lunedì 10 maggio 2010

[ZI100510] Il mondo visto da Roma

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ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 10 maggio 2010

Santa Sede

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Interviste


Santa Sede


Servire i malati nel corpo, nell'anima e nello spirito, chiede il Papa
Messaggio ai partecipanti al 23º Congresso Mondiale della FIAMC

LOURDES, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha promosso un'assistenza sanitaria che abbracci tutta la persona nella sua integrità come servizio d'amore. Lo ha fatto in un messaggio indirizzato ai partecipanti al XXIII Congresso Mondiale della Federazione Internazionale Associazioni di Medici Cattolici (FIAMC).

Circa mille medici e membri del personale sanitario di 50 Paesi hanno partecipato a questo Congresso-pellegrinaggio, svoltosi dal 6 al 9 maggio a Lourdes (Francia) sul tema “La nostra fede di medici”.

Benedetto XVI ha esortato tutti loro a “servire i malati con amore nel loro corpo, nella loro anima e nel loro spirito”.

Dal canto suo, il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, monsignor Zygmunt Zimowski, ha sottolineato nel suo intervento di apertura l'importanza della Carta degli operatori sanitari.

Questo documento, pubblicato nel 1995 dal dicastero che attualmente presiede, segnala che l'assistenza spirituale e religiosa è un diritto fondamentale del malato e un dovere della Chiesa.

In questo senso, monsignor Zimowski ha raccolto l'indicazione del Papa di far fronte alle necessità della dimensione fisica, psichica e spirituale della persona.

Tutti gli agenti sanitari, ha aggiunto, devono creare le condizioni affinché chiunque chieda assistenza religiosa, in modo esplicito o implicito, possa riceverla.

Ha anche proposto la testimonianza di “veri” medici cattolici che si sono impegnati nella difesa della vita e hanno rifiutato la speculazione e i comportamenti superficiali.

Si è riferito ai Santi Giuseppe Moscati e Riccardo Pampuri, dell'Ordine degli Ospedalieri di San Giovanni di Dio, a Santa Gianna Beretta Molla e al professor Jèrôme Lejeune.

“I medici cattolici sono coloro che possono rappresentare il vero volto della cura e della speranza”, ha dichiarato.

Come ha spiegato a ZENIT il presidente della FIAMC, José María Simón Castellví, “il Congresso ha avuto un grande contenuto spirituale, con molti atti di pietà” intorno al Santuario di Lourdes.

Il programma scientifico si è diviso in quattro sessioni, dedicate a Dio creatore, Gesù Cristo redentore, lo Spirito Santo santificatore e un'ultima sessione pro-vita dedicata alla Vergine Maria.

Durante il Congresso, la Federazione dei Medici Cattolici ha conferito il Premio Scienza e Fede, che in genere viene dato a medici, al cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, monsignor Marcelo Sánchez Sorondo.

Simón Castellví ha spiegato che il premio vuole riconoscere “la sua instancabile difesa della scienza e della fede” e “quest'anno è stato dato a un Vescovo anche perché si è nell'Anno Sacerdotale”.

La FIAMC è costituita da circa 60 associazioni nazionali di medici cattolici di tutto il mondo.

E' suddivisa in sei regioni: Africa, Asia, Australia e Nuova Zelanda, Europa, America del Nord e America Latina.



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Il Papa conclude il suo libro sulla Passione e Resurrezione di Gesù
Secondo volume di "Gesù di Nazaret"

MILANO, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- In un panorama in cui l'immigrazione è sempre più presente, è necessario costruire una “società integrata”, ha affermato l'Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Il presule è intervenuto questo lunedì mattina al Convegno “Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane – Per un'integrazione possibile”, promosso dall'Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.

“Mai come oggi le migrazioni sollecitano che si progetti una società nella quale si allarghino gli spazi di appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di emarginazione e di esclusione”, ha affermato.

In questo contesto, “sfida e obiettivo di fondo è la costruzione di una 'società integrata' e questo richiede non tanto la difesa di culture e religioni diverse, quanto piuttosto, da un lato, l’adozione di nuove reti di solidarietà contro la miseria e l’esclusione sociale e, dall’altro, la promozione dell’incontro tra culture che favorisca la relazione, lo scambio e il vicendevole arricchimento”.

Da questo punto di vista, ha aggiunto, “è fondamentale individuare modelli di integrazione che facciano emergere i valori della mutua conoscenza, del dialogo e dell’ascolto, senza dimenticare l’obbligo di tutti al rispetto delle norme di cui ogni Stato, legittimamente, si dota”.

L'educazione, strumento di integrazione

Uno degli strumenti più efficaci per l'integrazione, ha affermato monsignor Vegliò, è l'istruzione. Per questo, “sorge in primo luogo l’esigenza di affrontare la sfida educativa nei confronti dei giovani, ancor più acuta nel contesto delle seconde generazioni di migranti”.

Al giorno d'oggi, le istituzioni educative sono quindi “in prima linea nella formazione di persone capaci di apprezzare la diversità, evitando chiusure pregiudiziali”.

“Per espletare efficacemente la sua missione, la scuola deve partecipare alla ricerca di soluzione dei problemi umani più urgenti e, dunque, è importante investire nella ricerca e nell’insegnamento sui temi riguardanti, per esempio, la democrazia, i diritti umani, la pace, l’ambiente, la cooperazione e la comprensione internazionale, la lotta alla povertà, il dialogo interreligioso e tutte le questioni connesse allo sviluppo sostenibile”.

Allo stesso modo, sono importanti anche “nuovi investimenti sul tema della cittadinanza e della partecipazione, sulla preparazione di educatori, sulla mediazione culturale e su quella sociale”, così come serve “una nuova politica fiscale, della casa, dell’accompagnamento e della sicurezza sociale, della tutela della salute e della vita di tutti”.

La società contemporanea, “che assume sempre più le caratteristiche della multietnicità e del multiculturalismo”, interpella del resto tutti i contesti, “suscitando un processo dinamico di reciprocità delle relazioni e, nello stesso tempo, un movimento di integrazione che presuppone positiva partecipazione nei rapporti tra le persone”.

In un panorama simile, “è necessario accostarsi a tutte le culture con l’atteggiamento rispettoso di chi è cosciente che non ha solo qualcosa da dire e dare, o da giustamente pretendere, ma anche da ascoltare e ricevere, dal momento che, con l’ausilio di adeguato discernimento”.

“Sono certo che anche l’evento che stiamo celebrando in questa prestigiosa sede, che l’anno prossimo festeggerà 90 anni di vita, alla presenza di illustri autorità e di tanti amici, raggiungerà con successo l’obiettivo di ribadire quei valori che esprimono le esigenze fondamentali della persona umana e della sua dignità, tra cui vi è anche l’accoglienza degli immigrati, rispettosa delle leggi e volta a favorire l’integrazione, per una società veramente solidale”, ha concluso l'Arcivescovo.

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Notizie dal mondo


India: la Chiesa dell'Orissa ricostruisce le case di cristiani e indù
"Noi lavoriamo per tutti", dicono i sacerdoti

ROMA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Dopo le violenze che hanno devastato il distretto di Kandhamal, nello Stato indiano dell'Orissa, nel 2008, i cattolici stanno lavorando per costruire 5.500 case, dove abiteranno anche 700 famiglie indù.

Lo riferisce l'agenzia AsiaNews, ricordando che i sacerdoti locali avvertono tuttavia del fatto che “la tensione interreligiosa è ancora alta”. “Noi lavoriamo per tutti, senza nascondere nulla”, hanno dichiarato.

Secondo fonti cattoliche locali, gli episodi di violenza da parte dei nazionalisti indù hanno provocato più di 90 morti ufficiali, soprattutto cristiani, mentre 50.000 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.

Il direttore del progetto di ricostruzione delle abitazioni, padre Ajaya Kumar Singh, ha spiegato ad AsiaNews che “grazie alle donazioni dei cristiani” alla fine di aprile sono state completate le prime 1.360 case.

“Lo scopo è quello di arrivare a 5.550: circa 700 famiglie indù troveranno posto nelle nuove case, mentre le altre andranno ai cristiani”.

La Chiesa, ha sottolineato il sacerdote, “serve tutti”. “La religione non è e non può essere una barriera per il servizio o lo sviluppo locale. Nelle violenze (...) hanno perso la casa cristiani e indù: ora le ricostruiamo per tutti, senza alcun interesse nascosto. Speriamo che questo gesto faccia capire ai nostri vicini indù che la Chiesa pensa a tutti”.

Nonostante questi gesti per favorire la riconciliazione, padre Singh ha riconosciuto che “a quasi due anni dallo scoppio di quelle violenze, ci sono forti tensioni religiose in almeno 15 villaggi del distretto di Kandhamal”.

Padre Manoj Nayak, che supervisiona i progetti insieme a padre Singh, ha indicato che in altri villaggi “ai cristiani non è ancora permesso tornare”.

Questa atmosfera, ha commentato, “non aiuta nessuno”.

“Ad esempio, per il nostro progetto, non ci viene permesso di usare materiale locale. Gli indù non cooperano alla costruzione, e gli abitanti dei villaggi fanno di tutto per ostracizzare i cristiani”.

“Questo non è un buon segno – ha concluso –: noi stiamo cercando di spingere tutti a vivere in pace e armonia, ma ogni giorno affrontiamo tantissime sfide”.

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Caritas Portogallo si prepara all'incontro con Benedetto XVI
Parteciperà all'incontro del Papa con le organizzazioni caritative

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Lo staff di Caritas Portogallo prenderà parte all'incontro tra Benedetto XVI e le organizzazioni caritative, in programma questo giovedì a Fatima.

Il Pontefice visiterà il Portogallo dall'11 al 14 maggio, nel decimo anniversario della beatificazione di Francisco e Jacinta Marto, che insieme alla cugina Lúcia dos Santos furono i testimoni delle apparizioni della Vergine nel 1917.

“Siamo molto felici di questo incontro, significa molto per noi”, ha affermato Luisa Correia, responsabile per le comunicazioni di Caritas Portogallo.

La rete Caritas portoghese ha stampato una brochure speciale basata sulle Encicliche Deus Caritas est e Caritas in Veritate per aiutare la gente a prepararsi per la visita del Papa.

Il Portogallo è stato recentemente al centro dell'attenzione internazionale quando delle fortissime piogge hanno colpito l'isola di Madeira, provocando 43 morti (cfr. ZENIT, 23 febbraio 2010). In quell'occasione la Caritas ha fornito alloggi, cibo e coperte alle vittime.

La preoccupazione principale di Caritas Portogallo è ad ogni modo la povertà dilagante nel Paese.

“Con la crisi economica, la situazione è diventata decisamente negativa. Su dieci milioni di abitanti del Paese, circa due vivono in povertà. I giovani sono colpiti molto duramente dalla disoccupazione, anche se hanno grandi capacità”, ha detto la signora Correia.

Caritas Portogallo è stata particolarmente attiva nella Campagna Caritas europea “Zero Poverty”, organizzando eventi speciali e conferenze sulla povertà per incoraggiare la gente a firmare la petizione della Campagna contro la povertà nel continente.

“Speriamo che questa iniziativa aumenti la consapevolezza della povertà in Europa – ha aggiunto la Correia –. Auspichiamo che l'Unione Europea intraprenda delle misure una volta ricevuta la petizione”.

Caritas Portogallo ha avviato vari programmi per aiutare i giovani, i senzatetto e le famiglie colpite dalla disoccupazione a causa della crisi, fornendo cibo, corsi di formazione, pagamento dei conti e altre forme di sostegno finanziario. Attraverso una recente campagna nazionale, ha raccolto circa 300.000 euro per i poveri del Paese.

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Malawi: crollano i matrimoni, la società in crisi

ROMA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il crollo dei matrimoni in Malawi sta creando gravi problemi a livello sociale, sostiene un sacerdote del Paese adducendo tra le motivazioni i notevoli cambiamenti economici e culturali.

Padre Ignatio Bokosi ha affermato che un forte aumento dei casi di divorzio e una crescita improvvisa del numero delle madri single contribuiscono all'instabilità sociale, con molte famiglie monogenitoriali che lottano per sostenere i propri figli.

Padre Bokosi, segretario pastorale nella Diocesi di Zomba, nel nord-ovest del Paese, ha descritto come la Chiesa stia rispondendo organizzando corsi di consulenza matrimoniale, sotto la direzione di un sacerdote che sta ricevendo una formazione specifica.

Parlando all'associazione caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre, padre Bokosi ha spiegato che il matrimonio, fino a poco tempo fa pilastro della società, è in forte declino.

“Molti matrimoni si spezzano, e molte più donne restano single”, ha indicato.

“Il problema sta peggiorando e come Chiesa dobbiamo aiutare per come possiamo”. In Malawi, i cattolici sono quasi 4 milioni su una popolazione totale di 13 milioni.

“Non molti anni fa, il matrimonio era una parte molto importante della nostra tradizione e della nostra cultura – ha osservato –. Era rispettato, ora non più”.

I bambini sono le vittime principali di questo contesto, ha aggiunto il presbitero, sottolineando che “vivono in famiglie instabili e mancano di modelli maschili appropriati”.

Per padre Bokosi e padre Andrzej Halemba, responsabile dei progetti di ACS nell'Africa anglofona, il crollo dei matrimoni è legato all'Hiv, che colpisce il 12% della popolazione del Paese ed è la principale causa di declino dell'aspettativa di vita da più di 60 anni ai 40 scarsi.

Secondo padre Halemba, i matrimoni non sono più abbastanza forti da sopportare la pressione della malattia, e le vittime vengono spesso abbandonate al proprio destino.

Un ruolo non di secondo piano è poi quello dell'economia, che in Malawi sta avanzando più che in altri Paesi africani, spingendo le donne a sfidare i valori tradizionali e una cultura che a volte non le rispetta abbastanza.

Parte della colpa della situazione, ha denunciato padre Halemba, è attribuibile alle agenzie umanitarie occidentali, che promuovono solo lo sviluppo della donna anziché fornire sostegno a tutta la famiglia.

In base ad alcuni dati pubblicati su Demographic Research, una rivista on-line con base in Germania, fino a un terzo degli abitanti del Malawi è divorziato.

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Navarro-Valls spiega il segreto di Giovanni Paolo II
Riceve la laurea honoris causa a Barcellona

di Nerea Rodríguez del Cuerpo

BARCELLONA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Joaquín Navarro-Valls, psichiatra, giornalista e direttore della Sala Stampa della Santa Sede dal 1984 al 2006, ha ricevuto giovedì la laurea honoris causa conferitagli dall'Università Internazionale della Catalogna (UIC), a Barcellona.

La laudatio di colui che è stato portavoce di Giovanni Paolo II è stata pronunciata dal suo padrino, il dottor Salvador Aragonés, che ha sottolineato “la professionalità e la credibilità” dell'ex portavoce vaticano. Per Aragonés, la credibilità di Navarro-Valls “si basava sulla sua vera amicizia con il Papa di allora, Giovanni Paolo II”.

Dopo il conferimento della laurea honoris causa da parte del Rettore della UIC, Josep Argemí, Navarro-Valls ha pronunciato un discorso centrato sulla persona di Giovanni Paolo II in cui ha sottolineato che “la sua grande opera maestra è stata quella che si è compiuta in lui stesso, all'interno della sua persona: aver mantenuto sempre quella flessibilità interiore che gli ha permesso di rispondere di sì alle richieste e ai suggerimenti che ogni minuto della sua vita ha accolto dall'Alto”.

Dopo aver spiegato alcuni episodi personali al fianco di Karol Wojtyła, il nuovo dottore honoris causa ha rimarcato che “in lui erano evidenti la ricchezza intellettuale di un teologo e l'innocenza spontanea di un bambino”.

Navarro-Valls, definito “maestro della comunicazione” dal Rettore Argemí, ha voluto specificare che una peculiarità di Giovanni Paolo II era la sua relazione diretta con la trascendenza. “La sua spiritualità era attraente e simpatica, apostolica e costantemente convincente. Nella sua giornata stare con Dio era la passione più grande, e la cosa più naturale del mondo”, ha rivelato.

Navarro-Valls ha inoltre ricordato ai tanti presenti che nella convivenza con il Papa defunto “era evidente che Dio non è un codice di leggi, ma una persona. A Dio si può affidare la propria esistenza, a un codice di leggi nemmeno una giornata”.



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Italia


Superiore generali a Roma meditano su mistica e profezia
Assemblea plenaria dell'Unione Internazionale Superiore Generali (UISG)

di Carmen Elena Villa

ROMA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Dialoghi e preghiere in varie lingue, microfoni per la traduzione simultanea, abiti religiosi di vari stili e colori. E' questo l'ambiente che si vive nell'assemblea plenaria dell'Unione Internazionale Superiore Generali (UISG), in svolgimento a Roma fino a questo martedì.

All'evento partecipano circa 800 Superiore Generali di varie Congregazioni, in rappresentanza di 600.000 religiose in tutto il mondo.

La UISG è un organismo ecclesiale di diritto pontificio, eretto nel 1965, che rappresenta 1.900 Congregazioni di diritto diocesano e pontificio, che hanno un totale di oltre 750.000 religiose nel mondo.

L'assemblea di quest'anno si intitola “Conosco bene la fonte che scaturisce e scorre, benché sia notte”, dal cantico di San Giovanni della Croce. Le Superiore hanno descritto come “notte” la situazione attuale del mondo, gli ultimi disastri naturali e anche il momento difficile che sta vivendo la Chiesa cattolica.

La riunione è iniziata venerdì scorso e ha avuto tre giorni cosiddetti di “illuminazione” con conferenze su temi di mistica e profezia. Questo lunedì è iniziata la tappa di “discernimento” e dialogo in cui, in 80 tavoli separati per lingue, le suore parlano e interiorizzano ciò che hanno ascoltato e vissuto in questo incontro.

ZENIT ha parlato con rappresentanti dei cinque continenti per verificare le impressioni e i frutti che questo evento può portare alle loro comunità e alla realtà in cui lavorano.

Una fede che attraversa le frontiere

Per suor Katherine, proveniente da Malta e Superiora delle Figlie del Sacro Cuore, l'incontro è interessante “perché non solo abbiamo discusso dei problemi della Chiesa, ma ci siamo rese conto del fatto che viviamo in un grande pianeta”.

“Guardando sempre al Piano di Dio, potremo purificare, convertire, saremo profetesse e mistiche nella Chiesa e nel mondo”, ha commentato.

La religiosa ha anche parlato dei frutti della recente visita di Benedetto XVI nel suo Paese, che a suo avviso ha avuto un “impatto positivo, soprattutto perché ha parlato nella nostra lingua – il maltese”. L'incontro con i giovani, ha aggiunto, è stato “pieno di entusiasmo”.

Suor Mercedes Leticia Casas, del Messico, è la Superiora Generale delle Figlie dello Spirito Santo, Congregazione di fondazione messicana. Le religiose sono presenti in Italia e in altri Paesi dell'America Latina.

Secondo lei, questo incontro “ci rivitalizza come vita religiosa, ci fa recuperare la speranza nei nostri carismi e nella dimensione profetica della nostra vita mistica; la condivisione di esperienze con altre suore ci conferma nelle chiamate che lo Spirito ci sta rivolgendo e che ci chiedono una maggiore coerenza di vita, una maggiore trasparenza, una vita religiosa più evangelica e significativa”.

Suor Mary è la Superiora della comunità Handmaids of Christ the Priest (Serve di Cristo Sacerdote, ndt), presente in Sudafrica e in Lesotho. “Noi che assistiamo a questo incontro abbiamo qualcosa in comune: l'Eucaristia. E abbiamo anche una meta comune: dire sì a ciò che Dio vuole da noi”, ha indicato.

Il carisma della sua comunità è l'assistenza ai sacerdoti, portando la Comunione ai malati, impartendo la catechesi, lavorando nelle scuole parrocchiali. Il senso della sua vita, ha detto, è “portare Cristo alle persone in vari modi e nei diversi apostolati a cui lavoriamo. Ovunque ci troviamo, dobbiamo annunciare Cristo alla gente”.

La percentuale di partecipanti dell'Oceania è stata più bassa ma ugualmente significativa. Tra le rappresentanti c'è suor Ann, Superiora della comunità delle Suore di San Giuseppe. “E' un'opportunità meravigliosa di conoscere altre Superiore del mondo, soprattutto per l'Australia, che è così lontana da quasi tutto”, ha detto a ZENIT. “E' un grande incoraggiamento per ciascuna di noi, per rispondere alla nostra chiamata”.

La fondatrice delle Suore di San Giuseppe è la beata Mary Mckillop, che sarà canonizzata a ottobre diventando la prima santa australiana. Per suor Ann, questo fatto “rinnoverà molto ogni suora della mia comunità, perché lei ha vissuto il Vangelo nel mio Paese, aiutando i poveri e lottando per loro”:

Dalle Filippine è arrivata suor Evelin Aguilar, Superiora della comunità delle Religiose della Vergine Maria, fondata nel suo Paese nel 1964. Ha detto di voler portare in questo incontro il meglio della fede delle Filippine: “la Chiesa è molto dinamica, i giovani si impegnano, i laici lavorano nel volontariato”, ha detto.

L'incontro “in qualche modo ci dà una strategia per essere capaci di affrontare le sfide nel nostro Paese e nel mondo”, ha sottolineato.

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Un'agenda di speranza centrata sull'Eucaristia
Presentata la 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Un’agenda di speranza concreta ispirata coerentemente alla Caritas in veritate, che vuole essere voce e strumento del popolo italiano con l’Eucaristia quale fondamento della dottrina sociale e del bene comune.

Queste le indicazioni del Documento-Agenda preparatorio per la 46° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si svolgerà a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010, presentato oggi a Roma nella sala Marconi della Radio Vaticana.

In apertura monsignor Arrigo Miglio, Vescovo di Ivrea e Presidente del Comitato Scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, ha ricordato le varie tappe di preparazione, sottolineando le indicazioni che sono venute dalle Settimane Sociali svolte a Pisa Pistoia nel 2007, dal IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona nel 2006.

Secondo monsignor Miglio l’obiettivo finale delle Settimane Sociali è stato indicato da Benedetto XVI in Sardegna, quando ha rilevato l’urgenza di lavorare alla formazione di una “nuova generazione di donne credenti e capaci di assumere responsabilità pubbliche nella vita civile e dunque anche nella vita politica”.

Il Presidente del Comitato ha ricordato anche l’invito del Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nel dedicare la 46ª Settimana Sociale a “uno sforzo di declinazione della nozione di bene comune con specifico riferimento alla situazione del nostro Paese” con particolare attenzione a “esercitare, condividere e testimoniare la speranza cristiana”.

Dopo aver spiegato che la responsabilità per il bene comune non può essere esclusiva di alcuni settori della pastorale o di individui con particolari cariche pubbliche, ma riguarda tutti, monsignor Milvio ha precisato che “la pubblicazione dell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate ha segnato il momento culminante di questa prima fase preparatoria, con la ricchezza magisteriale di analisi e di nuove prospettive offerte non solo ai cattolici, ma a tutti coloro che hanno a cuore il primato della persona umana”.

Il segretario del Comitato scientifico e organizzatore, il dott. Edoardo Patriarca, ha raccontato dell’entusiasmo con cui si sono svolti gli incontri preparatori sul territorio. Praticando la virtù dell’ascolto, si sono realizzati incontri con le associazioni, il volontariato cattolico, i sindacati, esponenti politici, imprenditori e lavoratori.

Il dott. Patriarca ha sottolineato che questi incontri gli hanno permesso di scoprire l’enorme ricchezza di professionalità, capacità imprenditoriali, coraggio e spessore morale presente nelle comunità diffuse sul territorio.

Gente che sta investendo i propri risparmi e le proprie risorse per rinnovarsi, per rispondere alle variazioni del mercato, per trovare le risorse da destinare alla sussidirietà, alle opere sociali, al microcredito, alla creazione di scuole.

“Questa è la vera ricchezza del nostro Paese”, ha sottolineato Patriarca.

Il professor Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università di Roma Tre e vice presidente del Comitato delle Settimane Sociali, ha illustrato il Documento-Agenda preparatorio per la 46° Settimana Sociale, coniugato in 12 domande e relative riflessioni.

Diotallevi ha spiegato che si tratta di un documento che è espressione della realtà, che riporta in forma “condensata” le voci delle persone e dei protagonisti incontrati nel corso delle riunioni preparatorie.

Il principio che più esprime l’intero documento è la necessità di “riprendere a crescere” in tutti i sensi.

“Non si fa bene comune se non si torna a crescere”, ha affermato il vice presidente del Comitato.

In questo contesto Diotallevi ha spiegato le riflessioni circa la necessità di sostenere chi intraprende, che non significa solo parlare con gli iimprenditori ma mettere mano al mercato del lavoro, rendendolo più flessibile, eterogeneo e partecipato.

Il Documento-Agenda rileva l’urgenza di politiche fiscali e sociali favorevoli alle famiglie con figli, senza le quali difficilmente si può ricostituire un solido tessuto sociale ed economico.

In merito alla pressione fiscale Dioatallevi ha indicato politiche di redistribuzione orizzontale ed ha chiesto politiche di sostegno alle imprese.

Molto importante per il Documento-Agenda è la questione educativa: per superare l’emergenza si indicano politiche di rafforzamento dell’autorità e responsabilità dei docenti e dei genitori insieme a una maggiore autonomia degli isitituti scolastici.

In merito alle ondate migratorie il prof. Diotallevi ha ribadito la posizione della Chiesa cattolica, favorevole alla cittadinanza dei figli di emigranti nati, cresciuti ed educati in Italia.

Monsignor Miglio ha poi sottolineato che bisogna trovare un modo efficace per porre freno al crollo demografico che sta investendo l’Italia e l’Europa.

Circa la mobilità sociale, Diotallevi ha suggerito l’autonomia economica degli Universitari e politiche per impedire che gli ordini professionali si riducano a difendere i diritti di “casta”.

Il Documento-Agenda è favorevole al federalismo e a un adeguamento delle istituzioni politiche in funzione di una maggiore trasparenza e democrazia.

L’ultimo punto è dedicato all’ “Eucaristia e la città”. “Eucaristia come fondamento della dottrina sociale”, ha precisato Diotallevi. E monsignor Miglio ha aggiunto che “l’Eucaristia è la speranza che incoraggia la ragione e orienta la vita civile con la forza sacramentale”.

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Interviste


La visita del Papa avrà un "impatto speciale" sui cattolici portoghesi
Intervista all'ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede
di Silvia Gattas

ROMA, lunedì, 10 maggio 2010 (ZENIT.org).- Dall'11 al 14 maggio, Benedetto XVI sarà in Portogallo per una visita apostolica tra Lisbona, Fatima e Oporto. ZENIT ha intervistato l'ambasciatore portoghese presso la Santa Sede, João da Rocha Páris, che descrive emozioni e sentimenti per la visita del Pontefice.

Con quali sentimenti si appresta a ricevere il Papa in Portogallo?

João da Rocha Páris: Per un Ambasciatore, la visita al suo paese del Capo di Stato presso cui è accreditato, è sempre motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Solitamente, queste visite richiedono grande responsabilità e rappresentano l'apice di un processo di preparazione lungo e complesso, in cui si devono coniugare molti fattori, e proprio per questo sono sempre un momento alto nella missione che gli è stata affidata.

La visita del Papa in Portogallo riveste uno speciale significato, considerati i rapporti cordiali e ottimi della Santa Sede con il Portogallo. Ritengo la sua visita come uno dei più importanti momenti della mia missione presso la Santa Sede e penso che, svolgendosi nel contesto della prima delle due grandi peregrinazioni annuali a Fatima, essa avrà un impatto molto speciale sui cattolici portoghesi, che ricordano sempre con grande emozione e affetto il legame molto speciale che Giovanni Paolo II aveva con quel luogo di pellegrinaggio e la sua speciale devozione alla Madonna di Fatima.

Signor ambasciatore, parteciperà alle cerimonie del Papa?

João da Rocha Páris: Spero di poter essere presente alla cerimonia di benvenuto di Benedetto XVI a Lisbona, oltre ad accompagnare i diversi momenti che integrano il programma della visita, sia per quanto riguarda la parte ufficiale che per quella pastorale.

Come giudica l'aspetto delle radici cristiane in Portogallo?

João da Rocha Páris: Le radici cristiane del Portogallo sono molto antiche. Occorre ricordare che fu il Papa Alessandro III che, con la Bolla "Manifesti Probatum", riconobbe il Portogallo come paese indipendente nell'anno 1179 e che da allora i rapporti del mio Paese con la Santa Sede apparvero sempre intensi. Rapporti che passarono attraverso diverse fasi, ma esaminando la storia facilmente si giunge alla conclusione che essi sono stati maggiormente caratterizzati da una feconda interazione, da cui risulta l'importante ruolo che nel tempo la Chiesa ebbe nei vari settori della società portoghese, ad esempio nell'insegnamento e nell'assistenza caritatevole. Credo che tanti dei punti di riferimento nell'educazione di gran parte dei portoghesi, siano basati in molti dei valori universali della religione cattolica.

Come valuta la situazione della fede nel suo Paese?

João da Rocha Páris: Il Portogallo è oggi una democrazia pluralista e una società aperta, tanto sul piano politico-culturale come su quello religioso. Come tale, il Paese deve adempiere all'obbligo che ha di rispettare integralmente i diritti umani e, in quest'ambito, garantire a tutte le religioni, inclusa quella cattolica, la piena libertà di culto e di esercitazione.

Come giudica gli attuali rapporti tra Portogallo e Santa Sede?

João da Rocha Páris: I rapporti tra la Santa Sede e il Portogallo sono oggi caratterizzati, come ho già detto, da una grande cordialità. C'è un Concordato rivisto e aggiornato nel 2004, che è applicato in un quadro di mutuo rispetto e dialogo. Tutto ciò mi permette di dire che non esiste alcuna difficoltà sostanziale. Il rapporto tra Portogallo e Santa Sede uscirà sostanzialmente rafforzato con la visita di Benedetto XVI in Portogallo. Sia la Santa Sede che il Portogallo, inoltre, condividono identiche posizioni per quanto riguarda molti dei problemi di oggi oggetto di dibattito nella scena internazionale, come ad esempio tutto ciò che attiene ai diritti fondamentali dell'uomo e dei popoli.

Un giudizio sul pontificato di Benedetto XVI, in un momento delicato?

João da Rocha Páris: Accompagno il pontificato di Sua Santità Benedetto XVI con grande ammirazione e rispetto, vedendo nel Papa un Pastore molto solido, coraggioso e determinato, e allo stesso tempo lungimirante. Mi colpiscono la sua enorme cultura, chiarezza e la consistenza del suo raziocinio e, contemporaneamente, la sua grandissima sensibilità umana e artistica.


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