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Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 19 gennaio 2010
Santa Sede
- Il Papa: in seminario capii che "Cristo era più forte della tirannia"
- Comunione e testimonianza, le parole chiave del Sinodo per il Medio Oriente
- Sfide e punti di forza della Chiesa in Oriente per il prossimo Sinodo
- Il Papa conversa con il biblista e rabbino statunitense Jacob Neusner
- Il Rabbino di Roma: il Papa in sinagoga, "un segno di continuità importante"
Notizie dal mondo
- Iraq: un altro cristiano ucciso a 24 ore dall'ultimo omicidio
- Il Meeting di Rimini arriva a New York
- Il Presidente della Mongolia annuncia la moratoria della pena di morte
- Marcia indietro del settimanale francese "Marianne" sui suoi attacchi a Pio XII
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- Segretario generale della CEI: serve una "alleanza educativa"
- Prova d'amore per salvare il matrimonio
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Santa Sede
Il Papa: in seminario capii che "Cristo era più forte della tirannia"
Nel discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La desolazione scavata dal nazismo, la voglia di rinascita nel dopoguerra e la certezza che la tirannia può essere sconfitta da Cristo: sono questi i sentimenti legati agli anni della formazione in seminario rievocati con commozione da Benedetto XVI nel ricevere, il 16 gennaio scorso, la delegazione della città tedesca di Frisinga, giunta in Vaticano per conferire al Papa la cittadinanza onoraria.
Durante l'incontro il Papa ha ricordato il profondo legame che lo lega a questa città, inserita nel territorio dell'arcidiocesi bavarese da lui guidata dal 1977 al 1982, prima di essere nominato da Giovanni Paolo II Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Un legame speciale richiamato anche dalla scelta di Joseph Razinger di inserire nello stemma episcopale e poi in quello pontificio i simboli del “Moro di Frisinga” - la testa di moro coronata ritratta nel suo profilo sinistro, usata da tutti gli Arcivescovi di Monaco e Frisinga, a partire dal 1817 anno del 'Concordato Bavarese', che segna l’atto di nascita della Arcidiocesi - e dell’ “Orso di San Corbiniano”, che si riferisce a una leggenda relativa al Vescovo Corbiniano, giunto da Arpajon, nei pressi di Parigi, intorno al 724 per annunciare il Vangelo nell’antica Baviera.
Nel suo discorso improvvisato il Papa ha parlato di quando, il 3 febbraio 1946, il seminario di Frisinga riaprì le sue porte, dopo una lunga attesa, a un gruppo di aspirati al sacerdozio.
Allora, una parte della casa era stata adibita a ospedale militare per prigionieri di guerra stranieri, che erano lì ricoverati in attesa di essere rispediti in patria, ma nonostante la mancanza di comodità si viveva una sorta di euforia, ha raccontato Benedetto XVI.
“Eravamo in dormitori, in sale per gli studi e così via, ma eravamo felici – ha affermato –, non solo perché finalmente sfuggiti alle miserie e alle minacce della guerra e del dominio nazista, ma anche perché eravamo liberi e soprattutto perché eravamo sul cammino al quale ci sentivamo di essere chiamati”.
“Sapevamo che Cristo era più forte della tirannia, del potere dell'ideologia nazista e dei suoi meccanismi di oppressione – ha quindi sottolineato –. Sapevamo che a Cristo appartengono il tempo e il futuro, e sapevamo che Egli ci aveva chiamati e che aveva bisogno di noi, che c'era bisogno di noi”.
“Sapevamo che la gente di quei tempi mutati ci attendeva, attendeva sacerdoti che arrivassero con un nuovo slancio di fede per costruire la casa viva di Dio”.
Sono poi venuti gli anni della Scuola superiore di filosofia e di teologia di Frisinga – che lo vedrà successivamente come docente di teologia dogmatica e fondamentale -, dove gli insegnanti “non erano solo studiosi, ma anche maestri, persone che non offrivano solamente le primizie della loro specializzazione, ma persone alle quali interessava dare agli studenti l'essenziale, il pane sano di cui avevano bisogno per ricevere la fede da dentro”.
Benedetto XVI ha quindi richiamato il giorno della sua ordinazione sacerdotale insieme con il fratello Georg, avvenuta nel Duomo di Frisinga il 29 giugno 1951, e alle sensazioni provate nel rimanere sdraiato sul pavimento davanti all’altare, durante l'invocazione dei santi con il canto delle litanie.
“Quando sei lì, supino, sei consapevole una volta di più della tua miseria e ti chiedi: ma sarai poi veramente capace di tutto ciò?”.
Poi l'imposizione delle mani da parte dell'anziano Cardinale Faulhaber “e la consapevolezza che è il Signore a porre le mani su di me e dice: appartieni a me, non appartieni semplicemente a te stesso, ti voglio, sei al mio servizio; ma anche la consapevolezza che questa imposizione delle mani è una grazia, che non crea solo obblighi, ma che è soprattutto un dono, che Lui è con me e che il suo amore mi protegge e mi accompagna”.
Infine la memoria del Papa si è fermata sui tre anni e mezzo trascorsi assieme ai genitori nell'appartamento situato nel Lerchenfeldhof, che “hanno fatto sì che sentissi Frisinga veramente come ‘casa mia’”.
Il Pontefice ha quindi richiamato le torri della città che svettano dal Domberg, l'altura sulla quale sorge il Duomo, e che “indicano un’altitudine diversa da quella alla quale possiamo assurgere con l’aereo: indicano l’altitudine vera, quella di Dio, dalla quale proviene l’amore che ci fa diventare uomini, che ci dona il vero ‘essere umani’”.
All'inizio dell'udienza, secondo quanto riportato da “L'Osservatore Romano”, il sindaco di Frisinga, Dieter Thalhammer, ha salutato Benedetto XVI a nome dei presenti, citando Thomas Mann, il quale diceva che “un abitante di Frisinga non è solo uno che vi è nato. Abitanti di Frisinga sono quanti con la vita e con le opere sono legati a essa e nutrono per essa stima e apprezzamento”.
“In questo senso - ha aggiunto -, lei è un abitante di Frisinga”.
Il sindaco ha quindi informato il Papa che, a ricordo del conferimento della cittadinanza onoraria, sarà collocata nel cortile del Duomo un'opera in bronzo.
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Comunione e testimonianza, le parole chiave del Sinodo per il Medio Oriente
Pubblicati i Lineamenta dell'incontro dei Vescovi dell'ottobre prossimo
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Sono stati presentati questo martedì mattina nella Sala Stampa della Santa Sede i Lineamenta del prossimo Sinodo dei Vescovi per la regione mediorientale, sul tema “La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola' (Atti, 4, 32)”.
Per questa preparazione è stato formato un consiglio presinodale composto da sette Patriarchi delle sei Chiese orientali cattoliche sui iuris e dal Patriarca latino di Gerusalemme.
Tra i membri di questo consiglio ci sono quattro capi di dicastero della Curia romana che si occupano di Medio Oriente. I Lineamenta sono stati presentati in arabo, inglese, francese e italiano.
Il testo ha un'introduzione in cui indica l'obiettivo principale e pastorale dell'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che è “confermare e rafforzare i cristiani nella loro identità mediante la Parola di Dio e i Sacramenti” e “ravvivare la comunione ecclesiale tra le Chiese particolari, affinché possano offrire una testimonianza di vita cristiana autentica, gioiosa e attraente”.
Com'è abitudine, ogni parte dei Lineamenta è accompagnata da alcune domande. In totale sono 32 e hanno lo scopo di guidare la riflessione dei destinatari istituzionali – i Sinodi dei Vescovi delle Chiese cattoliche orientali, le Conferenze Episcopali, i dicasteri della Curia romana, l'Unione dei Superiori Maggiori – e di discutere i contenuti del documento, applicando le affermazioni alla realtà dei rispettivi enti ecclesiali.
Il termine per le risposte alle domande da parte delle istituzioni ecclesiali sarà la Domenica di Pasqua (4 aprile) 2010, per poter così pubblicare l'Instrumentum Laboris, che Papa Benedetto XVI consegnerà ai rappresentanti delle Chiese cattoliche orientali durante la sua visita apostolica a Cipro dal 4 al 6 giugno.
Per l'importanza e il significato della Terra Santa per tutti i cristiani, nell'Instrumentum laboris saranno anche considerate le annotazioni di persone di tutto il mondo, riguardanti il sostegno spirituale e materiale ai cristiani e alle Chiese particolari del Medio Oriente.
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Sfide e punti di forza della Chiesa in Oriente per il prossimo Sinodo
Il dialogo e la testimonianza dei cristiani, temi chiave dei Lineamenta
di Carmen Elena Villa
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La testimonianza dei cristiani e il dialogo interrelgioso a favore della costruzione della pace in Medio Oriente sono i temi principali dei Lineamenta dell'Assemblea Sinodale che si svolgerà dal 10 al 24 ottobre prossimi.
Il documento è stato presentato questo martedì mattina durante una conferenza stampa nella Santa Sede alla presenza di monsignor Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, e del sottosegretario, monsignor Fortunato Frezza.
La Chiesa cattolica in Medio Oriente
Il testo mostra un panorama della storia delle Chiese in Oriente, caratterizzate da un forte accento missionario. Oltre alla Chiesa di rito latino, esistono Chiese cattoliche orientali di varie tradizioni: alessandrina (Chiesa copta e Chiesa etiope), antiochena (Chiesa siro-orientale malankarese), bizantina o costantinopolitana (tra cui la Chiesa greco-melchita).
I Lineamenta analizzano poi alcune sfide, come i conflitti politici nella regione, menzionando quelli israelo-palestinese, iracheno e libanese. Si riferiscono anche al tema della libertà religiosa e di coscienza, lamentando che ci siano non pochi ostacoli all'esercizio di tali diritti.
Il documento menziona inoltre l'evoluzione dell'islam contemporaneo, in cui sorgono non di rado correnti estremiste. Per questo, constata, esiste attualmente una forte migrazione di cristiani che si vedono costretti dalle minacce ad abbandonare i propri Paesi d'origine.
Il primo capitolo dei Lineamenta termina proponendo la formazione di cristiani perché possano vivere con sempre più fedeltà la propria fede sia nell'ambito privato che in quello pubblico.
Comunione ecclesiale
I Lineamenta si riferiscono anche alla comunione ecclesiale all'interno della Chiesa tra i vari riti orientali, spiegando che questi sono uniti da due pilastri fondamentali: la celebrazione dell'Eucaristia e la comunione con il Vescovo di Roma.
Il documento tratta temi riferiti a questo aspetto come l'iscrizione in scuole e istituti superiori e la possibilità di ricevere assistenza da parte di enti di natura caritativa come ospedali, orfanotrofi, case di riposo...
La testimonianza cristiana
Il terzo capitolo, il più lungo dei Lineamenta, ha a che vedere con il tema della testimonianza cristiano. Dichiara che è necessario che aumenti il dialogo con altre Chiese e comunità cristiane, e indica che a questo scopo è fondamentale il ruolo del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, riferendosi anche alla partecipazione al dialogo con la Chiesa ortodossa.
Si menziona poi il rapporto con l'ebraismo, dicendo che questo è condizionato dalla situazione politica che pone da un lato lo Stato palestinese e dall'altro lo Stato di Israele, e sottolineando allo stesso modo il legame religioso tra il cristianesimo e l'ebraismo, tra l'Antico e il Nuovo Testamento.
Quanto al rapporto con i musulmani, “purtroppo, per la mancanza di distinzione tra religione e politica, in pratica i cristiani sono spesso in posizione di non-cittadinanza”, ha segnalato monsignor Eterović.
Di fronte a questa situazione, ha aggiunto il segretario generale del Sinodo, è necessario “essere testimoni di Cristo e dei valori del Vangelo in tutti i settori della vita personale, famigliare e pubblica”.
Per questo, “la testimonianza di vita dei cristiani, come fermento di una società rinnovata, rimane essenziale per il presente e il futuro del Medio Oriente”.
Fermare l'esodo dei cristiani
La conclusione dei Lineamenta propone alcune ragioni per le quali i cristiani devono rimanere in Medio Oriente e continuare a offrire il proprio speciale contributo alla costruzione di una società giusta, prospera e pacifica.
Durante la conferenza stampa, monsignor Eterović ha sottolineato che i cristiani in questa regione del pianeta “appoggiano con la preghiera e con le opere di aiuto concreto i loro confratelli del Medio Oriente, culla del cristianesimo, come pure di altri due monoteismi: l’ebraismo e l’islam”.
“La speranza cristiana, nata in Terra Santa, ha animato i fedeli per 2000 anni”, ha detto il presule. “Anche oggi, pure in mezzo alle difficoltà e alle sfide essa rimane per i cristiani e gli uomini di buona volontà la sorgente inesauribile della fede, della carità, della gioia di essere testimoni del Signore Gesù risorto, presente in mezzo alla comunità dei suoi discepoli”, ha concluso.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Il Papa conversa con il biblista e rabbino statunitense Jacob Neusner
Vecchi amici epistolari, il Pontefice lo cita nel suo libro su Gesù
di Jesús Colina
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- I loro ultimi libri sono diventati l'argomento della conversazione che Benedetto XVI ha avuto in Vaticano con il rabbino statunitense Jacob Neusner, considerato uno dei grandi biblisti del panorama internazionale.
“Abbiamo parlato dei nostri libri e lui mi ha confidato di aver finito di scrivere il secondo volume su Gesù”, ha spiegato il rabbino, ritenuto uno degli scrittori più prolifici della storia (ha scritto 950 libri, anche se – come sottolinea – certi ripubblicano alcuni dei suoi scritti).
Joseph Ratzinger e Neusner (la rivista Time lo ha definito il 24 maggio 2007 The Pope's favorite rabbi) sono uniti da molti anni da un'amicizia epistolare, ma si sono conosciuti personalmente in occasione della visita papale dell'aprile 2008 alla Sinagoga di New York.
Nell'udienza, che ha avuto luogo questo lunedì, il rabbino era accompagnato dalla moglie Suzanne. La conversazione tra il Vescovo di Roma e uno dei maggiori conoscitori e studiosi viventi dell'ebraismo è durata circa venti minuti.
“Il tempo sufficiente”, ha spiegato Neusner a “L'Osservatore Romano”, “per un bell'incontro tra due professori. Ho sempre stimato lo studioso Joseph Ratzinger per la sua onestà e lucidità, ed ero molto interessato a incontrare e conoscere l'uomo”.
L'anziano rabbino di Hartford (Connecticut), nato il 28 luglio 1932, è venuto a Roma per unirsi alla visita del Papa alla sinagoga e per partecipare a un dibattito pubblico, lunedì sera, con l'Arcivescovo e teologo cattolico Bruno Forte sul “Discorso della montagna” nella Sala Petrassi dell'Auditorium.
Parlando del suo incontro con il Papa, il rabbino ha confessato al quotidiano vaticano che “la cosa che più mi ha colpito sono stati i suoi occhi penetranti. Egli ti guarda attraverso. E poi i suoi modi da gentleman, pieno di gentilezza e umiltà”.
Il rabbino definisce la visita papale alla sinagoga “un evento grandioso, con una partecipazione enorme, tesa e commossa da parte di tutti, che mi fa ben sperare per il futuro”.
“Il problema dell'oggi - e il Papa lo ha ben compreso - è che si vive nell'oblio, si dimenticano la storia e le tradizioni religiose da cui si proviene. Per questo è importante lo studio della storia”, ha aggiunto Neusner.
“Penso a una questione controversa come quella della figura storica di Pio XII. Secondo me è ancora troppo presto per giudicare e invece sento spesso giudizi trancianti, in un senso o in un altro. Ho come la sensazione che ci sia qualcuno che si agita distruttivamente, che non è interessato al cattolicesimo, né al giudaismo, né, tantomeno, al dialogo tra queste due grandi tradizioni”.
“E' triste, perché poi, nella realtà concreta - lo posso vedere nella mia vita quotidiana negli Stati Uniti -, i rapporti tra ebrei e cristiani sono ottimi”, ha concluso il rabbino. “Se si ignora il passato ci si condanna a riviverlo; lo studio da questo punto di vista è essenziale. Insieme al senso di responsabilità: ogni generazione ha la responsabilità per il futuro e ce l'ha oggi, qui e ora”.
Nel suo primo volume di “Gesù di Nazaret”, il Papa riconosce il “grande aiuto” che ha ricevuto dalla lettura del libro di Neusner “Un rabbino parla con Gesù”, pubblicato negli Stati Uniti nel 1993.
Nel quarto capitolo del suo libro, il Papa lo presenta come rabbino che “insegna all'università insieme con teologi cristiani e nutre un profondo rispetto nei confronti della fede dei suoi colleghi cristiani, ma resta saldamente convinto della validità dell'interpretazione ebraica delle Sacre Scritture”.
Secondo il Pontefice, “il profondo rispetto verso la fede cristiana e la sua fedeltà al giudaismo lo hanno indotto a cercare il dialogo con Gesù”.
Nell'incontro tra vecchi amici a distanza, il rabbino ha offerto al Papa due regali: una copia dell'edizione tedesca del suo libro del 1993, che Ratzinger all'epoca lesse nell'edizione originale americana, e una dell'edizione italiana del saggio sul Talmud (delle Edizioni San Paolo, che lo hanno pubblicato col titolo “Il Talmud : Cos’è e cosa dice”).
La pagina web di Jacob Neusner può essere visitata su http://www.jacobneusner.com
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Il Rabbino di Roma: il Papa in sinagoga, "un segno di continuità importante"
Il commento di Riccardo Di Segni
di Carmen Elena Villa
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, ritiene che la visita di questa domenica di Benedetto XVI alla sua sinagoga rappresenti un passo “importante” nel cammino di intesa e riconciliazione tra ebrei e cristiani.
In un colloquio ZENIT, ha tracciato questo bilancio: “Penso che sia stato un evento importante al di là di tutte le polemiche che ci sono state, e che in qualche modo inevitabilmente continuano ad esserci. Era un momento che consideravamo necessario in un percorso, un segno di continuità importante, e questo c'è stato”.
Secondo il Rabbino Di Segni, nato a Roma nel 1949 e in carica dal 2001, la visita del Papa “dimostra l'esistenza di un fondamento di buona disponibilità da entrambe le parti, che è la base sulla quale dobbiamo discutere con tutta franchezza, senza rinunciare a niente ma andando avanti”.
Sfide per il dialogo ebraico-cattolico
Il Rabbino riconosce due sfide nell'avanzamento del dialogo tra cattolici ed ebrei, anche se riconosce che a dover stilare una lista completa si “potrebbe rimanere fino a domani mattina”.
In primo luogo, ha spiegato, “c'è un problema che riguarda l'interpretazione del ruolo della Chiesa durante la Shoah: la responsabilità dei cristiani nell'antisemitismo”.
“Una parte di questo problema è appunto la responsabilità di Pio XII. Il giudizio su Pio XII è molto complesso, perché è indubbio che nel suo pontificato molti ebrei siano stati nascosti e salvati, ma per noi è anche indubbio che ci sia stata un'acquiescenza, un non fare nulla, davanti a quanto stava accadendo”.
Il secondo problema è “il ruolo teologico degli ebrei nella visione cattolica”.
“Dobbiamo essere convertiti o possiamo tranquillamente arrivare alla salvezza e soprattutto arrivare al tavolo del dialogo senza questo incubo di dover essere messi in discussione? Cos'è la nostra fede? Un altro punto non risolto”.
“Ci sono poi i problemi politici che riguardano in qualche modo la terra d'Israele, ma quelli sono specificamente politici”.
Tra le sfide, infine, il Rabbino ha menzionato il rapporto degli ebrei e dei cristiani “con le altri religioni, con tutti i problemi della modernità”.
Di Segni ha quindi valutato positivamente il discorso pronunciato dal Papa nella sinagoga, in particolare la citazione di Giovanni Paolo II nella quale chiedeva perdono per le sofferenze provocate dai figli della Chiesa ai figli del Popolo dell'Alleanza.
“E' un testo molto nobile, molto importante, sul quale bisogna riflettere da vari punti di vista, perché non c'è nell'ebraismo una delega al perdono. Ciascuno può perdonare le colpe subite, personalmente, e chiedere perdono. E' una cosa che vale soprattutto come impegno per il futuro e da questo punto di vista è importante”.
“Che senso ha chiedere perdono senza identificare chi è stato veramente non dico responsabile ma magari indifferente? E allora su quello si apre una discussione che puo essere un po' complessa in questo momento”, ha aggiunto.
La proposta di perdono presentata dal Papa, secondo il Rabbino, può purificare nel futuro il rapporto tra cattolici ed ebrei.
“Per noi il perdono va letto come un non ripetere. Per noi è questa la cosa importante”.
Bioetica, alla ricerca di un terreno comune
Il Rabbino, che continua ad esercitare anche la sua professione di medico, come primario di radiologia all'ospedale San Giovanni di Roma, ha detto di vedere nella difesa della vita un punto di comune impegno per cattolici ed ebrei.
“Io sono impegnato attivamente nel campo della bioetica. Ovviamente condividiamo il tema della difesa della vita dall'inizio alla fine. Abbiamo qualche discussione su come definiamo l'inizio e come definiamo la fine”.
“Sull'inizio e la fine non abbiamo posizioni identiche”, ha spiegato, “perché il concepimento noi non lo pensiamo proprio come l'inizio della vita”.
Parlando infine della persona di Benedetto XVI, Di Segni ha sottolineato soprattutto “il suo spessore dottrinale e la sua sensibilità ai temi culturali. E' molto differente dall'immagine pastorale precedente. Ma io le posso dire che noi ebrei amiamo la cultura”.
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Notizie dal mondo
Iraq: un altro cristiano ucciso a 24 ore dall'ultimo omicidio
La comunità cristiana sempre più vittima della violenza
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- A meno di 24 ore dall'omicidio di un 52enne siro-cattolico di Mosul (cfr. ZENIT, 18 gennaio 2010), la comunità cristiana irachena piange un'altra vittima.
Questo lunedì è stato infatti ucciso a colpi di pistola da un gruppo non identificato Amjad Hamid Abdullahad, un siro-cattolico di 45 anni.
La notizia è stata diffusa dall'agenzia AsiaNews, che sottolinea come alcuni testimoni abbiano riferito che “l’omicidio è avvenuto davanti alle forze di sicurezza, che hanno osservato tutte le fasi dell’attacco, ma non sono intervenute”.
Fonti dell'agenzia a Mosul hanno spiegato che “il Governo attribuisce gli attacchi ai fondamentalisti di al Qaeda”, ma in realtà la comunità cristiana è vittima “della lotta fra i gruppi di potere” arabi e curdi.
Abdullahad era proprietario di un piccolo negozio di alimentari nel quartiere di Alsiddiq, nella zona nord di Mosul. E' stato ucciso davanti alla sua casa, nel quartiere di Balladiyat, poco distante dal negozio.
Un cattolico di Mosul ha dichiarato che “la tattica è assassinare i cristiani, perché i media non ne parlano”.
I cristiani, denunciano le fonti di AsiaNews, “vivono nel panico” e la gente ha iniziato “la fuga dalla città”. Dietro a questi attacchi, sottolineano, non ci sono “criminali normali”, ma “precisi piani politici” non contrastati dal Governo.
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Il Meeting di Rimini arriva a New York
Un festival culturale di due giorni a Times Square
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto a New York nell'ambito del "New York Encounter", un festival culturale aperto al pubblico e organizzato daComunione e Liberazione e dal Centro Culturale Crossroads.
Al centro del "New York Encounter" incontri su tematiche al centro del dibattito pubblico, ma anche rappresentazioni artistiche, mostre (con visite guidate), nonché stand ricchi di proposte sociali, culturali e professionali.
La manifestazione si è svolta presso il New York Marriot Marquis, a Times Square, il 16 e 17 gennaio scorsi.
In questo contesto, sabato 16 gennaio, è stato presentato il Meeting per l'amicizia tra i popoli, in un incontro dal titolo: "Meeting di Rimini. Un esempio straordinario di fede vissuta nella pubblica piazza", a cui hanno partecipato John Sexton, presidente della New York University, Brad Gregory, professore associato di storia all'università di Notre Dame, Emilia Guarnieri, presidente del Meeting, Daniel Sulmasy, professore di medicina ed etica presso l'università di Chicago, e Joseph Weiler, professore presso l'università di New York.
Domenica 17 gennaio si è svolto l'incontro sul tema "La carità: si può vivere così?", una discussione sulla natura e il fine della carità cristiana alla luce dell'opera di monsignor Luigi Giussani, "Si può vivere così? Volume III - Carità".
Il testo è stato pubblicato dall'università McGill - Queens. Al tavolo dei relatori si sono succeduti don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Lorenzo Albacete, autore ed editorialista, e Stanley Hauerwas, teologo presso la Divinity School alla Duke University.
Sempre domenica 17 gennaio è stata eseguita "La passione di Giovanna D'Arco", una presentazione eccezionale del film muto di Dreyer, accompagnata dalla Metro Chamber Orchestra, diretta da Phil Nuzzo e accompagnata dal coro di Comunione e Liberazione diretto da Christhopher Vath, il quale ha messo in scena "Voices of Light" di R. Einhorn.
Lunedì 18 gennaio si è svolto l'incontro "Le parole e l'io. Come la letteratura ci aiuta a giudicare il mondo e la nostra esperienza" con Paul Elie, autore e editorialista presso Farrar, Straus & Giroux;
John Waters, giornalista presso l'Irish Times, autore e drammaturgo; Greg Wolfe, editore e redattore del giornale Image.
Nell'ambito delle attività di presentazione del Meeting di Rimini, martedì 15 dicembre, presso il Centro Internazionale di Comunione e Liberazione a Roma è stato presentato il libro "La conoscenza è sempre un avvenimento" edito da Mondadori Università, realizzato dalla Fondazione per la Sussidiarietà e curato da Alberto Savorana, con l'introduzione di Giorgio Vittadini e la prefazione di Emilia Guarnieri.
Nel volume oltre al messaggio di Benedetto XVI, sono riportati gli interventi di Carmine di Martino, Julián Carrón, Tat'jana Kasatkina, Vladimir Shmalyj, Fabrice Hadjadj, Rémi Brague, Robert George, Mary Ann Glendon, Antonio Maria Rouco Varela,Tony Blair, Amparito Espinoza, Joseph H. H. Weiler, Brad Gregory, Carl A. Anderson,Yves Coppens, John Mather, Charles Townes e Marco Bersanelli, Mario Draghi, Renato Schifani, Oscar Giannino e Giancarlo Cesana.
L'occasione è stata propizia per fornire un'anteprima della XXXI edizione del Meeting per l'amicizia fra i popoli.
Introducendo l'evento, Roberto Fontolan ha sottolineato come il Meeting sia una storia che prosegue tutto l'anno, inserita in una grande cornice di rapporti.
L'ambasciatore Antonio Zanardi Landiche, che ha incontrato il Meeting nel 2008 proprio in occasione della presentazione del libro di quell'anno, ha confidato di essere rimasto sbalordito dalla vivacità che è possibile incontrare a Rimini, stupito per la ricchezza e "la continua proposizione di idee nuove e interessanti, tanto da fungere come spunto per futuri incontri e da considerarsi punti di forza nella rappresentazione della cultura italiana all'estero".
A illustrare i contenuti del libro è stato Giorgio Vittadini, evidenziando in particolare come la ricchezza dell'esperienza e dei contenuti del Meeting trascenda il libro e come quello che avviene al Meeting sia più di quello che dicono le parole.
Ma proprio per poter conservare la ricchezza di quello che accade in quella settimana si è pensato di raccogliere i principali interventi all'interno di un libro che documenta, come "Persone con le idee e professioni più differenti - ha affermato cittadini - si trovano dentro ad un avvenimento".
"Ci siamo accorti - ha continuato - che questo incontro, apparentemente casuale, genera qualcosa di strano, una risposta al tema, un giudizio che sembra scritto in modo organico dall'inizio alla fine. Una ricchezza di contenuti innovativi che testimoniano una nuova cultura, una nuova modernità".
"Infatti - ha affermato Cittadini -, siamo all'inizio di una nuova era, abbiamo il coraggio di pensare ad un'altra idea di uomo (...), ad un'immagine di uomo che ha uno sguardo stupito, curioso, interessato di fronte alla realtà. Si riprende coscienza che questo uomo desideroso di verità, giustizia e bellezza scopre che la realtà gli risponde, che c'è un soggetto che desidera".
Emilia Guarnieri ha chiuso l'incontro tracciando i primi passi del cammino che conduce alla prossima edizione che si svolgerà a Rimini dal 22 al 28 agosto 2010 con il titolo: ‘Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore".
"Innanzitutto - ha sottolineato la Guarnieri - sono le amicizie a fungere da motore fondamentale per il Meeting e poi ci sono le suggestioni che il titolo riverbera".
"Non c'è niente di più semplice - ha osservato - che riconoscere la natura dell'uomo e muoversi a partire da questa" e "qualunque percorso nell'uomo è determinato, grazie a Dio, da questa tensione per le cose grandi ed è interessante individuare le prospettive che nascono da queste suggestioni".
"L'attesa dell'uomo è fatta per incontrare qualcuno - ha concluso la presidente del Meeting -, l'uomo è fatto per quello che desidera, per le stelle. Le stelle vengono incontro all'uomo, Dio viene incontro all'uomo".
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Il Presidente della Mongolia annuncia la moratoria della pena di morte
Decisione "sorprendente e coraggiosa", dichiara la Comunità di Sant'Egidio
ULAN BATOR/ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 14 gennaio scorso, con uno storico discorso in Parlamento, il Presidente della Mongolia Tsakhiagiin Elbegdorj ha proclamato solennemente l'introduzione di una moratoria ufficiale delle esecuzioni, ha decretato la riduzione automatica di tutte le sentenze capitali a 30 anni di reclusione e ha espresso apertamente la sua intenzione di raggiungere quanto prima l'abolizione totale e incondizionata della pena di morte.
La Comunità di Sant'Egidio ha espresso in un comunicato il suo più caloroso apprezzamento per “una sorprendente e coraggiosa determinazione nella volontà di cancellare una volta per tutte dalla legislazione della Mongolia la pena capitale”.
Questa risoluzione, secondo la Comunità, “non è il frutto di una decisione improvvisa. Già 19 anni fa, da deputato, Elbegdorj aveva infatti proposto di introdurre, a livello costituzionale, la sua completa eliminazione dal sistema giudiziario del Paese centroasiatico”.
Ad ogni modo, aggiunge, “la straordinarietà dell’iniziativa presidenziale si contraddistingue per un approccio profondamente umanista nella concezione della giustizia, e per una teoria singolarmente progredita del rispetto della vita e della dignità umana, che mostra pochi precedenti nel continente asiatico”.
Da quando ha assunto la Presidenza della Mongolia, sette mesi fa, Elbegdorj non ha intenzionalmente sottoscritto alcuna esecuzione e indica oggi la necessità di porre fine a quella che egli stesso non esita a definire la “vergogna” del regime penale mongolo: l’oblio assoluto dei detenuti nei bracci della morte e dei loro corpi dopo l’esecuzione, nascosti dal più rigido segreto di Stato, senza che le loro famiglie possano avere un luogo dove poterli piangere.
Il Capo di Stato, spiegando le ragioni della sua decisione, dichiara soprattutto che la facoltà di concedere la grazia, anche a chi si è macchiato del peggior crimine, è un principio al quale bisogna restare fedeli perché è garanzia e tutela del valore della vita umana. Si mostra poi particolarmente preoccupato per gli errori giudiziari e il rischio di condannare un innocente. In Mongolia si contemplano 59 fattispecie di pena capitale.
In appena 16 mesi, tra il 1937 e il 1939, 20.474 cittadini mongoli – dei quali 1.228 in un unico processo – vennero soppressi, vittime delle persecuzioni del regime, ricorda.
“La pena di morte degrada la dignità umana, provoca nelle famiglie delle vittime e dei condannati ferite, dolore e risentimenti”, denuncia il Presidente, sottolineando che secondo le antiche tradizioni del Paese la vita è la più grande ricchezza per ogni uomo e ogni donna.
“Lungi dal privare della vita i propri cittadini – dichiara –, al contrario lo Stato deve esercitare il potere di impedire la soppressione di un essere umano, laddove la società civile lasciata libera a se stessa non riesca a garantire che gli uomini non si uccidano gli uni gli altri”.
Sul fatto che maggioranza della popolazione sia favorevole alla pena capitale, ribatte che nessuno dei Paesi che hanno abolito la pena di morte finora lo ha fatto per pressioni “dal basso”, e che uno Stato incapace di clemenza non può a suo avviso infondere fiducia nei propri cittadini.
“Intendo essere un Presidente che non privi della vita i suoi cittadini in qualsiasi circostanza in nome dello Stato. Il diritto alla vita è assoluto e non può dipendere neanche dal Capo dello Stato”, ha detto Elbegdorj.
“Non esiste alcuno studio in grado di provare che l’abolizione della pena di morte aumenti il tasso di criminalità. E’ invece largamente dimostrato che mantenendola si assiste ad un incremento dei reati più gravi. Dunque, la pena capitale non è un deterrente ai delitti”.
La Comunità di Sant’Egidio afferma di condividere “nel profondo tali convincimenti, sostiene e incoraggia il Presidente Elbegdorj nel non agevole itinerario verso l’abolizione nel suo Paese e saluta un evento di straordinaria rilevanza verso l’affermazione della vita sempre e comunque”.
Il lavoro comune della Comunità di Sant’Egidio con Tamara Chikunova, che ha già condotto all'abolizione della pena capitale in Uzbekistan, ha sostenuto gli sforzi che in questi anni hanno creato a livello istituzionale e della società civile un cambiamento decisivo per un maggiore rispetto della vita umana e una giustizia senza pena di morte in Mongolia.
Quello compiuto nel Paese, afferma Sant'Egidio, “è un passo importante che indica una strada percorribile anche da altri governi dell'Asia, nell'anno in cui verrà ripresentata alle Nazioni Unite la Risoluzione per una Moratoria Universale all'Assemblea Generale”.
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Marcia indietro del settimanale francese "Marianne" sui suoi attacchi a Pio XII
Pubblica l'articolo: "Pio XII: e se 'Marianne' si fosse sbagliato?"
PARIGI, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Dopo la pubblicazione di un articolo che evoca lo “scandalo della beatificazione di Pio XII”, il settimanale francese “Marianne” ha fatto marcia indietro sull'argomento.
“Il nostro articolo del 2 gennaio 'Il Papa che rimase in silenzio di fronte a Hitler', che ha affrontato il tema della possibile beatificazione di Pio XII, ha suscitato reazioni”, osserva la redazione di “Marianne”. “Anche tra i nostri cronisti abituali. Tra questi, Roland Hureaux considera che, di fronte all'Olocausto, Pio XII agì come un uomo responsabile anziché dare lezioni”.
Nell'articolo, diffuso l'11 gennaio, Hureaux ricorda che i “dirigenti della Chiesa cattolica si situano dalla parte dell'etica della responsabilità”. “Perché, contrariamente a ciò che possono far pensare alcuni, i buoni cristiani non sono adolescenti tardivi, e la Chiesa cattolica ha responsabilità effettive: quella, tra il 1939 e il 1945, di milioni di cattolici ma anche di centinaia di migliaia di ebrei rifugiati nelle sue istituzioni!”.
“E' estremamente immaturo pensare che il Papa potesse parlare indiscriminatamente senza preoccuparsi di questa responsabilità”, afferma.
Secondo il giornalista di “Marianne”, “nulla permette di dire che, in relazione a quella situazione, il Papa avrebbe potuto, essendo meno 'prudente', migliorare l'equilibrio tra bene e male”. “Serve una presunzione singolare da parte di coloro che non hanno vissuto le stesse circostanze né hanno mai esercitato analoghe responsabilità per presentare giudizi a questo proposito”.
“Come ha detto Serge Klarsfeld, alcune parole solenni durante la retata degli ebrei di Roma avrebbero 'sicuramente migliorato la reputazione attuale di Pio XII'. Ma che criminale sarebbe stato se, per forgiare la propria immagine davanti alla storia o anche per preservare l'onore dell'istituzione, avesse sacrificato la vita di anche solo uno delle migliaia di bambini ebrei rifugiati nei giardini di Castel Gandolfo e in tanti conventi!”.
Roland Hureaux considera anche che bisognerebbe avere “una singolare ignoranza di quello che fu il regime nazista per immaginare che questo tipo di proclami avrebbero potuto commuoverlo”.
“Come si può dire che il Papa non abbia detto nulla contro il nazismo, quando fu lo sherpa della redazione, dall'inizio alla fine, dell'Enciclica Mit brennender Sorge (1937)?”, aggiunge.
Pio XII era “ossessionato dall'anticomunismo”. “Come sono leggere queste parole! Dimenticano che tra l'agosto 1939 e il giugno 1941 Hitler e Stalin furono alleati, si portò a termine un piano di sterminio dei sacerdoti e delle élites polacche e centinaia di migliaia di cattolici polacchi vennero assassinate. Ma non ci fu alcuna protesta memorabile”. “Perché? Non lo so”.
“Egli sapeva che, di fronte alla 'Bestia immonda', non sarebbe servito a nulla cercare di intenerire. Bisognava limitare in modo prioritario i danni senza alimentare la sua ira”.
“Di fatto – continua Roland Hureaux –, il vero mistero di Pio XII non è tanto il suo comportamento durante la guerra, ma la lettura che se ne è fatta 70 anni dopo. Com'è possibile che questo Papa, che era oggetto di elogi unanimi da parte del mondo ebraico (Ben Gurion, Golda Meir, Albert Einstein, Léo Kubowitski, segretario del Congresso Ebraico Mondiale, il Gran Rabbino di Roma, ecc.) e non era ebreo possa essere oggi così vilipendiato?”.
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Italia
Segretario generale della CEI: serve una "alleanza educativa"
Mons. Mariano Crociata interviene a Cesena all'incontro "Educare alla verità"
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il nostro tempo richiede una speciale "alleanza educativa" che coinvolga individui, famiglie e istituzioni. Lo ha ricordato lunedì sera mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), intervenendo a una conferenza sul tema "Educare alla verità. I fondamenti dell'educazione", organizzata dalla diocesi di Cesena-Sarsina nell'ambito dell'iniziativa "Dialoghi per la città", giunta quest'anno alla terza edizione.
"Il compito educativo - ha ricordato il presule - è costitutivo per ogni società, che non a caso si dota di scuole e istituzioni finalizzate, come pure per la Chiesa, che ad esso dedica una parte considerevole del proprio impegno, e per la famiglia; è uno dei compiti essenziali per una collettività e per ogni generazione, o più semplicemente per la vita dell'uomo".
Oggi, tuttavia, l'educazione è diventata "un osservato speciale, un'attività in affanno, un organismo bisognoso di cure e di intervento", perché "non ci misuriamo più soltanto con una pluralità di antropologie, come è avvenuto soprattutto in epoca moderna, ma con una mutazione vera e propria dell'approccio all'umano".
Quella a cui si assite è "una disarticolazione dell'essere umano, sempre più considerato oggetto e materiale d'uso" - come è ben visibile nelle "possibilità biotecnologiche" -, che spinge a "comportamenti fortemente individualistici e materialistici, improntati a consumismo ed edonismo".
Per questo, ha spiegato mons. Crociata, occorre un progetto concreto per affrontare in modo adeguato sfida educativa, "una sorta di mobilitazione di presenze e di risorse", "una mobilitazione a cui si può dare il nome di alleanza educativa".
Infatti, ha concluso, l'educazione "prima che una attività e una professione è una esigenza e una attitudine permanente dell'esistenza umana".
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Prova d'amore per salvare il matrimonio
Un film ed un libro per evitare separazioni e divorzi
ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il fenomeno della dissoluzione matrimoniale si va sempre più diffondendo. In Italia ogni anno si contano, tra separazioni e divorzi, oltre 130 mila nuovi casi (356 ogni giorno).
Secondo i dati Istat del 2007, ci sono state 81.359 separazioni (+1,2% rispetto al 2006) e 50.669 divorzi (+2,3%). I figli coinvolti sono 100.252 nelle separazioni e 49.087 nei divorzi.
Insieme alle sofferenze, a disagi, alle spese, quello che fa più impressione è il disfacimento del tessuto sociale.
Per far fronte a questa emorragia, la Chiesa Cattolica ha da anni attivato una pastorale per i divorziati e sta lavorando sodo nella preparazione al matrimonio.
Intervistato da ZENIT don Marcello di Fulvio, responsabile dell'ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Palestrina, ha spiegato che nel lavoro di educazione e formazione è stato molto utile la proiezione del film "Fireproof. Non abbandonare mai il tuo partner" e la lettura del libro "La sfida dell'amore" (Editrice Uomini Nuovi).
Il film, uscito nelle sale in Italia lo scorso luglio, e ora disponibile anche in formato Home Video, racconta la storia di Caleb Holt, un vigile del fuoco, il quale vive tenendo sempre in mente una massima del padre: "Mai lasciare indietro il tuo compagno".
Mentre si prodiga per salvare vite umane, Caleb non è abbastanza sensibile e gentile per salvare il suo matrimonio, che dopo sette anni rischia di naufragare.
In maniera assolutamente veritiera il film mostra i litigi tra Caleb e sua moglie Catherine. I due sembrano non comprendersi più, ed anche quando Caleb su consiglio del padre si comporta più gentilmente, Catherine, tentata da un medico, non riesce a capirlo.
A questo punto la "Prova del fuoco" diventa una sfida ad amare di più.
Consigliato e sfidato dal padre, Caleb non accetta l'idea della separazione e del successivo divorzio, si mette in gioco e comincia a seguire un programma di 40 giorni, come dettato dal libro "La sfida dell'amore".
Una sorta di educazione all'amore gratuito e incondizionato, con la pratica di esercizi quotidiani per contrastare il proprio egoismo e sviluppare una più vasta capacità di amare.
Nonostante gli sforzi di Caleb, a causa di equivoci e tentazioni, Catherine respinge continuamente le attenzioni di suo marito e arriva a chiedergli il divorzio.
Ma proprio nel momento più duro Caleb trova la fede, si rinnova, gode del sostegno dei suoi genitori che lo spingono a non mollare e a migliorarsi, fino ad arrivare al lieto fine, con i due che scoprono di amarsi più di quando si erano sposati.
Quando è uscito negli Stati Uniti, Fireproof ha fatto segnare un incredibile esordio, con oltre due milioni di dollari incassati al suo primo giorno di programmazione, avendo a disposizione meno di 900 sale.
Il film è scritto e diretto da Alex Kendrick, un pastore battista, regista di Affrontando i Giganti", un altro film che nel 2006, pur essendo costato appena 100,000 dollari, riuscì ad incassare negli Usa ben 10 milioni di dollari.
Don Marcello di Fulvio ha detto a ZENIT di essere rimasto colpito da come il film e il libro guidino "verso un percorso di fede matrimoniale, sottolinendo l'importanza della indissolubilità del matrimonio".
Secondo il responsabile della comunicazione della Diocesi di Palestrina, il film oltre ad essere fatto cinematograficamente molto bene è adatto anche ai giovani che si accingono a sposarsi.
"Offre molti spunti di riflessione catechistici senza mai annoiare o cadere in una forma di bigottismo che lo renderebbero poco credibile", ha commentato il sacerdote.
"In un panorama cinematografico italiano che si vanta di distribuire volgari cinepanettoni - ha concluso don Marcello - questo è un film che parla della famiglia con ben altri concetti, per questo credo che sia da diffondere e da valorizzare".
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Segnalazioni
Va in scena un'opera teatrale in onore di San Pio da Pietrelcina
Il 23 gennaio, a San Giovanni Rotondo
La manifestazione ha ottenuto il patrocinio dei frati minori cappuccini di San Giovanni Rotondo e il contributo della Cassa Rurale ed Artigiana della stessa città, in occasione dell'anniversario della professione perpetua di Padre Pio e in vista del centesimo anniversario dell'ordinazione sacerdotale del Santo.
La trama prende spunto dal soggiorno del frate stimmatizzato del Gargano nel convento di Venafro, periodo caratterizzato da continue estasi e vessazioni diaboliche.
Nell'ottobre 1911 dopo una visita medica dal dottor Antonio Cardarelli a Napoli, padre Pio viene condotto a Venafro, perché, secondo la diagnosi del celebre medico, il giovane frate aveva i giorni contati, non poteva viaggiare a lungo e il convento di Venafro era il più vicino.
Durante il mese e mezzo circa passato in questo convento, la fraternità si accorse dei primi fenomeni soprannaturali: estasi divine della durata anche di un'ora e apparizioni diaboliche, di breve durata.
Padre Pio le riconosceva sempre tali con il solo comando: "Dì, viva. Dì, viva Gesù".
Il cast è formato da giovani del territorio, operanti in realtà vicine al convento dei frati: Marco Bramante, Max Mischitelli, Giovanna Cugino, Andrea Scaramuzzi, Matteo Cianflocca, Antonio Tancredi, e la piccola Scarale Rossana.
Nel cast anche la partecipazione straordinaria di Anna Longo e Giuliana Baorda, allieve della scuola di Canto della Maestra Vittoria Bramante, e di fra Antonio Scaramuzzi, un frate minore cappuccino confratello della provincia religiosa di San Padre Pio che presterà la sua voce per recitare fuori campo le parole pronunciate da San Pio.
Fra Antonio Scaramuzzi è sostenitore assieme agli organizzatori dell'iniziativa di un aiuto a favore del Seminario minore "Mukassa" di Donia Diocesì di Gore Tchad, oltre che assistente spirituale del gruppo.
Arricchiranno la piece teatrale le musiche di Domenico Consale e le coreografie di Studio Danza di Grazia Pompilio e Antonella Rendina.
La compagnia teatrale "I filatelici", non sono nuovi a temi del genere, hanno difatti già rappresentato in passato spettacoli nel Santuario "Santa Maria delle Grazie" e anche in altre zone che ne hanno fatto richiesta.
L'ingresso è gratuito e aperto a tutti.
Per eventuali contatti con i "Filatelici": cell. 338/9795850; e-mail: infotelic@gmail.com
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Forum
L'aspetto spirituale della sofferenza ad Haiti
La tragedia può portare a una maggiore fede in Dio
di Carl Anderson*
NEW HAVEN (Stati Uniti), martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Negli ultimi giorni, tutti noi siamo rimasti sconvolti dalle scene di morte e distruzione ad Haiti. Milioni di noi hanno cercato un modo per alleviare la sofferenza delle popolazioni. Non c'è dubbio che nei prossimi giorni verranno pronunciate migliaia di omelie per aiutarci a comprendere come un Dio d'amore possa permettere una sofferenza simile.
Una delle “spiegazioni” più controverse negli Stati Uniti è venuta da un evangelizzatore protestante che ha dichiarato che Haiti è stata “maledetta” da quando i suoi fondatori hanno “siglato un patto con il demonio” per raggiungere l'indipendenza della Nazione dalla Francia. I suoi commenti, come si può intuire, hanno suscitato un'enorme controversia.
Nell'Antico Testamento ci sono molte descrizioni di nazioni che vengono punite da Dio per la loro idolatria e ingiustizia, e alcuni cristiani continuano a guardare a quelle storie per spiegare gli eventi mondiali.
I cattolici di oggi, però, guardano in una direzione diversa per comprendere come Dio affronti il peccato umano, e non hanno bisogno di altro che il crocifisso sull'altare della loro chiesa. Dio si è unito liberamente e amorevolmente alla sofferenza umana nel sacrificio di suo Figlio sulla croce.
Gli evangelizzatori che citano spesso Gv 3:16 nelle loro prediche dovrebbero anche ricordare cosa si dice nel versetto successivo: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.
La tragedia di Haiti avrà probabilmente effetti a lungo termine, non solo per le persone che hanno perso i propri cari, ma per un'intera generazione che ha testimoniato la distruzione, ed è importante avere la giusta comprensione di ciò che è accaduto.
Molti resoconti paragonano Haiti alla recente devastazione dell'uragano Katrina negli Stati Uniti, o al terremoto di Città del Messico del 1985, ma la tragedia haitiana avrà con ogni probabilità un impatto psicologico a lungo termine più simile a quello del terremoto di Lisbona nel 1755. Quel sisma fu seguito da uno tsunami e da un incendio che distrusse quasi tutta la città e uccise un milione di persone.
La catastrofe di Lisbona ha cambiato il modo di vedere di molti dei principali intellettuali del XVIII secolo, come Voltaire, Kant e Cartesio. Il sisma avvenne nella festa di Tutti i Santi in un Paese a maggioranza cattolica, e questo fece sì che molti cristiani europei mettessero in discussione la propria fede in Dio.
Nei prossimi giorni vedremo qualcosa di simile, e quindi Haiti è oggi un test della nostra fede in Dio e del nostro impegno nei confronti degli uomini.
Pensando questa settimana ad Haiti, non ho potuto fare a meno di pensare all'opera di padre Damiano di Molokai, “l'apostolo dei lebbrosi” recentemente canonizzato da Benedetto XVI. Molti anni fa ho avuto l'opportunità di recarmi a Molokai, nelle isole Hawaii, e mentre visitavo la parrocchia ho visto una fotografia di una donna anziana scattata negli anni Trenta del secolo scorso. Aveva perso le orecchie, il naso, le punte dei piedi e le dita a causa della lebbra. Era anche cieca. Ogni giorno, mi venne detto, recitava il rosario tenendolo tra i denti.
Non molto tempo dopo, parlavo con un sacerdote missionario che aveva aperto una casa per i malati di lebbra. Ogni giorno, mentre celebra la Messa, un anziano, anche lui cieco per la malattia, dice durante la preghiera dei fedeli: “Dio Padre, ti ringrazio per tutte le cose buone che mi hai dato”.
I filosofi e i teologi continueranno a cercare spiegazioni nella speranza di rispondere alle nostre domande sul problema della sofferenza nel mondo. La risposta migliore, però, viene forse da coloro la cui sofferenza va oltre ciò che riusciamo a immaginare. Questi credenti sperimentano la realtà che Dio si è unito a loro nella sofferenza.
Nell'omelia che ha pronunciato nella Messa di canonizzazione di padre Damiano, il Papa ha detto che “Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest'invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto”.
“La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo”, ha aggiunto.
E' questa la chiave per capire gli eventi di Molokai e Haiti. E sarà questa la misura della nostra risposta come cristiani.
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*Carl Anderson è Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo.
[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]
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Documenti
Discorso del Papa per il conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga
"Nella biografia del mio cuore"
CITTA' DEL VATICANO, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso improvvisato da Benedetto XVI nel ricevere in udienza, il 16 gennaio scorso in Vaticano, la delegazione che gli ha conferito la cittadinanza onoraria di Frisinga.
* * *
Signor Sindaco,
caro signor Cardinale,
caro signor Arcivescovo,
caro signor Vescovo ausiliare,
care cittadine e cari cittadini di Frisinga,
cari amici!
È per me un momento di commozione essere diventato ora, anche giuridicamente, cittadino di Frisinga e appartenere così in modo nuovo e tanto ampio e profondo a questa città, della quale nell'intimo sento di far parte. Per questo posso solo dire di cuore: «Vergelt's Gott» (Dio ve ne renda merito). È una gioia che ora mi accompagna e che rimarrà con me. Nella biografia della mia vita — nella biografia del mio cuore, se così posso dire — la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei. E il fatto che — come lei, signor Sindaco ha osservato — io abbia incluso nel mio stemma il moro e l'orso di Frisinga mostra al mondo intero quanto io appartenga ad essa. Il fatto, poi, che io sia ora cittadino di Frisinga, anche dal punto di vista legale, ne è il coronamento e mi rallegra profondamente.
In questa occasione affiora in me un intero orizzonte di immagini e di ricordi. Lei ha già accennato ad alcuni di essi, caro signor Sindaco. Vorrei riprendere alcuni spunti. Anzitutto c'è il 3 gennaio 1946. Dopo una lunga attesa, finalmente era arrivato il momento in cui il seminario di Frisinga poteva aprire le porte a quanti ritornavano. In effetti, era ancora un lazzaretto per ex prigionieri di guerra, ma ora potevamo cominciare. Quel momento rappresentava una svolta nella vita: essere sul cammino al quale ci sentivamo chiamati. Nell'ottica di oggi, abbiamo vissuto in modo molto «antiquato» e privo di comodità: eravamo in dormitori, in sale per gli studi e così via, ma eravamo felici, non solo perché finalmente sfuggiti alle miserie e alle minacce della guerra e del dominio nazista, ma anche perché eravamo liberi e soprattutto perché eravamo sul cammino al quale ci sentivamo di essere chiamati. Sapevamo che Cristo era più forte della tirannia, del potere dell'ideologia nazista e dei suoi meccanismi di oppressione. Sapevamo che a Cristo appartengono il tempo e il futuro, e sapevamo che Egli ci aveva chiamati e che aveva bisogno di noi, che c'era bisogno di noi. Sapevamo che la gente di quei tempi mutati ci attendeva, attendeva sacerdoti che arrivassero con un nuovo slancio di fede per costruire la casa viva di Dio. In questa occasione devo elevare anche un piccolo inno di lode al vecchio ateneo, del quale ho fatto parte, prima come studente e poi come docente. C'erano studiosi molto seri, alcuni anche di fama internazionale, ma la cosa più importante — secondo me — è che essi non erano solo studiosi, ma anche maestri, persone che non offrivano solamente le primizie della loro specializzazione, ma persone alle quali interessava dare agli studenti l'essenziale, il pane sano di cui avevano bisogno per ricevere la fede da dentro. Ed era importante il fatto che noi — se ora posso dire noi — non ci sentivamo dei singoli esperti, ma parte di un insieme; che ciascuno di noi lavorava all'insieme della teologia; che dal nostro operare doveva rendersi visibile la logica della fede come unità, e, in tal modo, crescere la capacità di dare ragione della nostra fede, come dice san Pietro (1 Pt 3, 15), di trasmetterla in un tempo nuovo, all'interno delle nuove sfide.
La seconda immagine che vorrei riprendere è il giorno dell'ordinazione sacerdotale. Il duomo è sempre stato il centro della nostra vita, come pure in seminario eravamo una famiglia ed è stato padre Höck a fare di noi una vera famiglia. Il duomo era il centro e lo è diventato per tutta la vita nel giorno indimenticabile dell'ordinazione sacerdotale. Sono tre i momenti che mi sono rimasti particolarmente impressi. Anzitutto lo stare distesi per terra durante le litanie dei santi. Stando prostrati a terra, si diventa ancora una volta consapevoli di tutta la propria povertà e ci si domanda: davvero ne sono capace? E allo stesso tempo risuonano i nomi di tutti i santi della storia e l'implorazione dei fedeli: «Ascoltaci; aiutali». Cresce così la consapevolezza: sì, sono debole e inadeguato, ma non sono solo, ci sono altri con me, l'intera comunità dei santi è con me, essi mi accompagnano e quindi posso percorrere questo cammino e diventare compagno e guida per gli altri. Il secondo, l'imposizione delle mani da parte dell'anziano, venerabile cardinale Faulhaber — che ha imposto a me, a tutti noi, le mani in modo profondo ed intenso — e la consapevolezza che è il Signore a porre le mani su di me e dice: appartieni a me, non appartieni semplicemente a te stesso, ti voglio, sei al mio servizio; ma anche la consapevolezza che questa imposizione delle mani è una grazia, che non crea solo obblighi, ma che è soprattutto un dono, che Lui è con me e che il suo amore mi protegge e mi accompagna. Poi c'era ancora il vecchio rito, in cui il potere di rimettere i peccati veniva conferito in un momento a parte, che iniziava quando il vescovo diceva, con le parole del Signore: «Non vi chiamo più servi, ma amici». E sapevo — noi sapevamo — che questa non è solo una citazione di Giovanni 15, ma una parola attuale che il Signore mi sta rivolgendo adesso. Egli mi accetta come amico; sono in questo rapporto d'amicizia; egli mi ha donato la sua fiducia, e in questa amicizia posso operare e rendere altri amici di Cristo.
Alla terza immagine lei ha già fatto allusione, signor Sindaco: ho potuto trascorrere altri indimenticabili tre anni e mezzo con i miei genitori nel Lerchenfeldhof e quindi sentirmi ancora una volta pienamente a casa. Questi ultimi tre anni e mezzo con i miei genitori sono stati per me un dono immenso e hanno davvero reso Frisinga la mia casa. Penso alle feste, a come abbiamo celebrato insieme il Natale, la Pasqua, la Pentecoste; alle passeggiate che abbiamo fatto insieme nei prati; a come siamo andati nel bosco a prendere i rami d'abete e il muschio per il presepe, e alle nostre escursioni nei campi lungo l'Isar. Così Frisinga è diventata per noi una vera patria, e come patria rimane nel mio cuore.
Oggi alle porte di Frisinga si trova l'aeroporto di Monaco. Chi vi atterra o decolla vede le torri del duomo di Frisinga, vede il mons doctus, e forse può intuire un po' della sua storia e del suo presente. Frisinga ha da sempre un'ampia veduta sulla catena delle Alpi; attraverso l'aeroporto essa è diventata, in un certo senso, anche mondiale e aperta al mondo. E tuttavia vorrei dire: il duomo con le sue torri indica un'altezza che è molto superiore e diversa rispetto a quella che raggiungiamo con gli aerei, è la vera altezza, l'altezza di Dio, dalla quale proviene l'amore che ci dona l'umanità autentica. Il duomo, però, non indica solo l'altezza di Dio, che ci forma e ci addita il cammino, ma indica anche l'ampiezza, e questo non solo perché nel duomo sono racchiusi secoli di fede e di preghiera, perché in esso è presente, per così dire, tutta la comunità dei santi, di tutti coloro che prima di noi hanno creduto, pregato, sofferto, gioito. Esso indica, in generale, la grande ampiezza di tutti i credenti di ogni tempo, mostrando così anche una vastità che va oltre la globalizzazione, poiché nella diversità, addirittura nel contrasto delle culture e delle origini, dona la forza dell'unità interiore, dona ciò che può unirci: la forza unificatrice dell'essere amati da Dio. Così Frisinga rimane per me anche l'indicazione di un cammino.
In conclusione vorrei ancora una volta ringraziare per il grande onore che mi fate, anche la banda musicale, che rende qui presente la cultura veramente bavarese. Il mio desiderio — la mia preghiera — è che il Signore continui a benedire questa città e che Nostra Signora del duomo di Frisinga la protegga, affinché essa possa essere, anche in futuro, un luogo di vita umana di fede e di gioia. Molte grazie.
[Traduzione dal testo originale in tedesco a cura de “L'Osservatore Romano”]
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Documenti sulla web di ZENIT
Testo dei Lineamenta per il Sinodo sul Medio Oriente
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