicabile che la commemorazione del 75° anniversario di questo importante evento, nell'anno 2011, dia nuovo impulso alla cooperazione esistente con la sua Patria e fra lo Stato e la Chiesa, fondata sul rispetto e sull'autonomia delle diverse sfere proprie di ognuno, e si progredisca nel dialogo leale e onesto per promuovere il bene comune di tutta la società guatemalteca, che deve prestare un'attenzione particolare ai più bisognosi.

3. In tale contesto, non posso dimenticare quanti stanno subendo le conseguenze dei fenomeni climatici che, anche nel suo Paese, contribuiscono ad aumentare la siccità e favoriscono la perdita dei raccolti, causando denutrizione e povertà. Questa situazione estrema ha portato di recente il Governo nazionale a dichiarare lo «stato di calamità pubblica» e a chiedere l'aiuto della comunità internazionale. Desidero manifestare il mio affetto e la mia vicinanza spirituale alle vittime di queste gravi contrarietà, come pure la mia riconoscenza alle istituzioni della sua Patria che con dedizione si sforzano di offrire soluzione a questi problemi tanto seri. Bisogna menzionare anche, in questo momento, la magnanimità dei cooperatori e dei volontari, come pure quella di tutte le persone che con i loro sforzi e i loro sacrifici stanno cercando di alleviare il dolore, la fame e l'indigenza di tanti loro fratelli. Allo stesso modo, desidero esprimere la mia gratitudine ai diversi organismi e agenzie di cooperazione internazionale, che stanno facendo tutto il possibile per mitigare la carestia in ampi settori della popolazione. E, in particolare, penso agli amati figli della Chiesa in Guatemala, pastori, religiosi e fedeli che, ancora una volta, cercano di imitare il modello evangelico del Buon Samaritano, assistendo generosamente i più bisognosi.

Che tutti possano disporre degli alimenti necessari è un diritto fondamentale di ogni persona e, pertanto, un obiettivo prioritario. Per questo, oltre alle risorse materiali e alle decisioni tecniche, sono necessari uomini e donne con sentimenti di compassione e di solidarietà, che s'incamminino verso il conseguimento di questa meta, dando prova di quella carità che è fonte di vita e di cui ogni essere umano ha bisogno. Operare in questa direzione significa promuovere e rendere degna la vita di tutti, specialmente quella delle persone più vulnerabili e indifese, come i bambini che, senza un'adeguata alimentazione, vedono la loro crescita fisica e psichica compromessa e, spesso, si vedono esposti a lavori inadatti alla loro età o immersi in tragedie, che costituiscono una violazione della loro dignità personale e dei diritti che da essa derivano (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2007, n. 3).

4. I numerosi valori umani ed evangelici che il cuore dei cittadini del suo Paese custodisce, come l'amore per la famiglia, il rispetto per gli anziani, il senso di responsabilità e, soprattutto, la fiducia in Dio, che ha rivelato il suo volto in Gesù Cristo e che i guatemaltechi invocano nelle loro sofferenze, rappresentano importanti motivi di speranza. Da questo copioso patrimonio spirituale si possono trarre le forze necessarie per contrastare altri fattori che deteriorano il tessuto sociale guatemalteco, come il narcotraffico, la violenza, l'emigrazione, l'insicurezza, l'analfabetismo, le sette e la perdita di punti di riferimento morale nelle nuove generazioni. Per questo, alle iniziative che già si stanno portando avanti nella sua Nazione per salvaguardare e incrementare questa inestimabile ricchezza, si dovranno aggiungere nuove soluzioni, che vanno cercare «alla luce di una visione integrale dell'uomo, che rispecchi i vari aspetti della persona umana, contemplata con lo sguardo purificato dalla carità» (Caritas in veritate, n. 32). Per questa impresa così decisiva, le autorità del suo Paese potranno sempre contare sulla sollecita collaborazione della Chiesa nel suo costante proposito di aprire «cammini nuovi e creativi», per rispondere ai desolanti effetti della povertà e cooperare alla nobilitazione di ogni essere umano (cfr. Documento conclusivo della v Conferenza generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, Aparecida, nn. 380-546).

5. Desidero esprimere anche la mia riconoscenza per le azioni che si stanno realizzando in Guatemala per consolidare le garanzie di un vero Stato di diritto. Questo processo deve essere accompagnato da una ferma determinazione, che nasce dalla conversione personale del cuore, di eliminare qualsiasi forma di corruzione nelle istituzioni e amministrazioni pubbliche e di riformare la giustizia, per applicare in modo giusto le leggi e sradicare la sensazione di impunità rispetto a coloro che esercitano qualsiasi forma di violenza o disprezzano i diritti umani fondamentali. Questa opera di rafforzamento democratico e di stabilità politica deve essere costante, ed è imprescindibile per poter avanzare verso un vero sviluppo integrale della persona, che si rifletta in modo positivo su ogni ambito della società, sia esso economico, culturale, politico, territoriale o religioso (cfr. Caritas in veritate, n. 41).

6. Nel patrimonio culturale della sua Patria, nella storia recente di pacificazione della società guatemalteca, o nella formulazione giuridica delle sue leggi, vi sono realtà che determinano l'identità specifica del suo popolo e che possono avere ripercussioni benefiche sulla stabilità politica e sociale dell'area centroamericana. A tale proposito, è degna di menzione la lungimiranza con cui la Costituzione del Guatemala garantisce la difesa e la tutela legale della vita umana, dal suo concepimento fino alla sua morte naturale. Esorto tutti gli agenti sociali del suo Paese, in particolare i rappresentanti del popolo nelle istituzioni legislative, a mantenere e a rafforzare questo elemento fondamentale della «cultura della vita», che senza dubbio contribuirà ad accrescere il patrimonio morale dei guatemaltechi.

7. Signor Ambasciatore, sia certo della completa disponibilità dei miei collaboratori per il fruttuoso svolgimento della sua missione che inizia ora, e nello stesso tempo la prego di formulare i miei voti migliori alle autorità che gliela hanno affidata e agli amati figli e figlie del Guatemala, per la cui pace e prosperità levo ferventi preghiere all'Altissimo, per intercessione di Nostra Signora del Rosario, Patrona celeste di questa terra benedetta.

[Traduzione dal testo originale in spagnolo a cura de “L'Osservatore Romano”]

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Discorso del Papa ai dirigenti e al personale dell'ACEA

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo sabato da Benedetto XVI nel ricevere in Vaticano i dirigenti e il personale dell’Azienda romana ACEA (Azienda Comunale Energia e Ambiente).

 



* * *

Signor Cardinale,

cari amici dell’Azienda Comunale Energia e Ambiente!

Sono lieto di accogliervi e di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto il Signor Cardinale Salvatore De Giorgi, i Membri del Direttivo Nazionale UCID e il Presidente di ACEA, il Dott. Giancarlo Cremonesi, che ringrazio per le cortesi parole con cui ha introdotto il nostro incontro e per i doni offerti, in particolare per il bel volume sull’applicazione al mondo dell’impresa dei principi dell’Enciclica Caritas in veritate, edito dalla Libreria Editrice Vaticana in collaborazione con l’UCID, nella collana "Imprenditori per il bene comune". Desidero esprimere vivo apprezzamento per tale iniziativa editoriale, auspicando che possa diventare un punto di riferimento nel cercare soluzioni per i complessi problemi del mondo del lavoro e dell’economia. Vorrei, inoltre, esprimere il mio vivo compiacimento per il progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, che si propone l’obiettivo di rispondere all’urgenza di acqua e di energia in alcuni Paesi in via di sviluppo.

Ho, inoltre, visto con interesse la "Carta dei Valori" ed il "Codice Etico", nei quali vengono richiamati i principi di responsabilità, trasparenza, correttezza, lo spirito di servizio e di collaborazione cui si richiama l’ACEA. Si tratta di orientamenti che codesta Azienda vuole ricordare e sui quali costruire la propria immagine e reputazione.

Avete da poco concluso le celebrazioni del centenario dell’ACEA. Sono, infatti, passati cento anni da quel 20 settembre del 1909, quando i Cittadini romani, con referendum popolare, scelsero che l’illuminazione pubblica e i trasporti collettivi fossero municipalizzati. Da quel giorno la vostra Azienda è cresciuta insieme a Roma. Un cammino lungo e affascinante, ricco di sfide e di successi. Basti pensare a quanto è stato complesso garantire i servizi essenziali a fasce sempre più estese di cittadini, in quartieri nuovi, spesso cresciuti in maniera caotica e abusiva, in una Città che cambiava e si espandeva a dismisura. Così, nel corso degli anni, possiamo affermare che il rapporto fra l’Urbe e l’ACEA è diventato sempre più stretto, e questo grazie soprattutto alla pluralità di servizi che l’Azienda ha erogato e continua ad erogare alla Città, sostenendone e favorendone la trasformazione in una moderna Metropoli.

La celebrazione centenaria giunge al termine di un periodo denso di difficoltà, caratterizzato da una grave crisi internazionale che ha portato il mondo a ripensare un modello di sviluppo basato soprattutto sulla finanza e sul profitto, per orientarsi a rimettere al centro dell’azione dell’uomo la sua capacità di produrre, di innovare, di pensare e costruire il futuro. Come sottolineavo nell’Enciclica Caritas in veritate, è importante che cresca la consapevolezza circa la necessità di una più ampia "responsabilità sociale" dell’impresa, che spinga a tenere nella giusta considerazione le attese e i bisogni dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e dell’intera comunità, e ad avere una particolare attenzione verso l’ambiente (cfr n. 40). In questo modo la produzione di beni e servizi non sarà legata esclusivamente alla ricerca del profitto economico, ma anche alla promozione del bene di tutti. Mi rallegro perché la storia di questi cento anni non si traduce soltanto nei termini numerici di una sempre maggiore competitività, ma anche in un impegno morale che tende a perseguire il benessere della collettività.

Nello spirito di servizio che la caratterizza, desidero esprimere il mio apprezzamento per quanto l’ACEA, grazie alla competenza professionale dei suoi dipendenti, ha realizzato nell’illuminazione dei monumenti che rendono Roma unica al mondo. A questo proposito, voglio ricordare con gratitudine il fattivo aiuto in occasione delle celebrazioni per l’80° Anniversario della fondazione dello Stato della Città del Vaticano. Anche numerose Chiese, ad iniziare dalla Basilica di San Pietro, sono valorizzate da sapienti giochi di luce che mettono in risalto quanto l’uomo ha saputo realizzare per manifestare la propria fede in Cristo, "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1, 9).

Ho appreso, poi, con favore dell’impegno dell’Azienda nel tutelare l’ambiente attraverso la gestione sostenibile delle risorse naturali, la riduzione dell’impatto ambientale e il rispetto del creato. E’ però ugualmente importante favorire un’ecologia umana, che sia in grado di rendere gli ambienti di lavoro e le relazioni interpersonali degne dell’uomo. Vorrei, a questo proposito, ribadire quanto ho affermato nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno, auspicando "l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita" (n. 9).

Anche a Roma, come in ogni grande Città, si avvertono gli effetti di una cultura che esaspera il concetto di individuo: spesso si vive chiusi in se stessi, ripiegati sui propri problemi, distratti dalle tante preoccupazioni che affollano la mente e rendono l’uomo incapace di cogliere le semplici gioie presenti nella vita di ciascuno. La custodia della creazione, compito affidato dal Creatore all’umanità (cfr Gen 2,15), implica anche la custodia di quei sentimenti di bontà, generosità, correttezza e onestà che Dio ha posto nel cuore di ogni essere umano, creato a sua "immagine e somiglianza" (cfr Gen 1,26).

Vorrei, infine, rivolgere ai presenti l’invito a guardare a Cristo, l’uomo perfetto, a prendere sempre come esempio il suo agire, per poter crescere in umanità, e così realizzare una Città dal volto sempre più umano, nella quale ognuno è considerato persona, essere spirituale in relazione con gli altri. Anche grazie al vostro impegno nel migliorare i rapporti interpersonali e la qualità del lavoro, Roma potrà continuare ad assolvere quel ruolo di faro di civiltà, che l’ha resa illustre nel corso dei secoli.

Mentre vi rinnovo l’espressione della mia gratitudine per questa vostra visita, assicuro un particolare ricordo nella preghiera per ciascuno di voi e per le vostre attività, e di cuore vi benedico insieme ai vostri cari.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

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