ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 22 marzo 2010
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Santa Sede
Dove Dio piange
Notizie dal mondo
- Pakistan: cristiani rifiutano di convertirsi, lui bruciato vivo, la moglie stuprata
- Le elezioni prospettano un futuro migliore per i cristiani iracheni
- 30 anni dall'omicidio di monsignor Romero, Arcivescovo di San Salvador
Italia
- "Valori non negoziabili", cartina di tornasole per le elezioni regionali
- Il Card. Bagnasco: essere preti è più di "una semplice decisione morale"
- L'Azione cattolica italiana, vicina alle vittime degli abusi
- Cosa sono disposti a fare i Governatori delle regioni per la famiglia?
- La vocazione di custodire un miracolo eucaristico
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Benedetto XVI presiederà il Triduo Santo
Benedirà le palme e celebrerà la Messa in Piazza San Pietro questa domenica
Questa domenica, alle 9.30, benedirà le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebrerà la Messa della Passione del Signore in Piazza San Pietro.
Sempre questa domenica celebrerà la XXV Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10,17).
Il primo giorno di aprile, Giovedì Santo, il Pontefice presiederà, alle 9.30 nella Basilica vaticana, la concelebrazione della Santa Messa Crismale con i Cardinali, i Vescovi e i presbiteri (sia diocesani che religiosi) presenti a Roma.
Questa celebrazione ha un significato speciale "quale segno della stretta comunione tra il Pastore della Chiesa universale e i suoi fratelli nel Sacerdozio ministeriale", indica il comunicato della Santa Sede.
Nel pomeriggio, alle 17.30, il Papa inizierà il Triduo Pasquale nella cappella papale della Basilica di San Giovanni in Laterano, presiedendo la concelebrazione della Messa, in cui laverà i piedi a dodici sacerdoti.
Durante il rito, i presenti saranno invitati a compiere un atto di carità per la ricostruzione del seminario di Port-au-Prince, ad Haiti. Il denaro raccolto verrà consegnato al Papa al momento della presentazione delle offerte.
Al termine della celebrazione avrà luogo la traslazione del Santissimo Sacramento alla Cappella della reposizione.
Il Venerdì Santo, 2 aprile, il Vescovo di Roma presiederà la celebrazione della Passione del Signore con la Liturgia della Parola, l'adorazione della Croce e il rito della Comunione, nella Cappella Papale della Basilica Vaticana alle 17.00.
Alle 21.15 presiederà la Via Crucis al Colosseo di Roma. Al termine, si rivolgerà ai fedeli e impartirà la benedizione apostolica.
Il sabato, alle 21.00, benedirà il fuoco nuovo nell'atrio della Basilica di San Pietro.
Dopo l'ingresso in processione nella Basilica con il cero pasquale e il canto dell'Exsultet, presiederà la Liturgia della Parola, la liturgia battesimale e la liturgia eucaristica, che verrà concelebrata con i Cardinali.
Il giorno dopo, Domenica di Pasqua, Benedetto XVI celebrerà la Messa sul sagrato della Basilica di San Pietro alle 10.15.
Dal balcone centrale della Basilica, impartirà poi la benedizione Urbi et Orbi.
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Giovedì santo a Roma a favore di Haiti
Il Papa stabilisce che le offerte siano dedicate a ricostruire il seminario
Per decisione di Benedetto XVI, durante la Messa nella Cena del Signore, che presiederà come sempre nella Cattedrale papale, la Basilica di San Giovanni in Laterano, tutti i presenti verranno invitati a offrire un gesto di carità a favore di questo Paese devastato dal terremoto.
"Durante il rito i presenti saranno invitati a compiere un atto di carità per la ricostruzione del Seminario di Port-au-Prince in Haiti. La somma raccolta sarà affidata al Santo Padre al momento della presentazione dei doni", spiega l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.
Nei giorni scorsi, l'Arcivescovo Louis Kébreau di Cap Haitien, presidente della Conferenza Episcopale di Haiti, ha espresso in alcuni messaggi all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) la profonda preoccupazione per la Chiesa in questo Paese, vedendo come più di 200 seminaristi sopravvissuti al terremoto siano rimasti senza niente, abbandonati alla loro sorte.
Nel sisma del 12 gennaio sono morti circa 26 seminaristi, diocesani e religiosi.
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Dove Dio piange
Nicaragua: Una Chiesa nel pantano (Parte II)
Intervista al vescovo ausiliare David Zywiec di Bluefields
BLUEFIELDS (Nicaragua), lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- È facile isolarsi nei problemi del proprio Paese, ma secondo un Vescovo impegnato per i poveri del Nicaragua è importante ricordarsi che viviamo in una comunità globale e che formiamo parte della Chiesa universale.
Il francescano David Zywiec, è il vescovo ausiliario del Vicariato di Bluefields, competente per quasi l’intera metà orientale del Paese, compresa quell'area nota come la Mosquito Coast.
Il presule di 62 anni, originario di East Chicago, nell’Indiana, ha recentemente parlato della vita della Chiesa in Nicaragua, al programma televisivo “Where God Weeps”, gestito dal Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.
La trascrizione dell’intervista è divisa in due parti. La prima parte è stata pubblicata il 15 marzo 2010.
Lei ha imparato la lingua dei miskito. Quanto tempo ci ha impiegato?
Mons. Zywiec: La sto ancora imparando! Si dice che per imparare una lingua occorrano circa mille ore. Una delle difficoltà che ho trovato è che ci si deve essere immere nel contesto e usare la lingua costantemente. Invece, la mia situazione mi porta a essere a volte nella zona dei miskito e a volte in quella spagnola.
Lei è uno dei pochi missionari che effettivamente parla la loro lingua.
Mons. Zywiec: È vero. E il Vicariato ha la grazia di avere cinque sacerdoti miskito, oltre ad alcuni giovani miskito in seminario. Penso quindi che sia una grazia di Dio, che ci indirizza alla costruzione di una Chiesa nativa.
Quale appello vorrebbe rivolgere, per il suo lavoro, per la diocesi, per il Vicariato?
Mons. Zywiec: La prima cosa sarebbe certamente la preghiera, perché siamo chiamati a pregare. Il Nicaragua è uno dei Paesi più poveri dell’America latina. Abbiamo attraversato guerre civili, uragani, e quindi la preghiera è importante.
Molto spesso, quando leggo un giornale in Nicaragua, vedo che si parla solo del Nicaragua... vado negli Stati Uniti e si parla solo degli Stati Uniti. Ma noi siamo parte di una comunità globale; siamo parte della Chiesa cattolica. Credo che anche questa sia una cosa importante.
Abbiamo avuto delle specie di partnership con diverse parrocchie e credo che questo sia un modo importante per non limitarsi a dire: “ok pregheremo per il Nicaragua”, oppure a dire di conoscere una certa persona o famiglia. Non si tratta quindi solo di aiutare qualche persona o un’area del tutto anonima, ma di aiutare questa persona particolare, questa famiglia particolare, con le loro necessità. Credo che questo colpisca il cuore e credo che sia un modo per vivere quella fratellanza a cui Dio ci chiama, che Gesù ci ha invitato a vivere, come suoi seguaci.
Stiamo parlando di una zona fortemente rurale, quella in cui lei vive, costituita da molte zone paludose e montagne. Come descriverebbe lo sviluppo sociale della popolazione? Sono ancora molto tradizionali nelle loro pratiche o si stanno modernizzando, per così dire?
Mons. Zywiec: Direi che molte cose sono cambiate nella zona rurale. Quando ero appena arrivato, lavoravo negli insediamenti di lingua spagnola, con i contadini di lingua spagnola. I missionari più anziani dicevano che queste zone vedevano un sacerdote una volta l’anno o ogni sei mesi.
Vi erano donne che non erano in grado di comprendere un altro uomo che rivolgeva loro la parola, perché vivevano così isolate che l’unica voce maschile che sentivano era quella del marito. E oggi in alcune zone esistono, non solo le radio a batteria, ma grazie ai pannelli solari anche le televisioni.
Quindi le cose sono cambiate, lentamente, non tutto insieme, non dalla mattina alla sera. Un’altra cosa che ho notato è che quando arrivai lì 30 anni fa, i bambini, in segno di rispetto, giungevano le mani e dicevano “Santito”. Adesso non lo fanno più ed è un piccolo segno di come le cose siano cambiate.
Ma d’altra parte vi sono stati alcuni cambiamenti positivi. Per esempio, la gente è diventata molto brava nella musica. Quando sono arrivato lì per la prima volta, era un eccezione trovare qualcuno che suonasse la chitarra in chiesa. Adesso nelle chiese abbiamo chitarre, guitaro (piccole chitarre), fisarmoniche e trombe, e talvolta tastiere. Le cose quindi sono cambiate: cose negative e cose positive. Ma credo che queste cose qui diano maggiore vita alle nostre celebrazioni nelle zone rurali.
Lei ha prima accennato alle sfide sociali, in particolare alle scuole. Lei ha lavorato duramente per lo sviluppo di un sistema scolastico elementare per i giovani delle zone rurali che altrimenti non avrebbero accesso all’istruzione. Perché l'ha considerato una priorità?
Mons. Zywiec: Se vuoi vivere nel mondo di oggi, devi saper leggere e scrivere. D’altra parte noi vediamo spesso un certo flusso migratorio dalla campagna alle città. Per esempio, uno dei nostri seminaristi viene da una famiglia rurale. È uno di 16 fratelli. Con ogni probabilità molti di loro si trasferiranno nelle città e se non sanno leggere e scrivere cosa faranno? Potranno fare lavori umili oppure potrebbero essere tentati dal furto. Così, almeno, una persona ha la capacità di guadagnarsi da vivere in modo onesto e dignitoso.
Quali altre priorità e progetti considera importanti per questo Vicariato?
Mons. Zywiec: Credo che la Chiesa debba impegnarsi nell’istruzione. Vi è stato un passato troppo lungo di disinteresse da parte dello Stato circa l’istruzione in quest’area. Stiamo parlando di 40 o 50 anni. Oggi esiste un sistema scolastico con più di 400 scuole elementari e più di 20.000 alunni. Credo che un altro passo sia quello di avviare una scuola superiore, una scuola tecnica, che consenta ai giovani di lavorare nell’agricoltura...
Per acquisire capacità, formazione professionale...?
Mons. Zywiec: Esatto. Formazione professionale. ... Un’altra sfida, nel generale sforzo di promozione umana, è quella della salute, perché i medici sono pochissimi. Normalmente vogliono restare nelle città. Non vogliono doversi spostare nelle campagne. E quindi abbiamo spesso piccole cliniche... anche questa è una sfida.
Come ho accennato, siamo molto impegnati nell’evangelizzazione – è una priorità fondamentale – con i nostri leader laici, nello sforzo di formarli bene. Tanto più alta è la loro istruzione, tanto più sono in grado di offrire una leadership di qualità e di spiegare la fede con maggiore efficacia. E credo anche che una delle cose da fare sia quella di lavorare per il bene comune, per il senso di comunità.
Spesso la gente si trova in certe situazioni, nella politica o nell’economia, o persino nella Chiesa, in cui si pensa: “Bene, ho questo lavoro, vediamo quanto riesco a trarne per me stesso”, piuttosto che dire: “Sono qui a servizio della comunità, a servizio di Dio”. Come ha detto Gesù: “Sono venuto non per essere servito ma per servire”. Questo dello spirito di servizio è una delle grandi sfide che abbiamo. Avere una mentalità di servizio, un atteggiamento di servizio come quello di Gesù. Tutto questo fa parte dell’evangelizzazione. Cedo sia una delle importanti sfide che abbiamo in America latina e nel Vicariato di Bluefields.
Un’altra cosa ancora, come si accennava, riguardo alla zona miskito, è tutta la questione dell’inculturazione della fede: essere in grado di esprimere la fede che è presente tra i miskito. Per esempio, oggi abbiamo la Bibbia in miskito, un libro di canti, e siamo in grado di aiutare i miskito ad esprimere la loro fede, i loro sentimenti e il loro amore per Dio, a modo loro. E se tutto questo diventa parte integrante della loro Chiesa – anche nelle zone rurali – diventa pare del loro modo di esprimere la fede e il loro amore per Dio.
[Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it]
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Notizie dal mondo
Pakistan: cristiani rifiutano di convertirsi, lui bruciato vivo, la moglie stuprata
L'agenzia AsiaNews riferisce questo episodio terribile avvenuto a Rawalpindi, poco lontano dalla capitale pakistana Islamabad, dove la coppia di cristiani, che lavorava alle dipendenze di un ricco uomo d'affari musulmano, è stata sottoposta alle sevizie davanti ai tre figli, di età compresa tra i 7 e i 12 anni.
L'episodio è avvenuto venerdì scorso, 19 marzo, nella tenuta di Sheikh Mohammad Sultan, dove Arshed e Martha Masih lavoravano come autista e domestica e vivevano con i figli.
A gennaio, dei leader religiosi locali e il datore di lavoro hanno imposto a tutta la famiglia la conversione all'islam. Di fronte al rifiuto dei Masih, i fondamentalisti hanno promesso loro "conseguenze terribili".
Arshed Masih ha proposto di abbandonare il lavoro e la casa, ma Sultan ha detto che in questo caso lo avrebbe "ucciso".
La settimana scorsa alcuni ladri hanno fatto irruzione nella tenuta di Sheikh Mohammad Sultan, rubando 500.000 rupie (circa 6.000 dollari).
La polizia ha aperto un'indagine, ma non ha iscritto la coppia cristiana nel registro degli indagati. Sultan ha tuttavia proposto di far cadere le accuse contro Masih se si fosse convertito all'islam, aggiungendo "Altrimenti non vedrete più i vostri figli".
I Masih hanno rifiutato la conversione, e venerdì scorso è accaduta la tragedia. Arshed, 38 anni, è ora ricoverato in ospedale con ustioni sull'80% del corpo dopo essere stato bruciato vivo. Secondo i sanitari "non sopravvivrà". La moglie Martha, hanno riferito fonti locali ad AsiaNews, "è stata stuprata dagli agenti".
Il Governo del Punjab ha ordinato un'inchiesta sulla vicenda. "I colpevoli saranno arrestati", ha dichiarato Rana Sanaullah, Ministro della Giustizia del Governo locale.
Dopo l'episodio, diverse organizzazioni cristiane a Rawalpindi e Lahore hanno indetto una serie di manifestazioni di protesta.
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Le elezioni prospettano un futuro migliore per i cristiani iracheni
L'Arcivescovo di Mosul si dice "molto ottimista"
Lo sostiene l'Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk, che le consultazioni elettorali del 7 marzo e il loro seguito hanno reso "molto ottimista" circa una maggiore sicurezza nel Paese e un ruolo meno marginale delle minoranze, inclusi i cristiani.
Parlando all'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il presule ha sottolineato che la situazione dei cristiani del Paese sembra destinata a migliorare indipendentemente dai risultati delle consultazioni, che verranno resi noti alla fine del mese.
"Le elezioni sono state portate a termine molto bene", ha dichiarato. "Durante il periodo della campagna, i partiti politici hanno dibattuto i propri programmi in modo molto civile".
A differenza delle elezioni del 2005, ha osservato, "la gente ha scelto partiti più secolari". "Qualsiasi cosa accada, sarà un buon risultato. Sono molto ottimista al riguardo".
Circa le ultime notizie che indicherebbero la vittoria dell'ex Primo Ministro Iyad Allawi, ha aggiunto che quando era al potere durante gli scontri a Falluja e Najaf, nel 2004-2005, "è stato decisivo". "Ha imposto la legge, e l'esercito è stato capace di aiutare a stabilizzare la situazione di sicurezza".
"Ma anche se [l'attuale Primo Ministro Nouri] al-Maliki vincesse, andrebbe bene e le cose cambierebbero. La gente è stanca della violenza ed è determinata a vedere un miglioramento".
Monsignor Sako ha aggiunto di essere felice del fatto che almeno cinque cristiani siano stati eletti al Parlamento.
Tra i segni di un miglioramento delle condizioni dei cristiani c'è anche la notizia per la quale la gran parte dei fedeli che avevano lasciato Mosul prima delle elezioni - più di 3.500, diretti soprattutto verso i villaggi della Piana di Ninive - sta tornando in città nonostante la violenza che ha provocato la morte di oltre 30 fedeli.
Padre Bashar Warda ha detto tuttavia ad ACS che molte persone che rientrano a Mosul vogliono lasciare la città definitivamente per iniziare una nuova vita nel nord dell'Iraq o all'estero.
L'Arcivescovo Amil Nona di Mosul, ha aggiunto, è ad ogni modo desideroso di portare avanti le liturgie previste per la Settimana Santa e la Pasqua, nonostante la chiusura di molte chiese della città e le preoccupazioni per la sicurezza.
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30 anni dall'omicidio di monsignor Romero, Arcivescovo di San Salvador
Il suo processo di beatificazione è nella fase romana
SAN SALVADOR, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 24 marzo ricorreranno 30 anni da quel fatidico giorno in cui la vita di monsignor Oscar Arnulfo Romero, allora Arcivescovo di San Salvador, fu stroncata sull'altare, mentre celebrava l'Eucaristia nella cappella dell'ospedale per malati di cancro Divina Provvidenza della capitale salvadoregna, nel contesto della cruenta guerra civile vissuta nel Paese centroamericano.
Il 15 agosto dello scorso anno (92° compleanno di monsignor Romero), la Chiesa cattolica salvadoregna ha avviato un ampio programma di attività commemorative sul tema "Monsignor Romero, speranza delle vittime", che ha incluso, oltre al congresso teologico "A 30 anni dal martirio di monsignor Romero: conversione e speranza", una serie di conferenze, marce, pellegrinaggi, celebrazioni liturgiche, l'emissione di francobolli con la sua immagine, l'esibizione di materiali filmati, la tradizionale Veglia della Luce e altre iniziative.
"Celebrare monsignor Romero è riportare al presente i suoi appelli alla trascendenza, al rifiuto dei nuovi idoli che assillano la società attuale, ad assumere la nostra fede con una profonda dimensione storica e a vedere nei volti vecchi e nuovi dell'esclusione il volto di Dio", ha dichiarato la Fondazione Romero in un comunicato.
Al fianco delle vittime
Il Cardinale Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nell'introduzione al libro "Oscar Romero: un Vescovo tra guerra fredda e rivoluzione", afferma che l'Arcivescovo salvadoregno "è stato assassinato per aver denunciato la violenza delle parti" coinvolte (il Governo e la guerriglia).
"Lo hanno ucciso in una società che precipitava confusamente nella guerra civile, perché durante molto tempo si era elusa la richiesta di giustizia e alla fine sia una parte che l'altra vedevano solo la soluzione delle armi".
"Dopo aver dedicato tutta la sua vita al servizio di Dio, Romero è diventato un profeta di giustizia e di pace. Le sue omelie, trasmesse via radio, erano seguite da tutto il Paese, da amici e avversari, perché Romero diceva la verità... perché era una voce umana, religiosa, fraterna. [...] Riteneva che fosse suo dovere parlare con decisione a favore della pace, della giustizia, della riconciliazione".
Monsignor Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia, postulatore della cuasa di beatificazione del Vescovo salvadoregno, ha detto due anni fa a "L'Osservatore Romano" che "monsignor Romero fu vittima della polarizzazione politica, che non lasciava spazio alla sua carità e pastoralità".
"Avverso sia alla violenza espressa dal governo militare sia a quella espressa dall'opposizione guerrigliera, visse come pastore il dramma del suo gregge".
Sul quotidiano vaticano, il presule aggiungeva che, al di là di ciò che si dice, monsignor Romero contava sulla solidarietà di due Pontefici (Paolo VI e Giovanni Paolo II), come documenta il diario dello stesso Vescovo, e ciò rappresenta un punto fermo per il processo di beatificazione.
Monsignor Paglia ricordava che lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto pubblicamente la sua figura quando ha visitato la sua tomba, e anche quando lo ha citato tra i martiri del XX secolo, pregando per l'"indimenticabile monsignor Oscar Romero, assassinato sull'altare".
La Giornata di monsignor Romero
Nel contesto del 30° anniversario dell'omicidio, l'Assemblea Legislativa di El Salvador ha approvato il 4 marzo scorso un decreto che istituisce il 24 marzo come "Giornata di monsignor Oscar Arnulfo Romero y Galdámez", con il beneplacito della Chiesa cattolica, delle Chiese storiche presenti nel Paese e di molte organizzazioni sociali.
La causa di beatificazione di Oscar Arnulfo Romero, i cui resti giacciono nella Cattedrale metropolitana della capitale salvadoregna, ha iniziato nel 1994 il suo processo diocesano, terminato nel 1996.
Il processo è stato presentato alla fase vaticana nello stesso anno, e nel 1997 è stato ricevuto da Roma il decreto attraverso il quale si accettava la causa come valida, visto che tutti i passi del processo diocesano sono stati compiuti secondo le norme stabilite.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Italia
"Valori non negoziabili", cartina di tornasole per le elezioni regionali
Il Cardinale Bagnasco apre i lavori del Consiglio Episcopale Permanente
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il ‘primordiale diritto alla vita’ e i ‘valori non negoziabili’ sono la cartina di tornasole indicata dal Cardinale Angelo Bagnasco per le imminenti elezioni regionali.
Nel corso della prolusione svolta lunedì 22 marzo al Consiglio Episcopale Permanente riunito a Roma, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha rilevato che è sul “primordiale diritto alla vita che all’alba di questo terzo millennio l’intera società si trova a dover fare ancora l’esame di coscienza”.
“Da qualche tempo - ha spiegato l’Arcivescovo di Genova -, nella mentalità di persone che si ritengono per lo più evolute, si è insediato un singolare ribaltamento di prospettive nei riguardi di situazioni e segmenti di vita poco appariscenti, quasi che l’esistenza dei già garantiti, di chi dispone di strumenti per la propria salvaguardia, valga di più della vita degli ‘invisibili”.
“Come non capire che si consuma qui un delitto incommensurabile, e che lo si può fare solo in forza di una tacita convenzione culturale che è abbastanza prossima alla ipocrisia?”, ha chiesto il porporato.
Il Cardinale Bagnasco ha quindi fatto riferimento al rapporto, predisposto dall’Istituto per le politiche familiari da cui risulta che a proposito dell’aborto in Europa sono stati quasi tre milioni i concepiti che non hanno visto la luce del sole nel 2008, ossia un aborto ogni undici secondi, venti milioni negli ultimi quindici anni.
Il porporato ha quindi constatato che “l’aborto ha ormai perso l’immagine di una pratica eccezionale e dolorosa, compiuta per motivi gravi di salute della madre o del piccolo, per diventare un metodo ‘normale’ di controllo delle nascite”.
Il presidente della CEI ha poi lanciato l’allarme per la diffusione di nuovi metodi abortivi.
“Dalla ‘pillola del giorno dopo’ - ha detto - al nuovo ritrovato, chiamato sui giornali ‘pillola dei cinque giorni’, è un continuum farmacologico che, annullando il confine tra prodotti anticoncezionali e abortivi, ha già indotto ad una crasi linguistica (…) minimizzando probabilmente l’urto del gesto abortivo, anzitutto sul piano personale, e poi anche su quello cultural-sociale”.
“In questo contesto,- ha sottolineato l’Arcivescovo di Genova -, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale”.
“L’evento del voto – ha aggiunto - è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare” giacché “il voto avviene sulla base dei programmi sempre più chiaramente dichiarati e assunti dinanzi all’opinione pubblica, e rispetto ai quali la stessa opinione pubblica si è abituata ad esercitare un discrimine sempre meno ingenuo, sottratto agli schematismi ideologici e massmediatici”.
Per chiarire i principi che sono alla base del discernimento politico per i cattolici, il presidente della CEI ha fatto riferimento a quella piattaforma di contenuti che, “insieme a Benedetto XVI, chiamiamo ‘valori non negoziabili”, e che “emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune”.
Essi sono: “la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”.
L’Arcivescovo di Genova ha spiegato che sui “valori non negoziabili” si impiantano e vengono garantiti altri indispensabili valori come: il diritto al lavoro e alla casa; la libertà di impresa finalizzata al bene comune; l’accoglienza verso gli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione; il rispetto del creato; la libertà dalla malavita, in particolare quella organizzata.
Si tratta di un complesso indivisibile di beni, dislocati sulla frontiera della vita e della solidarietà, che costituisce l’orizzonte stabile del giudizio e dell’impegno nella società.
Ma “quale solidarietà sociale, se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?”, ha concluso il porporato.
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Il Card. Bagnasco: essere preti è più di "una semplice decisione morale"
Il presidente della CEI commenta la Lettera ai cattolici d'Irlanda
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Nel corso della prolusione pronunciata questo lunedì al Consiglio Episcopale Permanente a Roma, prima di affrontare il tema della rinnovata identità, testimonianza e missione del sacerdote, il Cardinale Angelo Bagnasco ha voluto commentare la questione dei casi di pedofilia che ha investito la Chiesa d’Irlanda.
“Senza dubbio – ha affermato il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) - la pedofilia è sempre qualcosa di aberrante e, se commessa da una persona consacrata, acquista una gravità morale ancora maggiore”.
“Per questo - ha aggiunto -, insieme al profondo dolore e ad un insopprimibile senso di vergogna, noi Vescovi ci uniamo al Pastore universale nell’esprimere tutto il nostro rammarico e la nostra vicinanza a chi ha subìto il tradimento di un’infanzia violata”.
Facendo riferimento alla Lettera ai cattolici d’Irlanda di Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Genova ha spiegato che “la Chiesa impara dal Papa a non avere paura della verità, anche quando è dolorosa e odiosa, a non tacerla o coprirla”.
“Questo, però, - ha continuato - non significa subire – qualora ci fossero – strategie di discredito generalizzato”.
Secondo il presidente della CEI, bisogna interrogarsi “a proposito di una cultura che ai nostri giorni impera incontrastata e vezzeggiata” e che ha “l’atteggiamento cioè di chi coltiva l’assoluta autonomia dai criteri del giudizio morale e veicola come buoni e seducenti i comportamenti ritagliati anche su voglie individuali e su istinti magari sfrenati”.
Per il cardinale Bagnasco, “l’esasperazione della sessualità sganciata dal suo significato antropologico, l’edonismo a tutto campo e il relativismo che non ammette né argini né sussulti fanno un gran male perché capziosi e talora insospettabilmente pervasivi”.
A questo proposito il porporato ha ripreso San Paolo che nella lettera ai Corinzi scrive “vi supplico in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20), perchè “questa perorazione raggiungesse in particolare i nostri cari sacerdoti, e li interpretasse nel loro desiderio di autenticità e di rinnovamento della propria testimonianza di vita e di missione”.
Il presidente della CEI ha quindi richiamato il tema dell’identità sacerdotale che resta ‘determinante’ per l’esercizio del sacerdozio ministeriale in un’epoca come la nostra ‘policentrica’ e ‘polimorfa’.
Il sacerdote – secondo il Cardinale Bagnasco – non è né ‘un disagiato, né uno scompensato’, al contrario il sacerdote “è un uomo che – non solo nel tempo del seminario – coltiva la propria umanità nel fuoco dell’amore di Gesù”.
“E’ nell’amore e nell’amicizia con Gesù, che – a parere dell’Arcivescovo di Genova – il sacerdote nutre, pota, orienta, la propria vocazione”.
Nel fare ciò “ogni sacerdote è consapevole di essere stato preso per mano dal suo Signore e chiamato a stare con Lui come amico: per questo è vitale conoscere Dio da vicino, frequentarlo, accompagnarsi a Lui cuore a cuore”.
A questo proposito il presidente della CEI ha ripreso le parole del Pontefice che indicano la celebrazione quotidiana della Messa, la preghiera regolare della Liturgia delle Ore e quella dei momenti più intimi e personali, l’adorazione eucaristica, la pratica del sacramento della penitenza, lo studio anche sistematico che permette di penetrare meglio le sfide del tempo, come “elementi che vanno nell’unica direzione, quella della comunione stabile con Dio in Cristo Gesù”.
Il porporato ha poi sconsigliato “un’insistente proiezione esterna, una parcellizzazione degli impegni, un attivismo esasperato, per l’ancoraggio della vita interiore”, ed ha invece indicato la strada maestra nel “rapporto con Dio, coltivato, preservato, amato”.
“Essere preti – ha sottolineato il porporato - è qualcosa di più di una semplice decisione morale, affidata ad una pur adeguata condotta di vita; è anzitutto una risposta d’amore ad una dichiarazione d’amore”.
“E la missione”, come ha rilevato il Pontefice Benedetto XVI, “non è una cosa aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa”.
Per il presidente della CEI, “solo tenendo lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare con gioia a lasciare tutto per Lui” si diventerà capaci di “appassionamento, di com-passione, per soffrire con gli altri, e caricarsi addosso il patire del nostro tempo, il patire della nostra stessa comunità, senza tuttavia lasciarsene sopraffare”.
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L'Azione cattolica italiana, vicina alle vittime degli abusi
Il presidente Franco Miano commenta la Lettera del Papa ai cattolici d'Irlanda
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Un’occasione per riflettere su una vicenda che richiede chiarezza e prudenza, rigore e sollecitudine pastorale”: così Franco Miano, presidente dell’Azione cattolica italiana, definisce la Lettera che Benedetto XVI ha indirizzato ai cattolici d’Irlanda in merito alla vicenda degli abusi sessuali su minori compiuti da alcuni sacerdoti.
In un intervento pubblicato stamattina sul portale dell’associazione (www.azionecattolica.it), Miano sottolinea come “da un lato ci sono le vittime che hanno diritto ad avere giustizia, dall’altro ci sono delle persone colpevoli di orrendi crimini che vanno punite ma anche aiutate a riaffermare la fede in Cristo e la fiducia nella promessa di redenzione, di perdono e di rinnovamento alla luce del Vangelo”.
È questa la strada indicata da Papa Benedetto il quale “nel ricordare che i preti pedofili dovranno rispondere dei loro abusi davanti a Dio onnipotente, come pure davanti ai tribunali civili, auspica una ‘rinascita’ della Chiesa d’Irlanda”.
“Come Azione Cattolica Italiana – afferma Miano - vogliamo cogliere il senso profondo di questa lettera per dirci vicini a tutte le vittime degli abusi. Una Chiesa che vuole essere sempre più madre e maestra alla luce del Concilio Vaticano II, non può permettere che ci siano ferite così profonde, colpe così gravi: soprattutto perché è l’immagine stessa della Chiesa che viene ferita, colpita”.
“Siamo dunque vicini alle vittime – ribadisce Miano – ma nello stesso tempo chiediamo ai giovani, a quanti sono stati traditi da sacerdoti ed educatori di non dimenticare che 'è nella Chiesa che voi troverete Gesù Cristo che è lo stesso ieri, oggi e sempre', come scrive Papa Benedetto”.
L’associazione intende, inoltre “stigmatizzare quanti hanno cercato di coinvolgere, nelle questioni relative agli abusi sessuali di sacerdoti nei confronti di minori, anche la persona del Papa. Una vicenda che si è conclusa con un processo nel quale non è stato minimamente coinvolto l’arcivescovo Ratzinger”.
Vanno anche ricordati “i tanti ingiustamente coinvolti, molti dei quali non hanno retto alle accuse infamanti e hanno preferito compiere un gesto estremo togliendosi la vita o il loro cuore ha ceduto di fronte alla pesantezza delle colpe non commesse”.
Alla luce di tutto questo “mentre ribadiamo la ferma condanna per questi ‘atti peccaminosi e criminali’ – afferma Miano - ci sentiamo anche di spendere una parola di prudenza, e un invito a riscoprire le radici profonde della fede che in Gesù Cristo ci chiama ad essere fratelli”.
Il presidente dell’Azione cattolica fa quindi sua la preghiera per la Chiesa d’Irlanda del Pontefice auspicando che “possano la nostra tristezza e le nostre lacrime, il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato, e il nostro fermo proposito di correzione, portare abbondanti frutti di grazia, per l’approfondimento della fede, nelle nostre famiglie, parrocchie, scuole e associazioni […] per la crescita della carità, della giustizia, della gioia e della pace, nell’intera famiglia umana”.
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Cosa sono disposti a fare i Governatori delle regioni per la famiglia?
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Forum delle associazioni familiari ha pubblicato e diffuso un manifesto in cui chiede ai candidati ai Consigli regionali delle 13 Regioni che voteranno i prossimi 28 e 29 marzo di prendere posizione sui temi familiari che incrociano le competenze regionali.
Le adesioni al manifesto verranno rese pubbliche e comunicate alle famiglie aderent alle 498 associazioni che costituiscono il Forum così da costituire un criterio di scelta elettorale.
Il testo del manifesto, i moduli per l’adesione e il materiale informativo è disponibile nel sito www.forumfamiglie.org.
Nel manifesto il Forum riporta gli articoli 29, 30, 31, 117 e 118 della Costituzione in cui la Repubblica italiana riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e la privilegia “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”.
Il manifesto è diviso in sezioni e proposte. Per proteggere la relazione coniugale e genitoriale/iliale quali fondamenti della famiglia per esempio il Forum propone: percorsi di formazione propedeutici al matrimonio civile e concordatario; percorsi di sostegno alla genitorialità naturale, all’adozione e all’affido e promozione dell’associazionismo familiare.
Per intervenire a sostegno delle famiglie e della maternità nell’accoglienza della vita dal concepimento al termine naturale, per la piena realizzazione delle legittime aspirazioni di paternità, e maternità, per la salvaguardia del diritto di ogni uomo a nascere il Forum sostiene il diritto dei bambini a crescere con un padre e una madre legati da una unione stabile.
Per arrestare l’inverno demografico per lo sviluppo della nostra cultura e della nostra società, il manifesto del Forum propone: la prevenzione dell’aborto, la presa in carico dei minori 0-3 anni, la riforma e riqualificazione dei consultori e l’assistenza socio-sanitaria integrata e accudimento in famiglia per anziani, malati e disabili.
Per rafforzare la comunità educante composta da genitori e mondo scolastico il Forum chiede: buoni scuola o vaucher educativi per l’accesso alla scuola statale e paritaria; sostegno alle famiglie per il materiale didattico; sviluppo e sostegno a un sistema di istruzione e formazione professionale iniziale anche per contrastare la dispersione scolastica; una maggior interazione scuola-famiglia anche mediante l’istituzione di un Garante regionale dell’educazione.
Il manifesto del Forum tocca anche i temi della famiglia, del lavoro e del sociale. In merito al sistema fiscale il Forum chiede l’introduzione del quoziente familiare che consideri l’effettivo peso di ogni membro della famiglia nel computo delle aliquote delle imposte regionali e locali. E un nuovo computo delle tariffe dei servizi improntata ad una progressiva diminuzione delle tariffe stesse al crescere del numero dei componenti familiari (acqua, luce, trasporti).
In conclusione il Manifesto del Forum indica le priorità per la prossima legislatura, e cioè l’approvazione e - dove già esiste - piena applicazione della legge regionale sulla famiglia: che sia adeguatamente finanziata, preveda provvidenze per le singole famiglie, istituisca una consulta regionale delle associazioni familiari, realizzi un’effettiva sussidiarietà verso le famiglie e le associazioni familiari che si impegnano ad offrire servizi (albo delle associazioni familiari), e consideri un momento pubblico di verifica con cadenza annuale o biennale (conferenza regionale sulla famiglia).
Tra le priorità per la prossima legislatura, viene proposta l’istituzione della V.I.F. (Valutazione di Impatto Familiare) secondo cui ogni decisione che possa riguardare anche indirettamente la famiglia deve essere preceduta e corredata da una valutazione in grado – se negativa – di imporre la riprogrammazione del provvedimento ovvero la sua decadenza.
Infine, si evidenzia la necessità di una valutazione del nuovo regime di federalismo fiscale e delle sue ricadute sulla famiglia, cogliendo l’opportunità per giungere ad un fisco regionale a misura di famiglia e l’approvazione di specifici provvedimenti per sostenere la stabilità e arginare la crisi della famiglia, con percorsi di formazione per fidanzati e giovani coppie, servizi di consulenza e conciliazione coniugale e mediazione familiare.
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La vocazione di custodire un miracolo eucaristico
Parla il sacerdote francescano Paolo Spring
SIENA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il sacerdote francescano Paolo Spring ha dal 1997 una missione pienamente relazionata alla sua vocazione: avere cura del miracolo eucaristico che si trova nella Basilica di San Francesco a Siena.
Ogni settimana riceve decine di gruppi di pellegrini, dai bambini che si preparano alla Prima Comunione agli stranieri che approfittano del viaggio in questa città d'arte, storia e spiritualità per vedere uno dei miracoli eucaristici più impressionanti: quello di 223 ostie consacrate da 280 anni intatte in una delle cappelle laterali della Basilica.
Accogliendo i fedeli, il sacerdote racconta loro la storia del miracolo in inglese o in italiano, ed egli stesso, narrandola, si meraviglia di fronte a questo fatto, come la prima volta che ha ascoltato la vicenda.
"Vengono da tutto il mondo, dove ci sono i cattolici, vengono per il miracolo. Quando arrivano cantano, pregano, si stupiscono, piangono di gioia", ha detto il sacerdote a ZENIT.
Un'allegria che contagia e rinnova il sacerdote, anche se conosce la storia da molto tempo. Ricorda ancora la prima volta in cui ha visto queste ostie: "Sono venuto qui alla fine degli anni '70 in un pellegrinaggio, ho conosciuto fino in fondo il miracolo e ho pensato: 'Deve essere ben custodito, fatto conoscere, bisogna operarsi perché chi viene lo capisca e se ne vada con questo miracolo nel cuore'".
Un miracolo che si rinnova quotidianamente
Era il 1730. Il 14 agosto, vigilia della festa dell'Assunzione della Vergine Maria, in tutte le chiese di Siena i sacerdoti consacrarono ostie addizionali per chi volesse ricevere il corpo di Cristo il giorno dopo.
La notte, tutti i sacerdoti di Siena si riunirono nella Cattedrale della città per una veglia e lasciarono le proprie chiese incustodite. Alcuni ladri ne approfittarono ed entrarono nella Basilica di San Francesco per rubare la pisside d'oro con le ostie consacrate.
Il mattino dopo si resero conto che le ostie non c'erano, e per la strada un fedele trovò la parte superiore della pisside. Fu così provato che era stato rubato il Corpo di Cristo. Gli abitanti di Siena iniziarono a pregare perché le ostie ricomparissero.
Tre giorni dopo, mentre un uomo stava pregando nella chiesa di Santa Maria in Provenzano, molto vicino alla Basilica di San Francesco, notò che c'era qualcosa di bianco in una cassa destinata alle donazioni ai poveri. Venne subito informato l'Arcivescovo.
La cassa venne aperta e conteneva le 351 ostie consacrate, il numero esatto di quelle che erano state rubate. Quei tre giorni sembrarono quelli tra la Crocifissione e la Resurrezione, afferma padre Spring. Le ostie erano piene di polvere e ragnatele; i sacerdoti le ripulirono con estrema cura.
Ci fu poi una giornata di adorazione e riparazione. Migliaia di fedeli arrivarono alla Basilica per ringraziare per il ritrovamento delle ostie, che non vennero distribuite a quanto pare perché i francescani volevano che i pellegrini le adorassero fino al momento in cui si sarebbero deteriorate (visto che quando si deteriorano scompare la presenza reale di Cristo).
Le ostie rimasero però intatte e con un odore gradevole. La gente iniziò a considerarle miracolose e sempre più pellegrini andavano a pregare davanti a loro. Poche di esse vennero distribuite in occasioni speciali.
Oggi, 280 anni dopo, restano 223 ostie che presentano lo stesso stato che avevano il giorno in cui vennero consacrate. Sono state esaminate in varie fasi, e fisicamente conservano tutte le caratteristiche di un'ostia appena fatta, ha spiegato padre Paolo.
Nel 1914 iniziò l'esame più rigoroso di questo miracolo su disposizione di Papa San Pio X. "Le Sacre Particole risultarono in perfetto stato di consistenza, lucide, bianche, profumate e intatte", ha detto padre Spring.
Si concluse anche che le ostie rubate erano state preparate senza precauzioni scientifiche e conservate in condizioni ordinarie, che in circostanze normali avrebbero dovuto provocare un rapido deterioramento.
Il 14 settembre 1980, Papa Giovanni Paolo II si recò a Siena per celebrare i 250 anni di questo Miracolo Eucaristico. Hanno pregato davanti a queste ostie sante anche personaggi come San Giovanni Bosco e il beato Papa Giovanni XXIII.
Per padre Spring, il miracolo eucaristico di Siena "rappresenta una prova dell'amore di Dio verso di noi, e la presenza per sostenerci contro i dubbi, le difficoltà, il miracolo con il quale Dio Padre sta aiutando la Chiesa a non aver paura, a vivere alla presenza del suo fondatore mandato dal Padre per fare la sua volontà".
"Qui succedono cose miracolose", ha dichiarato padre Spring indicando le ostie consacrate da quasi tre secoli. "Il tempo non esiste, è bloccato".
Il sacerdote spiega poi il secondo miracolo: "I corpi composti e le sostanze organiche sono soggette a marcire. Per queste ostie non ci sono né i funghi, né altri elementi. E' un miracolo vivente continuo, non è come altri miracoli, si rinnova ogni giorno. Non sappiamo fino a quando il Signore lo farà", ha concluso.
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Segnalazioni
Una nuova apologetica per un nuovo millennio
Congresso di Apologetica presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dieci anni fa il libro di Spencer Johnson “Chi ha spostato il mio formaggio?” è diventato un bestseller internazionale tradotto in quaranta lingue con ventuno milioni di copie stampate negli Stati Uniti.
La parabola racconta il comportamento di due topolini e due gnomi che si trovano a fronteggiare dei cambiamenti inattesi nella loro costante ricerca di un formaggio. Il cibo è una metafora di ciò che noi uomini vorremmo avere dalla vita. Il labirinto in cui vivono è il luogo in cui cerchiamo ciò che desideriamo. Alla fine, solo uno dei quattro personaggi affronta il mutamento con successo.
Il Cristianesimo ha l’unico “formaggio” capace di soddisfare la brama di felicità degli uomini. Il formaggio d’oggi, però, come è successo nei secoli scorsi, è stato spostato, perché le circostanze della cultura odierna – il “labirinto” in cui viviamo – sono notevolmente cambiate. Il formaggio non si trova più nei classici magazzini del passato. Bisogna cercarlo in corridoi ancora inesplorati.
L’apologetica è la scienza razionale che traccia una mappa del giusto itinerario per raggiungere il formaggio del Cristianesimo, che è la fede nella persona di Cristo.
Se il formaggio è stato spostato nel labirinto di una cultura sempre più secolarizzata, relativista e gnostica, l’apologetica ha il compito e la responsabilità di ri-tracciare una nuova mappa per aiutare gli uomini del nostro tempo a trovarlo.
Inoltre, le sfide culturali attuali pongono i cattolici di oggi di fronte all’esigenza di approfondire i motivi di credibilità della loro fede per proclamarla in maniera convincente ed esporre i contenuti della rivelazione in un linguaggio e con categorie di pensiero comprensibili ai contemporanei.
“L’apologetica è pressoché scomparsa, ma il bisogno della stessa è perenne, come dimostra un esame della storia del pensiero cristiano”, ha scritto recentemente il Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. “Pertanto, ritengo che una ‘nuova’ apologetica non sia solo attuale, ma anche urgente dal punto di vista sia scientifico sia pastorale”.
Proprio per proporre una “nuova” apologetica, l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (via degli Aldobrandeschi 190, Roma) ha organizzato quest’anno un Congresso internazionale intitolato “Una nuova apologetica per un nuovo millennio” che si svolgerà dal 29 al 30 aprile 2010, dalle 9:15 alle 17:30, presso l’auditorium “Giovanni Paolo II” dell’Ateneo.
Il congresso sarà aperto con l’intervento del Cardinale William Levada. Come relatori e moderatori participeranno alcuni dei principali apologeti italiani: Gianpaolo Barra - direttore del Centro Culturale e della rivista d’apologetica “Il Timone” -, Rino Cammilleri, Giacomo Samek Lodovici, don Pietro Cantoni, Corrado Gnerre, Antonio Gaspari, padre François-Marie Dermine in qualità di presidente nazionale del GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa) e Giuseppe Ferrari, segretario nazionale del GRIS.
Le riflessioni di carattere filosofico e teologico sulla nuova apologetica verranno offerte da mons. Giuseppe Lorizio, padre Pedro Barrajón, don Nunzio Capizzi, padre Rafael Pascual, padre Jesús Villagrasa e padre Alfonso Aguilar, direttore del Centro Pascal, una nuova associazione culturale di carattere apologetico.
Sulle questioni esistenziali dell’apologetica e la pastorale universitaria interverrà padre Florencio Sánchez, direttore dell’Istituto Newman, un centro d’apologetica con sede all’Università Francisco de Vitoria di Madrid.
“Proprio perché la fede è poco conosciuta e molto criticata – ha sottolineato padre Pedro Barrajón, Rettore dell’Ateneo Pontificio 'Regina Apostolorum' –, dobbiamo essere ‘pronti sempre a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi’, come ci avverte San Pietro (1 Pt 3,15)”.
Ciò corrisponde al desiderio che Papa Giovanni Paolo II esprimeva ad alcuni Vescovi il 7 maggio 2002: “È essenziale sviluppare nelle vostre Chiese particolari una nuova apologetica per il vostro popolo affinché possa capire ciò che la Chiesa insegna ed essere quindi in grado di dare ragione della propria speranza”.
Durante il congresso si rifletterà innanzitutto sull’urgenza e attualità dell’apologetica per tentare di identificare le caratteristiche proprie della nuova apologetica nel contesto culturale e religioso odierno. Verrà anche esaminato il rapporto dell’apologetica con le scienze sacre e profane – teologia, filosofia, storia, scienze sociali e naturali – con l’obiettivo di trovare spunti di pensiero per il rinnovamento dell’apologetica.
Per maggiori informazioni: www.upra.org; Tel. 06 66 54 38 28 / 06 66 54 38 54; Email: pinfurna@upra.org - renato.zeuli@upra.org.
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Interviste
La tre giorni della Croce a 10 anni dalla Gmg di Tor Vergata
Parla padre Mauro Oliva, cappellano di questa Università di Roma
di Silvia Gattas
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Sta viaggiando in lungo e in largo. Ha attraversato i cinque continenti, toccando ogni angolo del Pianeta. Ha percorso chilometri e chilometri, passando di mano in mano. Ora la Croce della Giornata mondiale della gioventù (Gmg), quel semplice pezzo di legno simbolo del popolo giovane di Giovanni Paolo II, sta facendo un percorso insolito e meraviglioso, nelle università di Roma.
Dopo aver visitato la Cappella della Sapienza, il Campus biomedico, la Lumsa, e le università pontificie, la croce della Gmg arriverà all’Università di Tor Vergata il 23 marzo, di pomeriggio, e ci resterà fino a giovedì, quando verrà trasferita a piazza San Pietro, per l’incontro dei giovani con il Papa, alla vigilia della Domenica delle Palme, quando si festeggia anche la 25esima Giornata Mondiale della Gioventù che quest’anno si celebra a livello diocesano.
“Martedì sera, quando arriverà la Croce – ha detto a ZENIT padre Mauro Oliva, oblato di Maria Vergine, cappellano dell’Università Tor Vergata - si terrà un’importante celebrazione nella cappella dell’Università, con un’omelia che farà memoria del grande dono della Gmg che Giovanni Paolo II ha voluto fare ai giovani di tutto il mondo”.
“Il 24 sera invece ci sarà la Via Crucis, presieduta da monsignor Giuseppe Marciante – ha spiegato –. Il 25, alle 13.15, si terrà l’ultimo momento prima che la Croce venga trasferita a piazza San Pietro. La celebrazione sarà presieduta da don Paolo Pizzuti, prefetto della XVII prefettura della diocesi”.
“In quest’occasione – ha continuato padre Oliva –, verrà celebrato il decimo anniversario della Gmg di Tor Vergata, dove nel 2000 si radunarono due milioni di giovani e Giovanni Paolo II parlò loro in modo speciale della Croce. Durante queste tre giornate la Croce della Gmg sarà esposta nella Cappella dell’Università e potrà essere venerata da tutti i giovani universitari, ma anche dai fedeli che lo desiderano”.
Come si stanno preparando i giovani universitari per queste tre giornate?
Padre Mauro Oliva: I giovani parteciperanno a questi tre momenti importanti, e si stanno già preparando ad accogliere la Croce. Dieci di loro la porteranno al Papa la sera di giovedì.
Cosa significa per lei, come cappellano, ricordare i dieci anni della Gmg di Roma?
Padre Mauro Oliva: Dieci anni fa, nel 2000, io ero in una parrocchia della diocesi di Tivoli ad accogliere migliaia di giovani che avrebbero poi partecipato alla Gmg a Tor Vergata. Il Papa risvegliò la fede dei giovani, un evento che trasformò e trasforma ancora tante vite. Oggi accogliere la Croce significa accogliere un momento di grazia per i nostri giovani universitari. Proprio in un momento in cui a livello legislativo si è voluto togliere la croce dai luoghi pubblici, il popolo italiano ha dato testimonianza di voler salvaguardare i valori e la radice cristiana del Paese. E i nostri universitari guardano molto ai valori, sono molto attenti anche agli esempi. E il crocifisso è l’esemplarità di Cristo, che è l’esempio di un amore assoluto e questo è ciò di cui hanno bisogno.
“Il pellegrinaggio della Croce – ha spiegato monsignor Lorenzo Leuzzi, responsabile della pastorale universitaria della diocesi di Roma - è l’occasione propizia affinché gli studenti universitari prendano coscienza che il Signore li raggiunge ovunque essi siano, e che la loro esperienza di studio non è marginale rispetto alla loro esperienza di fede”.
“La domanda – ha aggiunto monsignor Leuzzi –: ‘Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?’, che costituisce il tema della XXV Giornata Mondiale della Gioventù, intende sollecitare una riflessione dei giovani in merito alla loro vita di ricerca e di studio come luogo in cui è doveroso e possibile un incontro concreto e trasformante con Cristo”.
“La Croce, infatti, non è solo un simbolo, ma è anche il segno effettivo che nelle università i giovani possono incontrare Cristo attraverso le cappellanie universitarie”, ha poi concluso.
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Tutto Libri
Omaggio artistico ai sacerdoti
Un libro rende un tributo visivo al sacerdozio
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- Sono tempi difficili in cui essere un sacerdote cattolico. Tra i mezzi di comunicazione rabbiosi e i sempre più numerosi laici volubili, chi risponde davvero alla chiamata di Dio non lo sta facendo per la gloria temporale. L'attenzione incessante su pochi sacerdoti peccatori ha oscurato il continuo bene che la maggior parte compie nei suoi silenziosi ministeri: celebrare Messe, ascoltare confessioni e pregare per il proprio gregge.
Mercoledì scorso, nel maestoso Palazzo Ruspoli di Via del Corso a Roma, la straordinaria mecenate Liana Marabini ha dato una dimostrazione di amore e apprezzamento per i sacerdoti nella presentazione del libro The Priest; The Image of Christ Through Centuries of Art ("Il sacerdote; l'immagine di Cristo attraverso secoli d'arte"), dell'autore danese Steen Heidemann (il libro è pubblicato in inglese da Gracewing).
Il testo offre oltre 500 immagini di sacerdoti e del sacerdozio, alcune del primo periodo dell'arte cristiana, altre di grandi epoche della pittura, e un numero sorprendente di interessanti immagini contemporanee. Ciascuna di queste riproduzioni di alta qualità è accompagnata da una riflessione, un saggio scritto da un sacerdote.
"Volevo offrire un lavoro che sostenesse e mostrasse i sacerdoti del nostro mondo attuale", ha detto Heidemann. Ispirato all'indizione dell'Anno Sacerdotale da parte di Papa Benedetto, che culminerà in un incontro, a giugno, dei sacerdoti di tutto il mondo, Heidemann ha utilizzato il linguaggio universale dell'arte, cercando opere di vari angoli del mondo, di ogni epoca, per sottolineare la dignità del sacerdote come alter Christus. Questo libro, pubblicato in sei lingue, è il dono del mondo dell'arte all'Anno Sacerdotale.
Oltre a tradurre e pubblicare le edizioni di questo vulme splendidamente illustrato, Liana Marabini ha anche pensato a una presentazione che sembrava un'orchestra, con l'Arcivescovo Raymond Burke, l'abate Michael John Zielinski e monsignor Gilles Wach che hanno condiviso riflessioni sul sacerdozio.
Ha moderato questi ecclesiastici simili ai tre tenori Andrea Tornielli, che ha sottolineato il lavoro quotidiano dei sacerdoti, spesso poco compreso. I presbiteri di parrocchia che aprono la chiesa, offrono i sacramenti e si prendono cura dei propri fedeli nel loro "ministero occulto" sono eroi anonimi.
Pur se dimenticati dalla stampa, interessata solo agli scandali, salvano anime e cambiano vite senza strombazzamenti o addirittura senza riconoscimento.
Se l'Arcivescovo Burke ha intonato un ritornello dolce ma costante sul carattere centrale dell'Eucaristia nella vita e nel ministero del sacerdote, offrendo una breve riflessione sulla vita del Curato d'Ars, monsignor Wach, superiore dell'Istituto Pontificio Cristo Re, ha fornito le percussioni con un colpo alla spiritualità New Age, segnalando che la spiritualità del sacerdote gira intorno al dare, come Cristo ha donato se stesso, a differenza del moderno assioma del prendere.
I pensieri appassionati e poetici dell'abate Zielinski sembravano un'Ode al Sacerdozio, quando ha riflettuto sul potere delle immagini. L'abate ha osservato che nella Scrittura dimenticare significa "cadere dal cuore di qualcuno". La memoria mantenuta viva attraverso le immagini, rinnovata di generazione in generazione, ci esorta ad amare la figura del sacerdote, "che si insinua ovunque, in tempi ostili e tra le tormente", per "rendere contemporaneo Gesù".
Heidemann ha avuto un'idea geniale per rendere Gesù "contemporaneo", cercando artisti di tutto il mondo ed esortandoli a realizzare nuovi dipinti di sacerdoti come immagine di Cristo. Nelle pagine del libro, queste interessanti opere si trovano accanto agli sforzi del Beato Angelico e di Raffaello. I dipinti, alcuni dei quali piuttosto sorprendenti, si basano sulle parole di Benedetto XVI, che ha raccomandato agli artisti di lavorare in continuità con il passato senza copiarlo.
La stampa secolare può dipingere un'immagine negativa, ma il libro di Heidemann ricorda che non c'è niente di più bello della Verità.
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* Elizabeth Lev è docente di Arte e Architettura Cristiane nel campus italiano della Duquesne University e nel programma di Studi Cattolici dell'Università San Tommaso. Può essere contattata all'indirizzo lizlev@zenit.org.
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Forum
La Lettera del Papa sugli abusi e la rivoluzione culturale degli anni '60
di Massimo Introvigne*
ROMA, lunedì, 22 marzo 2010 (ZENIT.org).- È evidente che la “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” di Benedetto XVI non è rivolta ai sociologi. Il Papa parla a una Chiesa ferita e disorientata dalle notizie relative ai preti pedofili. Denuncia con voce fortissima i “crimini abnormi”, “la vergogna e disonore”, la violazione della dignità delle vittime, il colpo inferto alla Chiesa “a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione”.
A nome della Chiesa “esprime apertamente la vergogna e il rimorso”. Affronta il problema dal punto di vista del diritto canonico – ribadendo con forza che è stata la sua “mancata applicazione” da parte talora anche di vescovi, non le sue norme come una certa stampa laicista pretenderebbe, a causare la “vergogna” – e della vita spirituale dei sacerdoti, la cui trascuratezza è alle radici del problema e cui chiede di ritornare attraverso l’adorazione eucaristica, le missioni, la pratica frequente della confessione. Se questi rimedi saranno presi sul serio è possibile che la Provvidenza, che sa trarre il bene anche dal peggiore di mali, possa nell’Anno Sacerdotale avviare per i sacerdoti “una stagione di rinascita e di rinnovamento spirituale”, dimostrando “a tutti che dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia (cfr Rm 5, 20)”. Peraltro, “nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo”.
Tuttavia il Papa – che pure non intende certamente rubare il mestiere ai sociologi – offre anche elementi d’interpretazione delle radici di un problema che, certo, “non è specifico né dell’Irlanda né della Chiesa”. Dopo avere evocato le glorie plurisecolari del cattolicesimo irlandese – una storia di santità che non può e non deve essere dimenticata –, Benedetto XVI fa cenno agli ultimi decenni e alle “gravi sfide alla fede scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”.
“Si è verificato – spiega il Papa – un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. C’è stata una “rapida” scristianizzazione della società, e c’è stata contemporaneamente anche all’interno della Chiesa “la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo”. “Il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso”. “Molto sovente le pratiche sacramentali e devozionali che sostengono la fede e la rendono capace di crescere, come ad esempio la frequente confessione, la preghiera quotidiana e i ritiri annuali” furono “disattese”. “È in questo contesto generale” di “indebolimento della fede” e di “perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti” “che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi”.
In questo quarto paragrafo della “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” Benedetto XVI entra su un terreno che è anche quello del sociologo, e che naturalmente non è rigidamente separato dagli altri elementi d’interpretazione. Certo, le norme del diritto canonico furono violate. Certo, la vita di pietà di molti sacerdoti si affievolì. Ma perché, precisamente, questo avvenne? E quando? Riprendendo temi familiari del suo magistero, Benedetto XVI elenca fra le cause il “fraintendimento” del Concilio – altrove ha parlato di una “ermeneutica della discontinuità e della rottura” –, non i documenti del Vaticano II in se stessi. Ma anche questo “fraintendimento” fu possibile in un quadro generale da cui la Chiesa non poteva completamente tenersi fuori, e che oggi è al centro di un vasto dibattito.
Benedetto XVI entra così nel vasto dibattito che è al centro della sociologia delle religioni contemporanea, quello sulla “secolarizzazione”. Il dibattito è stato particolarmente caldo alla fine del secolo XX, ma – anche attraverso scambi fra studiosi non sempre cortesi – è arrivato a un risultato che oggi la maggior parte dei sociologi condivide. Se le dimensioni della religione sono tre – le “tre B”, in inglese “believing” (credere), “belonging” (appartenere) e “behaving” (comportarsi) – tutti concordano che non c’è, in Occidente – perché è dell’Occidente che si parla, mentre per l’Africa o per l’Asia i termini sono diversi –, una significativa secolarizzazione delle credenze (believing).
La grande maggioranza delle persone si dichiara ancora credente. Nonostante un’attiva propaganda, il numero degli atei non aumenta. È invece chiaro a tutti che c’è un’ampia secolarizzazione dei comportamenti (behaving). Dal divorzio all’aborto e all’omosessualità la società e le leggi tengono sempre meno conto dei precetti delle Chiese. Il dibattito rimane vivo sulla secolarizzazione delle appartenenze (belonging) e sulla diminuzione della pratica religiosa, perché sul modo di raccogliere le statistiche ci sono molte polemiche e fra Stati Uniti ed Europa, così come fra diversi Paesi europei, i numeri variano. Non c’è dubbio, però, che in alcuni Paesi il numero di praticanti cattolici e protestanti sia sceso in modo particolarmente drastico negli ultimi cinquant’anni e che fra questi ci siano le Isole Britanniche, anche se in Irlanda le cifre assolute, pure in discesa, rimangono più alte della media europea.
Attenuatesi le polemiche sulla nozione di secolarizzazione, il dibattito si è ampiamente spostato sulle cause e le date d’inizio del processo, con un fitto dialogo fra storici e sociologi. Oltre una decina di anni di discussioni ha convinto la maggioranza degli studiosi che non si è trattato di un processo graduale. C’è stata una drammatica accelerazione della secolarizzazione – dei comportamenti e delle appartenenze, non delle credenze – negli anni 1960. Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano “the Sixties” (“gli anni Sessanta”) e noi, concentrandoci sull’anno emblematico, “il Sessantotto” appare sempre di più come il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione.
C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, una contestazione che secondo un pregevole e influente studio del filosofo americano recentemente scomparso Ralph McInerny – Vaticano II - Che cosa è andato storto? – rappresenta un punto di non ritorno nella crisi del principio di autorità nella Chiesa Cattolica.
Ci si può anche chiedere se sia venuto prima l’uovo o la gallina, cioè se sia stato il Sessantotto nella società a influenzare quello nella Chiesa, o se non sia anche avvenuto il contrario. All’inizio degli anni 1990 un teologo cattolico poteva per esempio scrivere che la “rivoluzione culturale” del 1968 “non fu un fenomeno d’urto abbattutosi dall’esterno contro la Chiesa bensì è stata preparata e innescata dai fermenti postconciliari del cattolicesimo”; lo stesso “processo di formazione del terrorismo italiano dei primi anni ’70”, il cui legame con il 1968 è a sua volta decisivo “rimane incomprensibile se si prescinde dalla crisi e dai fermenti interni al cattolicesimo postconciliare”. Il teologo in questione era il cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel suo libro Svolta dell’Europa?.
Ma – ancora – perché gli anni 1960? Sul tema, per rimanere nelle Isole Britanniche, Hugh McLeod ha pubblicato nel 2007 presso Oxford University Press, un importante volume – The Religious Crisis of the 1960s – che fa il punto sulle discussioni in corso. Due tesi si sono contrapposte: quella di Alan Gilbert secondo cui a determinare la rivoluzione degli anni 1960 è stato il boom economico, che ha diffuso il consumismo e ha allontanato le popolazioni dalle chiese, e quella di Callum Brown secondo cui il fattore decisivo è stata l’emancipazione delle donne dopo la diffusione dell’ideologia femminista, del divorzio, della pillola anticoncezionale e dell’aborto. McLeod pensa, a mio avviso giustamente, che un solo fattore non può spiegare una rivoluzione di questa portata. C’entrano il boom economico e il femminismo, ma anche aspetti più strettamente culturali sia all’esterno delle Chiese e comunità cristiane (l’incontro fra psicanalisi e marxismo) sia all’interno (le “nuove teologie”).
Senza entrare negli elementi più tecnici di questa discussione, Benedetto XVI nella sua “Lettera” si mostra consapevole del fatto che ci fu negli anni 1960 un’autentica rivoluzione, non meno importante della Riforma protestante o della Rivoluzione francese, che fu “rapidissima” e che assestò un colpo durissimo alla “tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici”. Con molto acume un pensatore cattolico brasiliano, Plinio Corrêa de Oliveira, parlò a suo tempo di una Quarta Rivoluzione – successiva appunto alla Riforma, alla Rivoluzione francese e a quella sovietica – più radicale delle precedenti perché capace di penetrare “in interiore homine” e di sconvolgere non solo il corpo sociale, ma il corpo umano.
Nella Chiesa Cattolica della portata di questa rivoluzione non ci fu subito sufficiente consapevolezza. Anzi, essa contagiò – ritiene oggi Benedetto XVI – “anche sacerdoti e religiosi”, determinò fraintendimenti nell’interpretazione del Concilio, causò “insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati”.
In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni Sessanta, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili: sappiamo dalle statistiche che il numero reale dei preti pedofili è molto inferiore a quello proposto da certi media. E tuttavia questo numero non è uguale – come tutti vorremmo – a zero, e giustifica le severissime parole del Papa. Ma lo studio della “Quarta Rivoluzione” degli anni 1960, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali.
Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi. E abbiamo tutti molto bisogno del Papa: di questo Papa, che ancora una volta – per riprendere il titolo della sua ultima enciclica – dice la verità nella carità e pratica la carità nella verità.
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*Massimo Introvigne è sociologo e Direttore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni).
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