mercoledì 10 marzo 2010

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Servizio quotidiano - 10 marzo 2010

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Il Papa: dopo il Concilio, la Chiesa ha evitato l'"utopismo anarchico"
Catechesi all'Udienza generale su san Bonaventura da Bagnoregio

CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa è riuscita ad evitare la tentazione dello “spiritualismo utopico” grazie soprattutto alla salda guida dei Pontefici, i quali hanno difeso le novità conciliari e, allo stesso tempo, l'unicità e la continuità della Chiesa.

Lo ha detto Benedetto XVI all'Udienza generale di questo mercoledì, tenutasi nell'Aula Paolo XVI, nel tornare nuovamente a parlare di san Bonaventura da Bagnoregio, soffermandosi in particolare sull'opera letteraria e la dottrina del "Dottore Serafico".

Il merito di san Bonaventura, ha spiegato all'inizio il Papa, fu quello di aver voluto interpretare “autenticamente e fedelmente la figura di San Francesco d’Assisi”, davanti al diffondersi delle idee dei “Francescani Spirituali”, i quali rifacendosi a Gioacchino da Fiore, affermavano che “la Chiesa aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito”.

“Vi era dunque il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione erronea del Cristianesimo nel suo insieme”, ha osservato il Papa.

Bonaventura sentì l'urgenza di esporre “una giusta visione della teologia della storia” perché con la “concezione spiritualistica, ispirata da Gioacchino da Fiore, l’Ordine non era governabile, ma andava logicamente verso l’anarchia”.

“Sappiamo, infatti – ha quindi aggiunto il Papa parlando a braccio –, come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente 'altra'”.

“Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia”, ha detto Benedetto XVI.

San Bonaventura, ha aggiunto il Papa, spiegò che “la storia è una, anche se è un cammino”, “un cammino di progresso”, perché “non c’è un altro Vangelo più alto, non c’è un'altra Chiesa da aspettare”.

“Anche san Bonaventura – ha continuato – riconosce i Padri come maestri per sempre, ma il fenomeno di san Francesco gli dà la certezza che la ricchezza della parola di Cristo è inesauribile e che anche nelle nuove generazioni possono apparire nuove luci”.

“L’unicità di Cristo garantisce anche novità e rinnovamento in tutti i periodi della storia”, ha spiegato infine Benedetto XVI.

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Appello del Papa dopo i sanguinosi scontri in Nigeria
"La violenza non risolve i conflitti"
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Questo mercoledì Benedetto XVI ha levato la propria voce per condannare “l’atroce violenza, che insanguina la Nigeria e che non ha risparmiato nemmeno i bambini indifesi”.

“Ancora una volta – ha detto il Pontefice al termine dell'Udienza generale – ripeto con animo accorato che la violenza non risolve i conflitti, ma soltanto ne accresce le tragiche conseguenze”.

“Faccio appello a quanti nel Paese hanno responsabilità civili e religiose, affinché si adoperino per la sicurezza e la pacifica convivenza di tutta la popolazione”, ha aggiunto.

“Esprimo, infine, la mia vicinanza ai Pastori e ai fedeli nigeriani e prego perché, forti e saldi nella speranza, siano autentici testimoni di riconciliazione”, ha concluso infine.

Il 7 marzo scorso, alcuni pastori nomadi di etnia fulani e di religione musulmana hanno attaccato le località di Dogo Nahawa, Ratsat e Zot, situate nei pressi della della capitale, massacrandone gli abitanti, che sono soprattutto di etnia berom e religione cristiana.

Secondo alcune fonti, i violenti scontri hanno provocato nello Stato nigeriano di Plateau tra le 200 e le 500 vittime, tra cui anche donne e bambini, mentre molto sono rimasti mutilati. Il Capo della polizia di Stato nigeriana, Ikechukwu Aduba, ha invece affermato che il massacro di Jos sarebbe costato la vita a 109 persone.

Già nel gennaio scorso, più di 300 persone sono morte in tre giorni di scontri tra gruppi musulmani e cristiani a Jos.



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Il Papa: don Carlo Gnocchi, "genio della carità cristiana"
Nell'incontrare i partecipanti al Pellegrinaggio della Fondazione Don Carlo Gnocchi
CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nell'Anno sacerdotale in corso è importante tornare a guardare alla luminosa figura di don Carlo Gnocchi, l'apostolo dei “mutilatini di guerra”, che fu un vero “genio della carità cristiana”.

Lo ha detto questo mercoledì Benedetto XVI incontrando nella Basilica Vaticana, prima dell'Udienza generale nell'Aula Paolo VI, i circa 1.600 partecipanti al pellegrinaggio della Fondazione Don Carlo Gnocchi giunti da tutta Italia a conclusione dello 2009 che ha visto la beatificazione del sacerdote milanese.

“Cari amici – ha esordito il Santo Padre –, ho ben presente la straordinaria attività che dispiegate in favore dei bambini in difficoltà, dei disabili, degli anziani, dei malati terminali e nel vasto ambito assistenziale e sanitario”.

“Mediante i vostri progetti di solidarietà – ha aggiunto –, vi sforzate di proseguire la benemerita opera iniziata dal beato Carlo Gnocchi, apostolo dei tempi moderni e genio della carità cristiana, che raccogliendo le sfide del suo tempo, si dedicò con ogni premura ai piccoli mutilati, vittime della guerra, nei quali scorgeva il volto di Dio”.

“Sacerdote dinamico ed entusiasta e acuto educatore, visse integralmente il Vangelo nei differenti contesti di vita, nei quali operò con incessante zelo e con infaticabile ardore apostolico”, ha quindi aggiunto.

“In questo Anno sacerdotale, ancora una volta la Chiesa guarda a lui come a un modello da imitare – ha sottolineato Benedetto XVI –. Il suo fulgido esempio sostenga l’impegno di quanti si dedicano al servizio dei più deboli e susciti nei sacerdoti il vivo desiderio di riscoprire e rinvigorire la consapevolezza dello straordinario dono di Grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo”.

Don Gnocchi, ordinato sacerdote nel 1925, fu assistente di oratorio prima a Cernusco sul Naviglio e poi nella parrocchia di San Pietro in Sala a Milano. Nel 1936 venne nominato direttore spirituale all’Istituto Gonzaga dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, venne arruolato come cappellano degli alpini e partecipò alla campagna di Albania e di Russia.

Fu la tragica esperienza della ritirata di Russia a segnarlo profondamente e a far maturare in lui il desiderio concreto di provvedere all'assistenza dei tanti ragazzi vittime innocenti della devastazione della Seconda Guerra Mondiale: bimbi mutilati, orfani di quegli alpini che aveva accompagnato e assistito nel gelo della steppa russa, bambini abbandonati, ragazzi sofferenti a causa della poliomielite.

Nacque così la "Pro Infanzia Mutilata" (1947), divenuta in seguito "Fondazione Pro Iuventute" (1952), e che oggi è conosciuta come “Fondazione don Carlo Gnocchi”.

Negli ultimi 50 anni, tuttavia, la “Fondazione don Carlo Gnocchi” ha ampliato il proprio raggio d'azione a favore di ragazzi portatori di handicap, affetti da complesse patologie acquisite e congenite, ma anche nei confronti di pazienti di ogni età che necessitano di interventi riabilitativi neurologici, ortopedici, cardiologici e respiratori.

Dal 1981 l'attività si è estesa all'assistenza degli anziani, in prevalenza non autosufficienti, e negli ultimi anni anche ai malati oncologici terminali e alle persone con esiti di coma.

La Fondazione ha alle proprie dipendenze oltre 3.400 operatori e promuove e realizza progetti anche nei Paesi in via di sviluppo.

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Il Papa sollecita i soccorsi per le persone colpite dal sisma in Turchia
Per ora sono almeno 57 i morti nell'est del Paese

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Questo mercoledì Benedetto XVI si è detto “profondamente vicino” a tutte le persone colpite dal recente sisma che si è abbattuto sulla Turchia uccidendo almeno 57 morti e ferendone oltre un centinaio.

La scossa di magnitudo 6.0, avvertita nella mattina di lunedì, aveva epicentro a Basyurt, nella provincia di Elazig, a est della Turchia.

“A ciascuno – ha detto il Papa – assicuro la mia preghiera, mentre chiedo alla comunità internazionale di contribuire con prontezza e generosità ai soccorsi”.

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Presentante al Papa le "Lettere del martirio quotidiano" del beato Stepinac
Scritte dal carcere, sono un contributo per l'Anno sacerdotale

CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- "Straordinario": in questo modo Benedetto XVI, in occasione dell'Udienza generale di questo mercoledì, ha accolto il volume che raccoglie per la prima volta in italiano la corrispondenza del beato Cardinale Alojzije Stepinac, Arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1960, perseguito dal regime comunista di Tito.


Il libro del titolo "Lettere dal martirio quotidiano" a cura dell'Associazione Editoriale Promozione Cattolica di Vigodarzere (Padova), presenta al pubblico 180 lettere scritte nel periodo di prigionia comunista nel antica Jugoslavia.

Il volume è stato presentato al Santo Padre, nell'Aula Paolo VI, da monsignor Alberto Di Chio, della arcidiocesi di Bologna, esperto nella Chiesa del silenzio, e dalla professoressa Luciana Mirri, studiosa di Teologia e Spiritualità di Oriente, che hanno curato l'edizione, insieme a Luciano Lincetto, direttore dell'Associazione Editoriale Promozione Cattolica.

"Il Santo Padre si è rallegrato vivamente per il contributo straordinario che queste lettere danno all'Anno sacerdotale", ha spiegato a ZENIT Luciano Lincetto, informando che "il volume è stato inviato a tutti i Vescovi d'Italia” e che “si conta di mandarlo con l'aiuto della Provvidenza al maggior numero di sacerdoti".

Durante l'incontro, Lincetto ha informato il Santo Padre del lancio del primo quotidiano cattolico "free press" che si chiamerà "La Via" (http://www.quotidianolavia.it). Il Santo Padre benedicendo ha detto con un grande sonriso: "Ne abbiamo bisogno".

[Per richiedere informazioni sul libro "Lettere del martirio quotidiano" è possibile inviare un messaggio a info@quotidianolavia.it]

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Nessuno stop al miracolo attribuito a Giovanni Paolo II
Conferma l'Arcivescovado francese di Aix-en-Provence


di Jesús Colina

PARIGI, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Lo studio del presunto miracolo sperimentato da una religiosa francese che soffriva del morbo di Parkinson, attribuito all'intercessione di Giovanni Paolo II, segue l'iter stabilito dalla Congregazione per le Cause dei Santi, hanno confermato fonti ufficiali della Chiesa in Francia.

La Conferenza Episcopale Francese ha pubblicato questo mercoledì sulla sua pagina web (www.cef.fr) un comunicato del sacerdote Luc Marie Lalanne, cancelliere dell'Arcivescovo di Aix-en-Provence, con cui si smentiscono le informazioni dei mezzi di comunicazione per le quali suor Marie Simon Pierre si è ammalata di nuovo, e quindi la sua guarigione inspiegabile non può essere considerata tale.

"A nome della Congregazione delle Piccole Suore delle Maternità Cattoliche e dell'Arcivescovado di Aix-en-Provence, smentisco categoricamente questa voce", spiega padre Lalanne.

"Suor Marie Simon Pierre continua a godere di un perfetto stato di salute", sottolinea.

La religiosa di 48 anni, che ora offre la sua opera caritativa in un reparto maternità di Parigi, sta bene, hanno segnalato le persone che la circondano.

"Come ha dichiarato di recente la Sala Stampa della Santa Sede, il processo romano su questa guarigione potenzialmente miracolosa è alla sua fase iniziale e segue il suo corso in condizioni normali, con la serietà e la precisione richieste dalle indagini preliminari al riconoscimento di un miracolo", conclude il comunicato del cancelliere.

L'indagine diocesana sulla guarigione inspiegabile di suor Marie Simon Pierre, che avrebbe avuto luogo nel giugno 2005, era stata condotta nel 2007 dall'Arcidiocesi di Aix-en-Provence, nel cui territorio si trova il reparto maternità nel quale lavorava all'epoca.

Anche se Benedetto XVI ha concesso la licenza per non attendere i cinque anni richiesti per avviare la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II, il processo è sottoposto a tutte le fasi richieste per qualsiasi altro caso, tra cui il riconoscimento di una guarigione inspiegabile da parte di una commissione medica, riconosciuta poi come "miracolo" da parte di una commissione teologica, da una commissione di Cardinali e Vescovi e dallo stesso Papa.

Il postulatore della causa di beatificazione di Karol Wojtyła, il sacerdote polacco monsignor Slawomir Oder, ha spiegato il 27 marzo 2007 che il caso di suor Marie Simon Pierre è stato scelto, tra i molti altri ricevuti, per due motivi: è guarita dalla malattia della quale soffriva anche il Papa e una volta guarita ha potuto continuare a dedicarsi nei reparti maternità alla "battaglia per la difesa della vita", condotta anche dal Pontefice polacco con il suo magistero e ministero.

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Il Santo Padre benedice la fiaccola di san Benedetto
In vista delle celebrazioni per il Patrono d'Europa dal 14 e il 21 marzo

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Questo mercoledì il Papa ha benedetto la fiaccola di san Benedetto accesa nella cattedrale di Colonia il 27 febbraio scorso e che arriverà il 13 marzo a Cassino per il culmine delle celebrazioni in onore del santo.

Nell'aula Paolo VI Benedetto XVI ha accolto una rappresentanza della comunità monastica dell’Abbazia di Montecassino, 7 atleti del CUS di Cassino, la Fondazione San Benedetto insieme a più di cinquanta figuranti in costume del Corteo Storico Terra Sancti Benedicti. La delegazione era accompagnata inoltre dai Gonfaloni dei Comuni della diocesi.

L'idea della fiaccola è nata nel 1964, con la proclamazione di san Benedetto a Patrono d'Europa, e il Corteo in costumi medievali giunto a Roma è riuscito a ricreare l'atmosfera euforica dei “Giorni di San Benedetto”, ovvero delle celebrazioni legate a questo santo che avranno luogo a Cassino e all’Abbazia di Montecassino fino al 21 marzo.

Dopo l’appuntamento romano, il Corteo Storico Terra Sancti Benedicti sfilerà infatti per le vie di Cassino il 14 e il 21 marzo animando i festeggiamenti con una spettacolare sfilata di 450 figuranti, che rievocano i fasti della Signoria Monastica Cassinese ai tempi dell’Abate Bernardo Ayglerio (XIII-XIV sec.).

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Benedetto XVI festeggia i 10 anni di "Cristianità"
In onda su Rai International
CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha festeggiato mercoledì i dieci anni di vita di “Cristianità”, il programma settimanale di commento religioso e culturale dei contenuti dell'Angelus domenicale del Papa, in onda su Rai International.

Il Santo Padre ha ricevuto nell'Aula Paolo VI del Vaticano, alla fine dell'Udienza generale, suor Myriam Castelli, che ha ideato e conduce il programma, il Direttore di Rai International Daniele Renzoni e il vice-direttore Giancarlo Giojelli.

Si tratta di uno spazio televisivo di 35 minuti che può raggiungere 60 milioni di ascoltatori, a puntata, nei cinque continenti.

Al Papa è stata offerta una piccola vetrata (appositamente creata dall’artista Angelo Fassina e realizzata dalla Gibo di Verona) che  riproduce i simboli della Cristianità: il colonnato di San Pietro, il popolo in cammino verso la Basilica, lo Spirito Santo e la figura del Pontefice.

La stessa vetrata delle dimensioni mt 2 x 1.30 d’ora in avanti costituirà lo sfondo dello studio televisivo per il nuovo corso del programma.

“Il Papa ha espresso la sua soddisfazione incoraggiando a continuare l’importante servizio di annuncio del Vangelo in televisione”, ha spiegato suor Myriam. 

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Notizie dal mondo


Arcivescovo nigeriano: la strage è una rappresaglia per gli scontri di gennaio
Il Governo accusato di aver ignorato i segnali che presagivano i massacri
ROMA, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Secondo l'Arcivescovo di Jos, monsignor Ignatius Kaigama, gli scontri sanguinosi che hanno provocato tra le 200 e le 500 vittime negli ultimi giorni nello Stato nigeriano di Plateau sono una rappresaglia per la violenza scoppiata a gennaio.

Il presule, riferisce l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), sostiene che gli attacchi ai villaggi sono una conseguenza dei disordini che due mesi fa hanno causato la morte di 250 persone, aggiungendo che secondo molti gli assalitori di questi giorni sono musulmani di etnia fulani provenienti dal confinante Stato di Bauchi.

"Gli abitanti del gruppo etnico berom (a prevalenza cristiana) hanno dichiarato che gli assalitori erano pastori musulmani fulani che sono piombati su di loro mentre dormivano", ha affermato l'Arcivescovo.

"L'attacco, durato più di due ore, è iniziato alle 2.30 del mattino" di domenica 7 marzo, "e le vittime erano del tutto impreparate alla furia degli assalitori. L'uso di fucili, asce e armi simili ha lasciato poche possibilità alle vittime, soprattutto donne e bambini, che sono stati massacrati e bruciati mentre cercavano di fuggire alla carneficina".

Un abitante del villaggio di Dogon Nahawa, Peter Jang, ha dichiarato che gli assalitori hanno sparato in aria per far uscire la gente dalle case. Quando le persone erano fuori hanno iniziato a fare fuoco contro di loro, attaccandole con machete e altre armi e dando alle fiamme le loro abitazioni.

Gli assalitori sono scappati così velocemente che né gli abitanti né la polizia sono riusciti a organizzarsi per fermare la loro fuga.

Una Conferenza di Pace organizzata dall'Istituto di Governance e Ricerca Sociale di Jos, la capitale dello Stato di Plateau, in collaborazione con il Dipartimento Britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFIF) e con il Governo dello Stato di Plateau si è riunita il giorno dopo gli attacchi.

L'Arcivescovo Kaigama, che ha assistito come co-presidente del Consiglio Interreligioso per la Pace e l'Armonia, ha sottolineato le cause sociali, etniche, economiche e politiche della violenza.

Il presule partecipa anche al Comitato di Consulenza Presidenziale sulla crisi di Jos avviato dal presidente incaricato, Goodluck Jonathan, che sta studiando come prevenire la violenza in futuro.

Secondo Caritas Nigeria, il Governo ha ignorato i segnali che lasciavano presagire un epilogo tragico come quello di domenica scorsa, e ora c'è sfiducia nella capacità delle forze di sicurezza di porre fine ai massacri.

"La gente vive costantemente nella paura", ha confessato padre Anthony Fom, presidente di Caritas Jos. "Molti si nascondono sulle montagne".

"Ci sono continuamente voci relative a nuovi attacchi, ma non si sa mai quanto siano realistiche", ha aggiunto, sottolineando come questo provochi una permanente sensazione di insicurezza.

Padre Peter Audu, segretario generale di Caritas Nigeria, ha dichiarato che "gli uomini berom si sono riuniti in posti strategici per intercettare i potenziali assalitori. Negli ultimi mesi hanno migliorato le proprie misure di sicurezza, perchè sentivano che il Governo non faceva abbastanza per difenderli".

In seguito agli attacchi, circa 500 famiglie sono state sfollate, e molte di loro hanno perso tutti i propri beni. La Caritas farà fronte a questa situazione, distribuendo cibo, vestiti, coperte e medicinali.

Caritas Nigeria è in stretto contatto con gli altri membri Caritas per aiutare a promuovere programmi di sviluppo umanitario e peacebuilding.



Il presidente di Caritas Internationalis, il Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, ha affermato: "Veniamo continuamente aggiornati dallo staff della Caritas a Jos su questi terribili omicidi. I membri Caritas di tutto il mondo si uniscono nel condannare questi atti. Non si deve permettere che crimini tremendi come questo si ripetano".

"Siamo solidali con quanti hanno perso i propri cari e con lo staff di Caritas Nigeria - ha aggiunto il porporato -. La nostra confederazione mondiale è pronta ad aiutare a sostenere gli sforzi di peacebuilding ".

Dopo gli attacchi di gennaio, la Caritas ha aiutato 15.000 persone, ma la violenza ricorrente ha profondamente segnato la popolazione: i bambini rimasti orfani a causa degli attacchi avranno bisogno di un sostegno duraturo e le comunità hanno perso la speranza.

"Il Governo ha avviato un'indagine sugli attacchi, ma non ho molta fiducia nel fatto che si verifichi un cambiamento deciso - ha ammesso padre Audu -. Alla fine, non ci sarà giustizia".

"La gente non si fida delle forze di sicurezza e ha perso fiducia nel Governo", ha indicato padre Fom.

"Con i nostri progetti, vogliamo unire le persone alla base. Le tensioni tra i gruppi esistono, dobbiamo riconoscerle, ma non possono mai giustificare la violenza. La gente deve capire che i problemi possono essere affrontati in modo pacifico".

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Bartolomeo I accoglie i rappresentanti delle Chiese cristiane
Il Patriarca ecumenico riceve il Comitato Congiunto di CCEE e KEK
ROMA, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I ha ricevuto in udienza privata questo martedì il Comitato Congiunto del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e della Conferenza delle Chiese Europee (KEK).

L'incontro si è svolto presso la sede del Patriarcato Ecumenico nel quadro dell'annuale riunione del Comitato Congiunto CCEE-KEK, in corso ad Istanbul dal 7 all'11 marzo.

"E' con grande gioia che accolgo i rappresentanti delle Chiese cristiane qui presso il Patriarcato Ecumenico, sede che è stata pioniera del movimento ecumenico - ha dichiarato il Patriarca -. Stiamo tutti lavorando per il beneficio dell'umanità e invito le chiese a proseguire il loro comune impegno e collaborazione per promuovere una comune testimonianza cristiana in Europa e perché possano dare il loro specifico contributo di fronte alle numerose sfide che sono poste davanti a loro".

"Dallo scorso dicembre, la KEK sta iniziando un nuovo periodo della sua vita. La collaborazione con il CCEE non potrà che giovare alla comune missione di questi due organismi di dare una comune testimonianza di fede come si aspettano i nostro fedeli", ha aggiunto.

Nel suo saluto iniziale, il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del CCEE, ha auspicato che i lavori "possano portare un messaggio comune alla società europea".

"I cambiamenti storici e culturali avvenuti in Europa negli ultimi decenni, richiedono con urgenza la testimonianza comune e la collaborazione delle comunità cristiane per la difesa e la promozione dei valori cristiani nella nostra società", ha sottolineato.

Il porporato ha quindi invitato il Patriarca Ecumenico a proseguire il suo impegno per l'unità dei cristiani e a "continuare ad agire con saggezza".

Al termine dell'incontro, il Metropolita Emmanuel di Francia, presidente della KEK, ha ringraziato il Patriarca Ecumenico per l'invito ricevuto a svolgere l'incontro 2010 ad Istanbul, ricordando il "dovere di testimonianza del CCEE e della KEK".

"Abbiamo deciso di proseguire il nostro cammino e la nostra testimonianza comune in Europa poiché il mondo ha bisogno di vedere che stiamo insieme. E' pertanto necessario rafforzare i legami tra le nostre Chiese e organizzazioni".

Durante l'incontro sono stati discussi vari temi sulla vita dei due organismi ecclesiali europei, scambiando alcune prospettive di progetti per le celebrazioni che avranno luogo in diverse città europee (Istanbul, Milano, Belgrado) nel 2013 per ricordare i 1700 anni dell'Edito di Milano (313).

I membri della KEK presenti erano il Metropolita Emmanuel di Francia, presidente KEK; il Vescovo David Hamid, della Chiesa d'Inghilterra; la dottoressa Joanna J. Matuszewska, della Chiesa evangelica riformata in Polonia; il Metropolita Michael dell'Austria, del Patriarcato Ecumenico; il reverendo Rauno Pietarinen, della Chiesa ortodossa di Finlandia; il pastore Claire Sixt-Gateuille, della Chiesa riformata di Francia, il professor Viorel Ionitá, Segretario generale ad interim; Doris Peschke, Direttore della Commissione delle Chiese per i Migranti in Europa.

Per il CCEE erano invece presenti i Cardinali Péter Erdő, presidente; Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux e vicepresidente CCEE; Josip Bozanić, Arcivescovo di Zagabria e vicepresidente CCEE; i monsignori Stanislav Hocevar, Arcivescovo Metropolita di Belgrado; Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia; Virgil Bercea, Vescovo di Oradea; padre Piotr Mazurkiewicz, Segretario generale della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE); padre Duarte da Cunha, Segretario generale del CCEE; l'addetto stampa Thierry Bonaventura.

La Conferenza delle Chiese Europee (KEK) è una comunione di 120 Chiese ortodosse, protestanti, anglicane e vecchio-cattoliche di tutti i Paesi europei, e di 40 organizzazioni associate. Fondata nel 1959, ha uffici a Ginevra, Bruxelles e Strasburgo.

Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) appartengono quali membri le attuali 33 Conferenze Episcopali presenti in Europa, rappresentate di diritto dai loro Presidenti, dagli Arcivescovi del Lussemburgo e del Principato di Monaco e dal Vescovo di Chişinău (Repubblica Moldova).

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Vescovi USA: ad Haiti servono accordi commerciali preferenziali
Sottolineano la necessità di una ricostruzione a lungo termine

WASHINGTON, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dopo il devastante terremoto del 12 gennaio ad Haiti, i Vescovi degli Stati Uniti hanno rivolto un appello a favore di un trattamento commerciale preferenziale per il Paese caraibico, con una ricostruzione a lungo termine.

Il Vescovo Howard Hubbard di Albany (New York), presidente della Commissione episcopale Giustizia e Pace Internazionale, ha presentato questa richiesta in una lettera resa pubblica giovedì scorso.

Il testo, datato 19 febbraio, è stato inviato ai membri della Commissione per le Finanze del Senato e alla Commissione per le Relazioni Esterne per esprimere il sostegno alla “Legge della Speranza Rinnovata ad Haiti”.

La Legge, proposta agli inizi di febbraio dai senatori Ron Wyden e Bill Nelson, prevede misure specifiche per aiutare Haiti a ricostruire la sua industria tessile, che prima del terremoto rappresentava il 75% delle esportazioni del Paese.

Dopo il disastro, con il crollo di almeno una fabbrica e la morte di 500 lavoratori al suo interno, la capacità industriale si è dimezzata.

Il settore tessile è stato una fonte di crescita economica per il Paese, in parte per le leggi che permettono ad Haiti di esportare beni negli Stati Uniti con condizioni più favorevoli rispetto ad altri Paesi.

La Legge propone di rinnovare questi provvedimenti, alcuni dei quali scadono a settembre, per dare ad Haiti un vantaggio su altre controparti commerciali. Chi è favorevole afferma che approvare ora la Legge rinnoverà la fiducia dei commercianti nei produttori haitiani, favorendo la crescita dell'economia del Paese a lungo termine.

Il Vescovo Hubbard ha chiesto ai senatori di copatrocinare la Legge “perché progredisca rapidamente nell'iter legislativo”.

“Se si ha una visione integrale di quello che costerà aiutare Haiti a recuperare – riconosce –, si capisce che gli haitiani non possono aspettare che si sviluppi un piano strategico globale”.

“Se si approvasse questa legislazione, si potrebbero creare rapidamente migliaia di posti di lavoro ad Haiti – osserva –. La Legge rappresenta un importante inizio e un'opportunità di migliorare la vita del popolo haitiano”.

“Una parte estremamente importante di qualsiasi strategia integrale è l'ampliamento del trattamento commerciale preferenziale che ha beneficiato Haiti attraverso l'Opportunità Emisferica Haitiana, attraverso le Leggi di Promozione della Partnership (HOPE I e HOPE II), che la nostra Conferenza ha sostenuto con vigore”, ha detto.

Il Vescovo ha riconosciuto che la “Legge di Rinnovata Speranza per Haiti” raggiungerà anche questo scopo.

“Se con questa legislazione le fabbriche haitiane sono ancora limitate in ciò che possono produrre ed esportare - in base al programma preferenziale degli Stati Uniti - a prodotti di base che hanno poco valore aggiunto – ha sottolineato il Vescovo Hubbard –, ampliare il trattamento commerciale preferenziale esistente aiuterà l'economia haitiana a creare rapidamente posti di lavoro urgentemente necessari, e può ridurre la povertà a lungo termine, così come esortare gli esportatori a ricostruire più rapidamente”.

In seguito, ha segnalato, “sarà importante adottare un trattamento preferenziale più ampio per i prodotti haitiani”.

Il Vescovo ha quindi esortato i legislatori a rispondere alla “necessità di una strategia coerente a lungo termine per il recupero, lo sviluppo e la riduzione della povertà ad Haiti”.

Ha inoltre assicurato gli sforzi della Conferenza Episcopale e della sua organizzazione umanitaria, Catholic Relief Services, per fare “tutto il possibile per agire in solidarietà con il popolo e la Chiesa ad Haiti mentre ricostruiscono il loro Paese”.

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Malaysia: una rivista musulmana chiede scusa per aver offeso i cattolici
Due suoi giornalisti hanno profanato un'Ostia consacrata
KUALA LUMPUR, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- La rivista Al-Islam ha chiesto scusa ai cattolici per aver pubblicato un reportage in cui due suoi giornalisti profanavano un'Ostia consacrata, ha reso noto l'agenzia delle Missione Estere di Parigi, "Eglises d'Asie" (EDA).

L'Arcivescovo cattolico di Kuala Lumpur, monsignor Murphy Pakiam, aveva dichiarato pubblicamente il 4 marzo che avrebbe rinunciato a ricorrere al tribunale se la rivista si fosse scusata per aver pubblicato l'articolo.

Due giorni dopo, il 6 marzo, il direttore del mensile ha risposto presentando pubblicamente le proprie scuse.

Ha spiegato che l'intenzione dei giornalisti non era offendere i sentimenti religiosi dei cattolici, e ha assicurato che l'incidente non si ripeterà.

Attraverso un breve testo di tre paragrafi, ha indicato che i due giornalisti accusati hanno svolto un'indagine su alcune voci circa la conversione di ragazze musulmane a confessioni cristiane.

Ha anche segnalato che le ricerche non hanno mai avuto l'obiettivo di ridicolizzare la fede cristiana, né tantomeno di profanare i luoghi di culto dei cristiani.

Allo stesso modo, ha precisato che i due giornalisti si scusavano per aver ferito, senza volerlo, i sentimenti religiosi dei cristiani, sottolineando che queste scuse appariranno sul numero di aprile della rivista, che sarà in vendita da metà marzo.

L'articolo in questione di Al-Islam è stato pubblicato nel maggio 2009. Per svolgere la loro indagine, i due giornalisti sono entrati in una chiesa cattolica di Kuala Lumpur, dove hanno ricevuto la Comunione.

Uno dei due giornalisti ha conservato l'Ostia consacrata in bocca, tirandola fuori poco dopo per fotografarla. L'immagine è stata pubblicata sulla rivista.

Dopo aver letto il mensile, due cattolici di Penang hanno deciso di presentare un reclamo.

Dopo i lunghi iter giudiziari richiesti, la polizia li ha informati, il 23 febbraio scorso, dell'abbandono dei procedimenti legali.

In quel momento l'Arcivescovo di Kuala Lumpur ha dichiarato che sarebbero bastate delle scuse.

Secondo i mezzi di comunicazione della Malaysia, monsignor Murphy Pakiam ha accettato le scuse presentate da Al-Islam, come aveva annunciato, e la Chiesa nel suo insieme ha accolto favorevolmente l'epilogo della vicenda.

In un Paese in cui l'espressione pubblica è più libera su Internet che sulla stampa, moltissimi blog hanno sottolineato che la questione è chiusa, precisando che la maggior parte dei malesi è consapevole del fatto che i due giornalisti in questione hanno agito male.

Sudhagaram Stanley, uno dei due cattolici che avevano presentato il reclamo, si è detto soddisfatto per come è andata la cosa e disposto a perdonare.

Ad ogni modo, ha aggiunto che è stato il Ministero della Giustizia a ordinare la sospensione dell'indagine e a proporre la possibilità di un giudizio sulla base della questione, e che questa decisione è stata presa per motivi politici.

Alcuni osservatori malesi hanno sottolineato che Al-Islam appartiene a una filiale di Utusan Malaysia, gruppo di stampa di proprietà dell'UMNO, il partito al potere.

La rapidità con cui il direttore della pubblicazione ha risposto alla richiesta di scuse di monsignor Murphy Pakiam sarebbe allora proporzionale alla volontà della classe dirigente di non far aggravare il caso.

Tutto ciò in un momento in cui le relazioni tra il potere e la Chiesa cattolica sono state messe alla prova dalla controversia relativa all'utilizzo della parola "Allah" da parte dei cattolici di lingua malese (cfr. ZENIT, 6 gennaio 2010).

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Spirito della Liturgia


Il sacerdote nei Riti di Comunione della Santa Messa
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

ROMA, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Padre Paul Gunter, professore presso il Pontificio Istituto Liturgico e Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, ci offre in questo articolo una panoramica sui Riti di Comunione della Santa Messa (forma ordinaria e straordinaria), concentrando l'attenzione sul sacerdote celebrante. Dalla sua esposizione, emerge il significato liturgico e spirituale di questi riti, che dispongono sacerdote e fedeli a ricevere il Corpo e Sangue di Cristo con le dovute disposizioni dell'animo, in modo che la Comunione eucaristica rechi frutti di conversione e di santità nelle loro vite (don Mauro Gagliardi).

 

***

 

Paul Gunter, O.S.B.

 

Il sacerdote che si prepara ai riti di Comunione nella Messa è predisposto dalla Preghiera Eucaristica, che egli ha appena completato, a riconoscere che «nel racconto dell'istituzione, l'efficacia delle parole e dell'azione di Cristo, e la potenza dello Spirito Santo, rendono sacramentalmente presenti sotto le specie del pane e del vino il suo Corpo e il suo Sangue, il suo sacrificio offerto sulla croce una volta per tutte»[1]. D'altro canto, quando giunge il momento in cui il sacerdote e i fedeli ricevono la Santa Eucaristia, ossia quando si preparano a mangiare il Corpo del Signore e a bere il suo Sangue, bisogna ricordarsi del discorso di Gesù a Cafarnao, che rappresenta la ricezione della Santa Eucaristia sia come una venuta che come un incontro[2].

Per quanto riguarda il tema della venuta, il Vangelo di san Giovanni dice: «Il pane di Dio è colui che scende dal cielo e dà la vita al mondo»[3]. Circa l'incontro, l'Eucaristia viene addirittura concepita come espressione della relazione interna alla Santissima Trinità, testimoniata nella relazione filiale di Gesù con il suo Padre celeste. Gesù la spiega con le parole: «Non che alcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita»[4]. «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me»[5]. Di conseguenza, la preparazione personale e pubblica a ricevere la Santa Eucaristia, che i Riti di Comunione favoriscono in modo così intenso, sia nella forma ordinaria che in quella straordinaria della Messa, non preparano il sacerdote e i fedeli a ricevere una cosa, bensì una Persona. Come riassume Romano Guardini: «Non esso, bensì Egli, la Persona suprema lodata in tutta l'eternità»[6].

La forma ordinaria del Rito Romano

Nella forma ordinaria (o Messa di Paolo VI), all'inizio dei Riti di Comunione, guidati dal sacerdote, il popolo sta in piedi. A livello simbolico, l'immagine del sacerdote che sta al centro dell'altare, circondato dall'assemblea in piedi, rappresenta un'anticipazione della Chiesa che starà con Cristo in cielo alla fine dei tempi. Il sacerdote introduce il Pater Noster utilizzando una delle formule previste, prima che si reciti o si canti insieme la preghiera del Signore. Le parole che Gesù ci ha insegnato perché pregassimo con fiducia, e che noi usiamo prima di accostarci alla Santa Eucaristia, sono state commentate da numerosi autori. Ad esempio, alcuni testi presi dal commento di san Cipriano di Cartagine sulla preghiera del Signore sono stati inseriti nell'Ufficio delle Letture della Lituurgia delle Ore, all'undicesima settimana del Tempo Ordinario, per educarci ad un maggior apprezzamento del significato di tali parole[7]. I testi di san Cipriano ricordano al sacerdote che ogni recita del Pater Noster è un atto ecclesiale, che porta conseguenze nella vita degli altri. San Cipriano ha scritto:

«Prima di tutto, il Maestro della pace e dell'unità non volle che pregassimo per conto nostro ed in privato, in maniera tale che ognuno pregasse solo per sé. Perciò non diciamo "Padre mio che sei nei cieli", oppure "Dammi oggi il mio pane" [...]. La nostra preghiera è pubblica e per tutti e, quando preghiamo, lo facciamo non per una persona soltanto, ma per tutte, perché noi tutti siamo uno»[8].

La preghiera Libera nos continua a diffondere dolcemente le risonanze del Pater Noster e descrive l'umana indegnità e il bisogno di liberazione dal male con cui ci accostiamo all'Eucaristia. Il sacerdote, che prega in favore di ciascuno, riconosce, da un lato, le vicende che incidono sulla nostra pace, in vite macchiate da peccati e angustie; e, dall'altra, la gioiosa speranza che arreca la venuta del Signore. Il popolo completa la preghiera con una dossologia, che esprime l'aspettativa che il Signore compirà la sua promessa di essere glorificato in noi. La preghiera Domine Iesu Christe si concentra sui nostri peccati ed angustie e riposa sulla fede della Chiesa che attende la pace e l'unità del regno, come compimento della volontà di Dio. Dopo, il sacerdote stende le mani e scambia il saluto con l'assemblea: Pax Domini sit semper vobiscum. Si risponde: Et cum spiritu tuo.

L'effettivo scambiarsi la pace non rappresenta una componente obbligatoria della liturgia: il diacono o il sacerdote possono, se è opportuno, invitare i presenti a scambiarsi il segno della pace. Le discussioni a riguardo del momento più appropriato per scambiarsi la pace all'interno della liturgia restano distinte da quelle che riguardano il modo di scambiarsela. Il Messale mantiene le dovute distinzioni ecclesiologiche. Certamente, lo scambio della pace non è un momento nel quale da un'attitudine formale si passa ad una più informale, bensì un momento in cui i rapporti umani, che sono parte intrinseca dell'ordine delle cose, si rivelano nelle giuste proporzioni. «Si tratta di un rito di scambio, non di un saluto alla buona»[9]. San Tommaso d'Aquino ha espresso questa relazione tra i rapporti umani e il buon ordine nel suo bell'inno al Santissimo Sacramento dal titolo Pange Lingua, cantato il Giovedì Santo e nel giorno del Corpus Domini nella liturgia romana[10]. La terza strofa recita: «Nella notte della Cena, / sedendo a mensa con i suoi fratelli, / dopo aver osservato pienamente le prescrizioni della legge...»[11].

Il sacerdote scambia la pace con il diacono o con il ministro assistente. Non è previsto che egli lasci il presbiterio per salutare i fedeli nella navata. Costoro si scambiano la pace solo con coloro che sono più vicini. La rubrica distingue questi due gesti (del celebrante, cioè, e dei fedeli), il che impedisce che vi sia un fraintendimento ecclesiologico, che potrebbe scaturire da una visione puramente orizzontale.

La frazione del pane, che segue, possiede un aspetto pratico ed uno simbolico. Dal punto di vista rituale, in molti casi il celebrante spezza l'Ostia grande, che egli consuma in prima persona. D'altro canto, questo rito permette che si usi anche un'Ostia più grande rispetto al solito, che sia fatta in pezzi da distribuire ai fedeli. Una particola di essa viene inserita nel calice mentre il sacerdote dice in segreto: «Il Corpo e il Sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna».

L'Agnus Dei che accompagna questa azione domanda perdono e si rivolge a Gesù che è l'Agnello pasquale, il cui corpo sacrificato ha versato il sangue per la remissione dei peccati. L'immagine di Gesù come Agnello è rappresentata in modo straordinario da una pala d'altare della Cattedrale di san Bavone a Gand, nella quale si vede un agnello ritto in piedi sull'altare, che versa il suo sangue in un calice[12]. L'Agnus Dei si richiama al Libro dell'Apocalisse, che proclama la dignità dell'Agnello che è stato immolato[13] e la benedizione di coloro che sono invitati al banchetto di nozze dell'Agnello[14]. L'antichità dell'Agnus Dei nel Rito Romano è tale che molti studiosi ritengono che sia stato Papa Sergio I (687-701) ad introdurlo nella Messa. La terza invocazione dell'Agnus Dei domanda la pace perché la Santissima Eucaristia è Sacramento di Pace, in quanto è il mezzo attraverso cui tutti coloro che lo ricevono sono stretti in un vincolo di unità e di pace[15].

Il sacerdote prega in segreto una preghiera preparatoria personale alla Santa Comunione, tra le due che sono proposte nel Messale. Nella prima, egli chiede di essere liberato dalle sue iniquità e da ogni altro male, attraverso il Corpo e Sangue di Cristo, e domanda la grazia di rimanere nei comandamenti del Signore sicché nulla possa mai separarlo da lui. Nella seconda, il sacerdote prega che la sua ricezione del Corpo e Sangue di Cristo non porti su di lui un giudizio di condanna, ma al contrario rappresenti una difesa e una cura per l'anima e per il corpo. La Comunione del sacerdote, che sempre precede quella dei fedeli, si fa sotto le due specie, per completare l'azione liturgica della Messa. Egli prega che il Corpo e Sangue di Cristo lo conducano alla vita eterna. Invece, alla purificazione dei vasi sacri, egli prega in favore di coloro che hanno comunicato (incluso, quindi, se stesso), affinché ciò che hanno ricevuto con le labbra sia ricevuto da un cuore puro, e anche affinché da semplice dono fatto nel tempo, la Comunione eucaristica diventi un rimedio che dura per la vita eterna. L'insieme di queste parole ed azioni rivela che qui è stato celebrato un grande mistero: la Celebrazione eucaristica è un kairos - tempo favorevole del Signore - che ha intercettato il chronos, ossia il tempo che è semplice successione di eventi che si svolgono attorno a noi. Perciò qui, dinanzi a Dio, il silenzio rappresenta in fondo l'unica risposta personale appropriata che proviene dalla parte più intima del nostro essere per esprimere fede, riverenza e comunione d'amore con Colui che abbiamo ricevuto.

Questo momento di silenzio dovrebbe essere salvaguardato con attenzione. Dovrebbe durare dei minuti e non dei secondi, per fornire uno spazio di preghiera chiaramente definito. Nella preghiera dopo la Comunione, che pure prevede una pausa di silenzio dopo l'Oremus, soprattutto se essa non è stata osservata in precedenza, il sacerdote guida il ringraziamento della Chiesa e prega perché il dono della Comunione, che è stato distribuito, possa portare frutto in noi. L'Amen con il quale i fedeli rispondono a questa preghiera conclude i Riti di Comunione, che erano iniziati con l'invito del sacerdote a pregare il Pater Noster.

La forma straordinaria

Il sacerdote nei Riti di Comunione della forma straordinaria (o Messa di san Pio V) compie gesti più complessi, che indicano l'identità e la funzione sacerdotali, in preparazione alla Santa Comunione. Seguendo lo stesso ordine usato per esporre i riti della forma ordinaria, consideriamo ora quella straordinaria, cominciando dall'introduzione al Pater Noster fino alla conclusione della preghiera dopo la Comunione. Si notano certamente delle differenze tra le due forme che compongono il Rito Romano. Siccome il Messale Tridentino prevede celebrazioni con distinti gradi di solennità, in questi casi i ministri assistenti svolgono delle azioni che invece sono operate dallo stesso sacerdote quando celebra la Messa Bassa (non solenne). Il sacerdote recita il Pater Noster da solo e il ministro assistente risponde: sed libera nos a malo. Il Libera quaesumus include le intercessioni di tutti i santi, e oltre a menzionare la Vergine Maria e i santi Pietro e Paolo, include anche sant'Andrea, probabilmente come segno di particolare devozione verso l'apostolo.

Quando il sacerdote prega per ottenere la pace ai nostri giorni[16], fa il segno di croce su se stesso con la patena e la bacia sull'orlo superiore, prima di sottoporla all'Ostia, in modo da preparare lo svolgimento della frazione del pane. Nella sua spiegazione delle preghiere e cerimonie della Santa Messa, Guéranger offre un commento che descrive lo scopo della formula Haec Commixtio, che si dice al momento di inserire la particola dell'Ostia nel calice - commento che al tempo stesso rivela la tendenza di questo autore verso l'allegorismo:

«Il sacerdote poi lascia cadere la particola che aveva nella mano all'interno del calice, mescolando così il Corpo e il Sangue del Signore, dicendo allo stesso tempo: Haec commixtio et consecratio Corporis et Sanguinis Domini nostri Iesu Christi fiat accipientibus nobis in vitam aeternam. Amen. Qual è il significato di questo rito? Che cosa è significato nella mescolanza della Particola con il Sangue che è nel calice? Questo rito non è dei più antichi, sebbene abbia circa mille anni. Suo fine è di mostrare che, al momento della risurrezione di Nostro Signore, il suo Sangue fu unito di nuovo al suo Corpo, scorrendo nelle sue vene come prima. Non sarebbe stato sufficiente che si fosse riunita al suo Corpo soltanto la sua Anima; doveva avvenire lo stesso per il suo Sangue, in modo che il Signore fosse integro e completo. Il nostro Salvatore, perciò, nella risurrezione riprese il suo Sangue che era stato in precedenza versato sul Calvario, nel Pretorio e nell'Orto degli ulivi»[17].

Dopo l'Agnus Dei, ci sono tre preghiere che il sacerdote dice prima della Santa Comunione, con gli occhi fissi sulla sacra Ostia e il cui contenuto si ritrova largamente nei Riti di Comunione della forma ordinaria. Dopo, tenendo l'Ostia egli dice la formula Domine, non sum dignus per tre volte e simultaneamente si batte il petto. Quando purifica la patena nel calice prima di consumare il prezioso Sangue, egli cita il Salmo 115: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore», e vi aggiunge: «Lodando invocherò il Signore e sarò salvato dai miei nemici»[18]. Durante la purificazione del calice, dopo il Quod ore sumpsimus, il sacerdote prega che non rimanga in lui alcuna macchia dei suoi misfatti e che il Corpo e Sangue di Cristo che ha ricevuto trasformino il suo intero essere.

Si vede che l'enfasi riposta sul carattere sacedotale e sulle azioni liturgiche del sacerdote nei Riti di Comunione sono estremamente incoraggianti. Mentre non nascondono la consapevolezza che il sacerdote possiede della propria indegnità, sottolineano tuttavia la sua dignità unica e gli ricordano di come egli debba lottare per diventare puro e santo come Cristo. Perciò questi riti invitano - e invitano in modo immediato - il sacerdote che compie il sacrificio ad entrare in una più stretta unione con Gesù Cristo, Sommo Sacerdote e Vittima. Inoltre invitano i fedeli a riconoscere con gioia il ministero del sacerdozio, il cui mistero è essenziale per l'Eucaristia, quale «Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa»[19]. In questi aspetti distinti dello stesso invito, la Chiesa intravede le meraviglie dell'amore di Dio, che ha umiliato se stesso per condividere la nostra umanità; amore che rinnova il suo invito ogni volta che la sua alleanza di amore si fa presente sull'altare, quando Cristo trascina la nostra esistenza umana sempre più profondamente nella sua vita risorta. Come testimonia l'autore dell'Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me»[20].

[Traduzione dall'inglese di don Mauro Gagliardi]


Note

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1353.

[2] Gv 6.

[3] Gv 6,33.

[4] Gv 6,46-48.

[5] Gv 6,57.

[6] R. GUARDINI, Meditations Before Mass, tr. ingl. E. CASTENDYK, Sophia Institute, Manchester (NH) 1993 (rist.), 174.

[7] Cipriano di Cartagine, De Oratione dominica, 4-30, PL 3A, 91-113.

[8] Cipriano di Cartagine, De Oratione dominica, 8.

[9] J. DRISCOLL, What happens at Mass, Gracewing, Leominster 2005, 123.

[10] Durante la solenne traslazione del Santissimo Sacramento del Giovedì Santo e come Inno ai Vespri del Corpus Domini.

[11] «In supremae nocte caenae recumbens cum fratribus, observata lege plene...».

[12] J. VAN EYCK, Adorazione dell'Agnello, particolare della pala d'altare, 1432, Cattedrale di San Bavone, Gand, Belgio.

[13] Ap 5,11-12.

[14] Ap 19,7.9. Il sacerdote introduce il Domine, non sum dignus, formula basata su Mt 8,8 e Lc 7,6-7 cui, nel Messale di Paolo VI, è stata aggiunta l'immagine della festa dell'Agnello.

[15] «O segno di unità, o vincolo di carità»: Agostino di Ippona, In Joannis evangelium tractatus, 26, 13: PL 35, 1613; cf. Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 47.

[16] «Da propitius pacem in diebus nostris».

[17] P. Guéranger, Explanation of the Prayers and Ceremonies of Holy Mass, tr. ingl. L. Shepherd, Stanbrook Abbey, Worcestershire 1885, 61.

[18] «Laudans invocabo Dominum et ab inimicis meis salvus ero».

[19] Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 3.

[20] Ap 3,19-20.

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Italia


Nuovi dettagli degli affreschi di Giotto rivelati con i raggi ultravioletti
La scoperta potrebbe cambiare la direzione degli studi sull'artista
di Carmen Elena Villa

FIRENZE, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- I raggi ultravioletti hanno rivelato dettagli finora sconosciuti degli affreschi di Giotto situati nella Cappella Peruzzi della Basilica di Santa Croce a Firenze.

Si tratta dei dipinti che narrano episodi della vita di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista che risalgono al 1320, in cui in precedenza si poteva apprezzare solo una pallida ombra.

Grazie a questa scoperta, i restauratori hanno potuto ammirare volumi, decorazioni e dettagli di sorprendente naturalismo, che rendono queste opere ancor più preziose. Questo fatto potrebbe rappresentare una pietra miliare negli studi sul celebre artista del XIII e XIV secolo.

La perdita dei dettagli delle opere di Giotto presenti in questa Cappella è dovuta ai tanti restauri che hanno subito. Nel XVIII secolo gli affreschi sono stati coperti con calce, nel XIX sono stati riscoperti dal pittore e restauratore Gaetano Bianchi, che ha ridipinto le parti danneggiate.

In un terzo restauro realizzato nel 1958 sono state eliminate le parti che erano state aggiunte da Bianchi, il che ha indebolito le figure e ha fatto sì che si vedessero in modo molto tenue. Ora, grazie ai raggi ultravioletti, è possibile contemplarle com'erano in origine.

Le tappe della scoperta

La scoperta è frutto di un progetto avviato nel 2007 dal Museo Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dall'opera di Santa Croce e dalla The Getty Foundation di Los Angeles per una diagnosi sugli affreschi di Giotto presenti nella Basilica di Santa Croce.

"Molti dettagli dell'opera originale giottesca", ha detto in alcune dichiarazioni alla stampa Cecilia Frosini, coordinatrice della ricerca, "sono andati persi alla normale visione: Giotto decise di realizzare il dipinto a secco per ottenere effetti diversi rispetto a quelli realizzabili con la tecnica dell'affresco".

La Frosini ha spiegato che in origine i materiali impiegati erano "solitamente utilizzati per dipinti su tavola e che nel tempo non hanno tenuto; le loro tracce in combinazione con alcuni pigmenti sono state scoperte solo coi raggi UV".

L'équipe che lavora alla ricerca è composta da 34 persone tra storici dell'arte, restauratori e ricercatori. Si pensa che la diagnosi durerà ancora due anni e mezzo sia nella Cappella Peruzzi che nella Cappella Bardi, anch'essa nella Basilica di Santa Croce.

Fino a questo momento, i nuovi dettagli scoperti sono visibili solo con gli ultravioletti, ma la continua esposizione a questi raggi potrebbe deteriorli ulteriormente. L'unico modo di condividere la scoperta con il pubblico potrebbe essere la digitalizzazione di queste immagini, che permetterebe ai visitatori di godere di una Cappella virtuale.

Si sa poco della vita di Giotto, i cui dipinti sono caratterizzati dalla rappresentazione tridimensionale dello spazio, dal recupero del naturalismo dell'immagine della figura umana e dall'introduzione di una dimensione affettiva.

Nella Basilica gotica di San Francesco ad Assisi, l'artista dipinse uno dei suoi capolavori, le principali scene della vita di San Francesco: la conversione, l'abbandono dei beni, un momento di estasi, la canonizzazione...

Giotto passò così dallo stile bizantino a uno più realistico e innovatore. Raggiunse il suo massimo splendore in risposta agli incarichi di Papa Bonifacio VIII.

Seppe rappresentare non solo persone, cose e paesaggi, ma anche, per la prima volta, lo stato psicologico dei personaggi attraverso gli atteggiamenti e le espressioni del volto.



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Interviste


Di fronte a una cultura della morte, una visione integrale dell'uomo e della donna
Intervista a Laura Tortorella, dell'Istituto "Mulieris Dignitatem"
di Carmen Elena Villa

ROMA, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Perché l'uomo e la donna comprendano meglio la propria identità, è necessario che guardino a se stessi come a esseri creati a immagine e somiglianza di Dio e scoprano e apprezzino i loro doni, che vengono arricchiti quando si vive la reciprocità.

Le ideologie che riducono questa visione integrale e che portano conseguenze come le conferenze mondiali del Cairo nel 1992 sulla crescita della popolazione mondiale o di Pechino nel 1995 sulla "salute sessuale e riproduttiva" intaccano in modo allarmante la dignità dell'uomo e della donna e promuovono sempre più nuove manifestazioni della "cultura della morte".

Su questo tema e su come assumere la mascolinità e la femminilità in modo integrale, ZENIT ha intervistato Laura Tortorella, dell'Istituto Mulieris Dignitatem per studi sull'identità dell'uomo e della donna, della Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura - Seraphicum.

Laura Tortorella è direttrice del master in "Gestione delle crisi personali e interpersonali", che mira ad offrire soluzioni alle crisi che l'essere umano - uomo e donna - può attraversare in varie tappe della sua vita.

L'Assemblea del Consiglio d'Europa di Strasburgo ha approvato il 27 gennaio un documento sulla salute sessuale e riproduttiva. Quali saranno le conseguenze dell'applicazione di questo documento per la mentalità antivita e il femminismo?

Laura Tortorella: Il documento parla di "salute sessuale e riproduttiva" riferendosi alla possibilità data anche ai minori senza informare i genitori di accedere alla contraccezione, all'aborto gratuito e sicuro, alla sterilizzazione, alla fecondazione artificiale e al libero "orientamento sessuale". Le conseguenze di tale Documento saranno certamente allarmanti: un'alleanza (femministe ed altre ideologie, lobby farmaceutiche) a favore della "cultura della morte".

Si compiono 15 anni dalla Conferenza di Pechino sulla salute sessuale e riproduttiva. Com'è cambiata, secondo lei, la mentalità verso l'aborto come diritto e verso la concezione della donna?

Laura Tortorella: I programmi d'azione della Conferenza Mondiale del Cairo e poi di Pechino, carichi di istanze di liberalizzazione, hanno contribuito a creare il clima di "cultura della morte" e lo stesso documento dell'Assemblea del Consiglio d'Europa di Strasburgo, prima menzionato, trova spunti proprio in essi.

E' chiaro che tali ideologie hanno profondamente segnato e ferito i diritti dell'uomo e il diritto alla vita. In questi documenti in cui si parla di "diritto alla salute sessuale e riproduttiva" in realtà si sollecita non tanto il diritto alla salute, quanto piuttosto quello all'aborto.

Credo che sia ci sia solo un'arma da usare per fermare questa cultura della morte, quella di formare, soprattutto le nuove generazioni, alla cultura della vita. Tutte le Nazioni, comprese quelle latinoamericane, dovrebbero mantenere saldo quel valore che ancora può fungere da gancio per salvare l'intera società: la famiglia. Diventa quanto mai urgente difendere la prima cellula della società dai molti attacchi che le arrivano.

E' proprio nella famiglia che le nuove generazioni possono imparare a rispettare la vita umana. Pensiamo alla nascita di una nuova vita, alla dimostrazione quotidiana della cura, dell'educazione, dell'amore reciproco, del rispetto, pensiamo al fatto che è sempre in famiglia che si impara ad accogliere la morte e a capirne il senso.

Come ha ferito questo documento il significato di maschio e femmina, della reciprocità tra i due?

Laura Tortorella: Liberando la sessualità da ogni preoccupazione e timore, si cancellano la maternità, la paternità, la famiglia, il matrimonio, la responsabilità nell'ambito della sessualità. I diritti si trasformano così in bisogni, scelte, esigenze degli adulti.

In questo clima sono sia l'uomo che la donna, che vedono offuscata la verità su di essi (uguale dignità e voluti da Dio l'un per l'altro), ad essere chiamati a ristabilire un umanesimo che torni ad amare la Verità, l'unica in grado di far sorgere le vere domande, quelle che portano alla comprensione del senso e che rendono l'uomo veramente libero.

In base al master che dirige, "Gestione delle crisi personali e interpersonali", come si può affrontare questa crisi alla luce del Vangelo e di un'etica cristiana senza ridurre il ruolo dell'uomo o della donna?

Laura Tortorella: Molte sono le crisi che la persona si trova a dover affrontare nell'arco della propria vita: fattori inerenti la personalità (rigidità, un senso di identità fragile, ecc) e fattori legati all'ambiente relazionale (familiare, lavorativo, vocazionale religioso, ecc.). Per gestire queste crisi, credo che sia diventato oggi più che mai importante tornare ad una corretta antropologia. E' necessario tornare a formare le persone su alcuni temi che risultano fondamentali e imprescindibili per la vita.

La formazione di cui parlo è quindi una formazione che ha valore per la vita concreta della persona, poiché non distoglie l'attenzione dalla sua verità: uomo e donna, creature di Dio, create a Sua immagine e somiglianza. Solamente mettendo l'originalità maschile e femminile a servizio dell'uomo e promuovendo il dialogo fruttuoso, la persona (uomo e donna) e la società saranno in grado di trovare, nellla verità, le risposte concrete alle domande altrettanto concrete (disturbi del comportamento alimentare, tossicodipendenze, crisi adolescenziali, disturbi dell'identità sessuale, divorzio, separazioni, famiglie allargate, bullismo, difficoltà nel ruolo genitoriale, ecc.).

Credo che nel messaggio centrale della "Mulieris Dignitatem", "la reciprocità uomo-donna", si possa intravedere la soluzione per ristabilire un equilibrio nella società che possa portare al riconoscimento di valori comuni di riferimento per costruire insieme la storia: "umanità significa chiamata alla comunione interpersonale" (MD,7). I tempi appaiono maturi e carichi di aspettative su un fruttuoso dialogo uomo-donna basato sulla reciprocità, sulla medesima dignità e sulla comunione che porti alla risoluzione delle problematiche attuali inserite in un orizzonte di senso.

Ci sono alcuni fenomeni accettati socialmente, come il diritto alla morte, la fecondazione in vitro, il non riconoscimento della dignità dell'embrione. Come colpiscono la psicologia della donna? Quali sono i principali pericoli di questi fenomeni?

Laura Tortorella: I fenomeni da Lei elencati colpiscono, seppur in maniera diversa, l'uomo e la donna, poiché ciò che vanno a scalfire è la dignità della vita e la conseguente salvaguardia della vita umana. Questi sono compiti comuni per l'uomo e per la donna. Le conseguenze di una mancata ottemperanza sono ancora una volta comuni: il rischio di rimanere "elementi" del mondo che lo sanno manovrare ma che inevitabilmente ne rimangono soffocati.

La maternità, per esempio, deve tornare a diventare nella nostra società un bene riconosciuto. La nascita di una nuova vita deve essere sempre accolta come segno di speranza e di ricchezza per i genitori, prima di tutto, e poi per l'intera società. E', in generale, la mentalità quella che deve cambiare nuovamente nei confronti della difesa della vita umana, che deve necessariamente tornare ad essere il primo valore di una società che vuole essere considerata civile. Una nuova rivoluzione d'amore e di accoglienza della vita umana!

Anni di battaglie e di rivendicazioni delle femministe e di altre ideologie hanno fatto sprofondare la vita nelle sabbie mobili dell'indifferenza, e le conseguenze di ciò sono evidenti: diritto alla morte, fecondazione in vitro, non riconoscimento della dignità dell'embrione..sono solo alcune delle problematiche che sorgono da una mentalità chiusa nei confronti della vita. Mi domanda in che modo questi fenomeni si ripercuotono sulla psicologia della donna: la donna è colei che, il più delle volte, in prima persona è colpita da tali problematiche poiché è la donna che ha il compito di accettare, accudire, vigilare sulla vita. E' chiaro che quando ciò non accade, per colpe che non sono solo della donna, è la donna che in prima persona paga le conseguenze di certe scelte anche da un punto di vista psicologico.

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Udienza del mercoledì


Benedetto XVI: la teologia della storia in san Bonaventura da Bagnoregio
Catechesi all'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato ancora sulla figura di San Bonaventura da Bagnoregio.





* * *

Cari fratelli e sorelle,

la scorsa settimana ho parlato della vita e della personalità di san Bonaventura da Bagnoregio. Questa mattina vorrei proseguirne la presentazione, soffermandomi su una parte della sua opera letteraria e della sua dottrina.

Come già dicevo, san Bonaventura, tra i vari meriti, ha avuto quello di interpretare autenticamente e fedelmente la figura di san Francesco d’Assisi, da lui venerato e studiato con grande amore. In particolar modo, ai tempi di san Bonaventura una corrente di Frati minori, detti "spirituali", sosteneva che con san Francesco era stata inaugurata una fase totalmente nuova della storia, sarebbe apparso il "Vangelo eterno", del quale parla l’Apocalisse, che sostituiva il Nuovo Testamento. Questo gruppo affermava che la Chiesa aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito, cioè i "Francescani spirituali". Alla base delle idee di tale gruppo vi erano gli scritti di un abate cistercense, Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Nelle sue opere, egli affermava un ritmo trinitario della storia. Considerava l’Antico Testamento come età del Padre, seguita dal tempo del Figlio, il tempo della Chiesa. Vi sarebbe stata ancora da aspettare la terza età, quella dello Spirito Santo. Tutta la storia andava così interpretata come una storia di progresso: dalla severità dell’Antico Testamento alla relativa libertà del tempo del Figlio, nella Chiesa, fino alla piena libertà dei Figli di Dio, nel periodo dello Spirito Santo, che sarebbe stato anche, finalmente, il periodo della pace tra gli uomini, della riconciliazione dei popoli e delle religioni. Gioacchino da Fiore aveva suscitato la speranza che l’inizio del nuovo tempo sarebbe venuto da un nuovo monachesimo. Così è comprensibile che un gruppo di Francescani pensasse di riconoscere in san Francesco d’Assisi l’iniziatore del tempo nuovo e nel suo Ordine la comunità del periodo nuovo – la comunità del tempo dello Spirito Santo, che lasciava dietro di sé la Chiesa gerarchica, per iniziare la nuova Chiesa dello Spirito, non più legata alle vecchie strutture.

Vi era dunque il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione erronea del Cristianesimo nel suo insieme.

San Bonaventura, che nel 1257 divenne Ministro Generale dell’Ordine Francescano, si trovò di fronte ad una grave tensione all’interno del suo stesso Ordine a causa appunto di chi sosteneva la menzionata corrente dei "Francescani spirituali", che si rifaceva a Gioacchino da Fiore. Proprio per rispondere a questo gruppo e ridare unità all’Ordine, san Bonaventura studiò con cura gli scritti autentici di Gioacchino da Fiore e quelli a lui attribuiti e, tenendo conto della necessità di presentare correttamente la figura e il messaggio del suo amato san Francesco, volle esporre una giusta visione della teologia della storia. San Bonaventura affrontò il problema proprio nell’ultima sua opera, una raccolta di conferenze ai monaci dello studio parigino, rimasta incompiuta e giuntaci attraverso le trascrizioni degli uditori, intitolata Hexaëmeron, cioè una spiegazione allegorica dei sei giorni della creazione. I Padri della Chiesa consideravano i sei o sette giorni del racconto sulla creazione come profezia della storia del mondo, dell’umanità. I setti giorni rappresentavano per loro sette periodi della storia, più tardi interpretati anche come sette millenni. Con Cristo saremmo entrati nell’ultimo, cioè il sesto periodo della storia, al quale seguirebbe poi il grande sabato di Dio. San Bonaventura suppone questa interpretazione storica del rapporto dei giorni della creazione, ma in un modo molto libero ed innovativo. Per lui due fenomeni del suo tempo rendono necessaria una nuova interpretazione del corso della storia:

Il primo: la figura di san Francesco, l’uomo totalmente unito a Cristo fino alla comunione delle stimmate, quasi un alter Christus, e con san Francesco la nuova comunità da lui creata, diversa dal monachesimo finora conosciuto. Questo fenomeno esigeva una nuova interpretazione, come novità di Dio apparsa in quel momento.

Il secondo: la posizione di Gioacchino da Fiore, che annunziava un nuovo monachesimo ed un periodo totalmente nuovo della storia, andando oltre la rivelazione del Nuovo Testamento, esigeva una risposta.

Da Ministro Generale dell’Ordine dei Francescani, san Bonaventura aveva visto subito che con la concezione spiritualistica, ispirata da Gioacchino da Fiore, l’Ordine non era governabile, ma andava logicamente verso l’anarchia. Due erano per lui le conseguenze:

La prima: la necessità pratica di strutture e di inserimento nella realtà della Chiesa gerarchica, della Chiesa reale, aveva bisogno di un fondamento teologico, anche perché gli altri, quelli che seguivano la concezione spiritualista, mostravano un apparente fondamento teologico.

La seconda: pur tenendo conto del realismo necessario, non bisognava perdere la novità della figura di san Francesco.

Come ha risposto san Bonaventura all’esigenza pratica e teorica? Della sua risposta posso dare qui solo un riassunto molto schematico ed incompleto in alcuni punti:

1. San Bonaventura respinge l’idea del ritmo trinitario della storia. Dio è uno per tutta la storia e non si divide in tre divinità. Di conseguenza, la storia è una, anche se è un cammino e – secondo san Bonaventura – un cammino di progresso.

2. Gesù Cristo è l’ultima parola di Dio – in Lui Dio ha detto tutto, donando e dicendo se stesso. Più che se stesso, Dio non può dire, né dare. Lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio. Cristo stesso dice dello Spirito Santo: "…vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14, 26), "prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà" (Gv 16, 15). Quindi non c’è un altro Vangelo più alto, non c’è un'altra Chiesa da aspettare. Perciò anche l’Ordine di san Francesco deve inserirsi in questa Chiesa, nella sua fede, nel suo ordinamento gerarchico.

3. Questo non significa che la Chiesa sia immobile, fissa nel passato e non possa esserci novità in essa. "Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt", le opere di Cristo non vanno indietro, non vengono meno, ma progrediscono, dice il Santo nella lettera De tribus quaestionibus. Così san Bonaventura formula esplicitamente l’idea del progresso, e questa è una novità in confronto ai Padri della Chiesa e a gran parte dei suoi contemporanei. Per san Bonaventura Cristo non è più, come era per i Padri della Chiesa, la fine, ma il centro della storia; con Cristo la storia non finisce, ma comincia un nuovo periodo. Un'altra conseguenza è la seguente: fino a quel momento dominava l’idea che i Padri della Chiesa fossero stati il vertice assoluto della teologia, tutte le generazioni seguenti potevano solo essere loro discepole. Anche san Bonaventura riconosce i Padri come maestri per sempre, ma il fenomeno di san Francesco gli dà la certezza che la ricchezza della parola di Cristo è inesauribile e che anche nelle nuove generazioni possono apparire nuove luci. L’unicità di Cristo garantisce anche novità e rinnovamento in tutti i periodi della storia.

Certo, l’Ordine Francescano - così sottolinea - appartiene alla Chiesa di Gesù Cristo, alla Chiesa apostolica e non può costruirsi in uno spiritualismo utopico. Ma, allo stesso tempo, è valida la novità di tale Ordine nei confronti del monachesimo classico, e san Bonaventura – come ho detto nella Catechesi precedente – ha difeso questa novità contro gli attacchi del Clero secolare di Parigi: i Francescani non hanno un monastero fisso, possono essere presenti dappertutto per annunziare il Vangelo. Proprio la rottura con la stabilità, caratteristica del monachesimo, a favore di una nuova flessibilità, restituì alla Chiesa il dinamismo missionario.

A questo punto forse è utile dire che anche oggi esistono visioni secondo le quali tutta la storia della Chiesa nel secondo millennio sarebbe stata un declino permanente; alcuni vedono il declino già subito dopo il Nuovo Testamento. In realtà, "Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt", le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono. Che cosa sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità dei Cistercensi, dei Francescani e Domenicani, della spiritualità di santa Teresa d’Avila e di san Giovanni della Croce, e così via? Anche oggi vale questa affermazione: "Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt", vanno avanti. San Bonaventura ci insegna l’insieme del necessario discernimento, anche severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi donati da Cristo, nello Spirito Santo, alla sua Chiesa. E mentre si ripete questa idea del declino, c’è anche l’altra idea, questo "utopismo spiritualistico", che si ripete. Sappiamo, infatti, come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente "altra". Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia.

4. In questo senso, san Bonaventura, come Ministro Generale dei Francescani, prese una linea di governo nella quale era ben chiaro che il nuovo Ordine non poteva, come comunità, vivere alla stessa "altezza escatologica" di san Francesco, nel quale egli vede anticipato il mondo futuro, ma – guidato, allo stesso tempo, da sano realismo e dal coraggio spirituale – doveva avvicinarsi il più possibile alla realizzazione massima del Sermone della montagna, che per san Francesco fu la regola, pur tenendo conto dei limiti dell’uomo, segnato dal peccato originale.

Vediamo così che per san Bonaventura governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto pensare e pregare. Alla base del suo governo troviamo sempre la preghiera e il pensiero; tutte le sue decisioni risultano dalla riflessione, dal pensiero illuminato dalla preghiera. Il suo contatto intimo con Cristo ha accompagnato sempre il suo lavoro di Ministro Generale e perciò ha composto una serie di scritti teologico-mistici, che esprimono l’animo del suo governo e manifestano l’intenzione di guidare interiormente l’Ordine, di governare, cioè, non solo mediante comandi e strutture, ma guidando e illuminando le anime, orientando a Cristo.

Di questi suoi scritti, che sono l’anima del suo governo e che mostrano la strada da percorrere sia al singolo che alla comunità, vorrei menzionarne solo uno, il suo capolavoro, l’Itinerarium mentis in Deum, che è un "manuale" di contemplazione mistica. Questo libro fu concepito in un luogo di profonda spiritualità: il monte della Verna, dove san Francesco aveva ricevuto le stigmate. Nell’introduzione l’autore illustra le circostanze che diedero origine a questo suo scritto: "Mentre meditavo sulle possibilità dell’anima di ascendere a Dio, mi si presentò, tra l’altro, quell’evento mirabile occorso in quel luogo al beato Francesco, cioè la visione del Serafino alato in forma di Crocifisso. E su ciò meditando, subito mi avvidi che tale visione mi offriva l’estasi contemplativa del medesimo padre Francesco e insieme la via che ad esso conduce" (Itinerario della mente in Dio, Prologo, 2, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 499).

Le sei ali del Serafino diventano così il simbolo di sei tappe che conducono progressivamente l’uomo dalla conoscenza di Dio attraverso l’osservazione del mondo e delle creature e attraverso l’esplorazione dell’anima stessa con le sue facoltà, fino all’unione appagante con la Trinità per mezzo di Cristo, a imitazione di san Francesco d’Assisi. Le ultime parole dell’Itinerarium di san Bonaventura, che rispondono alla domanda su come si possa raggiungere questa comunione mistica con Dio, andrebbero fatte scendere nel profondo del cuore: "Se ora brami sapere come ciò avvenga, (la comunione mistica con Dio) interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti ... Entriamo dunque nella caligine, tacitiamo gli affanni, le passioni e i fantasmi; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinché, dopo averlo visto, diciamo con Filippo: ciò mi basta" (ibid., VII, 6).

Cari amici, accogliamo l’invito rivoltoci da san Bonaventura, il Dottore Serafico, e mettiamoci alla scuola del Maestro divino: ascoltiamo la sua Parola di vita e di verità, che risuona nell’intimo della nostra anima. Purifichiamo i nostri pensieri e le nostre azioni, affinché Egli possa abitare in noi, e noi possiamo intendere la sua Voce divina, che ci attrae verso la vera felicità.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Diaconi dell’Arcidiocesi di Milano ed invoco su ognuno di essi una copiosa effusione di doni celesti, a conferma dei loro generosi propositi di fedeltà a Cristo. Saluto i soci dell’Università della Terza Età, di Nardò, che nel contesto della loro attività hanno voluto partecipare a questo incontro. Li incoraggio a proseguire le loro iniziative culturali che rendono la Terza età un tempo propizio per la riflessione e il sapere. Saluto i fedeli che portano la Fiaccola Benedettina della pace, proveniente quest’anno da Colonia, dove è stata accesa dal Cardinale Joachim Meisner. Come simbolo di profondi valori umani e cristiani, essa sosta oggi presso le tombe degli Apostoli per proseguire per Norcia. Cari amici, faccio voti che tale manifestazione susciti in tutti un generoso impegno di solidarietà e di pace.

Saluto, infine, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Cari giovani, il cammino quaresimale che stiamo percorrendo sia occasione di autentica conversione che vi conduca alla maturità della fede in Cristo. Cari ammalati, partecipando con amore alla sofferenza del Figlio di Dio incarnato, possiate condividere fin d'ora la gloria e la gioia della sua risurrezione. E voi, cari sposi novelli, trovate nell'alleanza che, a prezzo del suo sangue, Cristo ha stretto con la sua Chiesa, il sostegno e il modello del vostro patto coniugale e della vostra missione al servizio del Vangelo.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]

Sono profondamente vicino alle persone colpite dal recente sisma in Turchia ed alle loro famiglie. A ciascuno assicuro la mia preghiera, mentre chiedo alla comunità internazionale di contribuire con prontezza e generosità ai soccorsi.

Il mio sentito cordoglio va anche alle vittime dell’atroce violenza, che insanguina la Nigeria e che non ha risparmiato nemmeno i bambini indifesi. Ancora una volta ripeto con animo accorato che la violenza non risolve i conflitti, ma soltanto ne accresce le tragiche conseguenze. Faccio appello a quanti nel Paese hanno responsabilità civili e religiose, affinché si adoperino per la sicurezza e la pacifica convivenza di tutta la popolazione. Esprimo, infine, la mia vicinanza ai Pastori e ai fedeli nigeriani e prego perché, forti e saldi nella speranza, siano autentici testimoni di riconciliazione.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Intervento della Santa Sede alla Commissione sullo Status della donna
Luci e ombre della condizione delle donne

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 10 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato l'8 marzo, nel palazzo dell'Onu a New York, nell'ambito della 54ª  sessione del Comitato sullo Status della donna, dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York.



* * *

Signor Presidente,

mentre questa commissione si accinge a una verifica dopo quindici anni della realizzazione della Dichiarazione e della Piattaforma di Azione di Pechino e dei risultati della ventitreesima sessione speciale  dell'Assemblea Generale, la mia delegazione augura a Lei e al suo Ufficio una sessione produttiva per il  bene di tutte le donne del mondo.

Dagli interventi che si sono susseguiti in questi giorni nell'ambito del dibattito generale, sembra che la valutazione non sia del tutto positiva: include alcune luci, ma anche molte ombre inquietanti.

I progressi ottenuti rispetto alla condizione delle donne nel mondo negli ultimi quindici anni includono, fra l'altro, miglioramenti nell'educazione delle giovani, la promozione delle donne quale chiave per lo sradicamento della povertà e per la promozione dello sviluppo, l'aumento della partecipazione alla vita sociale, riforme politiche volte a rimuovere forme di discriminazione contro le donne e leggi specifiche contro la violenza domestica.

In particolare, fra i numerosi eventi paralleli, alcuni hanno sottolineato il ruolo indispensabile svolto dalla società civile, in tutte le sue componenti, nell'evidenziare la dignità delle donne, i loro diritti e responsabilità.

Comunque, le donne continuano a soffrire in numerose parti del mondo.

La violenza, sotto forma di aborto di feti femminili, di infanticidio e di abbandono, è una realtà che non può essere ignorata. La discriminazione nell'assistenza sanitaria e nell'alimentazione si verifica  nella vita di giovani donne e la malnutrizione le colpisce molto più che i ragazzi, arrestando la loro crescita mentale e fisica. Le ragazze costituiscono ancora la maggioranza dei minori non scolarizzati e, con le donne di 15 anni e oltre, rappresentano i due terzi della popolazione illetterata mondiale.

È triste che tre quarti dei malati di Hiv/Aids siano ragazze e donne tra i 15 e i 24 anni. La proporzione di donne affette da Hiv sta aumentando in Asia, in Europa dell'Est e in America latina. Nell'Africa sub-sahariana, il 60% di tutti gli adulti e tre giovani su quattro affetti dal virus sono di sesso femminile.

Fra quanti, ogni anno, sono vittima di traffici attraverso i confini internazionali il 50% è costituito da minorenni e circa il 70% da donne e ragazze. Per la maggior parte, questo traffico è finalizzato allo sfruttamento sessuale a fini di lucro. In tutto il mondo, ragazze e donne sono vittimedi violenze fisiche, sessuali e psicologiche, che includono lo stupro come strumento  di guerra in varie parti del mondo, per non parlare dell'abuso economico.

Le ragioni di questa situazione precaria sono varie. Le analisi di questi giorni tendono a individuarle soprattutto, e non senza un buon motivo, in dinamiche culturali e sociali nonché in ritardi e lentezze delle politiche. Tuttavia faremmo bene a guardare anche a principi, priorità e politiche di azione presenti nelle organizzazioni internazionali, ovvero, a quel sistema di motivazioni, valori, orientamenti e metodologie, che guida l'opera delle Nazioni Unite sulle questioni femminili.

La parità  fra donne e uomini nell'educazione, nell'occupazione, nella tutela legale, nei diritti politici e sociali è considerata nel contesto dell'eguaglianza di genere. La realtà dimostra che l'uso di questo concetto, come suggerito nelle Conferenze del Cairo e di Pechino, e di conseguenza sviluppato in vari circoli internazionali, è sempre più guidato ideologicamente e, di fatto, ritarda il progresso autentico delle donne. Inoltre, documenti recenti contengono interpretazioni di genere che dissolvono ogni specificità e complementarità fra uomini e donne. Queste teorie non cambieranno la natura delle cose, ma, di certo, stanno già offuscando e ostacolando ogni serio e tempestivo progresso nel riconoscimento della dignità e dei diritti delle donne.

Quasi tutti i documenti di conferenze o comitati internazionali, o risoluzioni, riescono a collegare il raggiungimento dei diritti personali, sociali, economici e politici a una nozione di salute e di diritti riproduttivi e sessuali, che è violenta verso i nascituri e dannosa per i bisogni integrali di donne e di uomini in seno alla società. Tuttavia, nello stesso tempo, solo raramente si menzionano i diritti politici, economici e sociali delle donne, come impegno e condizione ineludibili. Questo è particolarmente doloroso data la diffusa mortalità materna nelle regioni in cui i sistemi sanitari sono inadeguati. Una soluzione rispettosa della dignità delle donne non ci permette di trascurare il diritto alla maternità, ma ci impegna a promuovere quest'ultima investendo nei sistemi sanitari locali e migliorandoli, fornendo servizi essenziali di ostetricia.

Signor Presidente,

quindici anni fa, la Piattaforma di Azione di Pechino proclamò che  i diritti umani delle donne sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. Questa non è solo la chiave per comprendere la dignità intrinseca delle donne e delle giovani, ma anche per far sì che sia un realtà concreta in tutto il mondo.

La Santa Sede riafferma i suoi impegni per migliorare la condizione delle donne. In occasione della Conferenza di Pechino, la sua esortazione a istituzioni cattoliche affinché adottassero una strategia concertata e urgente rivolta alle ragazze e alle giovani donne, in particolare a quelle più povere, ha prodotto, nel corso di questi ultimi anni, risultati significativi e resta un impegno forte per realizzare e promuovere questo compito in futuro.

[Traduzione dal testo originale in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]

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