domenica 21 febbraio 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 21 febbraio 2010

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Il Papa: la Quaresima, "un tempo di 'agonismo' spirituale"
Nell'Angelus per la prima domenica di Quaresima

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La Quaresima è come “un lungo ritiro” che invita a “rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio”. Lo ha detto Benedetto XVI nella prima domenica di Quaresima salutando i fedeli che hanno partecipato in piazza San Pietro alla preghiera dell’Angelus.

Nel suo discorso introduttivo alla tradizionale preghiera mariana della domenica, il Papa ha ricordato che il periodo quaresimale è un “tempo di penitenza, di preghiera, di opere di carità e di conversione”; “un tempo di 'agonismo' spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, bensì usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza”.

Nella sua riflessione il Papa ha richiamato il Vangelo di questa domenica in cui Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo da Giovanni, si allontana dal Giordano ed è guidato “dallo Spirito Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo”.

Le tentazioni – ha sottolineato il Santo Padre - non furono “un incidente di percorso”, ma la conseguenza della “scelta di Gesù di seguire la missione affidatagli dal Padre”.

“Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio – ha spiegato –. Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce”.

“Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita”.

“Questa nuova vita – ha aggiunto – la vediamo in Gesù Cristo. Egli, che comprende la nostra debolezza umana perché, come noi, è stato indotto in tentazione, ci mostra che l’uomo vive di Dio”.

E di fronte alle tentazioni del diavolo, “Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio autentico: l’obbedienza alla volontà di Dio”.

“Anche questo è un insegnamento fondamentale per noi – ha concluso –: se portiamo nella mente e nel cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, possiamo respingere ogni genere di inganno del Tentatore”.

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Il Papa dedica questa settimana alla preghiera
Sospese tutte le udienze e gli incontri pubblici
ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha cancellato tutti i suoi incontri pubblici per potersi dedicare interamente alla preghiera, seguendo la pratica degli Esercizi spirituali.

Per il Pontefice, chiamato quest'anno a prendere delle decisioni importanti e ad affrontare dei passi decisivi per il futuro della Chiesa, sono cominciate infatti questa domenica sera, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico vaticano, le meditazioni che per l'occasione saranno predicate a lui e ai suoi collaboratori della Curia romana dal sacerdote salesiano Enrico dal Covolo.

Durante l'incontro di questa domenica con i fedeli in piazza San Pietro giunti per la preghiera dell'Angelus, il Pontefice ha sottolineato l'importanza degli Esercizi spirituali, chiedendo a tutti i fedeli di pregare per lui e per i suoi collaboratori affinché questi giorni di meditazione siano fecondi.

Il tema scelto dal predicatore degli Esercizi di quest'anno è “'Lezioni' di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale”, e si colloca all'interno dell'Anno sacerdotale che si chiuderà nel mese prossimo di giugno.

Come spiegato da don Enrico dal Covolo a ZENIT (cfr. 19 febbraio 2010), durante gli Esercizi spirituali, che si concluderanno sabato prossimo, le meditazioni della mattina saranno dedicate alle “Lezioni di Dio”, cioè alla lectio divina, la lettura orante della Sacra Scrittura che si fa seguendo quattro gradi o tappe: lectio, meditatio, oratio, contemplatio.

La sera, invece, le meditazioni riguarderanno le “Lezioni della Chiesa”, ovvero i modelli di santità offerti dai sacerdoti nel corso della storia.

Gli Esercizi sono cominciati alle ore 18 di domenica con l'esposizione del Sacramento dell'Eucaristia, la celebrazione dei Vespri, la meditazione introduttiva, l'adorazione e la benedizione eucaristica.

Nei giorni successivi, il ritiro del Papa comincerà con la preghiera e la Messa. Più tardi, alle 9 della mattina, si riunirà insieme ai suoi collaboratori per la celebrazione delle Lodi e la meditazione, nella Cappella decorata in occasione del Grande Giubileo del 2000 dagli stupendi mosaici di padre Marko Ivan Rupnik S.I. Alle ore 10.15, avrà luogo la celebrazione dell’Ora Terza e successivamente una seconda meditazione.

La meditazione della sera, invece, si terrà attorno alle 17 e sarà seguita dalla celebrazione dei Vespri, dall'adorazione e dalla benedizione eucaristica.

Don Enrico dal Cavolo, richiamando le parole di sant’Ignazio di Loyola, ha spiegato che l'obiettivo degli Esercizi spirituali è quello di “mettere ordine nella propria vita”.

Le riflessioni saranno guidate dal tema specifico di ogni giornata: lunedì e martedì saranno dedicati rispettivamente alla preghiera per le vocazioni sacerdotali e per i missionari; mercoledì sarà la “giornata penitenziale”, giovedì la “giornata cristologica” e venerdì la “giornata mariana”. Sabato 27, infine, sarà dedicato alla conclusione delle attività.

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Il Papa riceve il premier libanese Hariri
La pace in Medio Oriente non può fare a meno del contributo delle religioni

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- La pace in Medio Oriente passa per il dialogo interculturale e interreligioso. E’ quando ha detto Benedetto XVI nel ricevere in udienza questo sabato mattina il quarantenne presidente del Consiglio dei ministri libanese, Saad Hariri.

Secondo quanto riferito da un comunicato della Sala Stampa vaticana, durante i colloqui è stata presa in esame la “situazione in Libano e si è auspicato che esso, tramite l’esemplare convivenza delle diverse comunità religiose che lo compongono rimanga un ‘messaggio’ per la Regione mediorientale e per tutto il mondo”.

In Libano, dopo il “patto nazionale” del 1943 che ha sancito una suddivisione delle cariche pubbliche in base all'appartenenza religiosa, il presidente della Repubblica deve essere cristiano maronita, resta in carica sei anni e condivide il potere esecutivo con il Consiglio dei ministri, presieduto da un musulmano di confessione sunnita.

Durante l'incontro, prosegue la nota, è stata sottolineata “la necessità di trovare una soluzione giusta e globale ai conflitti che travagliano detta Regione”, oltre a richiamare “l’importanza del dialogo interculturale e di quello interreligioso per promuovere la pace e la giustizia”.

“In tale prospettiva – si legge ancora – non è mancato un accenno alla prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente” che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza: 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola'” (At 4,32).

Durante l’udienza, infine, è stata ricordata pure “l’importanza della presenza e dell’opera dei cristiani nel Paese” e “si è espresso vivo apprezzamento – conclude la nota – per il contributo che la Chiesa Cattolica offre a beneficio di tutta la società, in particolare attraverso le sue istituzioni educative, sanitarie e assistenziali”.

Terminata l’udienza con il Pontefice, il premier libanese Hariri si è intrattenuto a colloquio con il Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e con l’Arcivescovo Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati.

Alla vigilia del suo incontro con Benedetto XVI il primo ministro libanese, in una intervista al “Corriere della Sera”, aveva accennato alle crescenti minacce ai danni delle comunità cristiane in Medio Oriente alla base del forte esodo di fedeli, evidenziando poi il problema della sicurezza in Iraq e dei profughi iracheni nei paesi confinanti.

Hariri aveva inoltre sottolineato il suo impegno nel favorire la coesistenza tra musulmani e cristiani. A questo proposito, aveva ricordato la sua proposta, approvata dal Consiglio dei ministri libanese, di decretare il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, festa nazionale comune cristiano-musulmana.

La Vergine Maria riveste, infatti, un ruolo molto importante nelle devozioni e nei testi sacri delle due religioni. Inoltre, da diversi anni cristiani e musulmani pregano insieme durante il "Giorno dell'Annunciazione" nel santuario della Vergine di Harisa, che si trova a circa venti chilometri da Beirut.

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Benedetto XVI: negli aeroporti, innanzitutto il rispetto della persona
Nel ricevere in udienza ai membri dell'Aviazione civile italiana

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Negli affollati crocevia degli aeroporti, quello che deve essere salvaguardato, prima di tutto, è il rispetto della persona. Lo ha ricordato questo sabato Benedetto XVI nel ricevere in udienza, nell'aula Paolo VI, i dirigenti e il personale dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile Italiana) e dell’ENAV (Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo).

Rivolgendosi ai membri dell’Aviazione civile italiana, accompagnati dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, Benedetto XVI ha espresso apprezzamento per il lavoro da loro svolto quotidianamente nel garantire la sicurezza, specialmente di fronte alla “minaccia del terrorismo internazionale”, e controllare la qualità dei servizi, di cui ogni anno si avvalgono 135 milioni di passeggeri, con oltre ottomila voli al giorno.

Nel suo discorso il Papa ha quindi ricordato l'importanza assunta da questo “snodo della vita contemporanea e della comunicazione tra persone e popoli”, divenuto “luogo dove migranti e profughi vivono vicende di attesa, di speranza e di timori per il loro futuro”.

Proprio per questo, ha evidenziato, ciò che occorre ricordare è che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona, nella sua integrità. Essa, infatti, deve rappresentare il fine e non il mezzo a cui tendere incessantemente”.

“Occorre non perdere mai di vista – ha poi concluso – che il rispetto del primato della persona e l’attenzione alle sue necessità, non solo non rendono meno efficace il servizio e non penalizzano la gestione economica, ma, al contrario, rappresentano importanti garanzie di vera efficienza e di autentica qualità”.



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Aumentano i cattolici nel mondo, in particolare in Asia e Africa
Presentato a Benedetto XVI l'Annuario Pontificio 2010

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Aumentano i cattolici nel mondo così come i sacerdoti e i seminaristi, in particolare in Asia e Africa: è quanto emerge dall’Annuario Pontificio 2010, presentato sabato mattina a Benedetto XVI dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone e da mons. Fernando Filoni, sostituto alla Segreteria di Stato per gli Affari Generali.

La redazione del nuovo Annuario – che sarà prossimamente in vendita nelle librerie – è stata curata da mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa, dal prof. Enrico Nenna e dai loro collaboratori.

Il lavoro di stampa – informa un comunicato della Sala Stampa vaticana – è stato invece curato dal Rev. don Pietro Migliasso S.D.B., da Antonio Maggiotto e da Giuseppe Canesso, rispettivamente Direttore Generale, direttore Commerciale e direttore Tecnico della Tipografia Vaticana.

Nel 2008 sono stati registrati un miliardo e 166 milioni di fedeli battezzati, con un incremento di 19 milioni (+1,7%) rispetto all’anno precedente. Anche considerando la crescita della popolazione mondiale a 6 miliardi e 700 milioni di persone si osserva un lieve aumento percentuale dell’incidenza dei cattolici a livello planetario (dal 17,33 al 17,40 per cento).

In aumento anche i Vescovi passati da 4.946 a 5.002 tra il 2007 e il 2008 (+1,13%). L’incremento è stato significativo in Africa (+ 1,83%) e nelle Americhe (+ 1,57%), mentre in Asia (+1,09%) e in Europa (+ 0,70%) i valori si collocano sotto la media complessiva. L’Oceania registra nello stesso periodo un tasso di variazione di –3%.

Leggero incremento (attorno all’1% nel periodo 2000-2008) anche per i sacerdoti, sia diocesani che religiosi, aumentati da 405.178 nel 2000 a 409.166 nel 2008.

La distribuzione del clero tra i continenti, nel 2008, è caratterizzata da una forte prevalenza di sacerdoti europei (47,1%), quelli americani sono il 30%; il clero asiatico incide per il 13,2%, quello africano per l’8,7% e quello nell’Oceania per l’1,2%.

Tra il 2000 e il 2008 non è variata l’incidenza relativa dei sacerdoti in Oceania. E' invece cresciuto il peso sia del clero africano, sia di quello asiatico e dei sacerdoti americani, mentre il clero europeo è vistosamente sceso dal 51,5 al 47,1%.

Tra le figure di operatori religiosi che affiancano l’attività pastorale dei vescovi e dei sacerdoti, le religiose professe costituiscono il gruppo di maggior peso numerico. Tali religiose, che nel Mondo erano 801.185 nell’anno 2000, diminuiscono progressivamente, tanto che al 2008 se ne contavano 739.067 (con una diminuzione relativa nel periodo del 7,8%).

Va rilevato che i gruppi più numerosi di religiose professe si trovano in Europa (40,9%) e in America (27,5%) e che le contrazioni di maggior rilievo si sono manifestate ugualmente in Europa (- 17,6%) e in America (- 12,9%), oltre che in Oceania (- 14,9%), mentre in Africa e in Asia si hanno dei notevoli aumenti (+ 21,2% per l’Africa e + 16,4 per l’Asia). Dati questi che controbilanciano ma senza annullare la diminuzione riscontrata.

A livello globale, il numero dei candidati al sacerdozio è aumentato, passando da 115.919 nel 2007 a 117.024 nel 2008. Complessivamente nel biennio si è avuto un tasso di aumento di circa l’1%.

Tale variazione relativa è stata positiva in Africa (3,6%), in Asia (4,4%) e in Oceania (6,5%), mentre l’Europa ha fatto registrare un calo del 4,3%. L’America presenta invece una situazione di quasi stazionarietà.

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Benedetto XVI, modello per vivere bene la Quaresima
L'editoriale per "Octava Dies" di padre Federico Lombardi

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Solidarietà verso i poveri, penitenza e conversione, ma anche preghiera e ascolto della Parola di Dio. Sono questi i temi richiamati recentemente da Benedetto XVI e che dovrebbero scandire la Quaresima di ogni fedele cristiano

E' quanto ha detto padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nel suo ultimo editoriale per il settimanale del Centro Televisivo Vaticano "Octava Dies".

“Nella società secolarizzata molti non sanno più bene che cosa significhi la Quaresima e come la si debba vivere – ha osservato il sacerdote gesuita –. Se vogliamo una risposta chiara e concreta: basta guardare che cosa fa Papa Benedetto”.

“Domenica scorsa – ha continuato – è andato all’Ostello della Caritas alla Stazione ferroviaria di Roma. Ha incontrato i poveri della città di cui è vescovo: è stato loro vicino, ha stretto le loro mani, li ha guardati negli occhi con commozione, ha avuto per loro parole di conforto e di speranza. Carità concreta”.

“Lunedì e martedì – ha aggiunto – è stato con i vescovi dell’Irlanda. Ha pregato e condiviso le loro riflessioni sulla situazione della Chiesa nel loro Paese, dove si sono verificati tanti peccati e tanti errori, e lo scandalo per gli abusi sessuali anche da parte di sacerdoti ha ferito tante persone e umiliato profondamente la Chiesa”.

“Il Papa – ha continuato il portavoce vaticano – li ha esortati a domandare la misericordia di Dio e il dono dello Spirito per il rinnovamento della Chiesa. Conversione e penitenza”.

“Mercoledì e giovedì – ha proseguito –, il Papa ha celebrato la liturgia penitenziale, ricevendo e imponendo le ceneri, e poi si è incontrato con i sacerdoti della sua diocesi per leggere e meditare una pagina della Scrittura. Lo ha fatto con l’abituale profonda intelligenza e sapienza, aiutandoci a ritrovare il gusto - forse perduto - dell’ascolto della Parola di Dio”.

“Preghiera e ascolto della Parola, conversione e penitenza, opere della carità. Come diceva Gesù a chi lo interrogava: Và e anche tu fa lo stesso!”, ha quindi concluso.

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Notizie dal mondo


Portogallo: 6.500 giovani all'Incontro Iberico di Taizé

PORTO, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Circa 6.500 giovani cristiani, provenienti da 23 Paesi, sono accorsi a Porto (Portogallo) durante il Carnevale per partecipare all'Incontro Iberico di Taizé, promosso da questa comunità ecumenica e dalla Diocesi locale.

Il Vescovo di Porto ha commentato all'agenzia Ecclesia che l'obiettivo di questi giorni era “fornire a tutti i giovani, soprattutto a quelli della Diocesi, un momento forte di incontro nel senso più completo del termine: incontro con Dio nella preghiera, e a partire da questo un incontro con gli altri, un'esperienza di Chiesa”.

“Non c'è cristianesimo serio, né per gli adulti né per i giovani, che non abbia questa duplice dimensione di preghiera e condivisione”, ha detto monsignor Manuel Clemente.

La gioia è stata il motto della festa, una gioia che “perdura”, ha sottolineato il Vescovo. I partecipanti, “molto attivi e molto disponibili”, sono una testimonianza di quella gioia che non è “su commissione” o “periferica”.

Le giornate dell'incontro si sono concentrate sulla preghiera e la meditazione di fratel Alois, priore di Taizé.

Nel suo messaggio finale, il priore ha rivolto un appello ai partecipanti: “Vogliamo scegliere una semplicità di vita per promuovere la condivisione, la solidarietà e un uso responsabile delle risorse del nostro pianeta”.

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Giornata Mondiale della Gioventù


Il Cardinale Rouco presenta Madrid 2011 alla stampa internazionale
"Le relazioni Stato-Chiesa per quanto riguarda la GMG funzionano perfettamente"

MADRID, domenica, 20 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Le relazioni Stato-Chiesa per quanto riguarda la Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) funzionano perfettamente”, ha affermato il 19 febbraio l'Arcivescovo di Madrid (Spagna).

Il Cardinale Antonio María Rouco Varela si è concesso ai corrispondenti della stampa internazionale per spiegare le ultime novità della Giornata Mondiale della Gioventù e la sua dimensione mondiale.

Il porporato ha anche ringraziato per il clima di collaborazione con le amministrazioni pubbliche. Oltre a fornire spazi cittadini e strutture pubbliche, alla GMG è stato concesso il carattere di avvenimento di interesse pubblico straordinario, che concede benefici fiscali alle imprese che patrocinano l'evento.

La collaborazione con il Governo spagnolo si estende però anche al rilascio dei visti: si sta lavorando, infatti, a formule facilitate e responsabili per accogliere le persone che provengono da Paesi che necessitano di questo iter.

Passioni da tutta la Spagna

Tra le varie celebrazioni previste per l'evento, che si terrà a Madrid nell'agosto 2011, spicca la Via Crucis che si svolgerà lungo il paseo de la Castellana, l'asse viario della capitale spagnola.

“Sarà una grande manifestazione culturale della Settimana Santa spagnola”, ha spiegato il Cardinale, aggiungendo che riunirà Passioni di grande valore artistico e religioso provenienti da tutto il Paese.

La GMG inizierà con l'accoglienza al Papa e una Messa a plaza de Cibeles, nel centro della città, il 16 agosto.

La veglia e l'Eucaristia conclusiva della Giornata si svolgeranno il 19 e il 20 agosto nella base aerea di Cuatro Vientos, luogo in cui si è svolto un incontro simile, l'11 aprile 2003, con Giovanni Paolo II.

Accoglienza

L'Arcivescovo di Madrid ha ribadito che la sfida principale sarà quella logistica: “Dobbiamo essere preparati ad accogliere due milioni di giovani, dar loro da mangiare e fornire un luogo in cui dormire”.

Si prevede che assistano a questo incontro di giovani anche più di mille Vescovi e la metà dei Cardinali di tutta la Chiesa.

Il porporato si è comunque mostrato fiducioso di fronte a questa sfida, visto che “a Madrid abbiamo una capacità di risposta molto grande” e si è fatto anche tesoro dell'esperienza in altri grandi appuntamenti con il Papa.

Molte famiglie madrilene accoglieranno i giovani, e si predisporranno anche grandi spazi per ospitare molti altri partecipanti alla GMG.

“Madrid sarà una grande festa internazionale”, ha dichiarato il Cardinale Rouco, “con una maggioranza di europei ma anche con molti giovani di Africa, America Latina e Asia”.

La maggior parte dei giovani che assistono alla GMG è composta da cattolici, ma l'evento è aperto a persone di qualsiasi confessione religiosa e agnostici.

“Tutti verranno accolti con rispetto, affetto e fraternità”, ha assicurato il Cardinale. “La verità si propone, non si impone”, ha sottolineato parafrasando Giovanni Paolo II, che lo disse ai giovani a Cuatro Vientos nella sua ultima visita in Spagna nel 2003.

Segno sui giovani

Rispondendo alle domande dei giornalisti sulla situazione religiosa della gioventù europea, il Cardinale Rouco Varela ha riconosciuto che ci sono problemi.

Ad ogni modo, si è detto “molto ottimista sulla gioventù europea”. “Non si può generalizzare dicendo che i giovani hanno rotto con le loro radici cristiane, e in Spagna e in molti altri Paesi si osserva una rinascita della fede in molti di loro”.

Ha anche avvertito che le GMG, iniziate 25 anni fa, segnano un'inversione di tendenza in molti luoghi, e lasciano un segno nella vita dei giovani.

In questo senso, ha dichiarato che “è un fatto quasi automatico che dopo ogni GMG aumentino le vocazioni sacerdotali o alla vita consacrata”.



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Analisi


Per amore degli animali
Cresce la tendenza alla loro umanizzazione

di padre John Flynn, LC


ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Nel periodo precedente al giorno di San Valentino è uscito un sorprendente sondaggio, secondo il quale, un quinto degli adulti preferirebbe celebrare questa festa con il proprio animale domestico anziché con il proprio partner.

Il sondaggio ha coinvolto 24.000 persone, in 23 Paesi, secondo quanto riferito dalla Reuters l’8 febbraio. Dallo studio è emersa una maggiore differenziazione in ragione dell’età e del reddito, piuttosto che del genere o della nazionalità. Circa il 25% degli intervistati con meno di 35 anni avrebbe preferito il proprio cucciolo anziché il partner. Mentre solo il 18% degli adulti tra i 35 e i 54 anni, e solo il 14% degli ultra 55, avrebbe risposto allo stesso modo.

Coloro che avrebbero preferito l’animale sulla persona appartenevano in genere anche alla categoria di quelli con minore reddito.

Il sondaggio è solo una conferma di una crescente tendenza all’umanizzazione degli animali. Il 23 gennaio, il quotidiano britannico Telegraph ha riferito sul ritorno di un’antica pratica pagana, da parte di chi si fa seppellire insieme al proprio animale domestico.

Secondo il quotidiano, a gennaio è stato approvato, nel Lincolnshire, l’ultimo di una serie di cimiteri unificati per animali ed esseri umani.

L’articolo cita Penny Lally, gestore del “Woodland Burial Place” a Penwith, nella Cornovaglia occidentale. Lally ha detto al Telegraph di aver seppellito più di 30 persone insieme ai loro animali, da quanto è stato reso possibile farlo nel 2003, e che al momento ha già più di 120 prenotazioni.

“Per molte persone, il lutto per il proprio cucciolo non è diverso da quello per la perdita di un familiare, soprattutto considerato che gli animali portano compagnia e una vita più strutturata e routinaria per molte persone che vivono da sole”, ha osservato Elaine Pendlebury, una veterinaria che lavora con l’organizzazione caritativa PDSA.

L’idea di cimiteri congiunti si basa sull’usanza già diffusa dei cimiteri per animali. Lo scorso 26 ottobre, il Chicago Tribune ha pubblicato un articolo sull’argomento, in cui si osserva che uno dei cimiteri per animali più antichi degli Stati Uniti, il Hindsdale Animal Cemetery di Willowbrook, nell’Illinois, conta su più di 15.000 animali seppelliti.

Come familiari

Secondo Micheal Schaffer, autore del libro “One Nation Under Dog”, le iscrizioni sulle lapidi di tombe per animali sono cambiate nel corso del tempo, riflettendo l’elevazione, che molte persone hanno concesso ai propri animali, a “familiari a pieno titolo”, ha riferito il Chicago Tribune.

“Se si visitano i vecchi cimiteri per animali, le più antiche incisioni potrebbero dire: ‘Qui giace Fido, servo fedele’, oppure ‘Qui giace Fido, il migliore amico dell’uomo’”, ha detto Schaffer. “Oggi invece si legge: ‘La mia piccola bambina’, o ‘Ci manchi, firmato Mamma e Papà’. La gente ha sviluppato un concetto dei propri animali come se fossero bambini. Uno sviluppo piuttosto drammatico”.

Non si tratta solo di sentimenti, poiché la gente è sempre più disposta a spendere somme considerevoli per i propri animali. L’articolo del Chicago Tribune riferisce di un padrone, Ernie Yamich, che ha speso 2.100 dollari (1.500 euro) per i funerali per il proprio cane, dopo aver speso più di 7.000 dollari (5.000 euro) in trattamenti medici nel tentativo di tenerlo in vita.

In effetti, le spese per gli animali sono aumentate notevolmente negli ultimi anni. L’8 febbraio scorso, la American Pet Products Manufacturers Association (APPA) ha reso noto il suo ultimo rapporto annuale.

La spesa nel settore degli animali domestici è aumentata del 5,4%, passando dai 43,2 miliardi di dollari (31,8 miliardi di euro) del 2008, a poco più di 45,5 miliardi di dollari (33,5 miliardi di euro) nel 2009. L’APPA ha osservato che mentre il settore della vendita al dettaglio, secondo i dati del U.S. Census Bureau, ha visto un calo nel 2009 rispetto al 2008, l’industria degli animali domestici ha continuato a crescere. Inoltre, si prevede un ulteriore aumento del 4,9% nel 2010, tale da portare le spese a 47,74 miliardi di dollari (34,14 miliardi di euro).

La voce di spesa che è aumentata di più nel 2009 è stata quella sanitaria, con un incremento dell’8,5% rispetto al 2008. Il rapporto osserva inoltre che le prestazioni sanitarie variano oggi dalle scansioni TAC, alle cure canalari, all’asportazione di tumori e agli antidepressivi.

Il Presidente dell’APPA, Bob Vetere, ha osservato che in questa tendenza all’umanizzazione degli animali domestici, il divario nella qualità della vita tra gli uomini e i loro animali da compagnia sta rapidamente scomparendo in ogni settore: da quello alimentare, all’abbigliamento, alle cure e servizi sanitari.

Ancora solo fino al 1998, il giro d’affari dell’industria degli animali domestici non superava i 23 miliardi di dollari (17 miliardi di euro), secondo i dati pubblicati sul sito Internet dell’APPA. Una cifra che è più che raddoppiata nell’ultimo decennio.

Un altro studio recente, pubblicato da Global Industry Analysts l’8 febbraio, esamina il mercato degli accessori per animali da compagnia. Si calcola che questo mercato, a livello mondiale, raggiungerà 17,2 miliardi di dollari (12,7 miliardi di euro) entro il 2015.

“L’umanizzazione degli animali domestici è una delle cause più importanti della crescita del mercato degli accessori”, afferma il comunicato stampa di Global Industry Analysts. “I padroni percepiscono i propri animali, soprattutto cani e gatti, come i loro fedeli compagni e dimostrano di voler dare a loro tanto affetto quanto ai propri partner o figli”, aggiunge.

Persone?

Margaret Somerville, direttrice del Center for Medicine, Ethics and Law della McGill University, in Canada, ha trattato la questione dell’umanizzazione degli animali domestici in un articolo pubblicato sul sito Internet MercatorNet il 27 gennaio.

Alcuni esperti di etica propongono di conferire agli animali uno status di persona, ha osservato. Ciò, tuttavia, non sarebbe auspicabile, secondo Somerville, poiché rischierebbe di scardinare l’idea della particolarità degli esseri umani e del loro diritto a essere trattati in modo diverso.

“In altre parole, se gli animali diventassero persone, le persone umane diventerebbero animali”, ha osservato Somerville.

Invece, secondo Somerville, dovremmo continuare a sostenere che tutti gli esseri umani sono persone e che solo loro sono persone.

Restringere la categoria personalistica agli esseri umani è un modo per promuovere un maggior rispetto per la vita umana. Infatti, l’aborto è giustificato dai tribunali in quanto i nascituri non sono considerati persona, ha rimarcato Somerville.

Dimenticare Dio

L’apparente contraddizione, sottolineata da Somerville, tra la perdita di rispetto per la vita umana e l’elevazione degli animali ad un livello quasi umano, presenta un risvolto teologico di fondo.

Benedetto XVI si è brevemente riferito a questo in un’udienza generale nel lontano 11 gennaio 2006. Il contesto era quello del commento ai Salmi e in particolare al Salmo 144.

Nel testo si legge: “‘Signore, che cos'è l'uomo per esserti manifestato a lui?’... Grande felicità per l'uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno”.

Il Papa ha poi fatto riferimento al commento al Salmo da parte di uno dei Padri della Chiesa, Origene. “Vale la pena meditare un po’ queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l'uomo e gli altri animali nel fatto che l'uomo è capace di conoscere Dio, il suo Creatore, che l'uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia”, ha detto il Papa.

“È importante, nel nostro tempo, che noi non dimentichiamo Dio, insieme con tutte le altre conoscenze che abbiamo acquisito nel frattempo, e sono tante!”, ha quindi osservato. “Esse diventano tutte problematiche, a volte pericolose, se manca la conoscenza fondamentale che dà senso e orientamento a tutto: la conoscenza di Dio Creatore”, ha infine concluso.

Effettivamente una delle tendenze della nostra società moderna è che, aver perso di visto Dio, ha portato ad una mentalità che ha anche perso di vista la dignità della persona umana. Esiste quindi un nesso tra la mancanza di rispetto per la vita umana, che viene considerata sempre più da una prospettiva utilitaristica, e l’umanizzazione degli animali. Un ulteriore passo verso il ritorno ad una cultura pagana.



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Interviste


La stampa come missione al servizio dei migranti
Intervista al direttore del Corriere d'Italia, Mauro Montanari


di Giovanni Patriarca

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- C'è un mensile in lingua italiana, edito in Germania, che tratta di cronaca, arte, politica ed economia ma soprattutto dà voce ai problemi degli italiani all'estero: è Il Corriere d’Italia.

In questa intervista a ZENIT il suo direttore, Mauro Montanari, traccia una breve storia del giornale, che è curato da un gruppo di cattolici laici, e parla dei problemi legati all'informazione in Italia.

La stampa cattolica italiana in Germania ha svolto un pregevole servizio per le comunità dei migranti. Il Corriere d’Italia si inserisce in questa lodevole tradizione. Potrebbe brevemente segnalarci la sua storia e i progetti futuri?

Montanari: Il Corriere d’Italia nasce nel 1951 con il nome de “La squilla”, bollettino della Missione Cattolica Italiana di Francoforte. Oggi è un giornale mensile che tira e distribuisce 34.000 copie tra i circa 700.000 italiani (con passaporto italiano) che vivono in Germania. È un giornale che viene da anni segnalato come il migliore giornale italiano che si pubblica all’estero da una giuria di esperti che annualmente si riunisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il giornale ha accompagnato gli italiani in Germania nella loro ormai sessantennale storia migratoria, dolorosa ma anche piena di successi. Dapprima il giornale era un veicolo per notizie, indirizzato a persone che non conoscevano la lingua tedesca e che quindi non potevano seguire i normali canali informativi. Ora la natura del giornale è cambiata. Resta presente la necessità di fornire notizie, vista la conoscenza talvolta approssimativa del tedesco da parte di alcuni nostri connazionali, soprattutto di prima generazione. Ma è chiaro che il giornale ha dovuto subire un ripensamento radicale; negli anni è stato rivoltato come un calzino ed oggi si presenta con caratteristiche del tutto diverse.

Anzitutto non è più un giornale pastorale, bensì un giornale che, pur progettato da cattolici laici, si indirizza ed è pensato per tutti, anche per quelli che cattolici, o credenti, non sono. Parla dei problemi di tutti e cerca di farlo con un linguaggio “fuori dai denti”. In questo, esso attinge alla grande tradizione giornalistica della Mitteleuropa. Tratta di temi che sono propri della vita di frontiera tra due culture, a cominciare dalla scolarizzazione dei ragazzi stranieri in Germania, fino ai problemi della previdenza. Infine parla, in maniera talvolta anche molto critica, delle politiche migratorie dei due governi. È quindi un giornale di nicchia, come si dice, pur avendo anche una sua vocazione generalista.

Ha ancora un ruolo oggi, un giornale italiano all’estero? Il ruolo bisogna trovarlo, questa è la questione fondamentale. Noi siamo gli unici a parlare alla comunità italiana su temi che le sono propri. Le faccio un esempio per capirci. Un paio d’anni fa mi capitò, durante un incontro della stampa internazionale, di parlare con una collega della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che è uno dei giornali più importanti d’Europa. La collega mi pose la stessa domanda: qual è il nostro ruolo? Mi disse: come mai gli italiani, che da sessant’anni stanno in Germania e che ormai leggono il tedesco ancora hanno bisogno di un giornale italiano? La risposta fu persino banale. È vero che molti italiani ormai leggono il tedesco, ma quando prendono in mano un giornale tedesco, la prima cosa che notano è che loro là dentro non ci sono. Una comunità di 700.000 persone nella stampa locale è assolutamente invisibile, non esistente, a meno che non si tratti di cose di mafia, come il caso Duisburg. Per questo, un italiano che legge un giornale tedesco, accanto tiene anche il nostro.

Quali sono gli strumenti e i mezzi per consolidare un percorso ricco di solidi valori ma che la marea mediatica della superficialità, aliena ai concetti di pietas e caritas, potrebbe trascinare con sé?

Montanari: Lei mi pone una domanda che contiene molti cassetti da aprire. Gli strumenti e i mezzi, soprattutto finanziari, sono quelli che troviamo sul mercato. A partire dalle sovvenzioni della Chiesa, quindi quelle della Presidenza del Consiglio, quindi gli abbonamenti e la pubblicità. L’esistenza del giornale bisogna reinventarla anno dopo anno, ma in questo non sono pessimista. Sono invece più pessimista sull’andamento della stampa e dell’informazione italiane, che vedo peggiorare di anno in anno. E la stessa cosa vedono anche gli indicatori internazionali della libertà di informazione, che negli ultimi anni hanno declassato due volte il nostro Paese. Il perché dovrebbe spiegarlo lei a me. Dovrebbe spiegarmi anche cose date per scontate. Ad esempio perché ogni maggioranza che arriva al potere, per prima cosa cambia i direttori delle reti pubbliche inserendo professionisti e funzionari di partito? Una cosa che in Europa creerebbe un terremoto politico.

Dovrebbe spiegarmi perché, pur con le dovute eccezioni, non esiste ormai quasi più una stampa indipendente, ma tutto viene affidato agli amplificatori di parte. Perché il Paese, oltre a poca informazione, produce così poca cultura. E via discorrendo. Veniamo poi alla caritas, come la chiama lei, che in politica si definisce “questione sociale”. Da noi, nel nostro giornale, lei vedrà emergere una comunità intera, con tutti i suoi difetti ma anche con tutta la sua virtù e tutta la sua umanità. E con tutte le polemiche del caso. Il nostro è forse il giornale più interattivo del mondo. Riempiamo fino al 40% del giornale con materiale che ci arriva dai nostri lettori, che ci presentano le questioni vere, quelle che toccano la maggioranza della gente. Cerchiamo di dare voce alla gente affinché si illuminino i problemi sociali. È il nostro contributo.

Negli ultimi anni, oltre alla crisi economica del settore, si è assistito ad una vera e propria degenerazione del linguaggio giornalistico con l’affermarsi di un lessico triviale, di oscenità gratuite e di approssimazioni culturali. Quali prospettive vede in tale contesto?

Montanari: Come le dicevo, rimango spesso di pietra quando leggo un giornale italiano. I talk televisivi sono inguardabili e danno l’impressione di una classe politica che utilizza i problemi per emergere, per venire eletta di nuovo, ma che non ha alcuna intenzione di risolvere i problemi. In generale l’informazione televisiva è così deludente che si ha l’impressione che sia sabotata per far posto alle pay tv. I giornali sono quello che sono, ne abbiamo parlato. Rimane forse la speranza della informazione in rete… vedremo.

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Bioetica


Cambiando la legge si possono ridurre gli aborti?

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di bioetica la risposta di Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita italiano, alla domanda di un lettore.




* * *

Vigente la legge 194, che cosa si può fare per ridurre gli aborti? E'cambiato qualcosa nel modo di pensare delle Italiane e degli Italiani dal 1978 ad oggi? F.C. di Ancona


Se lo sguardo resta in superficie i mutamenti sembrano modesti, ma il risultato cambia se facciamo emergere i moti sotteranei profondi della società.

In primo luogo vi è il dolore delle donne. Le ragazze che gridavano nelle piazze trent'anni fa sono divenute donne adulte. Molte sono divenute madri. Hanno fatto l'esperienza del miracolo della vita fiorito nel loro corpo e il loro grido si è mutato di stupore.

Altre hanno assaporato lo struggimento della nostalgia per un figlio non arrivato. Con il passare degli anni le rumorose aspirazioni rivoluzionarie sono divenute un quieto, silenzioso rammarico per affetti semplici e ordinari.

C'è poi, soprattutto, il dramma dell'aborto. Quasi 5 milioni di IVG equivalgono, tenendo conto della recidiva, a circa 3 milioni e mezzo di giovani donne in molte delle quali il silenzioso dolore per il gesto compiuto riemerge anche a distanza di anni.

E' un dolore che paradossalmente le lega alle altre donne che sull'opposto versante lo prendono sulle loro spalle nelle migliaia di incontri con la sofferenza di quelle che sono sospinte all'aborto o che l'aborto hanno attraversato.

Il ripetersi di lettere ai giornali femminili e ai quotidiani testimonia questo dolore, talora accompagnato da una pubblica ritrattazione della posizione assunta trent'anni fa a favore della legge.

E' possibile che questo comune dolore determini una nuova capacità di dialogo, anzi un'alleanza, che, abbandonate le recriminazioni, generi un nuovo femminismo il quale prenda in braccio i figli e cammini insieme ad essi.

In secondo luogo la preoccupazione di trent'anni fa per la cosiddetta "bomba demografica" si è mutata nella consapevolezza di un "inverno demografico" carico di rischi per l'avvenire della stessa nazione.

Infine vi è l'esempio dei Centri di aiuto alla vita. Se un volontariato umile e povero ha potuto contrastare l'aborto in modo efficace, ci deve essere una strada nella quale la società tutta intera e lo Stato liberano la donna dalla necessità di abortire, scommettono sulla sua insopprimibile capacità di accoglienza e proteggono così il diritto alla vita dei figli concepiti.

Naturalmente non c'è da illudersi sulla possibilità di incisive riforme della legge 194. Anzi: non mancano voci che mettono persino in guardia addirittura contro l’espressione verbale di progetti di riforma. Dicono che "oggi non ci sono le condizioni politico parlamentari".

Ma se i movimenti antischiavisti e contro la pena di morte si fossero fermati di fronte alla constatazione dell’assenza delle condizioni per pronunciare il bando della schiavitù o l’abolizione della pena di morte, avremmo ancora l’istituto giuridico della schiavitù e non sarebbe stata dichiarata la moratoria sulla pena capitale. Inoltre potrebbe darsi che alcune modificazioni siano attualmente impossibili, ma altre, invece, possano essere tentate. Non si può esaminare il problema soltanto in termini di “tutto o nulla”.

D’altra parte anche non prendere in considerazione le difficoltà attuali e limitarsi a chiedere il capovolgimento della legge significa non cambiare niente se davvero il capovolgimento è impossibile.

C’è chi dice che il solo modo di contrastare l’uso della Ru 486 è aggrapparsi alla L. 194 in quanto prevede obbligatoriamente l’esecuzione dell’intervento abortivo in un presidio ospedaliero. La Ru 486 privatizza l’aborto ed ha il significato ideologico di considerarlo un evento generalizzato e banale, non l’esito di una “necessità” eccezionale.

Il pericolo è reale. Ma è illusorio credere che la legge 194 nel medio e lungo periodo possa limitare l’uso della Ru 486. Già ora, notoriamente, centinaia di donne hanno abortito ingerendo una pillola loro somministrata in ospedale e tornandosene subito a casa.

Comunque sarà sempre più difficile opporsi all’aborto chimico, se non usiamo una logica opposta a quella che ha prevalso nella redazione e nella applicazione della 194.

Già ora è molto diffuso l’uso della “pillola del giorno dopo”, che ha effetti abortivi in una percentuale significativa di casi e nelle farmacie si possono comprare prodotti che, pur avendo uno scopo terapeutico diverso, vengono usati come abortivi ed hanno le stesse caratteristiche della Ru 486.

Proprio di fronte alla deriva della privatizzazione dell’aborto, il cui presupposto è l’idea della inesistenza o della irrilevanza del figlio, occorre, almeno, irrobustire quell’elemento massimo di prevenzione che è il riconoscimento del diritto alla vita del concepito, con tutte le conseguenze di carattere culturale, educativo, solidaristico che possono raggiungere la mente e il cuore della donna,  attraverso cui la tutela del diritto alla vita deve inevitabilmente passare.

Naturalmente bisogna opporsi con la massima energia all’introduzione della Ru 486 per le ragioni che abbiamo tante volte spiegato, ma – si ripete – sembra non ragionevole opporsi ad una modifica della 194 esclusivamente per contrastare l’uso della Ru 486.

In definitiva la cancellazione della vigente legge non sembra oggi possibile, ma alcune modifiche, specialmente attinenti ad una efficace prevenzione coerente con il riconoscimento del diritto a nascere del concepito, sebbene difficili, sembrano possibili. Dunque devono essere tentate.

Non bastano i riconoscimenti che (finalmente!) vengono pubblicamente espressi nei confronti del Movimento per la Vita e dei collegati CAV. Sono cosa buona. Possono determinare finanziamenti utili e una eventuale più estesa e intensa collaborazione tra Consultori, presidi ospedalieri, centri di aiuto alla vita.

Ma la difesa del diritto alla vita (si ripete: e del diritto di non abortire delle madri) non può essere delegato al volontariato. E’ un compito che appartiene alla Stato e alle istituzioni. I CAV propongono un modello di azione, credibile perchè sostenuto da ostensibili risultati.

Ma questo modello dovrebbe essere imitato dallo Stato con i suoi organismi, non abbandonato alla iniziativa privata. D’altronde senza i necessari elementi legislativi di garanzia è difficile che le strutture pubbliche (consultori, etc.) cambino metodologia in modo generalizzato e sistematico.

Esortazioni e inviti possono stimolare qualche buona volontà, ma non assicurano una generale presa in carico del diritto alla vita almeno nella forma del consiglio e della solidarietà concreta. E’ necessaria una riforma quanto  alla funzione e alla struttura degli strumenti preposti alla protezione della vita in un sistema di rinuncia al divieto di aborto (entro i limiti della 194).

Neppure basta chiedere interventi su ciò che è scontato perchè già presente nella legge. Sono inaccettabili aborti così tardivi da lasciare sul tavolo operatorio un corpicino di bimbo che geme per qualche tempo. Ma già l’art. 7 della legge vieta queste IVG perchè le vieta – salvo il pericolo di vita per la madre – quando vi è “possibilità di vita autonoma”.

La possibilità è molto meno della probabilità e deve tener conto dei progressi della scienza e della tecnica. Inoltre l’aborto di massa è quello che avviene nei primi tre mesi di gravidanza (98,4%) e meno quello del periodo successivo (2,6%). Perciò l’eventuale correzione della legge deve riguardare prioritariamente gli articoli 4 e 5 che disciplinano, appunto l’IVG nei primi tre mesi di gravidanza.

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Angelus


Benedetto XVI: "il mondo si migliora incominciando da se stessi"
Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.




* * *

Cari fratelli e sorelle!

Mercoledì scorso, con il rito penitenziale delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, tempo di rinnovamento spirituale che prepara alla celebrazione annuale della Pasqua. Ma che cosa significa entrare nell’itinerario quaresimale? Ce lo illustra il Vangelo di questa prima domenica, con il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Narra l’Evangelista san Luca che Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, "pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2). È evidente l’insistenza sul fatto che le tentazioni non furono un incidente di percorso, ma la conseguenza della scelta di Gesù di seguire la missione affidatagli dal Padre, di vivere fino in fondo la sua realtà di Figlio amato, che confida totalmente in Lui. Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio. Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce. Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita.

Delle tre tentazioni cui Satana sottopone Gesù, la prima prende origine dalla fame, cioè dal bisogno materiale: "Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane". Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura: "Non di solo pane vivrà l’uomo" (Lc 4,3-4; cfr Dt 8,3). Poi, il diavolo mostra a Gesù tutti i regni della terra e dice: tutto sarà tuo se, prostrandoti, mi adorerai. È l’inganno del potere, e Gesù smaschera questo tentativo e lo respinge: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto" (cfr Lc 4,5-8; Dt 6,13). Non adorazione del potere, ma solo di Dio, della verità e dell’amore. Infine, il Tentatore propone a Gesù di compiere un miracolo spettacolare: gettarsi dalle alte mura del Tempio e farsi salvare dagli angeli, così che tutti avrebbero creduto in Lui. Ma Gesù risponde che Dio non va mai messo alla prova (cfr Dt 6,16). Non possiamo "fare un esperimento" nel quale Dio deve rispondere e mostrarsi Dio: dobbiamo credere in Lui! Non dobbiamo fare di Dio "materiale" del "nostro esperimento"! Riferendosi sempre alla Sacra Scrittura, Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio autentico: l’obbedienza, la conformità con la volontà di Dio, che è il fondamento del nostro essere. Anche questo è un insegnamento fondamentale per noi: se portiamo nella mente e nel cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, se abbiamo fiducia in Dio, possiamo respingere ogni genere di inganno del Tentatore. Inoltre, da tutto il racconto emerge chiaramente l’immagine di Cristo come nuovo Adamo, Figlio di Dio umile e obbediente al Padre, a differenza di Adamo ed Eva, che nel giardino dell’Eden avevano ceduto alle seduzioni dello spirito del male di essere immortali, senza Dio.

La Quaresima è come un lungo "ritiro", durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo, possiamo dire", di "agonismo" spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza. In questo modo potremo giungere a celebrare la Pasqua in verità, pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo. Ci aiuti la Vergine Maria affinché, guidati dallo Spirito Santo, viviamo con gioia e con frutto questo tempo di grazia. Interceda in particolare per me e i miei collaboratori della Curia Romana, che questa sera inizieremo gli Esercizi Spirituali.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Seregno e di Lecco, venuti per la loro professione di fede, e i fedeli di Cento di Ferrara e di diverse città della Sicilia. Un pensiero speciale rivolgo alle Figlie di San Camillo, che si apprestano a celebrare il centenario della morte della loro Fondatrice, la beata Giuseppina Vannini. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino quaresimale.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Documenti


"Lectio divina" del Papa davanti ai parroci della diocesi di Roma

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della “Lectio divina” tenuta il 18 febbraio scorso da Benedetto XVI in occasione del tradizionale incontro di inizio Quaresima con i presbiteri della diocesi di Roma, svoltasi nell'Aula della Benedizione del Vaticano.




 * * *

Eminenza,
cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,

è una tradizione molto gioiosa e anche importante per me poter iniziare la Quaresima sempre con il mio Presbiterio, i Presbiteri di Roma. Così, come Chiesa locale di Roma, ma anche come Chiesa universale, possiamo intraprendere questo cammino essenziale con il Signore verso la Passione, verso la Croce, il cammino pasquale.

Quest’anno vogliamo meditare i passi della Lettera agli Ebrei ora letti. L’Autore di tale Lettera ha aperto una nuova strada per capire l’Antico Testamento come libro che parla su Cristo. La tradizione precedente aveva visto Cristo soprattutto, essenzialmente, nella chiave della promessa davidica, del vero Davide, del vero Salomone, del vero Re di Israele, vero Re perché uomo e Dio. E l’iscrizione sulla Croce aveva realmente annunciato al mondo questa realtà: adesso c’è il vero Re di Israele, che è il Re del mondo, il Re dei Giudei sta sulla Croce. E’ una proclamazione della regalità di Gesù, dell’adempimento dell’attesa messianica dell’Antico Testamento, la quale, nel fondo del cuore, è un’attesa di tutti gli uomini che aspettano il vero Re, che dà giustizia, amore e fraternità.

Ma l’Autore della Lettera agli Ebrei ha scoperto una citazione che fino a quel momento non era stata notata: Salmo 110,4 - “tu sei sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek”. Ciò significa che Gesù non solo adempie la promessa davidica, l’aspettativa del vero Re di Israele e del mondo, ma realizza anche la promessa del vero Sacerdote. In parte dell’Antico Testamento, soprattutto anche in Qumran, vi sono due linee separate di attesa: il Re e il Sacerdote. L’Autore della Lettera agli Ebrei, scoprendo questo versetto, ha capito che in Cristo sono unite le due promesse: Cristo è il vero Re, il Figlio di Dio – secondo il Salmo 2,7 che egli cita – ma è anche il vero Sacerdote.

Così tutto il mondo cultuale, tutta la realtà dei sacrifici, del sacerdozio, che è alla ricerca del vero sacerdozio, del vero sacrificio, trova in Cristo la sua chiave, il suo adempimento e, con questa chiave, può rileggere l’Antico Testamento e mostrare come proprio anche la legge cultuale, che dopo la distruzione del Tempio è abolita, in realtà andava verso Cristo; quindi, non è semplicemente abolita, ma rinnovata, trasformata, poiché in Cristo tutto trova il suo senso. Il sacerdozio appare allora nella sua purezza e nella sua verità profonda.

In questo modo, la Lettera agli Ebrei presenta il tema del sacerdozio di Cristo, Cristo sacerdote, su tre livelli: il sacerdozio di Aronne, quello del Tempio; Melchisedek; e Cristo stesso, come il vero sacerdote. Anche il sacerdozio di Aronne, pur essendo differente da quello di Cristo, pur essendo, per così dire, solo una ricerca, un camminare in direzione di Cristo, comunque è “via” verso Cristo, e già in questo sacerdozio si delineano gli elementi essenziali. Poi Melchisedek - ritorneremo su questo punto – che è un pagano. Il mondo pagano entra nell’Antico Testamento, entra in una figura misteriosa, senza padre, senza madre - dice la Lettera agli Ebrei -, appare semplicemente, e in lui appare la vera venerazione del Dio Altissimo, del Creatore del cielo e della terra. Così anche dal mondo pagano viene l’attesa e la prefigurazione profonda del mistero di Cristo. In Cristo stesso tutto è sintetizzato, purificato e guidato al suo termine, alla sua vera essenza.

Vediamo ora i singoli elementi, per quanto è possibile, circa il sacerdozio. Dalla Legge, dal sacerdozio di Aronne impariamo due cose, ci dice l’autore della Lettera agli Ebrei: un sacerdote per essere realmente mediatore tra Dio e l’uomo, deve essere uomo. Questo è fondamentale e il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio per essere sacerdote, per poter realizzare la missione del sacerdote. Deve essere uomo – ritorneremo su questo punto –, ma non può da se stesso farsi mediatore verso Dio. Il sacerdote ha bisogno di un’autorizzazione, di un’istituzione divina e solo appartenendo alle due sfere – quella di Dio e quella dell’uomo – può essere mediatore, può essere “ponte”. Questa è la missione del sacerdote: combinare, collegare queste due realtà apparentemente così separate, cioè il mondo di Dio - lontano da noi, spesso sconosciuto all’uomo - e il nostro mondo umano. La missione del sacerdozio è di essere mediatore, ponte che collega, e così portare l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita.

Come primo punto, quindi, il sacerdote deve essere dalla parte di Dio, e solamente in Cristo questo bisogno, questa condizione della mediazione è realizzata pienamente. Perciò era necessario questo Mistero: il Figlio di Dio si fa uomo perché ci sia il vero ponte, ci sia la vera mediazione. Gli altri devono avere almeno un’autorizzazione da Dio o, nel caso della Chiesa, il Sacramento, cioè introdurre il nostro essere nell’essere di Cristo, nell’essere divino. Solo con il Sacramento, questo atto divino che ci crea sacerdoti nella comunione con Cristo, possiamo realizzare la nostra missione. E questo mi sembra un primo punto di meditazione per noi: l’importanza del Sacramento. Nessuno si fa sacerdote da se stesso; solo Dio può attirarmi, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione al mistero di Cristo; solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano. Questo aspetto del dono, della precedenza divina, dell’azione divina, che noi non possiamo realizzare, questa nostra passività -  essere eletti e presi per mano da Dio - è un punto fondamentale nel quale entrare. Dobbiamo ritornare sempre al Sacramento, ritornare a questo dono nel quale Dio mi dà quanto io non potrei mai dare: la partecipazione, la comunione con l’essere divino, col sacerdozio di Cristo.

Rendiamo questa realtà anche un fattore pratico della nostra vita: se è così, un sacerdote deve essere realmente un uomo di Dio, deve conoscere Dio da vicino, e lo conosce in comunione con Cristo. Dobbiamo allora vivere questa comunione e la celebrazione della Santa Messa, la preghiera del Breviario, tutta la preghiera personale, sono elementi dell’essere con Dio, dell’essere uomini di Dio. Il nostro essere, la nostra vita, il nostro cuore devono essere fissati in Dio, in questo punto dal quale non dobbiamo uscire, e ciò si realizza, si rafforza giorno per giorno, anche con brevi preghiere nelle quali ci ricolleghiamo con Dio e diventiamo sempre più uomini di Dio, che vivono nella sua comunione e possono così parlare di Dio e guidare a Dio.

L’altro elemento è che il sacerdote deve essere uomo. Uomo in tutti i sensi, cioè deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore, perché sappiamo che l’essere umano è ferito e la questione di “che cosa sia l’uomo” è oscurata dal fatto del peccato, che ha leso la natura umana fino nelle sue profondità. Così si dice: “ha mentito”, “è umano”; “ha rubato”, “è umano”; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza. Quindi uscire, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura per giungere al vero essere umano ad immagine di Dio, è un processo di vita che deve cominciare nella formazione al sacerdozio, ma che deve realizzarsi poi e continuare in tutta la nostra esistenza. Penso che le due cose vadano fondamentalmente insieme: essere di Dio e con Dio ed essere realmente uomo, nel vero senso che ha voluto il Creatore plasmando questa creatura che siamo noi.

Essere uomo: la Lettera agli Ebrei fa una sottolineatura della nostra umanità che ci sorprende, perché dice: deve essere uno con “compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo rivestito di debolezza” (5,2) e poi - molto più forte ancora – “nei giorni della sua vita terrena, egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo da morte e per il suo pieno abbandono a Lui, venne esaudito” (5,7). Per la Lettera agli Ebrei elemento essenziale del nostro essere uomo è la compassione, è il soffrire con gli altri: questa è la vera umanità. Non è il peccato, perché il peccato non è mai solidarietà, ma è sempre desolidarizzazione, è un prendere la vita per me stesso, invece di donarla. La vera umanità è partecipare realmente alla sofferenza dell’essere umano, vuol dire essere un uomo di compassione – metriopathein, dice il testo greco – cioè essere nel centro della passione umana, portare realmente con gli altri le loro sofferenze, le tentazioni di questo tempo: “Dio dove sei tu in questo mondo?”.

Questa umanità del sacerdote non risponde all’ideale platonico e aristotelico, secondo il quale il vero uomo sarebbe colui che vive solo nella contemplazione della verità, e così è beato, felice, perché ha solo amicizia con le cose belle, con la bellezza divina, ma “i lavori” li fanno altri. Questa è una supposizione, mentre qui si suppone che il sacerdote entri come Cristo nella miseria umana, la porti con sé, vada alle persone sofferenti, se ne occupi, e non solo esteriormente, ma interiormente prenda su di sé, raccolga in se stesso la “passione” del suo tempo, della sua parrocchia, delle persone a lui affidate. Così Cristo ha mostrato il vero umanesimo. Certo il suo cuore è sempre fisso in Dio, vede sempre Dio, intimamente è sempre in colloquio con Lui, ma Egli porta, nello stesso tempo, tutto l’essere, tutta la sofferenza umana entra nella Passione. Parlando, vedendo gli uomini che sono piccoli, senza pastore, Egli soffre con loro e noi sacerdoti non possiamo ritirarci in un Elysium, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo, con l’aiuto di Cristo e in comunione con Lui, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio.

Proprio questo va detto, con il seguente testo realmente stimolante: “preghiere e suppliche offrì con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). Questo non è solo un accenno all’ora dell’angoscia sul Monte degli Ulivi, ma è un riassunto di tutta la storia della passione, che abbraccia l’intera vita di Gesù. Lacrime: Gesù piangeva davanti alla tomba di Lazzaro, era realmente toccato interiormente dal mistero della morte, dal terrore della morte. Persone perdono il fratello, come in questo caso, la mamma e il figlio, l’amico: tutta la terribilità della morte, che distrugge l’amore, che distrugge le relazioni, che è un segno della nostra finitezza, della nostra povertà. Gesù è messo alla prova e si confronta fino nel profondo della sua anima con questo mistero, con questa tristezza che è la morte, e piange. Piange davanti a Gerusalemme, vedendo la distruzione della bella città a causa della disobbedienza; piange vedendo tutte le distruzioni della storia nel mondo; piange vedendo come gli uomini distruggono se stessi e le loro città nella violenza, nella disobbedienza.

Gesù piange, con forti grida. Sappiamo dai Vangeli che Gesù ha gridato dalla Croce, ha gridato: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; cfr Mt 27,46), e ha gridato ancora una volta alla fine. E questo grido risponde ad una dimensione fondamentale dei Salmi: nei momenti terribili della vita umana, molti Salmi sono un forte grido a Dio: “Aiutaci, ascoltaci!”. Proprio oggi, nel Breviario, abbiamo pregato in questo senso: Dove sei tu Dio? “Siamo venduti come pecore da macello” (Sal 44,12). Un grido dell’umanità sofferente! E Gesù, che è il vero soggetto dei Salmi, porta realmente questo grido dell’umanità a Dio, alle orecchie di Dio: “Aiutaci e ascoltaci!”. Egli trasforma tutta la sofferenza umana, prendendola in se stesso, in un grido alle orecchie di Dio.

E così vediamo che proprio in questo modo realizza il sacerdozio, la funzione del mediatore, trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione.

In realtà la Lettera agli Ebrei dice che “offrì preghiere e suppliche”, “grida e lacrime” (5,7). E’ una traduzione giusta del verbo prospherein, che è una parola cultuale ed esprime l’atto dell’offerta dei doni umani a Dio, esprime proprio l’atto dell’offertorio, del sacrificio. Così, con questo termine cultuale applicato alle preghiere e lacrime di Cristo, dimostra che le lacrime di Cristo, l’angoscia del Monte degli Ulivi, il grido della Croce, tutta la sua sofferenza non sono una cosa accanto alla sua grande missione. Proprio in questo modo Egli offre il sacrificio, fa il sacerdote. La Lettera agli Ebrei con questo “offrì”, prospherein, ci dice: questa è la realizzazione del suo sacerdozio, così porta l’umanità a Dio, così si fa mediatore, così si fa sacerdote.

Diciamo, giustamente, che Gesù non ha offerto a Dio qualcosa, ma ha offerto se stesso e questo offrire se stesso si realizza proprio in questa compassione, che trasforma in preghiera e in grido al Padre la sofferenza del mondo. In questo senso anche il nostro sacerdozio non si limita all’atto cultuale della Santa Messa, nel quale tutto viene messo nelle mani di Cristo, ma tutta la nostra compassione verso la sofferenza di questo mondo così lontano da Dio, è atto sacerdotale, è prospherein, è offrire. In questo senso mi sembra che dobbiamo capire ed imparare ad accettare più profondamente le sofferenze della vita pastorale, perché proprio questo è azione sacerdotale, è mediazione, è entrare nel mistero di Cristo, è comunicazione col mistero di Cristo, molto reale ed essenziale, esistenziale e poi sacramentale.

Una seconda parola in questo contesto è importante. Viene detto che Cristo così – tramite questa obbedienza – è reso perfetto, in greco teleiotheis (cfr Eb 5,8-9). Sappiamo che in tutta la Torah, cioè in tutta la legislazione cultuale, la parola teleion, qui usata, indica l’ordinazione sacerdotale. Cioè la Lettera agli Ebrei ci dice che proprio facendo questo Gesù è stato fatto sacerdote, si è realizzato il suo sacerdozio. La nostra ordinazione sacerdotale sacramentale va realizzata e concretizzata esistenzialmente, ma anche in modo cristologico, proprio in questo portare il mondo con Cristo e a Cristo e, con Cristo, a Dio: così diventiamo realmente sacerdoti, teleiotheis. Quindi il sacerdozio non è una cosa per alcune ore, ma si realizza proprio nella vita pastorale, nelle sue sofferenze e nelle sue debolezze, nelle sue tristezze ed anche nelle gioie, naturalmente. Così diventiamo sempre più sacerdoti in comunione con Cristo.

La Lettera agli Ebrei riassume, infine, tutta questa compassione nella parola hupakoen, obbedienza: tutto questo è obbedienza. E’ una parola che non piace a noi, nel nostro tempo. Obbedienza appare come un’alienazione, come un atteggiamento servile. Uno non usa la sua libertà, la sua libertà si sottomette ad un’altra volontà, quindi uno non è più libero, ma è determinato da un altro, mentre l’autodeterminazione, l’emancipazione sarebbe la vera esistenza umana. Invece della parola “obbedienza”, noi vogliamo come parola chiave antropologica quella di “libertà”. Ma considerando da vicino questo problema, vediamo che le due cose vanno insieme: l’obbedienza di Cristo è conformità della sua volontà con la volontà del Padre; è un portare la volontà umana alla volontà divina, alla conformazione della nostra volontà con la volontà di Dio.

San Massimo il Confessore, nella sua interpretazione del Monte degli Ulivi, dell’angoscia espressa proprio nella preghiera di Gesù, “non la mia, ma la tua volontà”, ha descritto questo processo, che Cristo porta in sé come vero uomo, con la natura, la volontà umana; in questo atto - “non la mia, ma la tua volontà” – Gesù riassume tutto il processo della sua vita, del portare, cioè, la vita naturale umana alla vita divina e in questo modo trasformare l’uomo: divinizzazione dell’uomo e così redenzione dell’uomo, perché la volontà di Dio non è una volontà tirannica, non è una volontà che sta fuori del nostro essere, ma è proprio la volontà creatrice, è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità.

Dio ci ha creati e siamo noi stessi se siamo conformi con la sua volontà; solo così entriamo nella verità del nostro essere e non siamo alienati. Al contrario, l’alienazione si attua proprio uscendo dalla volontà di Dio, perché in questo modo usciamo dal disegno del nostro essere, non siamo più noi stessi e cadiamo nel vuoto. In verità, l’obbedienza a Dio, cioè la conformità, la verità del nostro essere, è la vera libertà, perché è la divinizzazione. Gesù, portando l’uomo, l’essere uomo, in sé e con sé, nella conformità con Dio, nella perfetta obbedienza, cioè nella perfetta conformazione tra le due volontà, ci ha redenti e la redenzione è sempre questo processo di portare la volontà umana nella comunione con la volontà divina. E’ un processo sul quale preghiamo ogni giorno: “sia fatta la tua volontà”. E vogliamo pregare realmente il Signore, perché ci aiuti a vedere intimamente che questa è la libertà, e ad entrare, così, con gioia in questa obbedienza e a “raccogliere” l’essere umano per portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio.

Continuando la lettura, segue una frase difficile da interpretare. L’Autore della Lettera agli Ebrei dice che Gesù ha pregato fortemente, con grida e lacrime, Dio che poteva salvarlo dalla morte, e, per il suo pieno abbandono, venne esaudito (cfr 5,7). Qui vorremmo dire: “No, non è vero, non è stato esaudito, è morto”. Gesù ha pregato di essere liberato dalla morte, ma non è stato liberato, è morto in modo molto crudele. Perciò il grande teologo liberale Harnack ha detto: “Qui manca un no”, deve essere scritto: “Non è stato esaudito” e Bultmann ha accettato questa interpretazione. Però questa è una soluzione che non è esegesi, ma è una violenza al testo. In nessuno dei manoscritti appare “non”, ma “è stato esaudito”; quindi dobbiamo imparare a capire che cosa significhi questo “essere esaudito”, nonostante la Croce.

Io vedo tre livelli per capire questa espressione. In un primo livello si può tradurre il testo greco così: “è stato redento dalla sua angoscia” e in questo senso, Gesù è esaudito. Sarebbe, quindi, un accenno a quanto ci racconta san Luca che “un angelo ha rafforzato Gesù” (cfr Lc 22,43), in modo che, dopo il momento dell’angoscia, potesse andare diritto e senza timore verso la sua ora, come ci descrivono i Vangeli, soprattutto quello di san Giovanni. Sarebbe l’esaudimento, nel senso che Dio gli dà la forza di portare tutto questo peso e così è esaudito. Ma a me sembra che sia una risposta non del tutto sufficiente. Esaudito in senso più profondo – Padre Vanhoye l’ha sottolineato – vuol dire: “è stato redento dalla morte”, ma non per il momento, per quel momento, ma per sempre, nella Risurrezione: la vera risposta di Dio alla preghiera di essere redento dalla morte è la Risurrezione e l’umanità viene redenta dalla morte proprio nella Risurrezione, che è la vera guarigione delle nostre sofferenze, del mistero terribile della morte.

Qui è già presente un terzo livello di comprensione: la Risurrezione di Gesù non è solo un avvenimento personale. Mi sembra che sia di aiuto tenere presente il breve testo nel quale san Giovanni, nel Capitolo 12 del suo Vangelo, presenta e racconta, in modo molto riassuntivo, il fatto del Monte degli Ulivi. Gesù dice: “La mia anima è turbata” (Gv 12, 27), e, in tutta l’angoscia del Monte degli Ulivi, che cosa dirò?: “O salvami da questa ora, o glorifica il tuo nome” (cfr Gv 12,27-28). E’ la stessa preghiera che troviamo nei Sinottici: “Se possibile salvami, ma sia fatta la tua volontà” (cfr Mt 26,42; Mc 14,36; Lc 22,42), che nel linguaggio giovanneo appare appunto: “O salvami, o glorifica”. E Dio risponde: “Ti ho glorificato e ti glorificherò in futuro” (cfr Gv 12,28). Questa è la risposta, l’esaudire divino: glorificherò la Croce; è la presenza della gloria divina, perché è l’atto supremo dell’amore. Nella Croce, Gesù è elevato su tutta la terra e attira la terra a sé; nella Croce appare adesso il “Kabod”, la vera gloria divina del Dio che ama fino alla Croce e così trasforma la morte e crea la Resurrezione.

La preghiera di Gesù è stata esaudita, nel senso che realmente la sua morte diventa vita, diventa il luogo da dove redime l’uomo, da dove attira l’uomo a sé. Se la risposta divina in Giovanni dice: “ti glorificherò”, significa che questa gloria trascende e attraversa tutta la storia sempre e di nuovo: dalla tua Croce, presente nell’Eucaristia, trasforma la morte in gloria. Questa è la grande promessa che si realizza nella Santa Eucaristia, che apre sempre di nuovo il cielo. Essere servitore dell’Eucaristia è, quindi, profondità del mistero sacerdotale.

Ancora una breve parola, almeno su Melchisedek. E’ una figura misteriosa che entra in Genesi 14 nella storia sacra: dopo la vittoria di Abramo su alcuni Re, appare il Re di Salem, di Gerusalemme, Melchisedek, e porta pane e vino. Una storia non commentata e un po’ incomprensibile, che appare nuovamente solo nel salmo 110, come già detto, ma si capisce che poi l’Ebraismo, lo Gnosticismo e il Cristianesimo abbiano voluto riflettere profondamente su questa parola e abbiano creato le loro interpretazioni. La Lettera agli Ebrei non fa speculazione, ma riporta soltanto quanto dice la Scrittura e sono diversi elementi: è Re di giustizia, abita nella pace, è Re da dove è la pace, venera e adora il Dio Altissimo, il Creatore del cielo e della terra, e porta pane e vino (cfr Eb 7,1-3; Gen 14,18-20). Non viene commentato che qui appare il Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, Re della pace, che adora con pane e vino il Dio Creatore del cielo e della terra. I Padri hanno sottolineato che è uno dei santi pagani dell’Antico Testamento e ciò mostra che anche dal paganesimo c’è una strada verso Cristo e i criteri sono: adorare il Dio Altissimo, il Creatore, coltivare giustizia e pace, e venerare Dio in modo puro. Così, con questi elementi fondamentali, anche il paganesimo è in cammino verso Cristo, rende, in un certo modo, presente la luce di Cristo.

Nel canone romano, dopo la Consacrazione, abbiamo la preghiera supra quae, che menziona alcune prefigurazioni di Cristo, del suo sacerdozio e del suo sacrificio: Abele, il primo martire, con il suo agnello; Abramo, che sacrifica nell’intenzione il figlio Isacco, sostituito dall’agnello dato da Dio; e Melchisedek, Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, che porta pane e vino. Questo vuol dire che Cristo è la novità assoluta di Dio e, nello stesso tempo, è presente in tutta la storia, attraverso la storia, e la storia va incontro a Cristo. E non solo la storia del popolo eletto, che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, ma anche dal paganesimo si prepara il mistero di Cristo, vi sono vie verso Cristo, il quale porta tutto in sé.

Questo mi sembra importante nella celebrazione dell’Eucaristia: qui è raccolta tutta la preghiera umana, tutto il desiderio umano, tutta la vera devozione umana, la vera ricerca di Dio, che si trova finalmente realizzata in Cristo. Infine va detto che adesso è aperto il cielo, il culto non è più enigmatico, in segni relativi, ma è vero, perché il cielo è aperto e non si offre qualcosa, ma l’uomo diventa uno con Dio e questo è il vero culto. Così dice la Lettera agli Ebrei: “il nostro sacerdote sta alla destra del trono, del santuario, della vera tenda, che il Signore Dio stesso ha costruito” (cfr 8,1-2).

Ritorniamo al punto che Melchisedek è Re di Salem. Tutta la tradizione davidica si è richiamata a questo, dicendo: “Qui è il luogo, Gerusalemme è il luogo del vero culto, la concentrazione del culto a Gerusalemme viene già dai tempi abramici, Gerusalemme è il vero luogo della venerazione giusta di Dio”.

Facciamo un nuovo passo: la vera Gerusalemme, il Salem di Dio, è il Corpo di Cristo, l’Eucaristia è la pace di Dio con l’uomo. Sappiamo che san Giovanni, nel Prologo, chiama l’umanità di Gesù “la tenda di Dio”, eskenosen en hemin (Gv 1,14). Qui Dio stesso ha creato la sua tenda nel mondo e questa tenda, questa nuova, vera Gerusalemme è, nello stesso tempo sulla terra e in cielo, perché questo Sacramento, questo sacrificio si realizza sempre tra di noi e arriva sempre fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio. Qui è la vera Gerusalemme, al medesimo tempo, celeste e terrestre, la tenda, che è il Corpo di Dio, che come Corpo risorto rimane sempre Corpo e abbraccia l’umanità e, nello stesso tempo, essendo Corpo risorto, ci unisce con Dio. Tutto questo si realizza sempre di nuovo nell’Eucaristia. E noi da sacerdoti siamo chiamati ad essere ministri di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Preghiamo il Signore che ci faccia capire sempre meglio questo Mistero, di vivere sempre meglio questo Mistero e così offrire il nostro aiuto affinché il mondo si apra a Dio, affinché il mondo sia redento. Grazie



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Discorso del Papa ai dirigenti e al personale dell'ENAC e dell'ENAV

ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato sabato da Benedetto XVI nel ricevere in udienza i dirigenti e il personale dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile Italiana) e dell’ENAV (Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo).




* * *

Cari Fratelli e Sorelle,

sono lieto di accogliervi e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi, che rappresentate il variegato mondo dell’aviazione civile italiana. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari, con un pensiero speciale per il Signor Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Senatore Altero Matteoli, e il Prof. Vito Riggio, presidente dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), che ringrazio per le cortesi parole che mi hanno rivolto. Saluto il Dott. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha voluto presenziare a questo importante incontro. Rivolgo infine il mio pensiero ai dirigenti e a tutti gli operatori dell’ENAC, dell’ENAV (Società Nazionale per l’Assistenza al Volo) e delle altre realtà che compongono il sistema dell’aviazione civile.

Durante l’ultimo secolo, le frontiere della mobilità si sono enormemente ampliate con l’utilizzazione sempre più frequente dell’aereo. I cieli rappresentano oggi in maniera crescente quelle che potremmo chiamare le "autostrade" della viabilità moderna e, di conseguenza, gli aeroporti sono diventati crocevia privilegiati del villaggio globale; in essi, ogni giorno, come è stato ricordato, transitano milioni di persone. A voi e alla realtà che rappresentate è affidata la gestione e l’organizzazione sempre più complessa di questo snodo della vita contemporanea e della comunicazione tra persone e popoli. Si tratta di un lavoro spesso discreto e poco conosciuto, che non sempre viene notato dagli utenti, ma che non sfugge agli occhi di Dio, il quale vede la fatica dell'uomo, anche quella nascosta (cfr Mt 6,6).

I compiti a voi affidati sono veramente notevoli! Siete chiamati a regolare e controllare il traffico aereo e a provvedere all'efficienza del sistema nazionale dei trasporti, nel rispetto degli impegni internazionali del Paese; a garantire agli utenti ed alle imprese la sicurezza dei voli, la tutela dei diritti, la qualità dei servizi negli scali e l'equa competitività nel rispetto dell'ambiente. In tali molteplici impegni, è importante ricordare che, in ogni progetto e attività, il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona, nella sua integrità (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, n. 25). Essa, infatti, deve rappresentare il fine e non il mezzo a cui tendere incessantemente. Sant’Ambrogio ci ricorda che "l’uomo è il culmine e quasi il compendio dell’universo, e la suprema bellezza della creazione" (Exameron IX, 75). Il rispetto di tali principi può apparire particolarmente complesso e difficile nell’attuale contesto, a motivo della crisi economica, che provoca problematici effetti nel settore dell’aviazione civile, e della minaccia del terrorismo internazionale, che prende di mira pure gli aeroporti e gli aerei per attuare le proprie trame eversive. Anche in questa situazione occorre non perdere mai di vista che il rispetto del primato della persona e l’attenzione alle sue necessità, non solo non rendono meno efficace il servizio e non penalizzano la gestione economica, ma, al contrario, rappresentano importanti garanzie di vera efficienza e di autentica qualità.

L’odierno aeroporto appare sempre più specchio del mondo e "luogo" di umanità, dove s’incontrano persone di varie nazionalità, culture e religioni. Nelle aerostazioni passano ogni anno milioni di passeggeri per recarsi nei luoghi di vacanza o di lavoro, per raggiungere i familiari con cui condividere momenti felici o dolorosi. Molti utilizzano l’aereo per compiere un pellegrinaggio alla ricerca di momenti di spiritualità e di esperienza di Dio. In questi anni, poi, l’aeroporto è diventato luogo dove migranti e profughi vivono vicende di attesa, di speranza e di timori per il loro futuro. Inoltre, si rivela sempre più consistente la presenza di bambini e anziani, handicappati e malati, bisognosi di cure e di attenzioni speciali.  Negli ultimi decenni, anche per il Successore di Pietro, l’aereo è diventato un insostituibile strumento di evangelizzazione. Come non ricordare qui lo spazio che hanno avuto gli aeroporti e gli aerei nei Viaggi apostolici compiuti da me e dai miei Venerati Predecessori? Di questo prezioso servizio non posso che ringraziare voi tutti!

La Chiesa, inoltre, riserva per il mondo dell’Aviazione civile una particolare cura pastorale. Infatti, come ricordava il Venerabile Papa Giovanni Paolo II pensando proprio al vostro ambiente così vario e complesso: "quanto si desidera… incontrare un volto amico, ascoltare una parola serena, ricevere un gesto di cortesia e di concreta comprensione!" (Omelia all’Aeroporto di Fiumicinio, 10 dicembre 1991). A tali esigenze la Comunità cristiana risponde con il servizio delle Cappelle e dei Cappellani degli Aeroporti, rivolto principalmente al personale di volo e di terra, a quello di polizia, dogana e sicurezza, e a quello medico e paramedico, ma anche a tutti coloro che passano negli aeroporti. Questa presenza ricorda che ogni persona ha una dimensione trascendente, spirituale, e aiuta a riconoscersi una sola famiglia, composta da soggetti che non sono semplicemente uno accanto all’altro, ma che, ponendosi in relazione con gli altri e con Dio, realizzano una solidarietà fraterna fondata sulla giustizia e sulla pace (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, nn. 53-54).

Cari amici, il 24 marzo 1920 il mio predecessore Benedetto XV, di venerata memoria, coronando il desiderio di alcuni pionieri dell’aviazione, proclamava la Beata Vergine di Loreto Patrona di tutti gli aeronaviganti, con riferimento all’"arcangelo Gabriele, che dal cielo è sceso per portare a Maria ‘il lieto annuncio’ della Divina Maternità" (Lc 1,26-38) e alla devota tradizione legata alla Santa Casa. Alla Vergine Lauretana affido il vostro lavoro e ogni vostra iniziativa. Ella vi aiuti a cercare sempre e in ogni cosa "il regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33). Vi accompagni la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a ciascuno di voi ed ai vostri cari.

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