lunedì 18 gennaio 2010

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ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 18 gennaio 2010

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Benedetto XVI: il dialogo ecumenico, decisione "irreversibile" della Chiesa
Riceve in udienza una delegazione ecumenica finlandese
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Concilio Vaticano II ha impegnato la Chiesa cattolica "in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica", ha ricordato questo lunedì Benedetto XVI ricevendo in udienza una delegazione ecumenica proveniente dalla Finlandia.

L'incontro è ormai diventato una tradizione annuale in occasione della festa di Sant'Enrico, patrono della Finlandia. Quest'anno, la visita della delegazione a Roma festeggia il suo 25° anniversario.

Gli incontri con la delegazione ecumenica finalndese, ha riconosciuto il Papa nel discorso che ha rivolto ai suoi ospiti, "hanno contribuito in maniera significativa al consolidamento delle relazioni fra i cristiani nel vostro Paese".

L'ecumenismo, ha spiegato, è la via che la Chiesa cattolica ha scelto "senza riserve" dal Vaticano II.

Le Chiese dell'Est e dell'Ovest, entrambe presenti in Finlandia, "condividono una comunione autentica, sebbene ancora imperfetta".

Se questo è "un motivo per rammaricarsi dei problemi del passato", ha ammesso il Pontefice, "è sicuramente anche un motivo che ci spinge a sforzi maggiori di comprensione e di riconciliazione cosicché la nostra amicizia e il nostro dialogo fraterni possano ancora sbocciare in un'unità visibile e perfetta in Cristo Gesù".

Ricordando il decimo anniversario della Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione, "segno concreto della riscoperta fraternità fra luterani e cattolici", il Papa ha espresso il proprio apprezzamento per "l'opera recente del dialogo nordico luterano-cattolico in Finlandia e in Svezia su questioni derivanti dalla Dichiarazione Congiunta".

"Si auspica che il testo risultante dal dialogo contribuirà positivamente al cammino che conduce al ripristino della nostra unità perduta", ha affermato.

Allo stesso modo, si è detto grato per la "perseveranza" della delegazione finlandese "in questi venticinque anni di pellegrinaggio comune", che "dimostrano il vostro rispetto per il Successore di Pietro nonché la vostra buona fede e il desiderio di unità attraverso il dialogo fraterno".

"È mia fervente preghiera che le varie chiese cristiane e comunità ecclesiali che rappresentate possano basarsi su questo senso di fraternità mentre perseveriamo nel nostro pellegrinaggio comune", ha concluso.

All'inizio dell'udienza, l'Arcivescovo finlandese Jukka Paarma ha rivolto al Papa un saluto a nome dei membri della delegazione. Lo scopo della visita, ha spiegato, è anche la celebrazione ecumenica congiunta di commemorazione di Sant'Enrico, il 19 gennaio, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva.

"Per noi tre vescovi finlandesi è una gioia ed è un onore incontrare il Papa durante il nostro pellegrinaggio in quest'anno giubilare", ha dichiarato come riporta "L'Osservatore Romano".

"Noi finlandesi apprezziamo gli incontri regolari fra i responsabili delle nostre Chiese e il Vescovo di Roma", ha aggiunto sottolineando la felice coincidenza dell'udienza con il giorno iniziale della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani, che si concluderà il 25 gennaio.

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La visita del Papa alla sinagoga, una sorpresa per l'ambasciatore israeliano
Mordechay Lewy commenta il suo impatto, soprattutto tra i media

di Jesús Colina

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, la visita di Benedetto XVI alla sinagoga questa domenica è stata una sorpresa positiva e un sostegno alla lotta contro l'antisemitismo.

In un'intervista concessa a ZENIT, l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, riconosce che non potrà dimenticare un aspetto di questo evento: "Prima della visita la stampa ha fomentato un'atmosfera di crisi, e i media sono stati molto delusi per il fatto che dopo non ci sia stata alcuna crisi".

E' stata questa la vera sorpresa dell'incontro, spiega il rappresentante israeliano in Vaticano dal maggio 2008, riconoscendo che con questo gesto il Papa offre anche un contributo alla lotta contro l'antisemitismo.

In questo senso, ha constatato, "penso sia molto utile, perché il Santo Padre ha ribadito ed esteso il significato della Nostra Aetate", la Dichiarazione del Concilio Vaticano II sul dialogo tra i cattolici e i credenti delle altre religioni, in particolare gli ebrei.

Concretamente, osserva, ciò che il Papa sta facendo è "andare all'essenza di questo dialogo".

Per il diplomatico, la visita ha anche un impatto positivo sulle relazioni tra Israele e il Vaticano, che "sono di due tipi: un livello spirituale e uno politico. Vorremmo che entrambi fossero buoni, e tutti e due stanno procedendo nella giusta direzione".

Per quanto riguarda il livello spirituale, l'ambasciatore ricorda che nella sinagoga erano presenti i rabbini della delegazione di Israele che questo lunedì hanno iniziato a Roma la riunione della Commissione Mista del Rabbinato di Israele e della Santa Sede.

Le conversazioni vertono sul tema "L'insegnamento cattolico ed ebraico sulla Creazione e sull'Ambiente. Le sfide dell'intervento umano nell'ordine naturale".

Quando alla dimensione politica, il rappresentante israeliano considera che "abbiamo relazioni molto buone e le stiamo promuovendo a livello della cultura e a quello dei negoziati, che stanno procedendo bene".

Il diplomatico si riferisce alla serie di riunioni che stanno mantenendo rappresentanti di Israele e della Santa Sede su questioni giuridiche e fiscali legate alla presenza secolare della Chiesa nei Luoghi Santi e che sono in sospeso dalla firma dell'Accordo Fondamentale (dicembre 1993), che ha permesso di stabilire relazioni diplomatiche.

Per quanto riguarda l'opinione pubblica in Israele, l'ambasciatore ritiene che l'impatto della visita papale alla sinagoga non sia ancora facile da valutare.

"In Israele dobbiamo procedere con l'idea di mantenere un dialogo con la Chiesa cattolica intenso per quanto sia possibile, ma alcune differenze rimarranno, e dovremo convivere con questo fatto. E questo a mio avviso è un processo di apprendimento", ha concluso.

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Monsignor André-Mutien Léonard, nuovo primate del Belgio
Nomine in Occidente e Oriente
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato questo lunedì monsignor André-Mutien Léonard Arcivescovo metropolita dell'Arcidiocesi belga di Malines-Bruxelles, ha reso noto la Sala Stampa della Santa Sede.

Il presule, finora Vescovo della sua Diocesi natale, Namur, sostituisce nell'incarico il Cardinale Godfried Danneels, la cui rinuncia per motivi di età è stata acettata da Benedetto XVI.

"Diventare Arcivescovo mi colpisce, ma mi dà anche un tocco di giovinezza", afferma sulla sua pagina web monsignor Léonard, 69 anni.

Laureato in Filosofia presso l'Università Cattolica di Lovanio e in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana, ha conseguito il dottorato in Filosofia a Louvain-la-Neuve.

E' stato ordinato sacerdote nel 1964 e nominato Vescovo nel 1991, ed è stato membro della Commissione Teologica Internazionale.

"Non avevo mai pensato di diventare Vescovo, e men che meno Arcivescovo - confessa -. Volevo diventare sacerdote, e se era possibile insegnare all'università".

Dal 1970 al 1991, l'Arcivescovo eletto è stato docente di Filosofia presso l'Università Cattolica di Louvain-la-Neuve, e dal 1978 rettore del Seminario Universitario "San Paolo".

All'annuncio della sua nomina, il presule ha sottolineato la sua volontà di continuare ad essere un pastore accessibile e ha riconosciuto che, con il tempo, è diventato più attento e diplomatico nel modo di parlare, e anche più paziente e ponderato.

La Sala Stampa della Santa Sede ha comuncato anche le nomine delle Chiese orientali cattoliche realizzate dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Arcivescovile Maggiore Siro-Malabarese, dopo aver consultato la Santa Sede e con il consenso previo del Papa.

I Vescovi, riuniti dal 10 al 15 gennaio a Mount Saint Thomas, a Ernakulam, hanno proceduto al trasferimento del distretto civile di Chikmagalur dall'Eparchia di Mananthavady all'Eparchia di Bhadravathi.

Hanno anche accettato le dimissioni di monsignor James Pazhayattil dal governo pastorale dell'Eparchia di Irinjalakuda - eleggendo monsignor Pauly Kannookadan per succedergli nell'incarico - e quelle dal governo pastorale dell'Eparchia di Thamarasserry presentate da monsignor Paul Chittilapilly, eleggendo come suo successore monsignor Remigiose Inchananiyil.

Hanno inoltre proceduto all'erezione delle nuove Eparchie di Ramanathapuram, eleggendo come primo Vescovo monsignor Paul Alappatt, e di Mandya, scegliendo come primo Vescovo monsignor George Njaralakatt.

Sono stati infine eletti monsignor Raphael Thattil come Vescovo ausiliare per l'Eparchia di Trichur e monsignor Bosco Puthur come Vescovo della Curia Arcivescovile Maggiore.

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Notizie dal mondo


A pieno regime la risposta Caritas alla tragedia di Haiti
Rapporto di Antonio Sandoval, uno dei coordinatori

PORT-AU-PRINCE, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ad appena 72 ore dal devastante terremoto che ha sconvolto Haiti il pomeriggio del 12 gennaio, il piano di risposta alle emergenze della rete Caritas lavorava già a pieno ritmo.

I rapporti operativi inviati dal luogo indicano che le operazioni iniziali di distribuzione di aiuti umanitari – tende, acqua potabile e cibo – svolte nelle prime ore dal personale di Caritas Haiti vengono ampliate con l'arrivo di nuove forniture.

Secondo quanto ha indicato il messicano Antonio Sandoval, coordinatore regionale della Caritas Latinoamericana e del Caribe, nella sua prima comunicazione inviata da Port-au-Prince, “sono già stati ottenuti 10.000 kit di cibo per 7 giorni, che serviranno per assistere 10.000 persone attraverso 27 punti di distribuzione già individuati nella capitale e altri due nella Diocesi di Jachmel”.

“La situazione qui è terribile – ha aggiunto – e la popolazione ha bisogno di acqua, cibo e medicinali. La gente è ancora per le strade o nei parchi, dove pernotta. La maggior parte della città è senza energia elettrica. La Caritas sta coordinando con la Conferenza Episcopale e la Nunziatura le iniziative di assistenza alle vittime. Collaboriamo anche con gli organismi dell'ONU e altre agenzie umanitarie”.

“La ricostruzione di Port-au-Prince e del resto delle zone interessate rappresenterà un lavoro titanico dal quale comunità internazionale non può sentirsi esentata”, ha dichiarato.

Sandoval ha reso noto che la strategia di distribuzione degli aiuti ha potuto stabilirsi grazie a una riunione con il Nunzio, l'Arcivescovo Bernardito Cleopas Auza, e i Vescovi del Paese, con la partecipazione del presidente e del direttore di Caritas Haiti e l'assistenza dello staff della rete internazionale, e con Karel Zelenka, responsabile del Dipartimento per la Cooperazione Internazionale di Caritas Internationalis.

I partecipanti alla riunione hanno già visitato personalmente i vari luoghi in cui si sta svolgendo la distribuzione degli aiuti.

“Alcuni degli alloggi improvvisati assistono finora più di 5.000 persone. Altri, pur essendo più piccoli, pongono una serie di sfide all'operato della Chiesa”, ha spiegato Sandoval.

Questo sabato pomeriggio, la Conferenza Episcopale di Haiti ha diffuso un messaggio radiofonico in cui esortava la gente a mantenere la speranza e a trovare nel Signore la forza per affrontare il dolore.

“Nel dolore e nella povertà sorprendono i tanti gesti di solidarietà dei poveri nei confronti dei loro fratelli altrettanto poveri”, ha proseguito Sandoval.

La rete Caritas nella Repubblica Dominicana sta preparando dal canto suo un invio di 50.000 pacchi di prodotti non deperibili, che partirà a breve via terra verso Haiti e si unirà alle 1.500 tonnellate di aiuti umanitari che la Caritas è già riuscita a far giungere ad Haiti.




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Iraq: insanguinata la festa d'insediamento del nuovo Arcivescovo di Mosul
Ucciso a colpi di pistola un commerciante siro-cattolico

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I cristiani iracheni non cessano di essere bersaglio di attentati e violenze. Questa domenica mattina è stato infatti ucciso un commerciante siro-cattolico di Mosul, Saadallah Youssif Jorjis, 52enne sposato e padre di due figlie.

L'omicidio, ricorda AsiaNews, è avvenuto mentre i fedeli festeggiavano l’insediamento del nuovo Arcivescovo diocesano, monsignor Emil Shimoun Nona. Alla cerimonia hanno partecipato anche personalità del Governo locale e leader della comunità musulmana.

Fonti di AsiaNews a Mosul, che hanno preferito rimanere anonime per motivi di sicurezza, parlano di “una persecuzione che prosegue nell’indifferenza generale”.

Saadallah Youssif Jorjis è stato ucciso a colpi di pistola. Era proprietario di un negozio di frutta e verdura nel quartiere di Taqafa, nei pressi dell’università.

L’omicidio di questa domenica segue di pochi giorni un altro assassinio, la cui vittima è stata Hikmat Sleiman, anch’egli proprietario di un piccolo negozio di verdura, ucciso il 12 gennaio.

Il progetto di “pulizia etnica” in atto oggi a Mosul, aggiungono le fonti di AsiaNews, è “molto simile a quanto è accaduto nel 2008”, quando morirono diversi fedeli, sacerdoti e l’ultimo Arcivescovo diocesano, monsignor Paul Faraj Rahho, il cui cadavere venne rinvenuto due settimane dopo il sequestro di cui era stato vittima (cfr. ZENIT, 13 marzo 2008).

“Vogliono spingere i cristiani verso la piana di Ninive e la comunità ha perso la fiducia nel futuro”, si denuncia.

La nomina di monsignor Emil Shimoun Nona da parte del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Caldea è stata approvata il 13 novembre scorso da Papa Benedetto XVI.

Dal 13 marzo 2008, in seguito all'uccisione di monsignor Rahho, l’Arcidiocesi di Mosul era senza pastore. La comunità cristiana aspettava con “ansia e gioia” l’arrivo del nuovo Arcivescovo, ma “l’ennesimo omicidio ha macchiato la giornata di festa”.

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La rete "Pace per il Congo" chiede la pacificazione dei Grandi Laghi
L'iniziativa missionaria invita a firmare una lettera da inviare al Presidente Obama

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La rete “Pace per il Congo”, formata dai missionari che lavorano nella Repubblica Democratica del Congo, sta promuovendo una petizione mondiale perché nel Paese e nella regione africana dei Grandi Laghi si costruisca e si mantenga una pace vera, giusta e duratura.

La rete di missionari invita a firmare una lettera da inviare al Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, ritenuto fortemente impegnato e responsabile della situazione che si sta vivendo in questa regione, con la speranza che un cambiamento positivo della politica possa produrre frutti di pace.

La lettera, in italiano e in francese, ricostruisce il tragico cammino vissuto dalla popolazione della regione del Kivu e presenta a Obama una richiesta articolata in cinque punti.

In primo luogo, la rete chiede che “gli Stati Uniti rivedano criticamente la loro politica in questi vent'anni nella regione dei Grandi Laghi, considerando il prezzo che è costata e costa alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e della regione”.

Chiede anche che “rinuncino e si oppongano alla militarizzazione della regione, che ha già provocato tanta miseria tra la popolazione civile”.

Allo stesso modo, esortano a far sì che “cessi il sostegno interessato ai regimi ugandese e ruandese, condizionando gli aiuti a una vera apertura democratica e al rispetto dei diritti economici, politici e territoriali dei Paesi della regione. In particolare, si decidano anche sanzioni”.

Si chiede inoltre che “la politica recuperi il suo ruolo rispetto all'economia e alle multinazionali”. “In particolare, si usi lo strumento della tracciabilità delle materie prime esportate e si prevedano sanzioni adeguate”.

Allo stesso modo, “si dia fiducia al potenziale umano della regione, aprendo un dialogo con le forze vive della società civile e valorizzando i capi locali oggi esautorati”.

La petizione termina ricordando che “solo nel rispetto dei diritti dei popoli come l'integrità territoriale e la sovranità economica si potrà realizzare la mobilità che permetterà a tutti gli abitanti della regione di avere uno spazio vitale. E' il momento del dialogo e della vera politica in Congo e nella regione dei Grandi Laghi”.

La rete “Pace per il Congo”, la cui sede è a San Polo-Torrile (Parma), mira a raccogliere 100.000 firme entro il 25 gennaio.



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Italia


Al Josp Fest lo stand di Haiti resta vuoto
Si conclude la II edizione del Journeys of the Spirit Festival

di Chiara Santomiero

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- C’è stato uno stand vuoto nel Padiglione World dello Josp Fest: quello dell’ambasciata di Haiti presso la Santa Sede. Nella rassegna di itinerari di spiritualità che si è svolta presso la Nuova Fiera di Roma aveva lo scopo di mostrare ai visitatori un’altra faccia di un Paese tra i più poveri del mondo: quella delle sue bellezze naturali e culturali.

Ma, come ha avvertito nella conferenza stampa di apertura padre Caesar Atuire, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi, ente promotore dell’iniziativa, “le persone incaricate dello stand in questo momento non hanno ancora notizie sui propri familiari dopo il terribile terremoto che ha colpito Haiti”. Solidarietà è stata espressa nello stand accanto dagli addetti dell’Ente turismo della Repubblica Dominicana, Nazione le cui frontiere sono in queste drammatiche giornate affollate dagli scampati provenienti da Haiti.

Espositori di tutti i continenti hanno partecipato al Josp Fest offrendo una panoramica di “tutte le possibili destinazioni per chi è interessato ai viaggi dello Spirito”. In un ideale giro intorno al mondo si passava dal Santuario di Nostra Signora di Lujan, in Argentina, al monastero serbo di Dečani, dagli itinerari di S. Paolo in Turchia e Siria al Santuario della Consolatrice degli afflitti di Kevelaer in Germania, dal monastero di Khor Virap in Armenia agli itinerari sulle tracce di Giovanni Paolo II a Cracovia, in Polonia, senza trascurare le mete più tradizionali: Terra santa, Roma, Lourdes, Fatima, Loreto.

Un’intero “isolato” è stato occupato dall’Ufficio spagnolo del turismo, che ha presentato gli itinerari religiosi delle varie regioni: Andalusia, Aragona, Cantabria, Catalogna, Navarra, Murcia, Paesi Baschi. Il 2010 è l’anno giubilare di Santiago di Compostela e nel Paese iberico sono attese centinaia di migliaia di pellegrini. “L’anno santo compostelano – ha spiegato Juan Luis López Vázquez, responsabile del marketing – ha un ciclo irregolare perché si celebra quando la festa dell’apostolo Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica come quest’anno".

"Per il prossimo anno giubilare occorrerà aspettare il 2021, cioè il ciclo più lungo di 11 anni e per questo si aspetta una particolare affluenza di visitatori”. Nel 2010 ricorre anche l’anno giubilare di Caravaca de la Cruz (Murcia), dove si trova il Santuario della Vera Croce: “E' una delle cinque città al mondo che possono celebrare l’anno santo permanente con diverse periodicità; Giovanni Paolo II concesse il carattere perpetuo a questo giubileo che si celebra ogni sette anni”.

Inoltre, ha ricordato López Vázquez, “ci sono le manifestazioni religiose che vengono celebrate tutti gli anni come i riti della Settimana santa in Andalusia e Castiglia e le mete costituite dai monasteri della Catalogna, in particolare quello della Madonna di Montserrat”. Quali sono le nazionalità dei viaggiatori che visitano in particolare queste mete? “In ordine di affluenza: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia”.

Il Josp Fest quest’anno ha messo al centro il tema della solidarietà, sviluppato nei diversi seminari, worshop ed eventi che si sono svolti nell’arco dei quattro giorni della rassegna e testimoniato anche dalla presenza di associazioni come Focsiv, la Fondazione Magis, Vis - Volontariato internazionale per lo sviluppo, Operation smile onlus.

Una “new entry” nel mondo dell’associazionismo solidale è stata Chefs Sans Frontières (Csf), nata nel 2007. “Il nostro obiettivo – ha spiegato Francesco Liello, uno dei fondatori e presidente di Csf – è di aprire ristoranti in diverse parti del mondo finalizzati al recupero dei cosiddetti ragazzi di strada, cioè quelli che non hanno fissa dimora perché orfani o abbandonati a se stessi, insegnando loro un mestiere legato alla ristorazione e al mondo alberghiero”.

E’ un discorso che si lega a quello del turismo perché le attività di ristorazione potranno essere aperte in zone dove questo costituisce una delle risorse naturali, con l’obiettivo di valorizzare la cultura generale e culinaria dei diversi paesi.

“Fino ad oggi – ha affermato Liello – già cento chefs ci hanno dato la propria disponibilità e contiamo di iniziare in primavera il primo corso per i ragazzi, in attesa di aprire il ristorante, in Senegal dove gli accordi con le autorità locale sono già ad un livello avanzato”.

Ogni ristorante Csf amministrerà in maniera autonoma i propri ricavi, senza far capo ad un’organizzazione centrale: “gli utili – ha aggiunto Liello, giornalista sportivo – verranno utilizzati a livello locale per l’educazione scolastica e sportiva e l’apprendimento di attività di spettacolo e ricreative”. “Speriamo che con l’aiuto di tanti potremo dare un’occasione di sognare a ragazzi a cui questa opportunità è stata negata”.

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Arriva anche in Italia il film "Bella"
Dal 26 gennaio proiezioni nelle sale cinematografiche

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Dopo aver raccolto grandi successi di critica e di pubblico negli Stati Uniti e nel mondo spagnolo e latino americano, il film “Bella” diretto dal regista messicano Alejandro Gomez Monteverde, interpretato e coprodotto da Eduardo Verástegui, arriva anche nelle sale d’Italia distribuito dalla Microcinema e dall’Acec (esercenti cattolici cinema)

Il film “Bella” è una perla nel panorama cinematografico mondiale. Un'opera poetica in cui si scopre e si racconta il senso degli umani destinati a compiere azioni di amore profondo. Un film che commuove e che tocca il cuore, che fa ridere e fa piangere. I dialoghi sono lenti, ma l’incedere della storia è appassionante.

La storia inizia con il giovane José, immigrato messicano negli Stati Uniti, che grazie al suo talento calcistico sta per andare a firmare un contratto con il Real Madrid. Con gioia, concitazione, allegria, Josè si comporta da sbruffone. Ma già la seconda scena inquadra lo stesso Josè triste con la barba incolta mentre fa il cuoco in un ristorante di New York.

Nel ristorante lavora anche Nina, una giovane ragazza che scopre di essere incinta e dopo tre giorni che non va a lavorare perchè preoccupata e indisposta, viene licenziata dal proprietario del ristorante.

Josè assiste alla scena del licenziamento e spinto da compassione segue Nina offrendogli la sua solidale fraternità.

Nina è disperata, senza soldi, senza marito, senza lavoro, è intenzionata a voler mettere fine alla gravidanza. Josè è contrario ma non esprime giudizi né ostilità e cerca di tirar fuori Nina dalla disperazione facendola sentire amata.

A questo punto la storia si intreccia con i genitori e i fratelli di Josè, con il racconto della vita di Nina, e con la scoperta di perchè Josè ha rinunciato a giocare a calcio ed è passato a fare il cuoco.

In questo intreccio di relazioni si scopre che ognuno soffre per problemi più o meno grandi, ma quello che vince è la decisione di ognuno di amare l’altro. E’ un trionfo dell’amore umano che si sviluppa intorno alla sorte di una bambina concepita.

Ne risulta un film che riempie il cuore perchè trionfa il bene e la bellezza della vita.

Nel film vengono affrontati temi come l’aborto, le relazioni tra persone, l’amore, la disperazione, il lavoro, la religione. Nessuno dei temi è affrontato con il nome proprio, ma tutti vengono risolti con l’amore fraterno.

Un film bellissimo, vero e originale perchè dimostra che si possono costruire storie eccellenti raccontando il bene e il buono. Che i cattolici sanno fare film d’autore e che il mondo ha un gran bisogno di storie belle.

Attore protagonista e coproduttore è Eduardo Verástegui, un messicano di 35 anni conosciuto come il “Brad Pitt dell’America latina”. Già cantante del gruppo di pop latino Kairo e fascinoso protagonista di soap opera, Verástegui insieme al regista Alejandro Monte Verde e il produttore Leo Severino, ha dato vita alla Metanoia films, una casa di produzione specializzata in pellicole che coltivano i valori della vita e della fede.

“Bella” è il primo prodotto di questa avventura nel mondo del cinema. Un’opera singolare girata in tre settimane con un budget di appena tre milioni di dollari, nel 2006 ha conquistato a sorpresa il prestigioso “People’s Choice Award” del Festival di Toronto, vincendo la concorrenza di The Departed di Martin Scorsese e The Queen di Stephen Frears.

Insieme ad un notevole successo di pubblico il film ha già ricevuto decine di lettere di donne che hanno rifiutato l’aborto dopo aver visto il film.

In Italia “Bella” è stato promosso e sostenuto dal Movimento per la Vita che ha fatto pressioni in ogni dove pur di farlo arrivare nelle sale italiane e sugli schermi della RAI.

A questo proposito Carlo Casini, presidente del MpV, ha detto: “Un film che vale molte e molte nostre conferenze”.

Nel corso di una intervista alla Radio Vaticana, Casini ha sottolineato che il messggio chiave del film è quello di "accogliere la vita perché se ne riceve sempre un bene; credere nella famiglia, perché è il luogo di accoglienza della vita e anche il luogo che esprime la dignità della vita, che manifesta che la vita è una cosa importante perché ne rivela la grandezza e la dignità. Ottimismo: essere ottimisti, non essere sempre sfiduciati; guardare al meglio, guardare al futuro anche quando non lo si conosce ... Sono tanti i fili conduttori: tutti convergono su questo discorso".

Il film “Bella”  uscirà in contemporanea nazionale il giorno 26 gennaio prossimo nel cinema Aquila di Roma , nei cinema Gnomo o Palestrina di Milano, al cinema Eden di Genova, al cinema Piccolo di Bari, nella sala Agnelli di Torino, nel cinema Europa di Bologna, nel cinema MPX di Padova e nella sala Ecce di Firenze.

Questa è solo una lista iniziale perchè tutte le sale  digitali  MICROCINEMA e le sale  ACEC  sono state attivate per iniziare a programmare il film a partire dal 26 di gennaio.   

Il film in formato DVD non è utilizzabile per “Home Video” ma tutte le sezioni  locali o associazioni aderenti  al  MpV possono proiettarlo in sale cinematografiche, rivolgendosi agli uffici territoriali dell’ACEC (SAS)  oppure all’ufficio MICROCINEMA  di ROMA al n. 06/64760273.



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Interviste


Le questioni in sospeso tra Santa Sede e Israele, e il futuro di Gerusalemme
Padre Jaeger affronta i nodi dell'Accordo Fondamentale del '93 e le prospettive sui Luoghi Santi
di Mariaelena Finessi

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Frate francescano della Custodia di Terra Santa, docente di diritto canonico a Roma, padre David-Maria A. Jaeger è un noto esperto dei rapporti giuridici Chiesa-Stato in Terra Santa e da più di trent'anni studia la "questione di Gerusalemme" sul piano del diritto internazionale.

In questa intervista a ZENIT, padre Jaeger spiega il complesso percorso che Santa Sede ed Israele hanno avviato, in seguito alla firma dell'Accordo fondamentale del 1993, per l'attuazione dei punti riguardanti il regime tributario della Chiesa e le questioni di proprietà sui Luoghi Santi.

Tutto questo proprio mentre il rabbino David Rosen spiega al quotidiano Haaretz che l'atteggiamento di Israele verso il Vaticano è "oltraggioso" e che "ogni [altra] nazione avrebbe minacciato il ritiro del suo ambasciatore molto tempo prima, per il modo in cui Israele non onora gli accordi".

Benedetto XVI è tornato la settimana scorsa sul tema del Medio Oriente, ribadendo il diritto di Israele ad esistere e a godere di pace, ed un uguale diritto del popolo palestinese ad una patria sovrana, a vivere con dignità oltre che a potersi spostare liberamente. «Mi preme inoltre - ha aggiunto il Pontefice - sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l'identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale». Padre David-Maria A. Jaeger, come si può proteggere nella pratica il carattere sacro di questa città?

Padre Jaeger: Verso la fine del passato decennio, e più precisamente nel 1999, un "Gruppo di lavoro" messo insieme da diversi governi europei ha preso in esame, tra l'altro, un progetto, di matrice cristiana, che prevedeva a tale scopo un trattato multilaterale, al quale avrebbero aderito diversi Stati tradizionalmente interessati alla Terra Santa, oltreché Israele e l'erigendo Stato palestinese, denominato "The Jerusalem and Environs Multilateral Treaty". Il trattato sarebbe stato fatto valere da un'apposita organizzazione multilaterale, che si sarebbe chiamata "The Jerusalem and Environs Multilateral Treaty Organisation". I valori fondamentali che tale Trattato e relativa Organizzazione avrebbero salvaguardato sarebbero poi sostanzialmente gli stessi successivamente proclamati nel Preambolo dell'«Accordo di base» tra la Santa Sede e l'Olp (PLO), l'organismo che rappresenta il popolo palestinese sul piano internazionale. Essenzialmente si tratterebbe di garantire a tutti la libertà di coscienza e di religione; di assicurare la parità giuridica delle tre grandi religioni monoteistiche, delle loro istituzioni e dei loro seguaci; di rispettare il carattere particolare della Città di Gerusalemme e dintorni; di salvaguardare i Luoghi Santi e il regime giuridico detto di "Statu quo" che si applica ad alcuni di essi. Per quel che possa valere un mio parere, credo che tale Trattato multilaterale, garnatito dall'apposita Organizzazione, potrebbe davvero essere la miglior via e dovrebbe non aver alcuna difficoltà ad essere abbracciato sia dagli israeliani che dai palestinesi, oltreché dalla Comunità internazionale, perché a vantaggio di tutti.

Ancora nessuna soluzione tra Israele e Santa Sede per l'Accordo fondamentale del 1993. Le trattative per l'attuazione dei punti riguardanti il regime tributario della Chiesa e le questioni di proprietà si sarebbero arenate proprio sui Luoghi Santi. Quali sono i reali motivi che da 17 anni impediscono la soluzione della controversia?

Padre Jaeger: Come si sa, l'Accordo fondamentale è stato firmato il 30 dicembre 1993 ed è entrato in vigore il 10 marzo 1994. Ne è seguito l'Accordo sul riconoscimento agli effetti civili delle persone giuridiche ecclesiastiche, firmato il 10 novembre 1997 ed entrato in vigore il 3 febbraio 1999. Manca sempre l'iscrizione dei due Accordi nella legislazione israeliana interna, il che vuol dire che entrambi valgono certamente sul piano del diritto internazionale, ma si incontrerebbero inevitabilmente delle difficoltà nel farli valere nelle sedi giudiziarie israeliane. Si sa pure che i negoziati sull'attuazione dell'art. 10.2 dell'Accordo fondamentale, con un accordo globale su tutte le questioni fiscali e di proprietà pendenti tra Chiesa e Stato sono state avviate l'11 marzo 1999. Durano oramai da ben più dei due anni previsti dall'Accordo fondamentale, ma non si può dire che siano "arenate". Anzi, il più recente comunicato congiunto al termine della seduta è stato emesso proprio in questo mese, il 7 gennaio. Quanto ai contenuti dettagliati dei lavori, la Commissione bilaterale - "luogo" e "veicolo" dei negoziati - non suole dare informazioni, anche perché tali informazioni non avrebbero senso: sarebbe del tutto inutile dire se su questa o quell'altra questione ci sia "accordo", perché in trattative di questo genere vale il principio "niente concordato finché non sia stato tutto concordato". Così, tra l'altro, si tutelano meglio i diritti  sui quali le Parti fanno affidamento. E' evidente infatti che finché non ci sia l'auspicato Accordo, la Chiesa non rinuncia, e non mette neppure in discussione, i diritti acquisiti prima della creazione dello Stato (nello 1948), e che lo Stato ha più volte e in tanti modi promesso di osservare.

In merito a tale mancato accordo, al termine della plenaria della commissione bilaterale di lavoro tra Santa Sede e Israele - riunitasi in dicembre in Vaticano - il capodelegazione israeliano, Daniel Alayon, vice ministro degli Esteri, avrebbe parlato di "crisi" delle trattative e di "passo indietro" tanto che "tutte le conclusioni raggiunte prima della riunione sono state di fatto annullate". Cosa vuol dire questo e qual è dunque la situazione oggi?

Padre Jaeger: Non si può parlare di "mancato accordo", perchè si sarebbe trattato in ogni caso di riunione solo interlocutoria, semplicemente un'altra tappa dei negoziati. Nessuna persona informata  - anche solo genericamente - pensava che potesse essere quella la riunione conclusiva! Quanto alle asserite dichiarazioni attribuite da un quotidiano israeliano al vice ministro, era subito evidente che erano ad uso e consumo interno, per tranquillizzare gli ambienti fondamentalisti che, non informati dei fatti, paventavano un qualche patto con "il Vaticano" che sarebbe stato contrario a quello che riterrebbero essere principi ed interessi dello Stato ebraico. Chi era presente all'inizio dei lavori della Commissione bilaterale Santa Sede-Israele, nel 1992, sa raccontare che c'era una specie di "accordo da gentlemen" che ogni tanto una o l'altra Parte avrebbe avvertito il bisogno di fare qualche dichiarazione pubblica per soddisfare le proprie esigenze "politiche", senza con ciò incidere sul rapporto bilaterale. Poi, ci sono state anche dichiarazioni pubbliche da parte israeliana in senso ben diverso. Così il noto rabbino David Rosen, già membro importante della delegazione isrealiana ai negoziati - proprio nella fase "costituente" - ha asserito, in una recentissima intervista pubblicata sulla versione inglese online del più influente quotidiano israeliano, HaAretz, il 17 gennaio [giorno della visita del S. Padre alla Grande Sinagoga di Roma], che Israele - è sempre lui che parla -  non è stato fedele ai patti del 1993, nel non aver ancora accettato di riconfermare in blocco tutti i diritti acquisiti alla Chiesa in materia fiscale, come invece - dice - Israele avrebbe promesso di fare in relazione all'allacciamento (già nel 1994) dei rapporti diplomatici con la Santa Sede.

Sempre Daniel Alayon avrebbe tuttavia confermato un chiaro "interesse a dialogare" con la Santa Sede, soprattutto su temi come "antisemitismo, terrorismo, radicalismo islamico". In che modo la Chiesa può aiutare Israele in merito a tali fenomeni?

Padre Jaeger: Il reciproco impegno "cooperazione appropriata nella lotta contro ogni forma di antisemitismo e ogni tipo di razzismo e di intolleranza religiosa" è iscritta nello sesso Accordo fondamentale (1993), all'articolo 2.1, e infatti i cattolici e gli ebrei ovunque si vedono uniti in tale lotta pacifica. Parimenti, lo stesso Accordo, all'Articolo 11.1, contiene la dichiarazione del rispettivo impegno di entrambe le Parti, Santa Sede e Stato di Israele, "alla promozione della risoluzione pacifica dei conflitti fra gli Stati e le Nazioni, con l'esclusione della violenza e del terrore dalla vita internazionale".

Per Gerusalemme lei ha rimesso sul tavolo recentemente l'idea di uno "statuto speciale internazionalmente riconosciuto", sostenendo che Israele e Palestina non sono abilitati a disporre di Gerusalemme, fino a quando le Nazioni Unite non avranno constatato il rispetto delle finalita' indicate dalla comunita' internazionale. Perché, ancora oggi, la Santa Sede ritiene che sia questa la migliore soluzione per Gerusalemme?

Padre Jaeger: Questa non è minimamente un'idea "mia" che israeliani e palestinesi non possono attualmente disporre di Gerusalemme, né disgiuntamente e neppure congiutamente. Piuttosto questa è la condizione del territorio secondo il diritto internazionale, come manifestato oggettivamente, tra l'altro, dalla continua presenza a Gerusalemme dei Consolati generali di "corpus separatum", mai accreditati a nessuno Stato, ma testimoni eloquenti della situazione de iure, mai cambiata dopo la Risoluzione ONU (la 181 del 29 novembre 1947, la stessa che ha autorizzato la creazione dello Stato Ebraico e dell'ancor futuro Stato palestinese), che destinava Gerusalemme ad amministrazione internazionale, come "luogo" di diritti e legittimi interessi che appartengno a grandi comunità mondiali e non rilevano semplicemente dalle due nazioni confinanti. Ora, nel contesto della ricerca di una risoluzione complessiva delle situazioni in Terra Santa che non risultano attualmente conformi al diritto internazionale, è evidente che anche - e innanzitutto -  la condizione del territorio gerosolimitano dovrà essere regolarizzata. Le molte dichiarazioni al riguardo da parte della Santa Sede, nel corso di decenni, farebbero pensare - e questa, sì, che è una mia interpretazione da giurista - a far aderire isreliani e palestinesi a un trattato multilaterale - forse più o meno simile al progetto descritto sopra - che garantisse i valori universali rappresentati a Gerusalemme, e conseguentemente, con l'avallo delle Nazioni Unite, autorizzasse israeliani e palestinesi di disporre, mediante trattato di pace bilaterale, del territorio medesimo. I palestinesi sembrano essersi già impegnati ad accettare di seguire una simile strada, o almeno questa sarebbe la lettura che faccio del Preambolo dell'«Accordo di base» che hanno firmato con la Santa Sede il 15 febbraio 2000. Non ci sarebbe poi motivo per cui non lo possa accettare ugualmente Israele, qualora sia invitato a farlo, concretamente. Sarebbe infatti a favore di tutti e contro nessuno. Un classico "win-win", dove cioè tutte le parti "vincono", come si dice nel mondo degli affari.

Uno statuto speciale per la città, implica - come lei stesso ha ricordato - l'entrata in vigore di strumento giuridico internazionale che superi qualsiasi accordo bilaterale israeliano-palestinese. Nello specifico, come pensa che tale strumento possa salvaguardare il regime dello Status Quo dei Luoghi Santi? In che modo dovrebbe funzionare?

Padre Jaeger: Questa sarebbe infatti la parte più semplice di tale "statuto speciale internanzionalment garantito" per Gerusalemme e dintorni, specie se segue la traccia del ricordato progetto di Trattato Multilaterale con rispettiva Organizzazioe per farlo valere. Infatti il regime giuridico di "Statu quo" che vige per determinati Luoghi Santi prevede che sia il Governo civile pro tempore a vigilare sulla sua regolare osservanza, incaricandosi di sicurezza e ordine pubblico in quei Luoghi Santi particolari. Così, oltre alla riconferma nel Trattao del valore legale internazionale di questo regime giudico, sarebbe in tal caso la rispettiva Organizzazione multlaterale ad assumersi questi oneri "laici" mediante i propri dipendenti, muniti anche dei poteri necessari per mantenere l'odine pubblico. Così si sottrarebbero questi pochi ma importantissimi Luoghi Santi (pensi al Santo Sepolcro di Gerusalemme) agli interessi e ai calcoli politici degli Stati locali o di qualsiasi singolo Stato.

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Questione ecologia e parole da chiarire
Sostenibilità, precauzione, sobrietà e inclusione
di Stefano Fontana*
 

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il recente vertice dell’ONU sul clima tenutosi a Copenhagen e, ancor di più, il Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2010 di Benedetto XVI ci hanno fatto capire, da diversi e talvolta opposti punti di vista, che nel vocabolario corrente relativo a questi temi si adoperano parole che vanno chiarite o, meglio, purificate per evitare il loro frequente uso ideologico. Queste parole sono SOSTENIBILITA’, PRECAUZIONE, SOBRIETA’, INCLUSIONE.

Sostenibilità. L’ambiguità della parola deriva dal fatto che spesso è intesa solo in senso naturalistico, vale a dire come equilibrio della natura e dei suoi elementi, con esclusione dei riferimenti all’uomo e al bene comune umano. In questo senso, paradossalmente, la natura sarebbe maggiormente equilibrata se l’uomo non vi intervenisse. La parola sostenibilità si riferisce naturalmente agli interventi dell’uomo sulla natura e non alle sue astensioni, però nel suo uso c’è pur sempre una ipoteca astensionistica, come se ad essere processato dovesse essere prima di tutto l’uomo e i suoi interventi. Il concetto di sostenibilità ha alimentato in passato molte previsioni dimostratesi poi assolutamente false al punto che se fosse stato applicato quel principio alla lettera ne sarebbero derivati molti danni. Anche le frequenti accuse all’espansione demografica considerata eccessiva possono farsi risalire ad un uso ideologico della parola sostenibilità. Il suo significato è oggi fortemente compromesso per cui è addirittura preferibile non adoperarla. Se proprio lo si deve fare è bene aggiungervi l’aggettivo “umana”. La sostenibilità ambientale ha senso in rapporto alla sostenibilità umana. Essa ha bisogno del progresso e l’uomo deve adoperare la natura, non però scriteriatamente. Ciò non significa solo che deve stare attento agli equilibri fisico-climatici ma soprattutto a quelli sociali e morali. Un valido antidoto all’uso riduttivo della parola sostenibilità consiste nell’adoperarla in contesti da cui invece viene sistematicamente esclusa: l’aborto è sostenibile?

Precauzione. Il principio di precauzione dice che davanti a interventi sulla natura dagli esiti incerti l’onere della prova passa da chi non vuole fare l’intervento a chi lo vuole fare. E’ costui che deve dimostrare che dal suo intervento non deriveranno conseguenze negative. Il principio è piuttosto incerto e si presta a strumentalizzazioni ideologiche. Il caso più evidente è che davanti all’incertezza sostenuta da alcuni dell’identità umana dell’embrione in virtù del principio di precauzione bisognerebbe astenersi ed invece non lo si fa. I principi adoperati a senso unico – per esempio sì per interventi sulla natura fisica e no su quelli della natura umana – lasciano perplessi. La parola precauzione dovrebbe sostituire quella di responsabilità, ma se si guarda bene la elimina: infatti se io per agire dovessi attendere la dimostrazione che dai miei interventi non nasceranno delle conseguenze negative, non agirei mai e quindi non mi assumerei alcuna responsabilità. Meglio quindi non usare questa parola e sostituirla con “prudenza” oppure con “responsabilità” le quali hanno un vantaggio: non escludono l’azione, anzi la postulano.

Sobrietà. La parola sobrietà viene spesso adoperata ma in sensi molto diversi tra loro. La adoperano sia i fautori dell’ideologia ecologista, che vorrebbero “tornare alla natura”, vivere secondo i ritmi della natura, immergersi nella natura per cercare una sorta di equilibrio psico-fisico interpretato gnosticamente come la salvezza, sia anche Benedetto XVI, che per esempio l’ha adoperata nel Messaggio per la Giornata mondiale della Pace di quest’anno. In questo secondo senso, però, sobrietà acquista una dimensione antropologica ed etica, quando non perfino religiosa. Sobrietà non significa solo risparmiare l’acqua quando ci si lava i denti o sostituire le vecchie lampadine con quelle a basso consumo. Sobrietà vuol dire giustizia, temperanza, condurre una vita virtuosa rispettosa della nostra natura di persone umane, solidale e fraterna. Vuol dire dare il giusto valore al lavoro, alla famiglia, rispettare la vita ed evitare atteggiamenti di arroganza non solo nei confronti dell’acqua o dell’aria ma anche e soprattutto degli altri uomini. Diventa anche un atteggiamento religioso quando significa accoglienza responsabile della volontà di Dio nella nostra vita. Senza queste dimensioni la sobrietà diventa un fatto tecnico come mangiare bistecche di soja piuttosto che di manzo. Quanti oggi pensano di aver risolto il problema della sobrietà andando ad acquistare la verdura al “chilometro zero”!

Inclusione. Il termine ricorda il concetto illuminista di emancipazione e quando si sente usare questa parola si pensa subito ad Habermas e al suo spazio pubblico inclusivo. Qui sta il merito ma anche il limite di questa parola. Inclusione significa una estensione di diritti sempre più ampia fino ad essere universale, nel senso che includa tutti i soggetti e tutti i diritti. Ma con quale criterio? L’inclusione non dovrebbe aver criteri altrimenti diventerebbe esclusione. Ed infatti tutti i tentativi di formulare un accordo argomentato sull’inclusione sono destinati a venire meno, proprio perché comporterebbero delle esclusioni. La parola inclusione non conosce un limite preciso, non ha una linea del Piave, davanti alla quale dire no all’inclusione. La parola quindi è il principale cavallo di Troia per ottenere il riconoscimento dei “nuovi diritti.

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*Stefano Fontana è direttore dell'Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina Sociale della Chiesa.

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Il Papa: la Chiesa cattolica, impegnata "senza riserve" nell'ecumenismo
Discorso a una delegazione ecumenica della Finlandia
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo lunedì mattina da Papa Benedetto XVI ricevendo in udienza una delegazione ecumenica della Chiesa Luterana di Finlandia in occasione della Festa di Sant'Enrico.



* * *



Distinti amici,

saluto con affetto tutti i membri della vostra delegazione ecumenica, giunti a Roma per la celebrazione della festa di sant'Enrico. Questa occasione coincide con il venticinquesimo anniversario delle vostre visite annuali a Roma. È quindi con gratitudine che ricordo il modo in cui questi incontri hanno contribuito in maniera significativa al consolidamento  delle relazioni fra i cristiani nel vostro Paese.

Il Concilio Vaticano II impegnò la Chiesa cattolica «in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i "segni dei tempi"» (Ut unum sint n. 3) Questa è la via che la Chiesa cattolica ha scelto senza riserve da allora. Le Chiese dell'Est e dell'Ovest, le cui tradizioni sono entrambe presenti nel vostro Paese, condividono una comunione autentica, sebbene ancora imperfetta. Questo è un motivo per rammaricarsi dei problemi del passato, ma è sicuramente anche un motivo che ci spinge a sforzi maggiori di comprensione e di riconciliazione cosicché la nostra amicizia e il nostro dialogo fraterni possano ancora sbocciare in un'unità visibile e perfetta in Cristo Gesù.

Nel suo discorso ha menzionato la Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione, che ha compiuto dieci anni, che è un segno concreto  della riscoperta fraternità fra luterani e cattolici. In questo contesto, sono lieto di osservare l'opera recente del dialogo nordico luterano-cattolico in Finlandia e in Svezia su questioni derivanti dalla Dichiarazione Congiunta. Si auspica che il testo risultante dal dialogo contribuirà positivamente al cammino che conduce al ripristino della nostra unità perduta.

Ancora una volta, sono lieto di esprimere la mia gratitudine  per la vostra perseveranza in questi venticinque anni di pellegrinaggio comune. Essi dimostrano il vostro rispetto per il Successore di Pietro  nonché la vostra buona fede e il desiderio di unità attraverso il dialogo fraterno. È mia fervente preghiera che le varie chiese cristiane  e comunità ecclesiali che rappresentate possano basarsi su questo senso di fraternità mentre perseveriamo nel nostro pellegrinaggio comune. Su di voi e su quanti sono affidati  alla vostra sollecitudine pastorale sono lieto di invocare le benedizioni abbondanti  di Dio Onnipotente.    

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de "L'Osservatore Romano"]

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Paolo, modello di dialogo interreligioso

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il contributo del Cardinale Jean Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, contenuto nel "Codex Pauli", un'opera unica dedicata a Benedetto XVI al termine dell'Anno Paolino.



 

* * *

La Dichiarazione conciliare Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane in alcuni passi fondamentali attinge al pensiero dell’apostolo Paolo. Al numero 2 essa afferma: «La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia ed è tenuta ad annunciare il Cristo che è “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose».

Infatti il documento fa appello ad una nota espressione di Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (cfr. 2Cor 5,18-19).

Di fronte alla storia che frequentemente è apparsa come quadro di divisioni, lacerazioni e fratture, l’appello dell’Apostolo alla riconciliazione può essere inteso come un richiamo a ciò che oggi chiamiamo con il termine di “dialogo”. Sebbene questo termine non compaia negli scritti paolini, lo spirito che guida l’Apostolo alla ricerca dell’unità e della cordiale convivenza nel mondo pervaso da culture, religioni e sistemi filosofici diversi è quello che si ispira alla realtà del dialogo interreligioso (oggi anche interculturale e interetnico).

Il centro dell’unità cui deve convergere necessariamente l’umanità è per il grande Apostolo la persona di Cristo. Egli con frequenza ama infatti evidenziare il ruolo non solo cosmico, ma anche salvifico della Croce e della Pasqua che hanno fatto del Cristo il Kyrios, Signore dell’umanità e della Storia. Non solo, ma è nel “mistero” della Croce che Paolo vede l’abbraccio di tutta l’umanità, riconciliata dalle lacerazioni e dalle divisioni che al suo tempo venivano raffigurate nella duplice realtà del mondo religioso ebraico e del mondo religioso greco – romano. Quanto avviene ad Atene presso l’Areopago rende ben visibile l’atteggiamento con cui Paolo si pone di fronte all’uomo che ricerca nella sincerità la verità. L’Agnostos Theos, cioè il “Dio sconosciuto”, è pur sempre il Dio da tutti ricercato e verso il quale si protende la profondità del cuore dell’uomo. È qui che l’Apostolo propone in tutta la sua verità l’annuncio del Vangelo di Cristo e l’opera della sua salvezza, racchiusa nell’evento straordinario della Risurrezione.

L’autore degli Atti degli Apostoli non esita ad esprimere la difficoltà di tale annuncio in un mondo religiosamente complesso e profondamente radicato in un pensiero limitato al solo orizzonte umano (cfr. At 17,32). Tuttavia è in questo annuncio che si trovano la radice e l’origine della consapevolezza che Paolo ha della forza rinnovatrice e propulsiva sia del messaggio di verità di Gesù, sia della sua Pasqua di Risurrezione. Un simile atteggiamento dell’Apostolo nei confronti degli Ateniesi che come “a tentoni” sono alla ricerca del vero Dio (cfr. At 17,27) appare profondamente rispettoso e nello stesso tempo capace di cogliere quei semina Verbi che guideranno sia l’ulteriore annuncio della prima Chiesa, sia il dialogo attuale con le diverse religioni.

L’edificio della pace

Come ha ricordato il Santo Padre nel discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso (8 giugno 2008) «tutti hanno il dovere naturale e l’obbligo morale di ricercare la verità. Conosciutala, sono tenuti ad aderire ad essa e a ordinare la propria vita secondo le sue esigenze». E ha proseguito, rievocando 2Cor 5,14: «È l’amore di Cristo che esorta la Chiesa a raggiungere ogni essere umano senza distinzione, oltre i confini della Chiesa visibile. La fonte della missione della Chiesa è l’amore divino». Il contenuto e la modalità del dialogo, pertanto, sono strettamente vincolati. «Veritatem facientes in caritate» (Ef 4,15), ricorda san Paolo, al quale fa eco sant’Agostino: «Victoria veritatis est caritas».

Ritornando al Documento Conciliare Nostra Aetate, al numero 5, leggiamo: «Il Sacro Concilio seguendo le tracce dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i Cristiani che “mantenendo tra le genti una condotta impeccabile (1Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli». San Paolo aveva già raccomandato ai Romani di coltivare nel contesto di un mondo contrassegnato dalle diversità e dalle differenti sensibilità religiose, l’atteggiamento caratteristico del cristiano incentrato nella eirene/pace: «per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (cfr Rm 12,18). Simile raccomandazione, originariamente sulle labbra di Gesù nel discorso della Montagna (cfr. Mt 5,9), è un invito a costruire un mondo ravvivato da rapporti cordiali e fraterni che trovano nel “Principe della Pace” il primo costruttore e il modello raggiungibile da tutti gli uomini. In questa luce ogni religione offre il proprio apporto, anzi è invitata a incrementare alacremente l’“edifico” della pace, per il quale Cristo ancora ama proporsi quale “pietra angolare”. Ed è in questo senso che la Chiesa Cattolica si è fatta più volte promotrice di dialogo con le altre religioni per la pace.

Un ulteriore aspetto che meglio definisce l’esemplarità di Paolo è da ricercare nel concetto di “libertà”: «Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà!» (2Cor 3,17). Paolo è un uomo libero proprio perché conquistato da Cristo. Ed è uomo di preghiera. È nella preghiera che egli trova soccorso nella debolezza, vede un senso là dove sembra esserci soltanto sofferenza, affronta le divisioni tra i credenti, risponde con il coraggio a episodi che – umanamente parlando – appaiono come scoraggianti fallimenti. Ricordava ancora papa Benedetto XVI che «la collaborazione interreligiosa offre opportunità di esprimere gli ideali più elevati di ogni tradizione religiosa». Tra tali ideali vi è sicuramente anche il recupero della dimensione spirituale, avvertita oggi quanto mai urgente di fronte a uno stile di vita sempre più diffuso che non risponde ad alcuna regola oltre al dictat di un consumo sempre più ampio, a ogni costo. Paolo al contrario è un modello di equilibrio: non solo per la sobrietà imposta dal suo stile di vita missionario, sempre in movimento, consapevole della transitorietà di questa vita, ma perché lavora con le proprie mani. Spiritualità, missione e laboriosità sono tutte ben presenti in lui. San Paolo non trasforma mai la religione in un mezzo di arricchimento materiale e in questo modo dà la prima e più forte testimonianza che il denaro non è il dio che regola questo mondo, ma che una Provvidenza più alta muove la storia. Egli ha a cuore anche il destino della natura, vista non solo come risorsa da soggiogare e sfruttare, ma come sorella dell’umanità che invoca anch’essa salvezza (cfr. Rm 8,19-22). Inoltre l’Apostolo diventa anche un modello di solidarietà quando, ad esempio, si fa promotore presso le chiese che vengono dal paganesimo di una raccolta di denaro per le necessità dei credenti più poveri nella comunità di Gerusalemme (1Cor 16,1; Rm 15,26).

Card. Jean Louis Tauran

Presidente del Pontificio Consiglio

per il Dialogo Interreligioso

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