martedì 2 marzo 2010

ZI100302

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 02 marzo 2010

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Il Papa invitato ufficialmente a visitare la Galizia nel 2011
Per l'VIII centenario della consacrazione della Cattedrale di Santiago de Compostela

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il presidente della Xunta della Galizia, Alberto Núñez Feijóo, ha invitato questo lunedì Benedetto XVI a visitare la sua comunità autonoma nel 2011, anno in cui si celebra l'VIII centenario della consacrazione della Cattedrale di Santiago de Compostela.

L'invito del presidente del Governo autonomo gallego ha avuto luogo durante un'udienza in Vaticano alla quale è giunto accompagnato dall'Arcivescovo di Santiago, monsignor Julián Barrio. I due hanno presentato al Papa le attività dell'Anno Santo Compostelano 2010 e gli hanno consegnato la prima medaglia commemorativa.

In alcune dichiarazioni ai giornalisti dopo l'udienza, Núñez Feijóo ha espresso il desiderio che “possiamo avere buone notizie” riguardo all'invito al Santo Padre. “Lo spero come gallego e come presidente della Xunta”, ha aggiunto, sottolineando che “spetta al Papa e ai suoi collaboratori confermare la notizia”.

Secondo quanto ha riferito, nell'incontro ha avuto l'opportunità di esporre al Papa l'importanza che ha per la Galizia e per tutta la Spagna l'Anno Santo Compostelano, che non si ripeterà fino al 2021, e ha ratificato il significato di questo evento considerando le radici cristiane dell'Europa.

La delegazione gallega ha offerto al Papa una miniatura del famoso incensiere della Cattedrale compostelana e una copia in gallego del Codice Callistino, il manoscritto del XII secolo sui pellegrinaggi alla tomba dell'apostolo Giacomo.

Il politico gallego ha annunciato che a maggio verrà inaugurata un'esposizione nel Braccio di Carlo Magno, al lato di Piazza San Pietro in Vaticano, sul primo Arcivescovo di Santiago, monsignor Diego Gelmírez (o Xelmírez, 1059-1139), che promosse la costruzione della Cattedrale.

Il Vescovo di Roma ha previsto di visitare la Spagna nell'agosto 2011 in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Il 17 febbraio, padre Federico Lombardi S.I, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha confermato che si sta analizzando anche l'invito rivolto al Papa a consacrare il tempio della Sagrada Familia di Gaudí, a Barcellona.



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Portogallo: sui poster per la visita, un Papa timido e gentile
Mons. Carlos Azevedo parla del progetto grafico per la presentazione del viaggio

LISBONA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il coordinatore della commissione organizzatrice del viaggio del Papa in Portogallo, monsignor Carlos Azevedo, ha affermato che il poster di presentazione della visita pontificia sottolinea la timidezza e la gentilezza del Pontefice.

La fotografia che appare sul poster “ha colto la timidezza e la gentilezza di Benedetto XVI”, così come “il modo sublime in cui mostra la mano che ci benedice e ci saluta”, ha detto venerdì in un incontro con la stampa, secondo quanto rende noto l'agenzia Ecclesia.

Il Vescovo ausiliare di Lisbona ha sottolineato anche il riferimento alla croce, presente come segno grafico e nella disposizione delle lettere.

“Dedicando questa conferenza stampa alla divulgazione dell'immagine, vogliamo comunicare il senso della visita”, ha sottolineato il presule. L'unificazione della “grammatica visiva” sarà applicata, tra le altre cose, al sito ufficiale, a poster, medaglie, fazzoletti e t-shirt.

La rappresentazione grafica è stata scelta tra tre proposte. Secondo l'équipe che ha presentato il disegno vincitore, la disposizione visiva, le forme e i colori cercano di indurre un'“esperienza spirituale”. Dall'altro lato, si vuole valorizzare la missione del Papa come “capo della Chiesa”.

Il logotipo, che si avvicina a un'immagine circolare, si riferisce alla forma rotonda, rappresentazione ancestrale del sacro.

Il tema “Con te camminiamo nella speranza – Saggezza e Missione” orienterà la presenza del Papa in Portogallo, dall'11 al 14 maggio.

La motivazione principale della visita di Benedetto XVI è la celebrazione dei 10 anni dalla beatificazione dei pastorelli Francisco e Giacinta Marto, fratelli, destinatari delle apparizioni della Vergine insieme alla cugina Lúcia dos Santos, diventata poi suora e morta nel 2005.

I momenti più emblematici del viaggio saranno le Messe a Lisbona, Fatima e Porto.

“Quando un Papa visita un Paese, si rivolge con una proposta umile e solida a tutti gli abitanti”, ha detto monsignor Azevedo.

Circa i costi della visita pontificia, il Vescovo ha spiegato che ancora non sono stati definiti totalmente. Ci saranno partnership tra le Diocesi e lo Stato, oltre alla partecipazione di benefattori.

“Vogliamo che i costi siano minimi, desideriamo cose semplici e senza spese superflue, tenendo conto dell'attuale situazione sociale”, ha sottolineato il presule.

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"Matteo Ricci e il dialogo tra fede e cultura", secondo il Card. Rylko
Una delle figure "più significative della storia dell'umanità"

di Anita S. Bourdin

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Per il Cardinale Stanislaw Rylko, padre Matteo Ricci SJ è “una figura tra le più significative della storia dell'umanità”: un saggio e un missionario che “getta le basi di uno sviluppo della conoscenza reciproca e del dialogo tra Oriente e Occidente”.

Sottolineando l'attualità di padre Ricci, ha aggiunto che il suo esempio “indica chiaramente la rotta da seguire per vincere la sfiducia e preparare il terreno in vista di una collaborazione effettiva e duratura”.

Il Cardinale Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, è intervenuto a Parigi all'UNESCO sul tema “Padre Matteo Ricci e il dialogo tra fede e cultura” nel colloquio del 16 febbraio sul tema “Al crocevia della storia: il gesuita Matteo Ricci (1552-1610) tra Roma e Pechino”.

“Uomo di scienza e missionario, in un'epoca di grande fermento culturale ed economico, a cavallo tra i secoli XVI e XVII, Matteo Ricci getta le basi di uno sviluppo della conoscenza reciproca e del dialogo tra Oriente e Occidente, tra Roma, centro della cristianità, e Pechino, dove da più di due secoli regnava la grande dinastia Ming”, ha ricordato il porporato.

Matteo Ricci ha anche un'“attualità innegabile e permanente”, perché “ha saputo sviluppare un dialogo basato sull'amicizia, nel rispetto degli usi e dei costumi, nella conoscenza dello spirito e della storia della Cina”.

“E' questo atteggiamento, privo di pregiudizi e di ogni spirito di conquista, che permise a questo gesuita europeo di stabilire con il popolo cinese una relazione di fiducia e di stima – ha osservato il Cardinale Rylko –. Non è un caso che la sua prima opera in lingua cinese venne dedicata al tema dell'amicizia. Questa raccolta di cento massime sull'amicizia, tratte dai classici greci e latini, suscitò grande stupore tra i cinesi, che ammiravano la saggezza e la ricchezza spirituale di quest'uomo giunto dall'estremo Occidente”.

Com'è accaduto? “Si impegnò pienamente a imparare la loro lingua e approfondì lo studio dei classici confuciani, al punto da essere considerato un esperto pari, se non superiore, agli eruditi cinesi che accorrevano a conoscerlo e a parlare con lui. Divenne cinese tra i cinesi, adattandosi in tutto ai loro costumi e adottando – dopo dieci anni di attenta analisi e di conoscenza della loro realtà – il profilo e lo stile di vita dell'erudito, cioè di quella categoria di persone che orientava e guidava la società cinese in linea di continuità con la filosofia e la tradizione confuciane”.

Allo stesso modo, favorì anche un vero “scambio culturale proficuo (...) su tutti i fronti dell'essere umano”: “dalla cartografia all'astronomia, dalla filosofia alla religione, dalle matematiche alle mnemotecniche, passando per gli orologi meccanici, la pittura e la musica: non c'è campo del sapere umano che non rappresentasse un terreno fecondo di contrasto e arricchimento reciproco tra i cinesi e quest'uomo che la Provvidenza, secondo i suoi stessi amici eruditi cinesi, aveva inviato per dare ancora più lustro alla dinastia Ming e per far partecipare i cinesi al progresso che la scienza e la tecnica avevano raggiunto durante il Rinascimento europeo”.

Per questo, ha aggiunto il Cardinale Rylko, ciò che conforma la sua “attualità permanente” è il suo “desiderio di apportare al grande popolo cinese l'annuncio evangelico come coronamento di questo ricco itinerario culturale e sociale”.

Ha così elaborato “una nuova strategia che si potrebbe riassumere nella parola 'inculturazione': un'ottica in cui la cultura del popolo cinese non è più un ostacolo da superare, ma una risorsa per il Vangelo”, ha spiegato.

“Questa originalità del metodo” di Matteo Ricci “è nata da una visione della fede che non si oppone né alla scienza, né alla ragione, né alla cultura, ma entra in armonia profonda e sostanziale con loro”, ha affermato ricordando il messaggio di Benedetto XVI a monsignor Claudio Giuliodori, Vescovo di Macerata, in occasione di questo IV centenario della morte del missionario gesuita.

“La sua opera intellettuale e spirituale ha avuto come fine ultimo quello di impiantare nelle coscienze e nella cultura cinese i germi della novità e la pienezza della Rivelazione cristiana. Sapeva che il maggior dono che i cristiani possono offrire ai popoli dell'Asia è annunciare Gesù Cristo, che risponde alla loro profonda ricerca dell'Assoluto e svela le verità e i valori che garantiscono uno sviluppo integrale”, ha spiegato il Cardinale Rylko, citando anche l'Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II Ecclesia in Asia (n. 20).

“Ambasciatore di amicizia e di verità, quattrocento anni dopo la sua morte si erge ancora come un esempio folgorante di apertura universale e di capacità di costruire ponti tra le civiltù e le culture, rendendosi – come messaggero del Vangelo – l'artefice del vero bene e dello sviluppo autentico dei popoli”, ha concluso il Cardinale.





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Il Card. Sandri, nuovo membro della Congregazione per i Vescovi

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il Cardinale Leonardo Sandri, membro della Congregazione per i Vescovi, secondo quanto ha reso noto questo martedì la Sala Stampa della Santa Sede.

Il porporato argentino ha dato al mondo la notizia della morte di Giovanni Paolo II la sera del 2 aprile 2005 in Piazza San Pietro in Vaticano e leggeva i discorsi che Papa Karol Wojtyła non riusciva a pronunciare a causa della malattia.

In base alla Costituzione Apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II, la Congregazione per i Vescovi tratta tutto ciò che riguarda la costituzione delle Chiese particolari e le loro assemblee (divisioni, unioni...) e la nomina dei Vescovi.

Tra le sue azioni recenti c'è la pubblicazione del decreto con cui è stata sollevata la scomunica ai quattro Vescovi della Fraternità San Pio X.

Sabato scorso, il Papa ha anche nominato Ordinario Militare per il Belgio monsignor André-Mutien Léonard, Arcivescovo metropolitano di Malines-Bruxelles, primate del Belgio.

Monsignor Léonard, 69 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1964 e Vescovo nel 1991. E' stato membro della Commissione Teologica Internazionale e fino a gennaio era Vescovo della sua Diocesi natale, Namur.

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Uomini e donne di fede


Cándida María de Jesús, una vita spesa nell'educazione dei giovani
Fondatrice della Congregazione delle Figlie di Gesù

di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Dove non c'è posto per i poveri, non c'è posto per me”, diceva la religiosa spagnola Cándida María de Jesús (1845 – 1912), fondatrice della Congregazione delle Figlie di Gesù.

Papa Benedetto XVI, durante il concistoro svoltosi venerdì scorso in Vaticano, ha annunciato che la sua canonizzazione si svolgerà il 17 ottobre prossimo in Vaticano insieme a quella di altri cinque beati.

Il suo nome di battesimo era Juana Josefa Cipitria y Barriola e nacque a Berrospe, Adoain, nei Paesi Baschi.

Mostrò sempre una grande sensibilità per i più bisognosi e abbandonati: “La sua profonda esperienza dell’amore di Dio per ognuna delle sue creature la portò a corrispondere con generosità e dedizione”, disse Papa Giovanni Paolo II nell'omelia della sua beatificazione, il 12 maggio 1996.

Figlie di Gesù

Nel 1868 Juana Josefa conobbe il sacerdote gesuita Miguel José Herranz, che la illuminò nella chiamata a fondare una Congregazione che rispondesse alle sfide della turbolenta società dell'epoca.

Per questo, l'8 dicembre 1871, insieme ad altre cinque donne e basandosi sulla spiritualità ignaziana, Cándida María de la Cruz diede inizio a Salamanca alla Congregazione con un'Eucaristia celebrata nella chiesa della Clerecía.

Giovanni Paolo II ha ricordato in occasione della sua beatificazione che la futura santa “plasmò la sua carità verso il prossimo nella fondazione della Congregazione delle Figlie di Gesù, con il carisma dell’educazione cristiana dell’infanzia e della gioventù”.

Cándida María de Jesús dedicò sempre una grande attenzione alle sue religiose e ai beneficiari delle sue opere, ai sacerdoti, agli alunni e ai più bisognosi. Tra le sue allieve c'era María Antonia Bandrés Elósegui, che un giorno le disse “Tu sarai Figlia di Gesù”. Fu così. María Antonia è stata beatificata da Giovanni Paolo II nello stesso giorno della sua fondatrice.

Cándida María de Jesús esortava sempre le sue figlie attraverso i suoi scritti: “Quanto dobbiamo essere grate per l'enorme beneficio che ci ha fatto il Signore chiamandoci in questa nostra amata Congregazione per essere sue figlie e spose amate e salvare molte anime per il cielo!”, si legge in una delle sue lettere.

In poco tempo la Congregazione si estese in tutta la Spagna. Nel 1911 il primo gruppo di Figlie di Gesù partì per il Brasile, sede della prima fondazione fuori dal territorio spagnolo.

Oggi le suore sono presenti in otto Paesi dell'America Latina (Cuba, Repubblica Dominicana, Colombia, Venezuela, Bolivia, Brasile, Uruguay e Argentina), in due Nazioni europee (Spagna e Italia), in sei Paesi asiatici (Cina, Bangladesh, Thailandia, Taiwan, Filippine e Giappone) e in Mozambico, in Africa.

“Quel volto di Dio che contempliamo ci invita alla fraternità con tutti, alla gratuità, alla semplicità, alla gioia”, afferma la pagina web della Congregazione.

Le Figlie di Gesù cercano di far sì che le loro scuole siano un luogo di incontro della comunità cristiana attraverso un clima educativo impregnato di valori cristiani e favorevoli allo sviluppo personale, una pedagogia attenta alla persona concreta e al suo vivere, un approccio positivo all'istruzione.

Sono particolarmente attente anche agli immigrati, alla promozione della donna, alla pastorale penitenziaria, all'infanzia a rischio, alla pastorale familiare e ospedaliera e all'evangelizzazione con gli aborigeni, i gitani, i migranti e gli sfollati a causa della violenza.

Offrono anche esercizi spirituali nello schema di Sant'Ignazio di Loyola a laici e persone che desiderano avere questo spazio privilegiato di incontro con Dio.

“E' vero che la realtà attuale ci può far sprofondare nello scoraggiamento, ci può prostrare al pensiero che siamo una piccolissima goccia nel grande mare di questo mondo così lacerato dall'assenza di Dio – ha detto una delle suore della comunità di Buchardo, in Argentina, quando è venuta a conoscenza della canonizzazione della sua fondatrice –, ma sento che Madre Cándida mi dice e ci dice: 'Confida in Colui che un giorno ha detto: Io sono la luce, io sono la vita!'”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Notizie dal mondo


Capo della Chiesa siro ortodossa: l'Islam non c'entra con le violenze in Iraq
I responsabili dello Stato non sembrano intenzionati a fermare questi fuorilegge

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Esortiamo i Capi di tutti i paesi arabi e la Lega Araba, le Nazioni Unite e i governanti del mondo affinché sradichino il terrorismo e gli abusi che stanno insanguinando i cristiani dell'Iraq”. E' quanto afferma in una lettera Sua Santità Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas, Patriarca d’Antiochia e di tutto l’Oriente, nonché Capo supremo della Chiesa siro ortodossa universale.

“Con grande dolore e pena – si legge sul sito web del Patriarcato, la cui sede si trova a Damasco, in Siria – seguiamo quanto sta accadendo in Iraq e specialmente ai cristiani dell'Iraq vittime di persecuzioni, uccisioni, saccheggi, rapimenti e atti sacrileghi: sembra che il diavolo abbia arruolato questi uomini per diffondere il caos nel paese e tra la gente”.

“Non sappiamo – continua la lettera – perché coloro che sono stati sempre fedeli alla loro patria e attacchati all'eredità del loro amato Iraq prendano ora di mira i cristiani. Avevamo già pubblicato altre denunce contro questi comportamenti disumani che sono lontanissimi dalla religione”.

“Sfortunatamente – sottolinea –, questi criminali compiono i loro atti in nome della religione ma l'Islam è completamente estraneo ad essi”.

Il Capo della Chiesa siro ortodossa si interroga quindi sulle possibili ragioni all'origine delle violenze: “Vi è forse un complotto per svuotare l'Iraq dai cristiani che sono autoctoni di quel paese? Oppure vi sono progetti sponsorizzati da mani sconosciute che alcuni chiamano un giorno sionismo e l'altro faida o magari da un gruppo di fuorilegge che ha come religione gli abusi ai danni degli altri?”.

“Non c'è niente che ci convinca sul perché lo Stato non sia in grado di arrestare e di dare la giusta punizione a questi ribelli e fuorilegge, che sono lontani dai principi propri della religione, del potere, dello Stato, della legge e dell'umanità”, continua la lettera.

“Questo ci fa dubitare delle intenzioni dei responsabili ai quali chiediamo individualmente e collettivamente di ottenere giustizia per gli oppressi perché non possiamo vedere i nostri figli innocenti mentre vengono sgozzati, uccisi, saccheggiati senza che nessuno vi ponga fine”, conclude.

[Con il contributo di Tony Assaf]

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Alle minoranze cattoliche deve essere riconosciuto il "diritto di esistere"
Monsignor Giordano all'Incontro dei presidenti dei Vescovi del Sud-Est europeo

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- I cattolici che vivono in condizioni di minoranza non vogliono “diritti speciali”, ma quelli che devono essere garantiti a ogni essere umano, a cominicare dal fondamentale “diritto di esistere”.

Monsignor Aldo Giordano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, lo ha dichiarato in occasione del 10° Incontro dei presidenti delle Conferenze Episcopali del Sud-Est europeo, svoltosi nella capitale moldava Chişinău dal 25 al 28 febbraio.

“I cattolici che vivono in situazioni di minoranze non attendono diritti speciali, ma sentono la responsabilità di contribuire al bene comune”, ha affermato il presule.

Per questo, “sono coscienti di avere tutti i diritti propri della persona umana, quelli previsti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell’ONU (1948): dalla dignità della persona umana, alla vita, alla uguaglianza, alla libertà di religione e di coscienza”.

Dall'altro lato, ha aggiunto, “i cattolici hanno i diritti propri della natura e missione della Chiesa: diritto di esistere, di organizzazione autonoma, di parola, di presenza nello spazio pubblico”.

All'Incontro di Chişinău, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), sono state rappresentate le Conferenze Episcopali di Albania, Bosnia e Erzegovina, Bulgaria, Romania, la Conferenza Episcopale Internazionale SS. Cirillo e Metodio e la Turchia, insieme all’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti e al Vescovo di Chişinău, monsignor Anton Cosa, che ha ospitato l'evento.

Ha partecipato anche il Nunzio Apostolico in Romania e in Repubblica Moldova, monsignor Francisco-Javier Lozano, che ha ricordato come “ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione dalla violazione dei diritti umani”.

La Chiesa, ha spiegato, “non si sente estranea ad alcun problema dell’uomo contemporaneo e, con umiltà e convinzione, sa di mettere in primo piano i più alti valori umani”.

Per il rappresentante della Santa Sede, la Chiesa cattolica, ovunque si trovi, si fa vicina alle vicissitudini delle comunità locali attraverso la forza della preghiera, ma anche il sollecito sostegno spirituale e materiale.

Essa, inoltre, crede sempre e comunque nel dialogo con le istituzioni civili, le altre confessioni cristiane e le varie religioni come via preferenziale per raggiungere e mantenere la pace.

Secondo monsignor Lozano, infatti, il dialogo tra le culture “è un antidoto efficace contro la chiusura etnica”.

“I contatti interreligiosi e interculturali, accanto al dialogo ecumenico, sono strade obbligate perché le dolorose lacerazioni del passato non accadano più e quelle residue siano presto risanate”, ha sottolineato.

Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa appartengono quali membri le attuali 33 Conferenze Episcopali presenti in Europa, rappresentate di diritto dai loro presidenti, dagli Arcivescovi del Lussemburgo e del Principato di Monaco e dal Vescovo di Chişinău.

Il Consiglio è presieduto dal Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria; i Vicepresidenti sono il Cardinale Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria, e il Cardinale Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux. Segretario generale del CCEE è padre Duarte da Cunha. La sede del Segretariato è a St. Gallen (Svizzera).

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Italia


Accolto il ricorso dell'Italia sul Crocifisso nelle scuole
Il commento della CEI: "un passo avanti nella giusta direzione"

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Corte europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso presentato dall'Italia contro la sentenza che, il 3 novembre 2009, aveva sostanzialmente bocciato la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche.

Il Governo italiano aveva presentato il 29 gennaio un ricorso ribadendo che “il crocifisso è uno dei simboli della nostra storia e della nostra identità” e che “la cristianità rappresenta le radici della nostra cultura, quello che oggi siamo”.

La Corte europea dei diritti dell’uomo aveva sostenuto che l’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica costituisce violazione dell’articolo 2, del Protocollo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto all’istruzione), valutato congiuntamente con l’articolo 9, che tutela la libertà di pensiero, coscienza e religione.

Secondo la Corte di Strasburgo, l’obbligo all’esposizione del simbolo della confessione cristiana limita non solo il diritto dei genitori a educare secondo le loro convinzioni i figli, ma anche il diritto degli alunni di credere in altre confessioni o di non credere affatto.

Spetterà ora alla Grande Camera pronunciarsi nei prossimi mesi con un verdetto definitivo ma non obbligatorio sulla sentenza espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.

Nel commentare la notizia il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Angelo Bagnasco, ha detto: “Un atto di buon senso da tutti auspicato perché rispetta quello che è la tradizione viva del nostro Paese e riconosce un dato storico oggettivo, secondo cui alla radice della cultura e della storia europea c'è il Vangelo, che è riassunto in Gesù Crocifisso".

“La presenza del crocefisso - ha aggiunto il porporato a Genova, a margine di un incontro pubblico sulla scuola, secondo quanto riferito da “Avvenire” - è importante, l'importanza dei segni fa parte dell'antropologia, perché l'uomo è anima e corpo non puro spirito o un'idea astratta: attraverso la corporeità tutti noi esprimiamo i nostri sentimenti e i nostri valori, che sono nel cuore e resterebbero invisibili se non fossero espressi attraverso segni visibili”.

“Il crocifisso - ha concluso il Presidente della CEI - esprime il centro della nostra fede cristiana e la sintesi dei valori che hanno ispirato la cultura di libertà rispetto della persona la dignità dell'uomo che sta alla base dell'Occidente”.

“L'accoglienza da parte della Corte di Strasburgo del ricorso presentato dal governo italiano è un segnale interessante, che dimostra come attorno al crocifisso si sia creato un consenso ben più ampio di quello che ci si sarebbe immaginati”, ha spiegato dal canto suo il portavoce e Sottosegretario dell'episcopato italiano, mons. Domenico Pompili.

Tale consenso, ha aggiunto , “conferma la non adeguatezza di alcune posizioni volte a strumentalizzare segni che hanno innegabilmente a che fare con le radici culturali dell'Europa e con la fede di milioni di persone, che in tale segno si riconoscono”.

In una nota diffusa nel pomeriggio il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Ezstergom-Budapest e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopale d’Europa, ha sottolineato la necessità “che le questioni religiose vengano affrontate a livello nazionale, secondo il principio di sussidiarietà, in quanto la sensibilità religiosa e la stessa percezione del principio di laicità varia da Paese a Paese”.

“Ritengo – ha aggiunto – che sarebbe un atto di grande saggezza se la Grande Camera, nel suo riesame, accettasse questo fatto, che sono certo ridarà fiducia nelle istituzioni europee ai numerosi cittadini europei, cristiani credenti e laici, che si erano sentiti profondamente lesi da questa sentenza”.

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Interviste


La Natura tra cultura e libertà
Intervista alla prof.ssa Clementina Collevati, antropologa e filosofa

di Marialuisa Viglione

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto a Roma, il 22 e 23 febbraio, presso la Università Pontificia della Santa Croce il XIII convegno di studi della facoltà di Filosofia sul tema “Natura, cultura, libertà”.

Nella cultura odierna anche il concetto di natura è stato relativizzato. Alcuni propugnano un “ritorno alla natura”, nel desiderio di prendere le distanze da un mondo artificiale; altri considerano la natura solo come un ambito da dominare e da trasformare mediante la tecnica; altri ancora negano ogni idea di natura dalla quale dedurre orientamenti stabili per la condotta umana.

Il convegno ha cercato di mettere in luce che nella riflessione antropologica è impossibile prescindere del tutto da un’idea di natura umana e che quest’ultima non solo non contraddice la libertà della persona, ma la rende possibile.

Inoltre, la dimensione culturale dell’esistenza umana, storicamente caratterizzata, non implica un assoluto relativismo dei valori, giacché è possibile riscontrare alcune costanti antropologiche nelle diverse culture.

Per cercare di capire la sostanza e il fine ultimo del convegno, ZENIT ha intervistato la professoressa Clementina Collevati, docente di Antropologia filosofica.

Ha ancora senso parlare di libertà e natura?

Collevati: Non solo ha un senso, ma è l'unica strada per uscire dal nichilismo in cui stiamo precipitando. Pensi che è già possibile immaginare robot al posto di uomini e che molti non hanno idea della differenza tra un robot e un uomo.

La cultura si sovrappone, contrasta o interagisce con la natura?

Collevati: Questo è uno dei punti centrali del dibattito. La natura precede la cultura, ne è l'origine e al tempo stesso ne beneficia, se la cultura costruisce. Oppure ne soffre, se la cultura decostruisce.

Oggi è giusto dire che l'uomo è libero?

Collevati: Nonostante tanti progressi per rendere possibile la libertà, sono ancora numericamente poche le nazioni in cui è davvero promossa e tutelata. L'Occidente è solo una parte del mondo. Libertà e diritti dell'uomo vanno insieme. La Carta dei diritti dell'uomo (lo ha ricordato anche il professor Francesco Viola nella sua relazione) è riconosciuta in Paesi che inizialmente non lo avevano fatto, ma ci sono ancora repressioni religiose, sopraffazioni, discriminazioni, razzismi.

Allora siamo più liberi in Occidente?

Collevati: L'uomo è più libero, perché ha ottenuto dalle legislazioni attenzione per la libertà di religione, di stampa, di pensiero. Ma è anche meno libero, perché attraverso lo sviluppo tecnologico ha prodotto nuove situazioni senza averle prima vagliate alla luce delle sue possibilità e dei suoi limiti naturali, e, di fatto, non sa come gestirle.

A cosa si riferisce?

Collevati: L'allungamento della vita, le armi nucleari, l'applicazione della tecnica alla vita umana.

Allora multiculturalismo o globalizzazione?

Collevati: Dalla tavola rotonda dei professori Marcello Pera, Pierpaolo Donati, Stefano Semplici e Stefano Zamagna ho ricavato alcune nozioni su cui vorrei riflettere. Entrambe le concezioni hanno una forte componente economica, che spinge piuttosto nella direzione della globalizzazione.

Le istanze naturali preferiscono tutelare le identità culturali e salvaguardare la ricchezza delle diversità. Aldilà delle ideologie e della politica internazionale, sono d'accordo con il professor Pierpaolo Donati sulla necessità di promuovere la riflessione sulle relazioni primarie per lo sviluppo dell'uomo: famiglia, amicizia, religione. E’ auspicabile che sorgano nuove categorie razionali che possono illuminare anche le relazioni più complesse sulle quali è intessuta la società culturale ed economica.

Tutto è monetizzato: si parla di finanziarizzazione dell'economia. E la cultura,
l'uomo che posto hanno?

Collevati: Uomo e cultura rischiano fortemente di essere travolti, e la natura stessa, senza il suo custode, non avrebbe più difese da se stessa. Occorre rimettere al timone la ragione, ma non quella illuminista, che ha già fallito; piuttosto quella autenticamente umana, che ha di mira il senso dell'esistenza.

Qual è stato il punto centrale dell'intervento di Marcello Pera, che difende la globalizzazione?

Collevati: L'individuazione di possibili punti di dialogo tra posizioni culturali tradizionalmente antitetiche, come il liberismo e il comunitarismo. Si tratterebbe di tracciare i confini tra principi irrinunciabili delle diverse culture e strategie, condivisibili nelle aree territoriali.

E il multiculturalismo è positivo?

Collevati: Tra natura e cultura, tra le varie culture si deve avviare un dialogo relazionale (seguo il filo dell'intervento di Pierpaolo Donati) che amplii e sviluppi le capacità della ragione umana.

Per quel che riguarda la natura umana, il genere e l’identità: cosa ha voluto dire Jutta Burggraf?

Collevati: Che i sessi sono due, che i generi sono sei o più di sei. Che la propria identità sessuale segna così fortemente la persona da originare sofferenza quando il genere scelto contraddice la biologia. Che dobbiamo fare attenzione a rispettare le diversità senza però favorire un aumento dei disagi.

Per lei è giusto?

Collevati: Sono d'accordo con lei.

Lo vive?

Collevati. Cerco di viverlo, e non lo trovo difficile.

A cosa e a chi è servito il convegno?

Collevati: Il convegno ha posto in dialogo specialisti e ricercatori di aree culturali tra loro diverse, dimostrando la possibilità di armonia e fecondità di idee e intenti. Ha anche confermato la forza autoriflessiva della ragione, capace di sperare e di progettare.

Chi beneficia di questo effetto?

Collevati: La Pontificia Università della Santa Croce ha una potenzialità comunicativa molto alta: docenti e studenti, pubblicazioni, web. La cultura viaggia su questi veicoli.




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"Lourdes", il film che non ti aspetti

di Elizabeth Lev*

ROMA, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- In generale, il “mormorio” che circonda un film di argomento cattolico suscita spesso cattivi presagi sul suo contenuto sacro. Ad eccezione de “La passione” di Mel Gibson nel 2004, quanta più attenzione riceve una pellicola sulla religione, tanto più è probabile che attacchi i cattolici.

Per questo, quando “Lourdes”, il film della regista austriaca Jessica Hausner, è stato proiettato al Festival del Cinema di Venezia e ha vinto un premio dell'Unione degli Atei (anche se credo che il premio ateo del cinema si chiami Palma d'Oro) ho pensato al peggio.

La Hausner, tuttavia, mi ha colto completamente di sorpresa con questo film caloroso e molto umano; non pietoso ma rispettoso, che non evangelizza ma non provoca neanche rifiuto.

La trama ruota intorno a una ragazza francese, Christine, costretta sulla sedia a rotelle da una malattia che potrebbe sembrare sclerosi multipla. Le sue braccia, bloccate, sembrano confinarla alla sedia. Eterea e con gli occhi grandi, non è un'immagine di pietà, ma quella di un altro mondo in un contesto sconosciuto.

Christine non è particolarmente devota ed è andata a Lourdes soprattutto per la compagnia e per cambiare ambiente, più che per la speranza di una cura miracolosa. E' la prima a dire che “preferisce i luoghi culturali, come Roma, a quelli religiosi” (guadagnandosi immediatamente la mia simpatia). Per un semplice spirito di cameratismo, si unisce alle masse di gente di ogni colore, lingua e malattia – spirituale o fisica – riunite a Lourdes.

La Hausner non nasconde la commercializzazione dei luoghi sacri. Gli enormi negozi di souvenir e le massicce infrastrutture turistiche mostrano gli affari di Lourdes. Vivendo a Roma e dopo essere stata di recente in Terra Santa, la pellicola ha toccato una corda in me con le sue giustapposizioni di sacro e profano. Quando la Hausner permette però che la Basilica di Lourdes entri sulla scena, gli ornamenti di plastica lasciano spazio all'imponente maestà della chiesa.

L'impressionante edificio si oppone alle colline e al cielo, come un simbolo di qualcosa di molto superiore all'attività economica che lo circonda.

Il film porta lo spettatore a Lourdes attraverso gli occhi di Christine, che fa la fila per toccare le pareti della Grotta, bagnarsi nelle acque o ricevere l'unzione dei malati. La Hausner non ridicolizza mai i fedeli e le loro preghiere per avere la salute, ma fa entrare lo spettatore in un mondo in cui i malati sono la classe privilegiata e i sani sono i curiosi.

Il suono gioca un ruolo importante nell'opera, in cui il brusio delle voci sostituisce la colonna sonora e il rumore delle sedie e i piedi trascinati forniscono le percussioni. Gli aspri suoni della vita quotidiana si addolciscono solo quando si arriva alle scene che ritraggono delle cerimonie sacre, in cui il pubblico è alleviato dai canti, dal suono d'organo o dall'“Ave Maria”.

La Hausner aggiunge un moderno coro greco nei personaggi di due donne che oscillano tra dubbio e fede. Le loro domande sono pensate per suscitare un'eco in noi, soprattutto quando affrontano un potenziale miracolo. Perché a lei e non a un'altra? Forse è credente? Che cosa succede dopo un miracolo?

Il pacifico sacerdote dal volto rotondo che accompagna il gruppo è descritto in modo positivo, lungi dalle moderne caricature dei sacerdoti che infettano il cinema contemporaneo. Accentua il vero proposito di Lourdes: non curare il corpo, ma aiutare la gente ad accettare la volontà divina come ha fatto la Madre di Dio. Pone la domanda chiave: un corpo paralizzato dalla malattia è il dolore più grande o lo è l'anima paralizzata dal dubbio e dalla paura? La sua fede ha radici solide, ma anche lui non è immune dalla tentazione di gustare la luce di un miracolo.

In questo film, i cattolici apprezzeranno la figura di una anziana signora che intercede per la guarigione di Christine e si consuma dalla preoccupazione per lei. La sua fede semplice, la sua costante intercessione e, infine, la confessione di Christine avranno come frutto il fatto che la giovane paraplegica ricomincerà a camminare.

La “guarigione” è solo un punto nel mezzo del film. Le vere domande iniziano da lì. E' una remissione della malattia? E' un intervento divino? Durerà? Che cosa farà Christine? Dove termina l'opera di colui che intercede e quale costo avrà questa guarigione?

Se Christine sulla sedia a rotelle era come una bambina, una volta in piedi diventerà presto un'adolescente. Ora che la sua infermità fisica è scomparsa, è alla mercè della sua debolezza spirituale. Come i volontari dell'Ordine di Malta, che vengono rappresentati mentre flirtano, bevono o scherzano in modo scettico, cerca di partecipare ai divertimenti ai quali non ha avuto accesso negli anni della malattia.

Anche se si può leggere in questa vicenda dell'ipocrisia o un'affermazione della mancanza di senso nella religione, questi aspetti mi hanno colpito molto e li ritengo molto umani, calorosi, compassionevoli. C'è una sensazione di speranza per tutti noi.

Pur non trattandosi certamente di un film facile, la mancanza di blasfemia, di nudità o profanazione in “Lourdes” è stata molto confortante, e il racconto parla con successo a un pubblico moderno che vede i santuari come un affare lucrativo che vive sulle spalle dei creduloni, offrendo anche l'opportunità di un dibattito equilibrato e pacifico sulla fede.

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* Elizabeth Lev insegna Arte e Architettura Cristiane nel campus italiano della Duquesne University e nel programma di Studi Cattolici dell'Università San Tommaso. Può essere contattata all'indirizzo lizlev@zenit.org.

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Aborto e razza, un intreccio complicato
Il 40% degli aborti negli Stati Uniti riguarda donne di colore

di Carl Anderson*

NEW HAVEN, martedì, 2 marzo 2010 (ZENIT.org).- Essendo stato per quasi un decennio membro della Commissione statunitense per i Diritti Umani, so che nella società americana ci sono poche questioni tanto controverse come quelle che riguardano i rapporti razziali.

Nonostante ciò, un articolo apparso questo fine settimana sul New York Times - intitolato “To Court Blacks, Foes of Abortion Make Racial Case” (“Per strizzare l'occhio ai neri, i nemici dell'aborto creano un caso razziale”) - merita di essere preso in considerazione.

Senza entrare nella controversia circa la ben documentata filosofia eugenetica di Margaret Sanger (fondatrice di Planned Parenthood), o nel dibattito sul fatto che gli afroamericani siano o meno deliberatamente etichettati come coloro che usufruiscono maggiormente dell'aborto, restano molti elementi su cui riflettere.

Come ha sottolineato il New York Times, le donne di colore effettuano circa il 40% degli aborti realizzati negli Stati Uniti, anche se costituiscono solo il 13% della popolazione.

Indipendentemente dalla causa di questo tasso così alto, l'aborto è una tragedia particolarmente diffusa tra gli afroamericani. Nell'aborto non ci sono vincitori. Ci sono solo morti e feriti, e tutte le persone coinvolte devono essere accolte con compassione e amore.

Alle persone della comunità nera maggiormente a rischio di abortire devono essere offerte alternative concrete. Chi ha sperimentato un aborto deve ricevere un messaggio di guarigione e speranza.

Cercando di costruire un sostegno di compassione, dovremmo anche ricordarci dell'ultima Enciclica di Benedetto XVI, la Caritas in Veritate. Come parte della nostra carità, dobbiamo riconoscere le menzogne che portano milioni di persone ad accettare delle ingiustizie come necessità sociali, decidere di far sì che la verità guidi la nostra carità e lasciare che la nostra carità sia la portavoce della verità.

Limbo legale

Il mese scorso, gli Stati Uniti hanno celebrato il Mese della Storia Nera. Ci sono purtroppo dei paralleli legali tra la terribile eredità della negazione dei diritti dei neri – e il loro trattamento disumano – e l'attuale limbo legale circa i diritti dei concepiti in questo Paese.

Sia i concepiti che la comunità nera sono stati vittime di una giurisprudenza tremenda. Le decisioni della Corte Suprema che hanno permesso un accesso illimitato all'aborto (Roe v. Wade) e hanno sancito il principio segregazionista del “separati ma uguali” (Plessy v. Ferguson) sono state infatti basate sulla falsità in entrambi i casi.

Nella sentenza Plessy v. Ferguson, l'opinione prevalente ha affermato che la segregazione poteva permettere il trattamento egualitario degli americani bianchi e neri. Secondo la Corte, gli americani neri che consideravano la separazione “un segno di inferiorità” hanno creato una realtà propria, non quella stabilita dalla legge. La Corte ha insistito sul fatto che ogni parvenza di inferiorità non era “in alcun modo basata sulla disposizione, ma solo dovuta al fatto che i neri scelgono di collegarvi questa costruzione”.

Come ha tuttavia notato il giudice John Marshal Harlan nel suo dissenso nei confronti di questa decisione, “ognuno sa che la legge in questione ha origine nell'obiettivo non tanto di escludere i bianchi dalle carrozze ferroviarie occupate dai neri, quanto di escludere i neri dalle carrozze occupate dai bianchi o assegnate loro”.

Scardinamento

Anche nella sentenza Roe v. Wade è stato permesso che una finzione diventasse legge. In questo caso, la Corte ha affermato di non poter stabilire quando inizia la vita umana.

Ad ogni modo, tutti sapevano – e la scienza da allora lo ha soltanto reso più chiaro – che il bambino prima della nascita è proprio questo, un bambino.

Ciò che colpisce nelle sentenze Plessy e Roe è che in ognuno dei due casi la maggioranza ha ritenuto necessario ignorare l'ovvio per legiferare come poi ha fatto. E purtroppo, indipendentemente dalle motivazioni dei singoli giudici, la comunità nera colpita dalla sentenza Plessy è stata anche colpita in modo sproporzionato dalla Roe.

La decisione della maggioranza nel caso Roe avrebbe potuto non valere in ogni circostanza, ma la controversia attuale è un altro esempio di quanto decisioni prese malamente tendano ad avere conseguenze involontarie – spesso terribili – al di là di quelle chiaramente visibili.

Ovviamente negli anni Cinquanta molti esperti legali, docenti di Giurisprudenza e politici insistevano sul fatto che la segregazione permessa dalla sentenza Plessy era “legge stabilita”. Oggi “esperti” e politici affermano lo stesso sull'eredità relativa all'aborto della sentenza Roe.

La Plessy, però, è stata scardinata dalla realtà, e il coraggio di uomini e donne di valore come Martin Luther King, Jr., e Rosa Parks ha turbato questa “legge stabilita” guadagnando il rispetto del giudizio della storia.

Anche la sentenza Roe è estrapolata dalla realtà che tutti conoscono. Servono più uomini e donne coraggiosi che vogliano chiedere che la legge di una Nazione sull'aborto non sia mai stabilita fino a quando non diventa conforme alla realtà.

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*Carl Anderson è il Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo e autore best-seller del New York Times.

[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]



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