850 milioni di affamati, ma il business decide: i biocarburanti invece di alimentari
Per molti cittadini romani si è trattato solo di un episodio di blocco del traffico nelle vie del centro, causato dall'ennesima evento di "politica spettacolo", come sarebbe avvenuto anche pochi gioni dopo con la visita del presidente americano uscente all'"amico Silvio". Invece l'Assemblea generale della FAO poteva essere un evento di portata storica e di importanza capitale per la vita (meglio: la sopravvivenza) di centinaia di milioni di persone.
I dati infatti ci dicono che oggi nel mondo ci sono più di 850 milioni di persone che soffrono la fame, e che la situazione è molto preoccupante: il costo del riso è aumentato del 75% in otto settimane, nell'ultimo anno la soia è aumentata dell'87% e il grano del 120%. Negli ultimi sei mesi ci sono state rivolte per il cibo in 22 paesi, soprattutto africani.
A parte il solito intervento del presidente iraniano Ahmadinejad, che ad ogni occasione non fa che ripetere i suoi strali verso Israele e Stati Uniti, togliendo spazio agli importantissimi argomenti in oggetto (e tutti i media non riescono a fare a meno di riprodurre ogni volta lo stantio gioco di attesa e successiva condanna per le stesse posizioni già ben note), si sono succeduti interventi di rilievo.
Il presidente brasiliano Lula ha difeso le politiche agricole brasiliane, che hanno fatto del Brasile uno dei principali produttori di etanolo (combustibile di origine agricola, che ha il pregio rispetto al petrolio di avere un bilancio nullo in "gas serra"), negando che questo crei squilibri sulla produzione e sui prezzi del cibo. A questo proposito, si contrappongono studi secondo cui la conversione a biocarburanti di terreni agricoli non incide che per il 3% sull'aumento dei prezzi, ad altri per i quali questa influenza ammonterebbe al 30% della crescita dei prezzi. Purtroppo si ha l'impressione che Lula stia cercando di difendere la crescita del suo paese, al prezzo di lasciare ampia libertà alle multinazionali, anche sacrificando ampie fette di foresta amazzonica (ragione che ha portato alle dimissioni della ministra brasiliana per l'ambiente Marina Silva) pur di recuperare qualche "briciola" per sfamare le fasce povere del suo paese.
La presidente argentina Christina Fernandez Kirchner ha descritto la ripresa del suo paese, attraverso politiche espansionistiche basate sull'esportazione da parte delle solite grandi aziende, cercando però di imporre dazi che permettessero di ridistribuire il reddito verso chi non ha da mangiare tutti i giorni, come aveva promesso in campagna elettorale. Ma gli esportatori non hanno accettato lo "scambio" ed hanno bloccato l'Argentina, in un braccio di ferro che ricorda la triste estate del '73 in Cile, ed il cui esito è drammaticamente incerto.
Il primo ministro italiano Berlusconi ha dichiarato che sarà molto generoso (ma durante il suo governo precedente sacrificò gli aiuti previsti per finanziare la missione in Iraq), poi rapidamente ha chiuso il suo intervento raccontando una barzelletta (pescando da un repertorio non molto ricco) su Marx. Il ministro degli esteri Frattini ha fornito un contributo più concreto, proponendo la creazione di una "banca del grano", per stabilizzare i prezzi agricoli a fronte delle forti oscillazioni degli ultimi mesi.
Applausi ed apprezzamento per il presidente Giorgio Napolitano, che ha dichiarato che gli aiuti alimentari non bastano, perché creano un mercato protetto dai soldi pubblici e colpiscono la rete contadina locale, ed ha invitato tutti i paesi a dare un contributo politico concreto, perché il mercato non può risolvere né il problema della fame né quello del cambio di clima.
La Dichiarazione Finale è stata oggetto di lunghissime trattative, che hanno portato al compromesso di conclusioni interlocutorie; sono stati ottenuti nuovi finanziamenti per 8 miliardi di dollari, ma il problema è che non è emersa nessuna strategia di "attacco" del problema. Gli aiuti alimentari diretti, a parte le emergenze più drammatiche, diventano misure controproducenti, riproducendo la dipendenza delle aree più povere dai paesi ricchi e dalla factory agricole internazionali più potenti, che spingono verso l'uso di Ogm, pesticidi e macchinari, che magari aumenteranno la produzione, ma a costi proibitivi per i piccoli agricoltori locali, che spesso sono gli stessi a soffrire la fame, perché espulsi dal mercato o peggio pagati una miseria per i loro prodotti (con prezzi che poi levitano sul mercato facendo arricchire solo i grandi esportatori).
Anche il Vaticano ha bocciato l'esito del vertice: "Tante parole, nessuna soluzione", il titolo de "l'Osservatore Romano" ci si chiede però per quale motivo negli stessi giorni, in occasione degli incontri del Papa con il premier italiano ed il presidente americano, siano emersi riferimenti al finanziamento delle scuole cattoliche ed alla difesa dei valori morali, ma non alle problematiche dell'alimentazione mondiale e alle proposte presso l'assemblea FAO.
La Dichiarazione finale conteneva infatti un esplicito richiamo all'adozione degli Ogm, consigliando anche la liberalizzazione dei mercati agricoli per abbassare i prezzi alimentari a livello internazionale. Questa risoluzione però è stata accusata di incoerenza; i singoli paesi sono venuti a Roma principalmente per difendere i propri interessi: se i paesi più poveri devono aprire i loro mercati, che dire dei sussidi all'agricoltura e del protezionismo dei Paesi industrializzati?
Eppure serve una strategia complessiva per affrontare la drammaticità dei problemi. Oggi la crescita dei paesi emergenti sta causando problemi ai prezzi, ma in modo indiretto, soprattutto con l'aumento del consumo di carne: 1 miliardo e mezzo di bovini nutrono un miliardo e mezzo di persone consumando più della metà dei cereali prodotti nel mondo, quantità che sarebbe sufficiente per nove miliardi di uomini. Se il mercato si sposta quindi alla produzione di cibo verso i biocarburanti o l'alimentazione degli allevamenti, perché più vantaggiose, possiamo solo fare spallucce ed alzare alti steccati per proteggerci poi da milioni di persone affamate in cerca di una speranza?
Jean Ziegler, ex relatore all'Onu per il diritto all'alimentazione, in merito alle conclusioni del dibattito ha sostenuto che "l'interesse privato si è imposto su quello delle popolazioni", ha accusato esplicitamente Stati Uniti (che hanno tenuto un basso profilo mirando probabilmente allo status quo) e grandi multinazionali che controllano l'80% del commercio mondiale. In effetti sui prodotti agroalimentari (e sempre di più anche sulle risorse minime di sopravvivenza come l'acqua) si è spostata la grande finanza, arrivata dalla new economy degli anni '90, passando per la bolla immobiliare fino alla crisi dei mutui subprime, a speculare sui prezzi agricoli, oggi insostenibili per un miliardo di persone. Ovviamente, le aree in cui la fame raggiunge livelli più drammatici sono spesso quelle in cui sono presenti conflitti armati tra fazioni, di solito sostenute da interessi occidentali.
La situazione internazionale è questa, centinaia di milioni di persone muoiono di fame, mentre i mercati fanno il loro corso. Oggi fare politica significa tenere conto soprattutto di questo quadro, proporre riflessioni e soluzioni, far discutere anche le persone al bar, tra un gol in fuorigioco e il gossip su una velina.
Ponte di Ferro/Marco Stirparo
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