lunedì 12 aprile 2010

[ZI100412] Il mondo visto da Roma

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 12 aprile 2010

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Dolore di Benedetto XVI per la tragedia di Rio de Janeiro
I morti per le piogge e gli smottamenti sono già 229

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha espresso la sua vicinanza alla popolazione di Rio de Janeiro, che soffre per le forti piogge che flagellano lo Stato dall'inizio della settimana scorsa e hanno già provocato 229 morti.

In una nota inviata giovedì all'Arcivescovo di Rio de Janeiro, monsignor Orani João Tempesta, firmata dal Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, il Papa afferma di essere stato informato “delle tragiche conseguenze delle inondazioni che hanno seminato morte e devastazione tra tante famiglie dello Stato di Rio de Janeiro”.

“Il Sommo Pontefice desidera assicurare a ogni comunità locale la sua vicinanza, raccomandando le vittime alla misericordia di Dio e supplicando conforto e sostegno per le loro famiglie, i feriti e quanti hanno perso i propri beni”, dichiara il testo.

“Su tutti coloro che sono stati provati da questo dramma, senza dimenticare le persone che partecipano alle operazioni di soccorso e assistenza, Sua Santità Benedetto XVI invoca le confortatrici grazie divine, in pegno delle quali concede la paterna benedizione apostolica”, termina il testo.

La Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) ha divulgato una nota giovedì in cui afferma di accompagnare, “costernata e con profondo dolore, la tragedia provocata dalle piogge che hanno colpito lo Stato di Rio de Janeiro in questi ultimi giorni, lasciando un triste saldo di migliaia di sfollati e di centinaia di morti”.

“Riteniamo irreparabili il dolore e la sofferenza di quanti hanno perso familiari, amici, la casa e i beni che permettevano di vivere con dignità”.

“La compassione, manifestata negli innumerevoli gesti di solidarietà che nascono spontaneamente dal popolo brasiliano, deve essere un rimedio per attenuare il dolore ed esortare la speranza di quanti sono stati più direttamente colpiti da questa calamità senza precedenti”, afferma la nota della CNBB.

L'organismo episcopale ha anche espresso il proprio sostegno alle campagne lanciate dalle Arcidiocesi di Rio de Janeiro e di Niterói a favore delle vittime.

“Insieme alla nostra donazione, intensifichiamo anche la preghiera, supplicando Dio di confortare e consolare il cuore di quanti, in questo momento, a causa del dolore, sono sfiduciati nella loro fede e nella speranza”.

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Il Papa: "ruolo fondamentale" di Pio XII nella Roma occupata
Presentato a Benedetto XVI un nuovo film su Papa Pacelli

di Inma Álvarez

CASTEL GANDOLFO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha sottolineato il “ruolo fondamentale del Venerabile Pio XII nella salvezza di Roma e di tanti perseguitati, tra il 1943 e il 1944”, dopo aver assistito alla proiezione del film “Sotto il cielo di Roma” venerdì 9 aprile.

La pellicola, una coproduzione internazionale, narra i tragici momenti vissuti da Roma tra la resa dell'Esercito italiano agli Alleati, l'8 settembre 1943, e la liberazione della città, il 4 giugno 1944. In quei mesi, Roma fu sottoposta all'occupazione tedesca.

Secondo il Papa, “pur nel genere divulgativo, si tratta di un lavoro che, anche alla luce degli studi più recenti, vuole ricostruire quelle drammatiche vicende e la figura del 'Pastor Angelicus'”.

“Pio XII è stato il Pontefice della nostra giovinezza. Con il suo ricco insegnamento ha saputo parlare agli uomini del suo tempo indicando la strada della Verità e con la sua grande saggezza ha saputo orientare la Chiesa verso l’orizzonte del Terzo Millennio”, ha sottolineato.

Più di tutto, ad ogni modo, il Papa ha voluto rimarcare come “Pio XII sia stato il Papa, che, come padre di tutti, ha presieduto alla carità a Roma e nel mondo, soprattutto nel difficile tempo del Secondo Conflitto Mondiale”.

“Il primato della carità, dell’amore – che è il comandamento del Signore Gesù: questo è il principio e la chiave di lettura di tutta l’opera della Chiesa, in primis del suo Pastore universale”.

La carità, ha aggiunto, “è la ragione di ogni azione, di ogni intervento. E’ la ragione globale che muove il pensiero e i gesti concreti, e sono lieto che anche da questo film emerga tale principio unificante”.

“Mi permetto di suggerire questa chiave di lettura, alla luce dell’autentica testimonianza di quel grande maestro di fede, di speranza e di carità che è stato il Papa Pio XII”.

Pellicole come questa, ha proseguito, “pensate per il grande pubblico, con i mezzi più moderni, e al tempo stesso mirate ad illustrare personaggi o vicende del secolo scorso, rivestono particolare valore soprattutto per le nuove generazioni”.

“Per chi, a scuola, ha studiato certi avvenimenti, e forse ne ha anche sentito parlare, film come questo possono essere utili e stimolanti e possono aiutare a conoscere un periodo che non è affatto lontano, ma che le vicende incalzanti della storia recente ed una cultura frammentata possono far obliare”, ha concluso.

“Sotto il cielo di Roma” è una miniserie prodotta all'inizio dell'anno da Lux Vide per la RAI, diretta dal canadese Christian Duguay (regista di “Sant'Agostino”, miniserie sul Santo presentata a Benedetto XVI il 3 settembre dello scorso anno).

I protagonisti sono James Cromwell (“Babe, maialino coraggioso” e “Star Trek: Primo Contatto”), nel ruolo di Pio XII, e Alessandra Mastronardi (“I Cesaroni”) e Marco Foschi (“Aldo Moro - Il presidente”) nel ruolo dei giovani ebrei Miriam e Davide, che riescono a fuggire all'assalto del ghetto di Roma nascondendosi in un convento.

Nel film si affrontano questioni come l'ordine di Hitler di sequestrare il Papa e il rifiuto di quest'ultimo di abbandonare il Vaticano, l'operato della Chiesa per soccorrere gli ebrei di Roma e l'assistenza a una popolazione afflitta da fame e privazioni.

Per questo progetto, si è “lavorato sui documenti per la causa di beatificazione di Pio XII e il suo rapporto col nazismo”, ha affermato la Lux Vide.

Il film si inserisce così “nel dibattito acceso che getta nuova luce sul pontificato di Papa Pacelli, arricchendosi della testimonianza sul piano per rapirlo durante l'occupazione tedesca di Roma. Tutto converge in questo racconto di grande intensità drammatica”, in cui si narra anche l'opposizione alla barbarie da parte di alcuni militari tedeschi.

La miniserie verrà trasmessa dalla RAI, probabilmente in autunno.

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La Santa Sede pubblica una guida sulla procedura nei casi di abuso
Per spiegare il funzionamento della Congregazione per la Dottrina della Fede

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Da questo lunedì, il sito web della Santa Sede offre una Guida per comprendere le procedure di base adottate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede di fronte ai casi di denuncia per abusi sessuali.

Lo ha reso noto la “Radio Vaticana”, spiegando che “non si tratta di un nuovo documento ma di una scheda riassuntiva di procedure operative già definite che possa essere di aiuto per laici e non canonisti” al momento di comprendere l'azione della Congregazione.

Le procedure, spiega l'emittente pontificia, “si rifanno al Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (MP SST) del 30 aprile 2001 e al Codice di Diritto Canonico del 1983”.

Questa procedura, in vigore dal 2001, inizia quando una Diocesi indaga sul sospetto di abusi sessuali da parte di un religioso. Quando il sospetto risulta verosimile, il caso viene trasferito alla Congregazione.

“Il Vescovo locale trasmette ogni informazione necessaria alla Cdf (Congregazione per la Dottrina della Fede) ed esprime la propria opinione sulle procedure da seguire e le misure da adottare a breve e a lungo termine. Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda la denuncia di tali crimini alle autorità civili”.

Dalla fase preliminare e fino alla conclusione del caso, il Vescovo può imporre misure precauzionali. “In realtà, al Vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua Diocesi”, “prima, durante e dopo qualsiasi procedimento”.

Quanto alla procedura, la Congregazione studia il caso e chiede, se necessario, informazioni supplementari.

La Congregazione “può autorizzare il Vescovo locale a istruire un processo penale giudiziario davanti a un Tribunale ecclesiale locale”. Può anche autorizzarlo a istruire un processo penale amministrativo. Per fare appello alle sentenze emesse da un tribunale ecclesiastico, il sacerdote deve rivolgersi alla Congregazione, la cui sentenza sarà inappellabile.

Entrambi i procedimenti – giudiziario e amministrativo penale – possono comportare un certo numero di pene canoniche, inclusa la dimissione dallo stato clericale.

In casi particolarmente gravi, per abusi di minorio o quando le prove sono “schiaccianti”, la Congregazione può portare questo caso direttamente all'attenzione del Papa, chiedendogli di emettere un decreto, che sarà inappellabile, di dimissione dallo stato clericale.

Si presentano al Papa anche i casi di sacerdoti che, consapevoli dei crimini commessi, chiedono di essere dispensati.

Nel caso in cui il sacerdote accusato abbia ammesso i suoi crimini e abbia accettato di condurre una vita di preghiera e penitenza, la Congregazione autorizza il Vescovo a emettere un decreto che proibisca o limiti il ministero pubblico del sacerdote. Se questo decreto viene violato, c'è la dimissione dallo stato clericale.

La Guida (in inglese) può essere consultata su http://www.vatican.va/resources/resources_guide-CDF-procedures_en.html



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Cardinal Bertone: Malta sia fiera della sua eredità cristiana
La visita del Papa nel Paese, "momento di rinnovamento spirituale"

di Roberta Sciamplicotti

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Un momento di rinnovamento spirituale”: così il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, definisce la visita che Papa Benedetto XVI realizzerà a Malta il 17 e il 18 aprile.

In un messaggio diffuso in occasione del viaggio papale, il porporato spiega che il Pontefice “è molto ansioso di compiere la sua visita apostolica nelle isole maltesi”; “saluta tutti voi nella gioia del Signore Risorto e invoca su di voi le abbondanti benedizioni che sgorgano dalla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte e dal suo ingresso trionfante nella vita”.

Nei giorni di preparazione che rimangono prima del viaggio, scrive il Cardinale, “Sua Santità vi chiede di pregare che la sua visita sia un momento di rinnovamento spirituale per l'intera Chiesa a Malta e a Gozo”.

“Come Pietro è stato invitato dal Signore a confermare i suoi fratelli nella fede, così ora il Successore di Pietro viene tra di voi per rafforzarvi nel vostro impegno a seguire Gesù Cristo”.

Preziosa eredità

Il Cardinal Bertone sottolinea poi che Malta “è rimasta fermamente fedele a Cristo per molti secoli, e ha fatto tanto per difendere la fede, sia in patria che all'estero”.

“Potete essere fieri della vostra eredità cristiana, orgogliosi della testimonianza di molte generazioni di cattolici maltesi che hanno vissuto la propria fede con devozione esemplare e fieri del fervore apostolico con cui innumerevoli uomini e donne delle vostre isole si sono impegnati nell'attività missionaria, portando la Buona Novella di Gesù Cristo in luoghi lontani”, ha scritto ai maltesi.

“Il Santo Padre sa quanto siete attaccati alla vostra eredità, e vi invita ad approfondire questo attaccamento come realtà vivente e verità sempre importante, anche se nella società attuale corre il rischio di essere attaccata, ignorata o dimenticata”.

Valori non negoziabili

Malta, ricorda il Segretario di Stato vaticano nel suo messaggio, ribadisce “la necessità di difendere la santità del matrimonio, la centralità della famiglia per una società sana e il bisogno di proteggere la dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale”.

“Malta sa come prendersi cura dei membri più deboli e vulnerabili della società, inclusi i concepiti”, anche perché dà grande valore “alla vita familiare”.

La famiglia, sottolinea il Cardinale, “ci insegna a vivere in solidarietà in ogni settore della vita sociale e civile”. Come ha affermato Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, è inoltre “la prima e insostituibile educatrice alla pace”.

“Sono queste le grandi verità che Malta può testimoniare con autorevolezza e convinzione”, aggiunge.

“Nel momento in cui il popolo maltese celebra con particolare gioia il 1950° anniversario dell'arrivo di San Paolo sulle sue coste, il Santo Padre affida tutti voi all'intercessione di quel grande apostolo e missionario, che ha proclamato instancabilmente la Buona Novella del Signore crocifisso e risorto ai popoli del Mediterraneo”, prosegue il messaggio del porporato al popolo maltese.

In quest'Anno Sacerdotale, il Papa esorta infine “a valorizzare il grande dono del sacerdozio e a sostenere e pregare per i vostri sacerdoti, perché possano crescere in gratitudine a Dio e in fedeltà ed entusiasmo per il ministero”.

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Pubblicato il programma ufficiale della visita del Papa a Cipro
Dal 4 al 6 giugno prossimi

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI visiterà il 5 giugno l'Arcivescovado ortodosso di Nicosia, dove pranzerà con l'Arcivescovo di Cipro, Chrisostomos II.

L'incontro avverrà durante il viaggio in programma a Cipro dal 4 al 6 giugno 2010, il cui programma ufficiale è stato reso pubblico questo sabato dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Benedetto XVI ha previsto di partire venerdì 4 giugno alle 9.30 dall'Aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino (Roma), arrivando all'Aeroporto Internazionale di Paphos (Cipro) alle 14.00.

Il programma del viaggio include una cerimonia di benvenuto in cui il Papa pronuncerà un discorso.

Alle 15.15 è previsto il suo arrivo alla chiesa di Agia Kiriaki Chrysopolitissa di Paphos. Quindici minuti dopo, nell'area archeologica di questa chiesa si svolgerà una celebrazione ecumenica, nel corso della quale il Pontefice offrirà un discorso.

Il giorno dopo, Benedetto XVI ha previsto di realizzare una visita di cortesia al Presidente della Repubblica al Palazzo Presidenziale di Nicosia, alle 9.15.

Mezz'ora dopo, nel grande giardino del Palazzo, il Papa incontrerà le autorità di Cipro e il corpo diplomatico, a cui rivolgerà un discorso.

Alle 10.45 di sabato 5 giugno è previsto un incontro del Vescovo di Roma con la comunità cattolica di Cipro nel campo sportivo della scuola elementare di San Marone di Nicosia, dove offrirà un discorso.

Alle 12.15, il Papa effettuerà una visita di cortesia a Sua Beatitudine Chrisostomos II, Arcivescovo di Cipro, nell'Arcivescovado ortodosso di Nicosia. Il Pontefice pranzerà con il presule e con le rispettive delegazioni.

Nel pomeriggio, alle 17.30, Benedetto XVI presiederà una Messa – pronunciando l'omelia – con sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, catechisti e rappresentanti dei movimenti ecclesiali di Cipro nella chiesa parrocchiale della Santa Croce di Nicosia.

Alle 9.30 della domenica, si celebrerà nel Palazzo dello Sport Elefteria di Nicosia la Messa in occasione della pubblicazione dell'Instrumentum Laboris dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Il Papa presenterà il documento di lavoro per questa assemblea, che riunirà dal 10 al 24 ottobre 2010 in Vaticano Patriarchi, Vescovi e altri rappresentanti cristiani del Medio Oriente sul tema della comunione e della testimonianza della Chiesa cattolica in questa zona geografica piuttosto turbolenta.

Durante la Messa del 6 giugno a Nicosia, Benedetto XVI pronuncerà l'omelia, recitando poi l'Angelus.

Alle 13.00, il programma ufficiale prevede un pranzo con i Patriarchi e i Vescovi del Consiglio Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, con l'Arcivescovo ortodosso di Cipro e con i membri del seguito papale, nella Nunziatura Apostolica di Nicosia.

Alle 16.00 è previsto il congedo dalla Nunziatura, e mezz'ora dopo una visita alla Cattedrale maronita di Cipro, a Nicosia, in cui il Papa pronuncerà un saluto.

Alle 17.45, l'Aeroporto Internazionale di Larnaca accoglierà la cerimonia di congedo, in cui Benedetto XVI pronuncerà un discorso.

Alle 18.45 è prevista la partenza in aereo da Larnaca alla volta di Roma. L'arrivo all'Aeroporto Internazionale di Ciampino avverrà alle 20.45.

Il viaggio del Papa a Cipro è strategico, perché, oltre a presentare lo strumento di lavoro per l'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, propone temi fondamentali per questo pontificato.

Tra questi, figurano il dialogo con la Chiesa ortodossa locale, che dall'elezione dell'Arcivescovo Chrisostomos II è diventata un potente motore dell'ecumenismo, e quello con l'islam, a causa della presenza turca nell'isola divisa.

La visita del Pontefice nel Paese risponde anche all'invito rivolto dal Presidente della Repubblica di Cipro, Demitris Christofias, il 27 marzo 2009, quando è stato ricevuto in Vaticano.

Cipro, colonia britannica fino al 1960, si è divisa dopo l'indipendenza tra la popolazione di origine greca e quella di origine turca.

Dopo una serie di conflitti tra le due comunità, nel 1974 la Turchia ha invaso il nord del Paese, costituendo la Repubblica Turca del Nord di Cipro, non riconosciuta dalla comunità internazionale. Il Paese è entrato nell'Unione Europea nel 2004.

Ha una popolazione di quasi 800.000 abitanti, per il 78% greco-ortodossi e per il 18% musulmani.



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Chiarimento vaticano sul caso Maciel
In risposta a un articolo del settimanale tedesco "Stern"

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- E' “ridicolo” affermare che il Cardinale Joseph Ratzinger coprì il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, perché fu proprio il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede a promuovere l'inchiesta canonica contro di lui, ha spiegato giovedì scorso la Santa Sede.

Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa vaticana, ha risposto in questo modo alle interpretazioni pubblicate dal settimanale tedesco “Stern” con cui si cerca di attaccare il Papa per aver coperto le azioni di questo sacerdote, accusato di abusi sessuali.

“È paradossale - e per le persone informate ridicolo - attribuire al Cardinale Ratzinger responsabilità di copertura o insabbiamento di qualsiasi genere”, ha affermato il portavoce vaticano in una dichiarazione.

“Tutte le persone informate sanno che è stato merito del Cardinale Ratzinger promuovere l'inchiesta canonica sulle accuse a proposito di Marcial Maciel, fino a giungere a stabilire con certezza la sua colpevolezza”, ha aggiunto.

“La conclusione, con l'imposizione del ritiro da ogni attività pubblica, tenuto conto della età e delle condizioni di salute (infatti dopo breve tempo Maciel morì) e la pubblicazione di ciò da parte della Sala Stampa in un noto comunicato, sono anche merito della linea di coerente rigore del Cardinale Ratzinger, divenuto nel frattempo Papa”.

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Ostensione della Sindone


I primi giorni dell'Ostensione della Sindone

di Chiara Santomiero

TORINO, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Saranno 30 mila i pellegrini che sfileranno questo lunedì, nel duomo di Torino, davanti alla Sacra Sindone. Tra essi 200 pellegrini austriaci accompagnati dall’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schoenborn che stasera alle 21, nella cattedrale di San Giovanni, terrà una conferenza sul tema “Passio Christi, passio hominis: il mistero del Sabato Santo”.

Dopo la solenne celebrazione di apertura di sabato e un primo giorno di “rodaggio”, la macchina dell’Ostensione 2010 che consentirà – fino al prossimo 23 maggio – il passaggio accanto alla Sindone di circa 1 milione e mezzo di pellegrini, funziona a pieno regime.

I posti prenotati sono attualmente 1.473.561, di cui il 93% dall’Italia (590 mila dal Piemonte, 286 mila dalla Lombardia, 80 mila dal Lazio, 73 mila dal Veneto, 63 mila dall’Emilia Romagna, 29 mila dalla Puglia, 16.500 dalla Sicilia). Quasi 60 mila sono le prenotazioni giunte dai paesi dell’Europa occidentale (22 mila dalla Francia, 12 mila dalla Germania, 9 mila dalla Spagna, oltre 7 mila dalla Svezia), 30 mila dall’Europa orientale (10 mila dalla Polonia, 7 mila dalla Russia), 13 mila dal continente americano (9 mila dagli Stati Uniti, oltre mille dal Messico), quasi 2 mila dall’Asia e non mancano prenotazioni dall’Africa e Oceania.

Il primo giorno dell’Ostensione - sabato 10 aprile - oltre 12 mila persone, delle quali 480 provenienti dall’estero, hanno avuto accesso al Duomo di Torino per venerare la Sindone. Ieri i pellegrini sono saliti a 48.325 e sono arrivati 438 autobus.

Nella prossima settimana sono previsti, fra i prenotati, 4.500 militari di tutte le Forze armate italiane (domenica 18 aprile alle 12.30), una rappresentanza del corpo diplomatico italiano con le loro famiglie (un centinaio di pellegrini che vedrà la Sindone alle 17.00 del 14 aprile), 500 giovani provenienti da Ancona che parteciperanno alla “notte bianca” di sabato 17 aprile e 500 pellegrini di Comunione e Liberazione che domenica 18 aprile parteciperanno alla Messa celebrata in Duomo.

A tutti i pellegrini il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e Custode pontificio della Sindone, ricorda che “l’ostensione è prima di tutto un evento spirituale. “I frutti che auspico da questa ostensione – ha affermato il cardinale – sono la conversione del cuore e l’aiuto concreto offerto agli altri”.

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Card. Schönborn: la Sindone ci parla del silenzio del Sabato Santo
Meditazione dell'arcivescovo di Vienna nel duomo di Torino

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine”: è iniziata con una citazione dall’omelia per “il grande e Santo Sabato, attribuita a Epifanio di Salamina, che si legge nell’Ufficio delle letture del Sabato Santo”, la meditazione che il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha tenuto lunedì sera nel duomo di Torino in occasione dell’Ostensione della Sindone 2010 sul tema “Passio Christi – Passio hominis. Il mistero del Sabato santo”.

“Quest’omelia – ha affermato Schönborn - parla di un contenuto di fede che confessiamo nella breve frase del Credo: …discese agli inferi (‘discendit ad inferos’)”. Per la redenzione dell’uomo era necessario “anche che Gesù Cristo ‘assaggiasse’ la morte, che sperimentasse davvero lo stato di morte, come vediamo in maniera così sconvolgente nella Sindone”.

“Non risulta facile oggi – ha commentato l’arcivescovo di Vienna - comprendere questo articolo di fede. La verità di fede vi è formulata in concetti provenienti da un immaginario che ci è estraneo. L’idea di un ‘regno della morte’, di un ‘mondo inferiore’ al di sotto del mondo in cui viviamo, di un ‘inferno’ che contiene le anime dei morti, sembra totalmente lontana dalla nostra moderna coscienza razionale”.

“Non sarebbe quindi meglio rinunciarci?”, ha chiesto ai numerosi presenti lo stesso cardinale. Ma “la Chiesa dai tempi più antichi ha tenuto ferma questa confessione. Non dovrebbe essere questo, per noi, uno stimolo a sforzarci di capire, proprio quando la questione appare difficile ed oscura? Proprio in considerazione degli eventi del ventesimo secolo, occuparsi del Sabato Santo, del giorno in cui Dio tace, sembra oggi più attuale che mai”.

“Regno della morte”, “mondo inferiore” ed “inferno”, ha spiegato Schönborn “non indicano il luogo di eterna condanna, bensì la dimora dei morti, chiamata in ebreo lo Sheol, in greco l’Ade (At 2,31). È il luogo dove le anime dei defunti si trovano imprigioniate dopo la morte”.

“Le testimonianze bibliche – ha proseguito Schönborn, citando Giovanni Paolo II - confermano la discesa di Cristo ai morti come vera esperienza di morte, come l’espressione di più profonda solidarietà con gli uomini. Durante quei tre giorni, dalla sua morte fino alla resurrezione, Gesù ha sperimentato ‘lo stato di morte’, cioè la separazione dell’anima dal corpo, nello stato e condizione di tutti gli uomini”.

D’altra parte “Gesù stesso lo aveva preannunciato, paragonando il proprio cammino con la storia del profeta Giona: 'Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra (Mt 12, 40)'”.

“Teresia Benedita a Cruce, Edith Stein, la filosofa e carmelitana uccisa ad Auschwitz – ha ricordato l’arcivescovo di Vienna -, ha descritto questa scena a modo di visione, in un piccolo pezzo teatrale dal titolo 'Dialogo notturno'. Lo scrisse nel giugno del 1941 per l’onomastico della sua priora, Madre Antonia a Spiritu Sancto, nel convento olandese di Echt”.

La meditazione del cardinale nel duomo di Torino, che è stata inframmezzata da intervalli musicali, ha quindi lasciato spazio alla citazione dei versi composti dalla Stein.

“Il silenzio del Sabato Santo, di cui la Sindone ci parla in maniera così imponente – ha ripreso Schönborn -, è l’atteggiamento di attesa di tutta la terra. Esso ricorda il silenzio che precede la creazione del mondo (Gen 1,2), quando tutto attende che Dio agisca con potenza”.

“Ed è così anche qui – ha affermato il cardinale -. Cristo è venuto nel mondo e la sua opera terrena, la vita fra gli uomini e la morte per il peccato, è compiuta. Egli si è inserito nella genealogia del genere umano peccatore, per redimere tutti, fino ad Adamo, il progenitore di tutti gli uomini. Ora, il Sabato Santo, nella morte, fattosi solidale anche con i morti, egli va come in trionfo nel mondo degli inferi, per chiamare fuori tutti coloro che la morte tiene ancora prigionieri”.

L’arcivescovo di Vienna ha, quindi ricordato la visione sostenuta dal teologo Hans Urs von Balthasar che “mette in evidenza un aspetto che nei Padri fu poco sviluppato. Il Sabato Santo, la morte di Cristo non reca in sé, in un primo momento, nessun trionfalismo. Uno sguardo alla Sindone ce lo conferma, lo sperimentiamo nella liturgia del Sabato Santo che è estremamente semplice, senza alcuna celebrazione eucaristica”.

Questa visione ricorda che “la morte di Cristo lascia in un primo momento i suoi discepoli e la Chiesa tutta nello sgomento, nell’afflizione e nel timore. Il credente è invitato al silenzio, al raccoglimento e all’adorazione. La salvezza che si realizza nella discesa agli inferi nel Sabato Santo è ancora nascosta, la morte ha ancora il suo potere, che poi le verrà tolto”.

Da un lato c’è “l’abbassamento di Gesù Cristo, la sua solidarietà con noi fino alla prova della più profonda amarezza della morte” ma dall’altro “la gloria; Gesù Cristo è morto veramente, ma in questa morte egli è già il Beato che chiama alla beata comunione tutti i giusti che sono morti con lui. Dio si reca nell’abbassamento per strappare gli uomini alla morte e condurli in alto”.

“Disceso agli inferi – ha proseguito l’arcivescovo di Vienna citando le 'Meditazioni sulla Settimana Santa' scritte dall’allora cardinale Ratzinger - significa che Cristo ha varcato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo insuperabile, irraggiungibile del nostro essere abbandonati”.

Significa, ha concluso, che “anche nell’ultima notte nella quale nessuna parola penetra, nella quale noi tutti siamo come bambini che piangono, abbandonati, c’è una voce che ci chiama, c’è una mano che ci prende e che ci guida. La solitudine insuperabile dell’uomo è superata da quando Lui vi è entrato”.

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Dove Dio piange


Zimbabwe attende la risurrezione
Intervista al Vescovo Dieter Scholz

CHINHOYI (Zimbabwe), lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Zimbabwe nella lingua locale significa “casa di pietra”. Oggi questa casa sta crollando.

E' quanto ha detto monsignor Dieter Scholz, Vescovo di Chinhoyi, parlando di un Paese in cui il tasso di disoccupazione è stimato intorno all’80% e dove la gente, nel caso in cui riesca a percepire un salario, riesce appena a comprarsi una saponetta o tre fette di pane.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps” prodotto da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il Vescovo ha parlato della situazione attuale nel suo Paese, di come si è sviluppata e di quale sia stato il suo ruolo come pastore della Chiesa.

Come descriverebbe la situazione degli abitanti dello Zimbabwe?

Mons. Scholz: Credo che si possa dire che molte persone in Zimbabwe, forse la maggioranza, hanno perso la speranza in un cambiamento.

Nell’ultimo decennio, avevano sperato che le loro sofferenze, la fame, la disoccupazione, la povertà, le malattie per le quali non possono più ricevere delle cure negli ospedali, finissero.

Vi sono stati numerosi tentativi di porre rimedio alla situazione, ma hanno tutti fallito, per un motivo o per un altro.

Ci può fare qualche esempio per darci un’idea della sofferenza che la gente continua a vivere?

Mons. Scholz: Durante la crisi, tra le elezioni generali della fine di marzo del 2008 e le elezioni presidenziali a doppio turno della fine di giugno, in quei tre mesi vi è stato il tentativo di eliminare fisicamente l’opposizione al partito di governo, il Movimento per il cambiamento democratico.

Sono stati messi in atto pestaggi, torture e uccisioni, e in una delle mie parrocchie, a Banket, a meno di 20 chilometri da Chinhoyi, un giovane, che era il nostro responsabile giovanile, Joshua Bakacheza è stato sequestrato nel mese di maggio. Allora si era già dovuto nascondere, perché era impiegato come autista per il Movimento del cambiamento democratico, anche se in realtà era solo quello il suo collegamento con l’opposizione.

Il giorno del sequestro, per trovarlo, gli agenti della State Security Police sono andati dal suo fratellino, che era ancora a scuola, e gli hanno detto: “abbiamo trovato un benefattore che ti vuole offrire una borsa di studio per tutto il periodo scolastico fino alla fine della scuola secondaria”. E come previsto il ragazzo ha subito chiamato al cellulare suo fratello più grande, chiedendogli di venire a firmare il contratto.

Appena arrivato a scuola è stato subito arrestato. Non è stato più visto per tre settimane, fin quando il suo corpo è stato ritrovato mezzo bruciato e mutilato, vicino a un luogo chiamato Beatrice, a sud di Harare, la capitale. Questo ha provocato un grandissimo senso di rabbia, di tristezza e di disperazione in tutta la diocesi, dove era molto conosciuto.

Si tratta solo di un caso. Ma potrei raccontarne molti altri, di preti che sono stati aggrediti, la cui casa è stata data alle fiamme per presunte simpatie con l’opposizione politica.

Ma non riusciamo a comprendere come la diversità di idee politiche possa spingere a tale barbarie. È un mistero che porta a credere che non esista solo il male nel mondo, ma che esista il maligno che manda i suoi spiriti malvagi, come dice Sant’Ignazio negli esercizi spirituali della prima settimana, un testo che conoscevo bene.

Ignazio parla attraverso le immagini e il linguaggio del suo tempo quando si riferisce a Lucifero seduto nella grande piana di Babilonia, su un trono di fuoco e fumo, chiamando a raccolta tutti i demoni del mondo e inviandoli con le sue istruzioni malvagie.

In quei tre mesi io ho capito che le immagini e il linguaggio usato da Sant’Ignazio nel XVI secolo sono più vere di quanto pensassi.

Abbiamo visto il male imperversare in tutto il Paese, da nord a sud, da est a ovest.

Perché lo Zimbabwe è stato scelto per portare questa croce?

Mons. Scholz: E' una lunga storia. Come è noto, i primi colonizzatori, arrivati nel XIX secolo, hanno conquistato la terra con la violenza, l’avidità e la frode.

Hanno sottratto la terra alla gente. Hanno costretto la gente a lavorare per loro. È vero che le infrastrutture che oggi abbiamo sono frutto del lavoro della gente e della conoscenza dei colonizzatori. Ma vi è stata molta crudeltà, molta ingiustizia, anche se non istituzionalizzata come in Sud Africa, e vi è stata anche segregazione e discriminazione razziale.

Questo ha portato alla guerra civile, al sollevamento del Movimento nazionalista africano. Esistevano in effetti due movimenti. Robert Mugabe era a capo dell’Unione nazionale africana dello Zimbabwe.

In una guerra civile combattuta dalla foresta?

Mons. Scholz: Sì. La guerriglia rappresentava gli interessi della gente locale, ma naturalmente l’esercito della Rhodesia era sostenuto dal Sud Africa e disponeva di armi e tecnologie avanzate. Ma forse è proprio per questo che alla fine ha vinto la guerriglia, perché la guerra civile si è svolta nella foresta.

In sostanza ci sta dicendo che lo Zimbabwe è nato grazie alla violenza?

Mons. Scholz: Ciò che è certo è che in tutto il periodo, dall’arrivo dei primi colonizzatori, fino a oggi, non vi è stato un momento di pace serena e tranquilla.

La violenza è stata sempre presente. Non sempre fisica, talvolta strutturale attraverso leggi di discriminazione, di povertà forzata, di diniego del diritto di voto, ma per il futuro – lo voglio dire adesso, ma ci possiamo tornare – per il futuro sono fiducioso: per aver attraversato tutta questa sofferenza e questo male, la gente – sia i bianchi che i neri – sono cambiati.

In che modo?

Mons. Scholz: Sono cambiati nel senso che dopo la guerra civile, negli anni ’80, ho incontrato bianchi che mi dicevano che la guerra li aveva aiutati a comprendere il bene, le qualità cristiane degli africani, soprattutto la loro grande capacità di pazienza, tolleranza e prontezza al perdono.

Non ne erano mai stati consapevoli prima e forse senza la guerra non ne sarebbero mai stati consapevoli.

Da parte africana, le qualità a cui ho fatto cenno hanno sempre impedito alla retorica razzista degli esponenti politici di radicarsi tra la gente.

La gente del luogo è molto socievole con i pochi bianchi che sono rimasti in Zimbabwe, forse poche migliaia. In un certo senso, Robert Mugabe è prigioniero del suo stesso passato ed è prigioniero della sua generazione politica. Vedo in lui molte similitudini con Ian Smith.

Alla fine del suo potere?

Mons. Scholz: Verso la fine.

Quindi ci sta dicendo che stiamo arrivando alla fine della passione per lo Zimbabwe e che possiamo guardare avanti verso la risurrezione del Paese?

Mons. Scholz: Esattamente. Bisognerà arrivarci. Robert Mugabe e la sua generazione dovranno completare il loro ciclo, ma credo che le generazioni future saranno molto diverse.

Conosco la gente. Lo Zimbabwe avrà un grande futuro.

Come è noto, al tempo dell’indipendenza, nonostante la guerra civile, gli abitanti dello Zimbabwe potevano vantavare il miglior grado di istruzione tra gli africani subsahariani. E non v’è dubbio che il lavoro dei missionari abbia svolto un ruolo importante in questo, con le scuole che abbiamo avviato e l’istruzione che abbiamo messo a disposizione degli studenti africani.

Morgan Tzvangerai è stato un alunno alla Silveira House, dove ho lavorato per 10 anni. La Silveira House ha formato i primi leader sindacalisti neri.

Ha una cultura cattolica?

Mons. Scholz: Ha una cultura cattolica, anche se non è cattolico.

E, per Robert Mugabe, la Silveira House è stata come una casa durante e dopo la guerra. Da noi lavoravano le sue due sorelle, Brigit e Sabina, che così potevano disporre di un reddito, di un lavoro, ma soprattutto di protezione, e Mugabe non lo ha dimenticato. È venuto poi alla mia ordinazione portandomi un bellissimo regalo.

Va a Messa Mugabe?

Mons. Scholz: Andava a Messa. Ora non ci va più tanto spesso come prima. Anche questo è un mistero della sua vita: non riesco a capire come possa conciliare nella sua coscienza la sua fede, la sua politica e le sue azioni.

Come vede ora il suo ruolo di pastore ora e quello della Chiea? Mentre tutte le strutture sembrano crollarle intorno, la Chiesa sembra rimanere una delle ultime voci dell’opposizione nella situazione attuale. Come vede se stesso in questa difficile responsabilità di essere pastore e al contempo di dare voce a chi non ce l’ha?

Mons. Scholz: Il mio ruolo principale è quello di sostenere i sacerdoti nel loro ancor più difficile lavoro.

Loro hanno attraversato un periodo di vera persecuzione, a partire dalla lettera pastorale “God hears the cry of the oppressed” (Dio ascolta il grido degli oppressi), che è stata pubblicata a Pasqua del 2007. Dopo questa lettera, i nostri sacerdoti sono stati perseguitati, soprattutto nella nostra provincia.

Come sono stati perseguitati?

Mons. Scholz: Telefonate anonime, minacce e insulti da parte di esponenti cattolici, donne cattoliche. Donne cattoliche di spicco della nostra diocesi che hanno telefonato al presidente del consiglio pastorale dicendo: i vostri preti – ovvero i sacerdoti che gli danno la Santa Comunione quando vengono a Messa la domenica – sono delinquenti, ladri e ubriaconi, e se non la smettono di parlare come parlano vedranno cosa gli faremo. Minacce di questo tipo.

Credo che questa sia una sfida pastorale che ancora dobbiamo raccogliere e lo faremo quando la polvere si sarà posata. Dovremo aiutare i nostri fedeli a mettere la propria coscienza di fronte alle esigenze della fede: le semplici richieste di giustizia da un lato e il modo in cui hanno sostenuto gli eventi tra marzo e giugno del 2008 dall’altro, insieme al modo di porsi e di parlare nel partecipare alla Messa e nell’indossare simboli religiosi.

Non l’abbiamo ancora potuto fare a causa delle tensioni nella comunità cristiana, ma anche nella comunità nel suo insieme e a causa delle costanti intimidazioni a cui siamo stati esposti.

Quindi direi che il mio primo compito sia stato – e ho cercato di portarlo avanti al meglio – di sostenere i sacerdoti quando si trovavano a fuggire dalle parrocchie. Alcuni sono veramente dovuti scappare. Noi li abbiamo accolti nella casa vescovile o nel centro pastorale, e li abbiamo messi al sicuro.

Il primo di questi sono riuscito a mandarlo in Inghilterra per un periodo di riposo e di recupero, e di rinnovamento spirituale. Altri due lo seguiranno nelle prossime settimane.

Quindi tra i suoi sacerdoti vi è un problema di esaurimento?

Mons. Scholz: Sì, esaurimento. Esaurimento fisico, ma anche emotivo e psichico.

È difficile immaginare la società chiusa dello Zimbabwe dove vige l’illegalità. Dove, se uno viene aggredito verbalmente o fisicamente e va dalla polizia per denunciare il fatto, o se io vado dalla polizia per protestare, vengo arrestato per aver turbato la quiete pubblica e per aggressione.

Direi quindi che questi sono i principali compiti del Vescovo: sostenere i sacerdoti e sostenere i fedeli, durante le mie visite nella diocesi, che abbraccia l’intera parte Nord e Nord-Est dello Zimbabwe.

Ho parlato ai fedeli e cercato di risvegliare in loro la fede. In molti casi questi viaggi sono legati alla necessità di amministrare il sacramento della Cresima e sono una meravigliosa occasione per parlare con loro sui doni dello Spirito Santo: lo spirito di consolazione, lo spirito di fede, lo spirito di speranza.

Ed ho sempre sentito di ricevere molto di più di quanto potessi dare con le mie parole, osservando la fede dei cristiani che vivono nella sofferenza.

Credo che la persecuzione faccia emergere il peggio nei persecutori, ma anche il meglio nei fedeli.

Lei è stato molto franco con noi. Non ha paura? Fino a che punto è disposto a portare la croce in questa situazione? Insieme agli altri Vescovi avete parlato apertamente in Zimbabwe, anche attraverso la pubblicazione della Lettera pastorale. Quanto siete disposti ad andare avanti, stando così le cose?

Mons. Scholz: Per me questo non è un problema, in parte perché durante la guerra di liberazione ho collaborato con la Commissione cattolica per la giustizia e la pace, insieme al Vescovo Lamont, che è stato il nostro presidente, e ad altri tre.

Sono stato arrestato. Sono stato imprigionato. Sono stato espulso.

Abbiamo detto la verità allora e penso che dobbiamo dire la verità anche adesso, e questo è ciò che abbiamo fatto nella nostra Lettera pastorale.

Una conferma del fatto che abbiamo affrontato il nocciolo della questione è data dall’inedita manifestazione di rabbia da parte del Governo. Erano veramente molto arrabbiati.

E ancora oggi, quando incontriamo i funzionari del Governo, non vi è una occasione in cui la cosiddetta Lettera pastorale non venga citata. Loro la chiamano “la Lettera pastorale”. Ne abbiamo scritte anche altre, ma per loro quella è “la Lettera pastorale”.

Credo che sia stato un gesto necessario. Lei mi ha chiesto prima cosa facciano i Vescovi. Penso che il nostro ruolo sia, da una parte di sostenere il clero, stare con la gente, camminare con le persone attraverso questa ora oscura, forse la più oscura della recente storia del Paese, e allo stesso tempo di svolgere pienamente il nostro ruolo profetico, il nostro ministero profetico, di parlare della verità.

E della risurrezione che cosa ci si aspetta?

Mons. Scholz: Sì, e la verità è stata sentita da entrambe le parti.

Lei ha parlato molto della situazione interna dello Zimbabwe. Ma dal punto di vista della comunità internazionale, si è sentito abbandonato per quanto riguarda la situazione dello Zimbabwe?

Mons. Scholz: No, non ci siamo sentiti abbandonati. Abbiamo ricevuto parole di impegno e di sostegno da ogni angolo del mondo: email, lettere, donazioni, piccole e grandi, e in particolare quando abbiamo attraversato questa crisi di cui ho parlato, tra le elezioni della fine di marzo e il ballottaggio per l’elezione presidenziale di giugno del 2008.

Abbiamo cinque ospedali nella nostra diocesi e con il collasso della sanità pubblica coloro che avevano subito percosse da parte degli agenti della polizia venivano ai nostri ospedali per essere curati.

Inizialmente si rifiutavano per settimane di ricorrere all’aiuto medico, ma poi arrivavano con ferite enormi sulle natiche, delle dimensioni di un pugno. Il problema era che noi non avevamo medicine a sufficienza. In questo periodo è arrivato padre Halamba con Aiuto alla Chiesa che soffre, il quale, dopo aver ascoltato il mio punto di vista sulla situazione, nell’arco di qualche giorno ci ha procurato la più generosa donazione di medicine, che ci ha consentito di rifornire gli ospedali.

Non è adirato per ciò che sta avvenendo nel suo Paese?

Mons. Scholz: Certo che sono adirato. E quando sono arrabbiato, la sera mi ritiro in cappella e aspetto che mi passi, per ritrovare la pace e l’equilibrio nella preghiera.

Ma come si può essere in pace quando un seminarista al terzo anno, che deve essere ordinato diacono al mio rientro, viene da me e mi dice: “mio padre è stato ucciso ieri, all’età di 62 anni, perché sospettavano che facesse parte dell’opposizione, cosa del tutto infondata”?

Un vicino che aveva qualche vecchio rancore lo aveva denunciato ai miliziani e questi sono andati con bastoni e travi di legno e l’hanno percosso a morte davanti alla moglie.

Come si può non essere arrabbiati? Hanno cercato di chiamare la polizia e la risposta è stata: “non possiamo rendere noto il registro degli indagati perché non abbiamo la fotocopiatrice”.

Questo è ciò che intendo quando dico che la verità dovrà venire fuori. I malfattori dovranno essere smascherati. Dovranno rendere conto delle loro azioni e allora potrà iniziare il processo di riconciliazione, forse anche con un’amnistia.

Questo è l’errore – se posso aggiungere – che fu fatto alla fine della guerra civile, la guerra di liberazione. In un gesto di grande generosità, credo genuino, Robert Mugabe disse: “Tracciamo una linea qui. Non torneremo sul passato e inauguriamo un nuovo inizio”.

Credo che quando disse così, alla vigilia dell’indipendenza, era sincero. Non era uno stratagemma. So di alcuni bianchi che avevano deciso di emigrare in Sud Africa a causa dei timori instillatigli da Ian Smith sulle possibili ritorsioni di Mugabe.

Addirittura so di una famiglia che realmente si è fermata per strada, si è messa a pregare, a discutere, e poi è tornata indietro, è andata a casa e ha proseguito l’attività agricola nel Paese.

Quindi fu molto generoso, ma siamo tutti esseri umani e i conti non saldati di quella guerra ancora bruciavano nelle comunità locali.

Quindi non ci può essere pace senza giustizia?

Mons. Scholz: Non ci può essere riconciliazione senza verità. La verità deve venire fuori. Deve essere riconosciuta.

Io credo che il perdono debba essere chiesto e debba poi essere concesso. Forse in una comunità utopistica si potrebbe dire di tirare una linea e ricominciare da capo. Ma poiché siamo come siamo, le ferite del cuore guariscono molto più lentamente delle ferite del corpo. Adesso me ne accorgo bene.

Che appello per lo Zimbabwe vuole lanciare ai cattolici che guardano questo programma?

Mons. Scholz: La mia prima richiesta è quella di continuare a pregare per lo Zimbabwe, a pregare per la pace, perché i leader che hanno perso le elezioni abbiano il coraggio di rassegnarsi, di lasciare che, nell’interesse della gente e della nazione, qualcun altro prenda il comando.

Questa elezione è stato un voto per il cambiamento. Non è stato un voto per un programma articolato.

La gente diceva semplicemente: “siamo stanchi, abbiamo fame, siamo senza lavoro, senza scuole, senza ospedali, vogliamo un cambiamento”.

Se i nostri leader lo riconoscessero e avessero il coraggio di mollare nonostante il timore di ciò che dovrebbero affrontare, allora le preghiere dei cattolici che seguono questo programma sarebbero esaudite.

Sarebbe un miracolo, ma un miracolo che potrebbe diventare realtà.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.


Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it


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Notizie dal mondo


Un sabato sera al pub con l'arcivescovo di Malta

di Serena Sartini

LA VALLETTA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Un sabato sera al pub, con l’arcivescovo. E’ un’immagine insolita, ma è ciò che si è verificato il 10 aprile scorso a La Valletta, capitale di Malta, dove monsignor Paul Cremona, arcivescovo dell’Isola, ha trascorso qualche ora tra i giovani di Paceville, per evangelizzare, portare Gesù e soprattutto per invitare i giovani all’incontro che Benedetto XVI terrà domenica pomeriggio a Valletta Waterfront, al porto.

Monsignor Cremona, accompagnato da un gruppo di giovani giornalisti locali, ha dunque effettuato un vero e proprio ‘tour’ in una decina di pub della zona, incontrando centinaia di ragazzi.

Si è fermato on loro a parlare, conversando al tavolo o per la strada, scambiando due battute, scherzando, ma anche parlando di cose più serie, e sorseggiando con loro anche una bibita. Non ha badato all’abbigliamento un po’ ‘trasgressivo’ dei giovani, o alla loro capigliatura. L’arcivescovo si è fermato con tutti: punk, rokkettari, giovani semplici, stranieri, maltesi.

Per l’appuntamento del Papa con i giovani, domenica prossima, sono attesi quasi 10mila ragazzi, provenienti da tutta l’Isola.

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Italia


"Beati coloro che senza aver visto crederanno"

di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Liturgia e le letture alle Messe del tempo dopo Pasqua sono centrate sulle apparizioni di Gesù risorto che confermano la sua Risurrezione e gli Atti degli Apostoli che raccontano la nascita della Chiesa fondata da Cristo e i suoi primi passi nel mondo e nella storia. I due aspetti della fede cristiana, la Risurrezione di Cristo e la Chiesa che nasce dal Risorto, e quindi la via per la salvezza per coloro che credono e vivono la fede, sono strettamente uniti, uno non sta senza l’altro.

I dubbi di Tommaso sono anche i nostri dubbi, quelli del mondo moderno. Tommaso chiede al Signore prove concrete della sua Risurrezione e Gesù glie le dà, ma dice: “Beati coloro che senza aver visto crederanno”.

Noi crediamo fermamente che Gesù è risorto, ma nella cultura del nostro tempo la fede non è facile. Siamo abituati al discorso della scienza: si crede solo in quello che si vede e si tocca con mano, si sperimenta. Non è un atteggiamento del tutto negativo, l’uomo moderno ha bisogno di concretezza. Quante volte, parlando con persone serie che non hanno il dono della fede mi dicono: “La fede è illogica. Dio mi ha dato la capacità di ragionar e poi pretende da me che io non ragioni più ma creda ciecamente a quello che mi dice la Chiesa, anche senza capire”.

Il motivo che spiega questa falsa illogicità è semplice. Dio ci dà la capacità di ragionare delle cose umane che con la ragione e l’esperienza noi possiamo capire,  dominare e cambiare, ma nel rapporto con Lui, Padre e Creatore di tutto e di tutti, conserva il mistero, ci nega per il momento la visione beatifica, per rendere meritoria la nostra fede. Se capissimo tutto non ci sarebbe più la fede. Noi siamo circondati dal mistero di Dio e dell’uomo stesso. Questo è il limite dell’intelligenza umana, arriva fino ad un certo punto, non di più.   

Alexis Carrel, Premio Nobel per la medicina negli anni Trenta del Novecento, scrisse un libro meraviglioso: “L’uomo, questo sconosciuto”, nel quale dimostra che, nonostante gli enormi progressi di tutte le scienze e specialmente di quella medica, l’uomo rimane un mistero e rimanda direttamente al Creatore, cioè a Dio. In quel libro Carrel dimostra concretamente che l’uomo è così complesso e difficile da spiegare, che inevitabilmente chi lo studia ad un certo punto si trova di fronte a molti misteri inspiegabili con la logica e la scienza umana. Più si va avanti a scoprire chi è l‘uomo e più aumentano i misteri che non riusciamo a capire e spiegare. L’esistenza di Dio Creatore è dimostrabile anche attraverso il mistero dell’uomo. Le teorie evoluzioniste possono studiare e dimostrare tutto quel che vogliono, ma la scintilla della vita divina nell’uomo, che è l’intelligenza, la coscienza dell’io, è indiscutibile che non viene, non può venire da un’evoluzione della materia. Richiede l’intervento di Dio Creatore e Padre degli uomini. Infatti non esiste negli animali. Oggi chiediamo a Dio di rafforzare la nostra fede nella Risurrezione di Cristo e che questa fede diventi il motore e la gioia della nostra vita.

1) Il Servo di Dio dottor Marcello Candia ripeteva spesso questa giaculatoria: “Signore, aumenta la mia fede”. Di fede ne aveva tanta, ma diceva: “La fede non basta mai”. L’assenso dell’intelligenza umana al mistero di Gesù che muore e risorge per liberare gli uomini dal peccato e dalla morte può essere superficiale e vacillante come una fiammella di candela, che un soffio spegne facilmente, e può diventare un sole sfolgorante che illumina e riscalda la vita. Se io, con l’aiuto di Dio (poiché la fede è un dono), credo fermamente, che Gesù è Dio, Figlio di Dio, il Messia e Salvatore di tutta l’umanità, che “non c’è al mondo altro nome in cui possiamo essere salvati”, come dice San Pietro” (Atti, 4, 12), allora la mia vita deve cambiare, non può più essere quella di prima.

2) La fede nel Signore Risorto può e deve diventare il principio primo ed ultimo del nostro vivere, il motore della nostra esistenza. Chi crede davvero nella Pasqua di Cristo, acquista le dimensioni esatte della fede, relativizzando tutto quel che mi capita. Ecco perché il credente in Cristo è capace di perdonare, di dimenticare, di essere generoso con gli altri, di superare prove e sofferenze anche gravi. Un esempio del Servo di Dio Giorgio La Pira che nel 1930, a 26 anni, diventa incaricato di diritto romano all’Università di Firenze. Poi partecipa ad un concorso per la cattedra universitaria, i risultati del quale, affissi nella bacheca dell’Università, lo dichiarano vincitore con i voti più alti di quelli degli altri partecipanti. Ma la cattedra non è affidata a lui, perché non aveva preso la tessera del Partito Fascista. I suoi amici gli dicono di protestare e si dichiarano disposti a firmare con lui la lettera di protesta. La Pira risponde: “Vi ringrazio, ma è inutile. So che sono vittima di un’ingiustizia, ma cosa volete che sia questo quando so che Cristo è risorto?”. Quando la fede nella Risurrezione diventa la luce e il motore della vita, tutte le mie vicende, le ingiustizie e le sofferenze ne sono relativizzate. Soffriamo certo, ma la fede in Gesù risorto, che è il modello e l’anticipo della mia risurrezione, mi impedisce di cadere in depressione, in disperazione. Offro tutto affinchè il Regno di Dio di giustizia e di pace venga fra gli uomini e sani tutte le ferite del peccato.

3) Terza riflessione sulla Liturgia di domenica. Gli Atti degli Apostoli congiungono strettamente la Risurrezione di Cristo con la nascita e i primi passi della Chiesa. La fede in Cristo non sta senza la fede nella Chiesa da Lui fondata. Quante volte si sente dire: “Io credo in Cristo, ma non nella Chiesa”. Un’espressione profondamente errata, che porta fuori strada. Il Cristo in cui crediamo è quello che ha fondato la Chiesa e che oggi ci viene riproposto dalla Chiesa, comunità divino-umana, nella quale gli errori e i peccati dei credenti non possono e non debbono diminuire la nostra fede.

La fede è assenso dell’intelletto, ma anche esperienza del cuore, da cui viene l’entusiasmo della fede che troviamo negli Apostoli e in tanti credenti anche oggi. E’ un dono di Dio e un’esperienza personale, che ci fa diventare spontaneamente missionari, come in genere sono i nuovi cristiani del mondo missionario. La Chiesa è la comunità in cui io vivo e mi formo a questa fede che cambia e dà gioia alla vita.



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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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In 20.000 a Rimini per testimoniare fede ed impegno sociale
Dal 29 aprile al 2 maggio, incontro del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS)

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Dal 29 aprile al 2 maggio, 20.000 membri del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) si riuniranno a Rimini per la XXXIII Convocazione Nazionale dei Gruppi e delle Comunità del RnS, sul tema “E’ lo Spirito che dà testimonianza, perché è la verità” (1Gv 5, 6b).

Un’orchestra sinfonico-ritmica con coro polifonico di circa 100 elementi farà da colonna sonora all’evento, unendo le varie sessioni e coinvolgendo attivamente tutti i partecipanti alla Convocazione.

L’appuntamento, che vede la partecipazione di numerosi esponenti del mondo religioso e di quello politico e sociale, sarà un’occasione di confronto e di analisi di alcuni temi di attualità tra cui la tutela dell’infanzia, il disagio giovanile, la soggettività sociale delle famiglie svantaggiate e, più in generale, l’emergenza educativa.

Tra gli altri, saranno chiamati a portare la loro testimonianza, nella sessione pomeridiana del 30 aprile, don Mario Marafioti, Fondatore della comunità Emmanuel per il disagio giovanile e don Fortunato di Noto, Fondatore dell’Associazione “Meter” contro la pedofilia e lo sfruttamento sessuale dei bambini.

Non mancheranno, inoltre, momenti di riflessione legati ad avvenimenti e situazioni di carattere internazionale. I riflettori si accenderanno, ad esempio, sulla guerra civile e sui milioni di profughi in Uganda, grazie alla testimonianza di padre Felice Sciannameo, missionario a Kampala. Il Vescovo di Moldova, mons. Anton Cosa, nella sessione d’apertura, racconterà il lavoro missionario svolto dal RnS (dal 2002) a favore dei bambini di strada e della famiglie divise nella capitale Chisinau.

Un momento topico della Convocazione Nazionale, il pomeriggio del 1° maggio, sarà dedicato ad un dibattito sul tema dell’emergenza educativa. Muovendo dalle riflessioni di Papa Benedetto XVI, nell’ambito dell’enciclica Caritas in Veritate, interverranno il Sottosegretario agli Interni, on. Alfredo Mantovano; il Presidente dell’Istituto Opere di Religione della Città del Vaticano, Ettore Gotti Tedeschi; l’Ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Francis Campbell. Il dibattito sarà moderato da Domenico delle Foglie, già Vicedirettore di Avvenire e Portavoce di “Scienza e Vita”.

Le sessioni di dibattito saranno accompagnate da celebrazioni, dal forte impatto spirituale, guidate da: il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; il Cardinale Julian Herranz Casado, Presidente della Commissione Disciplinare della Curia Romana; il Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi e padre Raniero Cantalamessa, Ofm Cap., Predicatore della Casa Pontificia, da oltre 30 anni ambasciatore del Rinnovamento nel mondo.

Particolare cura sarà riservata alle persone sofferenti, nel corpo e nello spirito, nella fondamentale sessione mattutina del 1° maggio. L’evangelizzatore londinese Damian Stayne, dotato di un forte carisma di guarigione, guiderà un momento di preghiera in cui saranno invocati segni miracolosi sulle tante persone afflitte da mali.

Anche i bambini e gli adolescenti saranno a loro modo protagonisti nei 3 Meeting Bambini e Ragazzi (per fasce d’età), con programmi paralleli alla “grande” Convocazione.

Tre progetti speciali saranno presentati nel corso della Convocazione: l’Agenzia Nazionale per il reinserimento al lavoro dei detenuti e degli ex detenuti (A.N.R.eL.) in cinque Regioni d’Italia (Sicilia, Campania, Lazio, Veneto e Lombardia) sulla base di convenzioni siglate da alcune Fondazioni del RnS con i Ministri Alfano e Gelmini; il Progetto Sicomoro, dedicato all’evangelizzazione e all’umanizzazione del mondo carcerario – proposto dalla Prison Fellowship Italia, creata dal RnS come espressione dell’organizzazione internazionale già in rete in 115 Paesi del mondo; la costruzione di un Centro mondiale per la Famiglia a Nazareth (esaudimento di un progetto annunciato da Giovanni Paolo II a Rio de Janeiro nel 1997) in collaborazione con la Santa Sede e con le autorità religiose della Terra Santa.

“Oggi è in calo l’amore per la verità - afferma in una nota il Presidente nazionale RnS, Salvatore Martinez - così che menzogne e inganni su Dio e sull’uomo sembrano proliferare con esiti che la storia passata non aveva ancora conosciuto”.

“In questo tempo di decadenza spirituale e morale – continua –, gli uomini attendono sì un rinnovamento, ma non si curano di cercare e di accogliere Chi è il vero fautore di quella vita nuova, buona, piena da tutti desiderata: lo Spirito Santo”.

“L’uomo è anche spirito, non solo carne; può sentire rinascere in sé la voglia di vivere e di fare vivere il bene solo se disposto a recuperare il senso del trascendente, del divino, il gusto delle cose spirituali, fuori da ogni luogo comune, aprendosi personalmente ad una nuova, intima esperienza di Gesù”.

“E allora tutto ritorna possibile: lo spirito di morte lascia il posto alla fantasia dell’amore e l’umanità recupera la voglia di futuro – conclude –. Alla Convocazione del RnS questo accade, da oltre trenta anni; un dono che vorremmo partecipare a quante più persone, specie a quelle disorientate o deluse dalle tante notizie avverse alla Chiesa e ai cristiani”.

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Segnalazioni


All'Aracoeli di Roma, il "San Francesco" del prof. Vauchez
L'11 aprile verrà presentata la biografia curata dallo storico francese

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Giovedì 15 aprile, a Roma, presso l'Oratorio dell’Immacolata Concezione della Basilica di Santa Maria in Aracoeli (ore 17) verrà presentato il volume “Francesco d’Assisi. Tra storia e memoria” dello storico francese André Vauchez, pubblicato di recente dall'editrice Einaudi.

Il prof. Vauchez è uno dei massimi storici del Medioevo. Ha insegnato Storia medievale nelle università di Rouen e Parigi X-Nanterre. Dal 1995 al 2003 è stato direttore dell'École Française de Rome. È membro della Pontificia accademia di archeologia e membro straniero della Accademia nazionale dei Lincei.

Per l'occasione si terrà un dibattito a cui prenderà parte il medievista Grado Giovanni Merlo, direttore del Dipartimento di Scienze della storia e della documentazione storica presso l'Università di Milano, e padre Fortunato Iozzelli, docente di Storia della Chiesa e codicologia presso il Pontificia Università Antonianum. Sarà presente anche l'autore.

Il volume non si presenta come una biografia classica che inizia con la nascita e finisce con la morte del personaggio: è come se Francesco vivesse una seconda vita "post mortem" grazie alle testimonianze dei suoi contemporanei e soprattutto grazie all'impatto che la sua esistenza ha avuto sulle generazioni successive alla sua.

L'intento dell'autore è quello di donarci un ritratto di Francesco come "uomo del suo tempo" la cui esperienza fu del tutto unica nel suo genere.

L'iniziativa è curata dal Centro culturale Aracoeli della Provincia romana dei Frati minori e dalla Scuola superiore di Studi medievali e francescani della Pontificia Università Antonianum.

[Per maggiori informazioni: Centro Culturale Aracoeli - tel. 06 69763831, fax 06 69763832, mail frate.francesco@iol.it, web centroculturalearacoeli.it; Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani - tel. 06 70373528, mail sssmf@antonianum.eu, web www.antonianum.eu]

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Interviste


Le memorie di un esorcista raccontate in un libro
Intervista all'autore, il giornalista e scrittore Marco Tosatti

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Padre Gabriele Amorth è un sacerdote paolino. Prima di diventare sacerdote, ha fatto la guerra, è stato partigiano e si è laureato in giurisprudenza. Teologo mariano, è stato per molti anni direttore della prestigiosa rivista paolina “Madre di Dio”, fino a quando il cardinale Ugo Poletti gli affidò l’incarico ufficiale di esorcista.

In oltre 25 anni di attività, Amorth ha compiuto oltre 70 mila esorcismi. Per questo è considerato il più esperto esorcista al mondo.

Marco Tosatti, già vaticanista del quotidiano La Stampa, autore di innumerevoli libri, lo ha intervistato pubblicando successivamente il volume “Memorie di un esorcista” (Edizioni Piemme).

Il libro è una sorta di testamento spirituale, in cui Amorth racconta la lotta contro il maligno: una serie impressionante di storie che testimoniano la presenza, l’influenza ma anche la liberazione dal male.

ZENIT ha intervistato Marco Tosatti.

Chi è l’esorcista e chi in è in particolare padre Amorth?

Tosatti: Un esorcista è un sacerdote che ha ricevuto dal suo Vescovo – il solo autorizzato a compiere questo genere di interventi – l’autorizzazione per liberare le persone colpite da fenomeni demoniaci, come infestazione, vessazione e possessione. Don Gabriele è il Presidente onorario dell’associazione esorcisti da lui fondata molti anni fa, e probabilmente l’esorcista più noto al mondo. A 85 anni che compirà ad aprile continua la sua battaglia…

Esiste davvero il demonio?

Tosatti: Chi è cristiano non può non credere che esiste un puro spirito, che ha rifiutato Dio, e che agisce in maniera ordinaria e straordinaria – rarissima – nel mondo.

Chi è, che cosa fa, come si manifesta e in che modo gli esorcisti ne disinnescano le influenze sulle persone?

Tosatti: E’ un angelo caduto, a capo di altri esseri simili a lui. Nella sua azione ordinaria cerca di spingere le persone al peccato, per conquistarne le anime. La sua azione straordinaria è certamente più misteriosa. Con il permesso di Dio, compie azioni nei confronti delle persone, giungendo, in alcuni casi, fino alla possessione (che però non può toccare l’anima). Gli esorcisti, con le preghiere del rituale e l’uso dei sacramentali cercano di liberare le vittime da questa azione negativa.

Perchè la Chiesa ha istituito la figura dell’esorcista?

Tosatti: Gesù Cristo diede mandato ai suoi discepoli di predicare il Vangelo, guarire gli infermi e cacciare i demoni. Per vari secoli nella cristianità non c’è stata la figura dell’esorcista: ogni cristiano poteva farsi soldato in questa battaglia. E ancora oggi semplici cristiani possono dire, e dicono, preghiere di liberazione. E alcuni santi – padre Pio, per esempio – senza essere esorcisti liberavano le persone vittime dell’influenza demoniaca. C’è da dire che negli ultimi anni, evidentemente in risposta a un bisogno crescente, sempre più Vescovi si vedono obbligati a nominare sacerdoti che seguano questo tipo di lavoro pastorale.

Quanto c’è di suggestione e quanto c’è di vero nelle tante persone che pensano di essere possedute del demonio?

Tosatti: Da quello che mi è stato detto nella mia ricerca, i casi reali di possessione, vessazione o infestazione sono molto, molto rari. Don Gabriele, e credo che anche i suoi colleghi agiscano in questo modo, non riceve nessuno che non si sia rivolto prima, per aiuto, alla medicina ufficiale. E nonostante questa precauzione, vede che in molti casi non si evidenzia un origine malefica dei disturbi. Ma per quanto rari, i casi di influenza demoniaca esistono, e sono impressionanti.

In che modo gli umani possono sfuggire alle tentazioni del peccato e del male?

Tosatti: Sfuggire all’attacco delle tentazioni credo sia impossibile; una vita limpida e cristiana può aiutarci a non cedere, alle tentazioni stesse.

Il demonio ha sempre insidiato la Chiesa. Il Papa Paolo VI disse una volta: “il fumo di Satana è entrato nella Chiesa”. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno più volte denunciato la presenza della coda del diavolo in molte azioni che insidiano la cattedra di Pietro. In questi giorni si assiste ad un attacco senza precedenti all’attuale Pontefice. Lei cosa ne pensa?

Tosatti: Benedetto XVI, come Giovanni Paolo II prima di lui, ha indicato nei temi morali, e nella difesa della vita, e della famiglia la battaglia centrale della Chiesa nei nostri tempi. E’ una battaglia contro la cultura dominante in larga parte del mondo occidentale, e soprattutto nei media. E’ evidente il tentativo di screditare la Chiesa e il Papa proprio per indebolire l’impatto del suo insegnamento. Anche in maniera evidentemente strumentale e scorretta, sperando nell’effetto negativo dell’attacco sull’opinione pubblica, che spesso non ha gli strumenti e il tempo per verificare con ponderatezza la qualità delle accuse. Ed è tanto più straordinario in quanto se c’è qualcuno che cerca, e ha sempre cercato, di fare pulizia nella Chiesa questi è proprio Joseph Ratzinger. Mi sembra che purtroppo la nostra categoria non stia vivendo uno dei suoi momenti più felici.

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Notizie Flash


La storia di un prete in prima linea contro la pedofilia

di Maurizio Tripi

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nelle ultime settimane si è parlato molto di pedofilia e di responsabilità all’interno della Chiesa Cattolica.

A questo proposito, l’Elledici ha pubblicato di recente un libro dal titolo “Corpi da gioco” di don Fortunato Di Noto, pioniere nella lotta alla pedofilia e fondatore dell'Associazione Meter onlus (www.associazionemeter.org).

Nello spiegare le ragioni di un libro-intervista contro la pedofilia, don Giuseppe Maria Polizza, Direttore editoriale della Elledici, ha detto a ZENIT: “Già da tempo avevamo in programma un libro su questo triste fenomeno. Gli ultimi fatti poi ci hanno convinto quanto fosse necessario far vedere che esistono anche preti che la pedofilia la combattono e da anni”.

“L'intervista poi – ha aggiunto – si presta meglio per mettere in luce i punti caratteristici di un pensiero, oltre ad essere di facile lettura e agevole per molti”.

Infatti, ha spiegato don Polizza, “c'è molta confusione su questo argomento e molta mistificazione. La piaga si nasconde in tutti gli strati della società. Un tempo anche intellettuali di fama si vantavano di questo tipo di relazione. Oggi tutto questo sembra dimenticato e si puntano i fari solo sui casi di preti pedofili”.

“Don Di Noto enuncia alcuni elementi che, a mio parere, dovrebbero esser tenuti in gran conto nelle case di formazione – ha sottolineato il Direttore editoriale della Elledici –. Inoltre, sulla sessualità la nostra società è molto confusa, procede per slogan. Senza collegare quanto detto prima con quanto detto subito dopo”.

“Ma è interessante notare come al di là delle vicende tristi, stia emergendo una profonda domanda di santità – ha osservato infine –. Dal prete ci si aspetta Dio. Se il prete non dà Dio, allora è inevitabile che offra qualcosa d'altro e talvolta questo qualcosa d'altro è soltanto la sua povertà”.

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Avanti un'altra (bufala): la lettera del 1985 del Cardinale Ratzinger

di Massimo Introvigne*

ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- È durata ventiquattr’ore la nuova bufala americana lanciata dall’Associated Press contro il Papa. Anche i media più ostili, incalzati dagli esperti di diritto canonico, hanno fatto marcia indietro. Ma all’insegna del “calunniate, calunniate, qualche cosa resterà” agli utenti più distratti dei media rimarranno in testa solo i titoli secondo cui l’attuale Pontefice nel 1985 “protesse un prete pedofilo”.

Per capire il significato della lettera del 6 novembre 1985 del cardinale Ratzinger a mons. John Stephen Cummins (e non “Cummings”), vescovo di Oakland (California) occorre qualche semplice nozione di diritto canonico. La perdita dello stato clericale può avvenire (a) come pena comminata dal diritto canonico per delitti particolarmente gravi; oppure (b) su richiesta dello stesso sacerdote. Un sacerdote accusato o anche condannato per pedofilia può dunque perdere lo stato clericale (a) come pena per il suo delitto oppure (b) su sua richiesta, che il prete pedofilo può avere interesse ad avanzare per diversi motivi, per esempio per sfuggire alla sorveglianza della Chiesa (quello dello Stato talora è più blanda, come molte vicende provano) o anche perché vuole sposarsi. Nel primo caso si punisce il prete pedofilo. Nel secondo caso gli si fa un favore.

La pena per il delitto di pedofilia – la punizione – fino al 2001 era comminata dalle singole diocesi; la competenza è passata alla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2001. L’esame delle richieste di dispensa dallo stato clericale – il favore – invece già nel 1985 era di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Nel 1985 Stephen Miller Kiesle, sacerdote accusato di abusi su minori, è parte di due diversi procedimenti. Il primo riguarda l’indagine canonica suscettibile di portare alla dimissione dallo stato clericale di don Kiesle come pena per gli abusi compiuti. Questa indagine è di stretta competenza della diocesi di Oakland. La Congregazione per la Dottrina della Fede non c’entra, né se ne occupa.

Il secondo e diverso procedimento riguarda la richiesta dello stesso don Kiesle di una dispensa dallo stato clericale. Questa richiesta giunge sul tavolo della Congregazione per la Dottrina della Fede la quale, per una prassi che ha valore di regolamento, di fatto non concede la dispensa a chi non abbia compiuto i quarant’anni. Don Kiesle ne ha trentotto e il vescovo Cummins chiede alla Congregazione di fare un’eccezione perché, accogliendo la richiesta di Kiesle di essere ridotto allo stato laicale su sua domanda, Roma toglierebbe la diocesi di Oakland dall’imbarazzo di proseguire nell’indagine penale per gli abusi (indagine che, appunto, nel 1985 – prima delle modifiche procedurali del 2001 – era di stretta competenza della diocesi e su cui la Congregazione diretta dal cardinale Ratzinger non poteva intervenire). Se la Congregazione avesse accolto la domanda di Kiesle non avrebbe “punito” il sacerdote, ma gli avrebbe fatto un favore: infatti Kiesle voleva lasciare il sacerdozio in quanto intendeva sposarsi. È molto importante distinguere accoglimento di una domanda di dispensa dallo stato clericale, un beneficio accordato al sacerdote, di competenza della Congregazione, e dimissione dallo stato clericale come punizione, di competenza (fino al 2001) della diocesi e non di Roma.

Il cardinale Ratzinger, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, risponde esprimendo simpatia per la delicata posizione del vescovo – cioè, in termini meno curiali, gli dice che capisce bene che al vescovo piacerebbe che fosse Roma a togliergli le castagne dal fuoco – ma ritiene che per il bene della Chiesa si debba rispettare rigorosamente la prassi, e cioè considerare che l’età del richiedente non permette di accogliere la sua richiesta di dispensa dallo stato clericale. “Considerando il bene universale della Chiesa” – il che evidentemente non significa “per evitare scandali” (del caso di abusi sessuali attribuiti a Kiesle si era parlato ampiamente in California, e lo scandalo c’era già stato) ma “per non creare un precedente che aprirebbe la porta a molte altre richieste di dispensa di sacerdoti di meno di quarant’anni” – il cardinale Ratzinger spiega al vescovo che si dovrà prudentemente attendere, come sempre avviene nel caso di richieste di sacerdoti che non hanno compiuto il quarantesimo anno di età.

Nel frattempo la diocesi di Oakland potrà naturalmente proseguire la diversa indagine penale suscettibile di portare Kiesle alla dimissione dallo stato clericale non su sua richiesta ma come pena per gli abusi compiuti. Mentre la diocesi di Oakland continua a indagare su Kiesle – e lo esclude da attività di ministero – nel 1987 il sacerdote compie quarant’anni. A questo punto, come da prassi, la Congregazione accoglie la sua richiesta di riduzione allo stato laicale. Kiesle lascia l’esercizio del ministero sacerdotale e si sposa. È ben noto alle autorità di polizia come personalità disturbata e sospetto di abusi su minori. Le vicende di Kiesle successive al 1987 evidentemente non coinvolgono nessuna responsabilità della Chiesa, ma solo dei tribunali civili e della polizia. Se ha compiuto nuovi abusi la colpa non è della Chiesa – che Kiesle aveva abbandonato e che non aveva più nessun titolo per sorvegliarlo – ma delle autorità civili.

Come aver rifiutato una richiesta che un prete sospettato di pedofilia, il quale intendeva sposarsi, presentava come richiesta di un favore nel suo stesso interesse equivalesse a “proteggere il prete pedofilo” è qualcosa che forse dovrebbe spiegarci l’Associated Press.

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*Il prof. Massimo Introvigne è Direttore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni).

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