mercoledì 27 gennaio 2010

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Servizio quotidiano - 27 gennaio 2010

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Benedetto XVI: mai più Auschwitz!
Si commemora oggi il "Giorno della memoria" per ricordare la Shoah

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Mai più Auschwitz, mai più tragedie simili a quella della Shoah, frutto di odio razziale e religioso. E' questo l'accorato appello di Benedetto XVI risuonato questo mercoledì, nell'aula Paolo VI, al termine dell'Udienza generale.

Le parole del Papa hanno richiamato la commemorazione quest'oggi del “Giorno della memoria”, istituito nel 2000 dal Parlamento Italiano al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

In occasione di questa ricorrenza le città italiane organizzano mostre, conferenze, visite guidate a musei e sinagoghe, incontri di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, al fine di conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un così tragico ed oscuro capitolo della storia.

“Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświęcim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti”, ha ricordato il Papa.

“Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista”, ha aggiunto.

“Crimini ignobili”, aveva detto poco prima rivolgendosi ai fedeli di lingua tedesca, “prodotti in Germania dalla megalomania sprezzante del genere umano e dall'odio razziale dell'ideologia nazista”.

Il “Giorno della memoria”, ha continuato, serve a celebrare “tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei” e “quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida”.

“Con animo commosso – ha invitato il Pontefice – pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani”.

“La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia”.

“Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!”, ha quindi concluso.

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Non c'è vero rinnovamento ecclesiale senza comunione con il Papa
Benedetto XVI presenta San Francesco come modello di riformatore
di Inma Álvarez

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- San Francesco d'Assisi è un modello di vero rinnovamento ecclesiale, perché questo non è stato realizzato “senza o contro il Papa, ma in comunione con lui”.

Papa Benedetto XVI ha dedicato la sua catechesi per l'Udienza generale di questo mercoledì alla figura del Santo di Assisi, proseguendo la catechesi del 13 gennaio sull'importanza degli ordini mendicanti nella storia della Chiesa.

Durante il suo intervento, nel quale ha ripercorso tutta la vita del Santo, il Pontefice ha sottolineato l'importanza della sua visita a Papa Innocenzo III, nel 1207, per sottomettersi all'approvazione del suo ordine. Poco prima, il Papa aveva avuto un sogno, in cui “un religioso piccolo e insignificante” sosteneva sulle sue spalle la Chiesa.

“Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio”, ha affermato Benedetto XVI.

“Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui – ha sottolineato –. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa”.

“Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica”.

Nella vita dei santi, ha aggiunto, “non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo”.

In questo senso, il Papa ha ribattuto a certe correnti storiche che “hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli un cosiddetto Gesù storico”.

“Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia”.

Anche se è vero che San Francesco non voleva creare un ordine religioso, “capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi”.

“Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni”.

Povertà

Benedetto XVI ha sottolineato vari aspetti della spiritualità di San Francesco, soprattutto l'identificazione con Cristo.

“In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù”, in particolare la “povertà interiore ed esteriore”.

“La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali”, ha proposto il Papa.

Un altro punto sul quale si è soffermato è stata la devozione del Santo per l'Eucaristia, in cui si esprimeva il suo “amore per Cristo”

“Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia”, ha ricordato, invitando i presbiteri a “vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo”.

Ha quindi alluso a uno dei tratti caratteristici del Santo che lo hanno reso famoso in ogni tempo: “il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature”.

“È un messaggio molto attuale”, ha osservato ricordando i suoi ultimi interventi sul rispetto dell'ambiente e soprattutto il suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno.

“Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio”.

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Mons. Lanfranchi, nuovo Arcivescovo-Abate di Modena-Nonantola

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola presentata da mons. Benito Cocchi, per raggiunti limiti di età, nominando nuovo Arcivescovo-Abate di Modena-Nonantola, mons. Antonio Lanfranchi, finora Vescovo di Cesena-Sarsina.

Mons. Antonio Lanfranchi è nato a Grondone di Ferriere, in diocesi e provincia di Piacenza-Bobbio, il 17 maggio 1946. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali nel Seminario minore di Piacenza e quelli filosofici e teologici nel Collegio Alberoni della stessa città, ha frequentato a Roma la Pontificia Università Lateranense e il Pontificio Ateneo Salesiano, conseguendo i titoli accademici in Teologia Biblica e in Scienze dell'Educazione.

È stato ordinato sacerdote il 4 novembre 1971 per la diocesi di Piacenza, attualmente Piacenza-Bobbio. I più importanti ministeri da lui ricoperti sono stati: assistente nel seminario vescovile di Piacenza, dal 1971 al 1972; dopo gli studi a Roma dal 1972 al 1977, docente nel seminario vescovile di Piacenza, dal 1977 al 1978.

E' stato assistente spirituale dell'AIMC e segretario dell'ufficio catechistico diocesano, dal 1978 al 1984; assistente diocesano dell'Azione Cattolica Giovani, dal 1978 al 1986; direttore dell'Ufficio catechistico diocesano, dal 1984 al 1988; assistente diocesano dell'Azione Cattolica Adulti, dal 1986 al 1988; direttore dell'ufficio catechistico regionale, dal 1987 al 1988.

E' stato assistente nazionale del settore giovani dell'Azione Cattolica Italiana dal 1988 al 1996; docente di Pastorale giovanile presso la Pontificia Università Lateranense in Roma, dal 1988 al 1996; vicario generale di Piacenza-Bobbio, dal 1996 al 2003; canonico effettivo del Capitolo Cattedrale di Piacenza, dal 1999 al 2003.

Eletto Vescovo di Cesena-Sarsina il 3 dicembre 2003, ha ricevuto l'ordinazione episcopale l’11 gennaio 2004. Attualmente è membro della Commissione Episcopale per l'Evangelizzazione dei Popoli e la Cooperazione tra le Chiese della Conferenza Episcopale Italiana.

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Notizie dal mondo


India: tre chiese cattoliche attaccate nel Karnataka
Rappresaglie dopo le aggressioni contro gli indiani in Australia

BHATKAL, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Tre chiese cattoliche sono state attaccate nei giorni scorsi nello Stato indiano del Karnataka, ha reso noto l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi (MEP), “Eglises d'Asie”.

Gli attacchi sono avvenuti dopo la minaccia di un gruppo induista di ricorrere alla violenza se il Governo federale non avesse reagito contro le aggressioni avvenute in Australia contro cittadini indiani.

Questo martedì l'Unione indiana ha celebrato, tra strette misure di sicurezza, il 60° anniversario della Repubblica.

In questo giorno, il Ministro-Presidente dello Stato del Karnataka, B. S. Yeddyurappa, ha affermato che queste azioni “non hanno altro obiettivo che danneggiare l'immagine del Governo (locale)”.

Il Karnataka è diretto da un Governo dominato dal Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista indù.

Sia i mezzi di comunicazione locali che i rappresentanti cristiani ritengono che questi attacchi siano le rappresaglie annunciate da gruppi estremisti indù, che avevano minacciato di attaccare la Chiesa se il Governo indiano non avesse sanzionato abbastanza le recenti aggressioni, due delle quali mortali, contro la numerosa comunità indiana che lavora o studia in Australia.

Il partito indù di estrema destra Sri Rama Sene (“Esercito del Signor Rama”, SRS) dice di “difendere i valori tradizionali indiani” e ha pubblicato il 19 gennaio una dichiarazione in cui afferma che “i cristiani in India sono parte attiva della cospirazione che colpisce gli indiani induisti in Australia”.

Ha anche segnalato che se Nuova Delhi non avesse agito per prevenire questi attacchi nei due giorni successivi “non sarebbe rimasta una sola chiesa a Bhatkal”.

Il 22 gennaio, scadenza dell'ultimatum, un gruppo di induisti ha cercato di abbattere la croce eretta vicino alla chiesa di Nostra Signora di Lourdes a Mundalli, vicino Bhatkal, nella Diocesi di Karwar.

Secondo il canale televisivo locale Kannada TV 9, la croce è stata danneggiata, ma la resistenza dei fedeli ne ha impedito la distruzione.

Tra gli assalitori, alcuni dei quali sono stati arrestati dalla polizia di Bhatkal, c'era il leader Shankar Naik.

Durante la notte tra il 24 e il 25 gennaio, la grotta di Lourdes della chiesa di Sant'Antonio a Taranmakki, sempre vicino a Bhaktal, è stata saccheggiata, e i vetri che proteggevano la statua della Madonna sono stati frantumati a colpi di pietra.

L'ultimo attacco è avvenuto a Mysore nelle prime ore di lunedì 25 gennaio, quando alcune persone non identificate hanno fatto a pezzi la statua della Madonna della grotta di Nostra Signora di Lourdes, situata davanti la chiesa della Sacra Famiglia nella parrocchia di Inkal.

Il 26 gennaio monsignor Thomas Antony Vazhappilly, Vescovo cattolico di Mysore, ha dichiarato all'agenzia Ucanews che non si poteva evidentemente parlare di un tentativo di furto, come invece affermava la polizia.

L'immagine della Vergine si trovava su una cassetta per le offerte, ma l'incidente sembra inserirsi nella serie di aggressioni anticristiane.

“E' stato un atto deliberato”, ha dichiarato il presule, ricordando tuttavia che, secondo lui e padre Joseph, parroco della chiesa della Sacra Famiglia, il gruppo di assalitori non poteva venire dalla comunità di Inkal, nella quale gli indù e le circa 250 famiglie cristiane hanno rapporti molto buoni.

Nel febbraio 2002 questa chiesa era già stata assalita da un gruppo di circa 70 estremisti indù.

Armati di spade, coltelli e spranghe di ferro, avevano aggredito i fedeli che stavano celebrando la Messa, donne e bambini inclusi.

L'azione era stata giustificata dicendo che i cristiani operavano conversioni forzate, un'accusa che, pur se regolarmente respinta dalla Chiesa cattolica, è ricorrente, soprattutto negli Stati del Karnataka e dell'Orissa.

Da parte sua monsignor Derek Fernandes, Vescovo cattolico di Karwar, non dubita del fatto che dietro gli attacchi ci siano gli attivisti indù.

Non ha dubbi neanche Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (GCIC), che ha deplorato i “continui attacchi subiti dalla comunità cristiana del Karnataka”, come riporta l'agenzia AsiaNews.

“La più grande tragedia degli attacchi contro cristiani innocenti è la mancata giustizia”, ha denunciato.

Anche monsignor Bernard Moras, Arcivescovo di Bangalore e presidente del Consiglio dei Vescovi cattolici del Karnataka, ha reagito condannando fermamente gli attacchi e chiedendo al Governo di agire per difendere le comunità cristiane.

Le recenti aggressioni richiamano alla mente dei cristiani del Karnataka l'ondata di violenza anticristiana che, con epicentro a Kandhamal, nello Stato dell'Orissa, si è estesa nell'autunno 2008 in vari Stati dell'Unione indiana.

Il Karnataka è uno degli Stati più colpiti, e il suo Governo è stato accusato dai responsabili cristiani di compiacimento nei confronti dei gruppi indù che hanno perpetrato gli atti di violenza.

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"Speranza e fiducia" dei cristiani iracheni nonostante le persecuzioni

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Nonostante le persecuzioni e le violenze di cui sono vittime, i cristiani dell'Iraq non hanno perso la speranza, e non lo ha fatto neanche Amil Shamaaoun Nona, 42 anni, il più giovane Arcivescovo cattolico del mondo.

Il presule è stato nominato Arcivescovo di Mosul, nel nord dell'Iraq, sostituendo monsignor Paulos Faraj Rahho, rapito fuori dalla sua Cattedrale quasi due anni fa e morto durante la prigionia.

In una dichiarazione all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il presule ha commentato l'ondata di uccisioni, sequestri e attentati contro i cristiani e i loro luoghi di culto.

“La mia nuova missione è dare speranza e fiducia ai cristiani di Mosul, rendendoli consapevoli del fatto che dietro a loro in questo momento difficile c'è un padre e un ministro”, ha affermato.

L'Arcivescovo, che si è insediato il 22 gennaio, circa due settimane dopo la sua ordinazione episcopale, ha espresso una valutazione realistica delle enormi sfide che affrontano i cristiani della regione, sostenendo che, dallo scoppio della violenza anticristiana nel 2003, la comunità cattolica di rito caldeo di Mosul è diminuita dei due terzi e ora ha meno di 5.000 membri.

Mosul, sul fiume Tigri, è considerata la patria del cristianesimo in Iraq ed è la città che per tradizione ospita il più alto numero di fedeli del Paese.

A causa della crescente influenza di Al Qaeda e dell'attività di altri estremisti nella regione, i cristiani hanno tuttavia abbandonato la zona, preoccupati anche di essere un facile bersaglio negli scontri tra curdi e arabi nella città.

Nel suo messaggio ad ACS, l'Arcivescovo ha chiesto che i cristiani siano lasciati in pace e non vengano coinvolti nelle lotte politiche per il controllo della regione.

Facendo un riferimento indiretto alle elezioni di marzo, ha scritto: “Dobbiamo far conoscere la nostra causa come cristiani ai Paesi potenti perché si esercitino pressioni sui poteri politici in Iraq affinché non ci usino per ottenere qualche beneficio politico. E' quello che sta accadendo ora”.

Il silenzio dei media

In risposta all'ondata di violenza anticristiana, l'Arcivescovo Jean Sleiman di Baghdad ha denunciato il “silenzio dei media” sulla persecuzione contro la Chiesa in Iraq.

In un'intervista all'agenzia SIR, il presule ha chiesto di “rompere il muro di silenzio che circonda l'uccisione dei cristiani a Mosul e in Iraq”.

“Lo Stato non fa nulla – ha riconosciuto –. Le forze dell'ordine che servono nei luoghi degli attacchi e degli omicidi non vedono, non sentono, non parlano”.

Per l'Arcivescovo Nona, per molti cristiani di Mosul la Chiesa è l'unica speranza.

“L'unica cosa a cui i fedeli aderiscono ancora è la Chiesa – ha scritto ad ACS –. Per questa ragione, la Chiesa, rappresentata nella figura del Vescovo, deve curare i suoi seguaci e aiutarli a sentirsi sicuri attraverso la sua presenza tra loro”.

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Ancora violenze anti-cristiane, i Vescovi europei dicono basta
Ogni anno 170.000 cristiani muoiono a causa della loro fede

di Nieves San Martín

BRUXELLES, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Segretariato della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) si è congratulato, con un comunicato, per l'adozione da parte del Parlamento Europeo di una risoluzione che condanna i recenti attentati contro le comunità cristiane in Egitto e in Malaysia.

La morte, il 6 gennaio scorso, di sei cristiani copti e di un poliziotto in Egitto (cfr. ZENIT, 7 gennaio 2010) e gli attacchi contro chiese e luoghi di culto in Malaysia (cfr. ZENIT, 8 gennaio 2010) “rappresentano gravi attentati contro i diritti umani”, afferma un comunicato della COMECE.

L'Unione Europea, spiega, “deve venire in aiuto alle minoranze religiose – incluse le comunità cristiane –, oggi perseguitate nel mondo: dal 75 all'85% delle persecuzioni religiose al mondo interessa i cristiani, e ogni anno 170.000 di loro perdono la vita a causa della propria fede, mentre il numero totale di fedeli brutalmente perseguitati è di circa 200 milioni di persone”.

Secondo i Vescovi europei, la decisione del Parlamento Europeo richiama la risoluzione adottata dal Consiglio dei Ministri dell'UE il 16 novembre 2009, che “ribadisce il fermo impegno dell'Unione Europea a promuovere e difendere la libertà di religione e di credo”, riaffermando anche “l'intenzione di dare priorità a tali questioni come parte integrante della politica dei diritti umani dell'UE”, soprattutto nel contesto delle relazioni bilaterali e multilaterali.

Sulla base di queste prese di posizione del Consiglio dei Ministri e del Parlamento Europeo, la COMECE rivolge un appello all'alto rappresentante dell'Unione per gli Affari Esteri Catherine Ashton affinché traduca questa priorità nell'azione di un nuovo Servizio Europeo di Azione Esterna, del quale è incaricata e che sta per essere avviato.

Proprio per aiutare quanti prendono le decisioni a livello europeo ad avviare strumenti concreti per promuovere la libertà di religione nelle relazioni esterne dell'UE, i Vescovi della COMECE hanno dato vita a un gruppo di esperti incaricato di redigere un Memorandum sulla promozione della libertà religiosa nel mondo.

Il testo, che rende conto delle violazioni di questo diritto fondamentale e delle persecuzioni a tale proposito nel mondo, propone una serie di raccomandazioni all'attenzione delle istituzioni europee e dovrebbe essere adottato nella prossima Assemblea Plenaria dai Vescovi della COMECE (14-16 aprile 2010), prima di essere rimesso ai vari responsabili ed eletti dell'Unione Europea.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Laicità trasformata in laicismo, nuova forma di egemonia totalitaria
Il Patriarca di Lisbona critica la "guerra ai simboli religiosi"

LISBONA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinal-Patriarca di Lisbona, monsignor José Policarpo, ritiene la manipolazione del concetto di laicità per trasformarla in laicismo una nuova forma di egemonia totalitaria.

Il porporato ha affrontato la questione in una conferenza pronunciata questa domenica all'Università Cattolica Portoghese in occasione del forum “Pensare la scuola, preparare il futuro”, promosso dalla Commissione Episcopale per l'Educazione Cristiana.

Parlando di una scuola laica in uno Stato laico, il Cardinale ha ricordato che la Costituzione della Repubblica Portoghese definisce lo Stato come laico.

“Questo statuto è frutto di una lunga evoluzione del pensiero e della realtà della società, e ha significato, in origine, l'autonomia del potere statale in relazione ad altri poteri, tra i quali quello della Chiesa, che è stato reale e che oggi la Chiesa non rivendica più né vuole rivendicare”.

Secondo monsignor Policarpo, c'è un senso positivo di questa laicità: “lo Stato non è confessionale, il che vuol dire che non si identifica con alcuna religione, ma rispetta il fenomeno religioso”.

A questo proposito, “si include la possibilità di cooperazione tra lo Stato e le confessioni religiose, per la promozione del bene comune della società”.

Questo principio di cooperazione, a suo avviso, “ispira tutto il Concordao celebrato tra lo Stato portoghese e la Chiesa cattolica, riconoscendo, in pratica, la predominanza della Chiesa cattolica nella Nazione portoghese”.

“Ma se lo Stato è laico – ha sottolineato il Patriarca –, la società non lo è, e negli ultimi tempi abbiamo assistito a correnti di pensiero in una duplice direzione”.

La prima, ha spiegato, mira a “estendere la laicità dello Stato a tutta la società e a tutte le istituzioni statali al servizio della comunità, tra le quali spicca la scuola”; l'altra è “il far deviare la giusta laicità verso un laicismo, come nuova religione, che combatte qualsiasi presenza o influenza della religione nella società”.

“E' una nuova forma di egemonia totalitaria che viene mascherata sotto le vesti della democrazia”, ha affermato.

Il porporato ha spiegato che la scuola, “come istituzione al servizio dell'educazione, non può essere laica in questo senso, come non può essere uno spazio sacro nell'accezione religiosa del termine”.

“La scuola, qualunque scuola degna di questo nome, non può cessare di dar luogo, nel progetto educativo, alla dimensione religiosa”.

Per monsignor Policarpo, la “guerra ai simboli religiosi è oggi in Europa un segnale preoccupante”.

“Se la scuola, perché è dello Stato, deve essere laica in questo senso di laicità negativa, vuol dire che essa, pur essendo dello Stato, deve avere una reale autonomia di 'progetto educativo'”, ha dichiarato.

Il Patriarca di Lisbona ha quindi rivolto un invito ai professionisti della scuola cattolici o formati nella tradizione cristiana.

“Non abbiate paura di comunicare, nel processo educativo, la prospettiva cristiana della libertà, della ricerca della verità, della generosità nel servizio del bene comune, perché i valori cristiani sono fondamentale in una cultura realmente umanista, e seguirli, mettendoli in pratica, non vuol dire necessariamente sacralizzare la scuola, ma servire la persona umana, in un orizzonte di bellezza e di trascendenza”.

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Spirito della Liturgia


Il sacerdote nella Liturgia della Parola della Santa Messa
Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi
ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica “Spirito della liturgia”, pubblichiamo di seguito l'articolo di don Mauro Gagliardi, Ordinario della Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

 


* * *

Oggetto di questo articolo non è la Liturgia della Parola considerata in se stessa, sulla quale si dovrebbe pertanto offrire una panoramica storica, teologica e disciplinare. In continuità con la serie dei precedenti articoli di questa rubrica, ci interessiamo invece al ruolo del sacerdote nella Liturgia della Parola della Messa, tenendo presenti tanto la forma ordinaria (o di Paolo VI) quanto quella straordinaria (o di san Pio V) del Rito Romano[i].

La forma straordinaria

Nella «Messa bassa» (celebrazione semplice, di uso quotidiano) della forma straordinaria, il sacerdote legge tutte le letture, ossia l’Epistola[ii], il Graduale e il Vangelo. In genere, egli fa ciò assumendo la stessa posizione con la quale offrirà in seguito il santo Sacrificio. Con un’espressione fuorviante ma molto diffusa, possiamo dire che il sacerdote proclama la Liturgia della Parola «spalle al popolo». La lingua della proclamazione è la stessa di tutto il rito, quindi il latino, oppure la lingua nazionale, come ricorda l’articolo 6 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Al termine dell’Epistola, chi assiste dice: Deo gratias. All’Epistola segue il Graduale, così chiamato dai gradini che il diacono saliva per andare a leggere il Vangelo dall’ambone nella Messa solenne. Dopo il Graduale, si legge l’Alleluja con il suo versetto, oppure il Tratto[iii]. In alcune occasioni, prima del Vangelo, il sacerdote proclama anche una Sequentia[iv]. Fatto ciò, mentre il ministrante trasporta il Messale (nel quale si trovano anche i testi delle letture bibliche) dal lato destro dell’altare (detto cornu epistulae) al lato sinistro (cornu evangelii), il sacerdote, posto al centro dell’altare, chiede al Signore la benedizione prima di passare al lato sinistro (o settentrionale), alla cui estremità proclama il Vangelo dopo aver detto Dominus vobiscum, aver ricevuto la relativa risposta, aver annunziato il titolo del libro evangelico da cui è tratta la pericope che sta per leggere, aver tracciato con il pollice della mano destra un segno di croce sul libro e tre su di sé (sulla fronte, sulla bocca e sul petto). Quando legge l’Epistola, il Graduale e l’Alleluja, il sacerdote tiene le mani appoggiate sul Messale o sull’altare, ma sempre in modo che le mani tocchino il libro. Invece, nel proclamare il Vangelo, tiene le mani giunte all’altezza del petto. Terminata la lettura del Vangelo, solleva con le mani il libro dal leggio e lo bacia dicendo in segreto la formula Per evangelica dicta, deleantur nostra delicta. Durante la proclamazione delle diverse letture, il sacerdote fa un inchino con il capo ogni volta che pronuncia il nome di Gesù. In casi particolari, è prevista la genuflessione durante la lettura. Alla fine della lettura del Vangelo, si acclama Laus tibi, Christe. Dopo il Vangelo, soprattutto nelle domeniche e nei giorni di precetto, ci può essere a seconda dell’opportunità una breve omelia[v]. Infine, dopo l’eventuale omelia, quando è previsto, si recita il Simbolo della fede: il sacerdote torna al centro dell’altare e intona il Credo allargando e ricongiungendo le mani dinanzi al petto e facendo un inchino col capo. Quando si recita Et incarnatus est genuflette e rimane così fino a et homo factus est. Fa inoltre un inchino col capo quando dice simul adoratur. Infine, concludendo il Simbolo, si segna con il segno della croce. Tutte le parti della Liturgia della Parola, eccetto le preghiere che il sacerdote recita prima e dopo la proclamazione del Vangelo, sono dette con tono di voce intellegibile. Non possiamo qui aggiungere altri dettagli sul modo di proclamare le letture bibliche nella Messa solenne.

La forma ordinaria

Nel Messale di Paolo VI, la Liturgia della Parola ha mantenuto diversi elementi del Messale di san Pio V, anche se ne sono stati soppressi alcuni ed aggiunti altri. Di per sé, non è stata cambiata la lingua della proclamazione, perché la lingua propria della liturgia romana è rimasta il latino anche nella riforma liturgica post-conciliare, ragion per cui i nuovi lezionari (ora stampati come libri a sé stanti) sono stati pubblicati in latino nel 1969 e nel 1981. D’altro canto, è ben noto che la editio typica è stata poi tradotta nelle varie lingue nazionali e queste sono quelle generalmente usate. La Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR) detta le norme generali per la Liturgia della Parola ai nn. 55-71. Una prima differenza tra le due forme del Rito Romano sta nel fatto che, anche nella Messa quotidiana, celebrata in forma non solenne, si ammette la possibilità che altri lettori proclamino i brani biblici[vi], eccezion fatta per il Vangelo, anche se resta ovviamente la possibilità che sia ancora il sacerdote a leggere tutti i testi della Liturgia della Parola[vii]. Un secondo cambiamento sta nel fatto che, nelle domeniche e solennità, il numero delle letture aumenta a tre (Prima e Seconda Lettura, più il Vangelo), oltre il Salmo responsoriale, che prende il posto del Graduale o del Tratto. Anche la selezione di pericopi bibliche è aumentata in modo considerevole rispetto al lezionario della forma straordinaria[viii]. Un terzo elemento nuovo è il reinserimento della Orazione Universale o Preghiera dei Fedeli, che si svolge dopo il Vangelo e l’omelia. L’omelia è raccomandata per ogni giorno dell’anno e obbligatoria nelle domeniche e nei giorni di precetto[ix]. Significativo è l’inserimento, all’interno delle norme dettate dalla Institutio, di un numero sul silenzio:

«La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione; quindi si deve assolutamente evitare ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. In essa sono opportuni anche brevi momenti di silenzio, adatti all’assemblea radunata, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la parola di Dio venga accolta nel cuore e si prepari la risposta con la preghiera. Questi momenti di silenzio si possono osservare, ad esempio, prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, e terminata l’omelia»[x].

La Institutio stabilisce poi che le letture bibliche si leggano sempre dall’ambone[xi] quindi, anche se le legge il sacerdote, non lo fa mai stando di «spalle al popolo». Anche nella forma ordinaria, il sacerdote, prima di proclamare il Vangelo, recita una preghiera silenziosa. Nel rito di Paolo VI, al termine di ogni lettura si dice un versetto, che lancia la risposta dei fedeli[xii]. Il Salmo invece è detto «responsoriale», perché è intercalato da un responso detto da tutti i fedeli tra una strofa e l’altra. Anche se di solito ciò non avviene, le norme prevedono la possibilità di cantare o recitare il Salmo senza responso, o anche di sostituirlo con un Graduale[xiii]. Il Messale di Paolo VI mantiene in alcune occasioni l’uso della Sequentia, la quale è però obbligatoria solo nei giorni di Pasqua e Pentecoste[xiv] e inoltre si recita prima del versetto allelujatico e non dopo di esso. Il Vangelo viene proclamato compiendo gli stessi gesti della Messa di san Pio V, anche se la IGMR non precisa la posizione delle mani del sacerdote e altri aspetti simili[xv]. Ciò avviene anche per le norme riguardanti la recita del Credo, per la quale, però, si precisa che non si genuflette, bensì solo ci si inchina al momento delle parole Et incarnatus est[xvi]. Circa la Preghiera dei Fedeli, la IGMR dice che «è conveniente che nelle Messe con partecipazione di popolo vi sia normalmente questa preghiera»[xvii]. «Spetta al sacerdote celebrante guidare dalla sede la preghiera. Egli la introduce con una breve monizione, per invitare i fedeli a pregare, e la conclude con un’orazione. [...] Le intenzioni si leggono dall’ambone o da altro luogo conveniente, da parte del diacono o del cantore o del lettore o da un fedele laico»[xviii].

Alcune annotazioni

Da quanto detto, si nota una continuità sostanziale tra il modo di celebrare la Liturgia della Parola nei due Messali, unita a dei cambiamenti, alcuni arricchenti, altri più problematici. La continuità si basa su diversi motivi. Il primo e principale è che la Liturgia della Parola della Messa accoglie in sé solo ed esclusivamente testi biblici (Antico e Nuovo Testamento). Rappresenta, pertanto, uno snaturamento di questa parte della celebrazione l’inserzione di testi extra-biblici, fossero anche presi dai Padri, dai grandi Dottori e Maestri di spiritualità cristiana. A maggior ragione, non possono essere letti testi profani o scritti sacri di altre religioni[xix]. Altro motivo di continuità è la struttura della Liturgia della Parola, che è simile nelle due forme del Rito Romano.

Vi sono anche diversi aspetti che indicano un cambiamento. Nel rito di Paolo VI la selezione di pericopi è molto più ricca che nel precedente Messale. Questo fatto è senza dubbio positivo e risponde alle indicazioni della Sacrosanctum Concilium[xx]. Sarebbe tuttavia il caso di abbreviare numerose pericopi troppo lunghe[xxi]. Positiva è anche la norma per la quale le letture sono proclamate dall’ambone e, quindi, con i lettori rivolti verso il popolo. Questa postura è infatti più indicata per la Liturgia della Parola[xxii]. Positiva è ancora la norma che prescrive l’obbligatorietà dell’omelia alla domenica e nei giorni di precetto. Qui il sacerdote ha un ruolo importante e delicato. Recentemente, S. E. Mons. Mariano Crociata ha ricordato che «è decisivo che l’omileta abbia coscienza di essere egli stesso un ascoltatore, anzi di essere il primo ascoltatore delle parole che pronuncia. Egli deve sapere innanzitutto, se non solamente, rivolta a sé quella parola che sta pronunciando per altri»[xxiii]. La preparazione accurata dell’omelia è parte integrante del ruolo del sacerdote nella Liturgia della Parola. Benedetto XVI ci ricorda che l’omelia ha sempre scopo sia catechetico che esortativo[xxiv]: non può essere dunque una lezione di esegesi biblica, sia perché deve esprimere anche il dogma, sia perché deve essere un discorso catechetico e non accademico; né può essere una semplice parenesi che richiama certi valori vaghi, magari presi dalla mentalità corrente senza alcun filtro evangelico (il che significherebbe separare la parte esortativa, che riguarda il bene da operare, da quella veritativa o catechetica).

Circa il ministero dei lettori, la forma ordinaria permette che non solo leggano ministri appositamente istituiti dalla Chiesa per questo compito, ma anche altri fedeli laici. Il ruolo del sacerdote, in questo caso, non è più quello di leggere sempre in prima persona le letture bibliche, ma quello – più remoto – di assicurare che questi lettori siano davvero idonei. Nessuno può semplicemente salire all’ambone e proclamare la parola di Dio nella liturgia. Se non vi sono persone adeguatamente preparate, il sacerdote deve continuare ad assumersi in prima persona il ruolo di lettore, finché non si potrà assicurare la presenza di lettori veramente idonei. Per ragioni di spazio, non possiamo qui soffermarci sul tema della Preghiera dei Fedeli.

Infine, un elemento di cambiamento che rappresenta un impoverimento è la mancanza di indicazioni precise sugli atteggiamenti corporei che il sacerdote deve assumere all’atto di leggere (in particolare il Vangelo). Tuttavia, questa rappresenta una scelta di fondo del nuovo Messale, che è molto meno preciso del precedente su questi aspetti, lasciando il campo aperto a diversi atteggiamenti celebrativi. Si può ovviare a simile carenza, applicando al nuovo rito le usanze di quello antico, lì dove questo è possibile, per quelle indicazioni che non sono escluse esplicitamente dalle attuali rubriche, come il tenere le mani giunte all’altezza del petto durante la proclamazione del Vangelo. Ciò contribuisce alla dignità della celebrazione della Liturgia della Parola e può rappresentare un esempio di quel reciproco influsso tra i due Messali auspicato da Benedetto XVI, quando ha scritto che «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda». Anche in questo modo «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso»[xxv].


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Note

i) Per una panoramica storica e teologica sulla Liturgia della Parola, si può vedere ad esempio: M. Kunzler, La liturgia della Chiesa, Jaca Book, Milano 2003 (II edizione ampliata), pp. 297-309, con bibliografia alle pp. 309-310.

ii) In alcuni casi, l’Epistola è preceduta da altre letture.

iii) Il versetto allelujatico è sostituito dal Tratto dalla Settuagesima a Pasqua e nelle Messe dei defunti.

iv) Nell’ordinamento del Messale di Giovanni XXIII si trovano solo cinque Sequentiae: Victimae paschali per la Pasqua, Veni sancte Spiritus per la Pentecoste, Lauda Sion per il Corpus Domini, Stabat Mater per le due feste dei Sette Dolori, Dies Irae per le Messe dei defunti.

v) «Post Evangelium, praesertim in dominicis et diebus festis de praecepto, hebeatur, iuxta opportunitatem, brevis homilia ad populum»: Missale Romanum 1962, Rubricae generales, VIII, n. 474.

vi) La lettura liturgica è competenza del lettore istituito (cf. IGMR, n. 99), tuttavia «se manca il lettore istituito, altri laici, che siano però adatti a svolgere questo compito e ben preparati, siano incaricati di proclamare le letture della Sacra Scrittura» (IGMR, n. 101).

vii) Tuttavia, come si evince da IGMR, n. 59, questa seconda possibilità si mantiene solo in assenza di lettori idonei. Così pure il n. 135: «Quando manca il lettore, il sacerdote stesso proclama tutte le letture e il salmo stando all’ambone». Il n. 176 prescrive che, se è presente il diacono, sarà lui a leggere in caso di mancanza del lettore.

viii) Non c’è dubbio circa la maggiore ampiezza della selezione biblica del lezionario post-conciliare. Bisogna anche riconoscere, tuttavia, che diverse volte le pericopi scelte sono troppo lunghe, il che, unito al reinserimento della Preghiera dei Fedeli e alla pratica ordinaria dell’omelia, fa spesso diventare la Liturgia della Parola più lunga della Liturgia Eucaristica, dando luogo ad uno scompenso teologico-liturgico, oltre che rituale.

ix) Cf. IGMR, nn. 65-66. A differenza delle norme fissate nel Messale del 1962, nella IGMR non si precisa che l’omelia deve essere «breve».

x) IGMR, n. 56.

xi) Cf. IGMR, n. 58.

xii) Cf. IGMR, n. 128.

xiii) Cf. IGMR, n. 61.

xiv) Cf. IGMR, n. 64.

xv) Cf. IGMR, n. 134.

xvi) La genuflessione si mantiene solo all’Annunciazione e al Natale del Signore (cf. IGMR, n. 137).

xvii) IGMR, n. 69.

xviii) IGMR, n. 71.

xix) «Non è permesso omettere o sostituire di propria iniziativa le letture bibliche prescritte né sostituire specialmente “le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio, con altri testi non biblici”» (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis Sacramentum, n. 62).

xx) «Nelle sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 35).

xxi) Altri difetti del lezionario post-conciliare sono segnalati da A. Nocent in Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo (ed.), Scientia liturgica. Manuale di liturgia, III: L’Eucaristia, Piemme, Casale Monferrato 2003 (III edizione), pp. 195-200.

xxii) Cf. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 77.

xxiii) M. Crociata, Omelia nella Messa al Convegno Liturgico per Seminaristi, Roma 29 dicembre 2009: http://www.chiesacattolica.it/cci2009/segretario/chiesa_cattolica_italiana/cei/00009347_Roma__S.E._Mons.Crociata_al_Convegno_liturgico.html

xxiv) Cf. Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 46.

xxv) Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi in occasione del Motu Proprio «Summorum Pontificum».

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Italia


Il Card. Bagnasco sulla Shoah: "la nostra generazione non dimentichi"
Il resoconto del portavoce della CEI per la terza giornata del Consiglio permanente

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Nel chiudere i lavori del Consiglio permanente, il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha fatto riferimento alla Giornata della Memoria definendo “'un orrore” quella tragedia che coinvolse milioni di vittime innocenti”.

Secondo quanto riferito in una dichiarazione da mons. Domenico Pompili, portavoce della CEI, il porporato, dopo aver espresso solidarietà ai fratelli ebrei che di quella follia furono vittime, si è augurato che “la nostra generazione non dimentichi e costruisca sentieri di riconciliazione e di pace, come auspicato dal Papa nel suo recente discorso alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi”.

I lavori di quest'oggi hanno avuto al centro l’esame della bozza degli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020.

“Il dibattito – ha spiegato mons. Pompili – che ne è seguito ha messo in luce la grande attenzione che il tema educativo suscita non solo in ambito ecclesiale, ma anche nei settori più sensibili della pubblica opinione”.

“Si è precisato – ha aggiunto – il rapporto tra educazione ed evangelizzazione non essendo questi processi sovrapponibili, anche se è facile ravvisare in essi molteplici punti di contatto”.

“Primo fra tutti la dinamica relazionale che è l’avvio di qualsiasi esperienza educativa, come anche nel caso della fede che non può generarsi se non attraverso un rapporto interpersonale significativo, grazie a testimoni autentici”.

“Si è precisato a questo proposito – ha continuato il portavoce della CEI – che il soggetto dell’annuncio della fede resta la comunità cristiana nel suo insieme e si è auspicata un’agenda pastorale che declini con concretezza ed essenzialità il ritmo del prossimo decennio”.

La rilettura, invece, del documento sulla Chiesa e il Mezzogiorno che verrà inviato ai singoli Vescovi e poi nelle prossime settimane definitivamente pubblicato, “rappresenta – è stato detto – un momento di presa di coscienza della necessaria solidarietà che si esige nel nostro Paese per affrontare uniti le sfide che sono sotto gli occhi di tutti”.

“E’ stato quindi presentato – ha affermato mons. Pompili – il piano dei lavori per l’esame e l’approvazione della terza edizione del Messale Romano che compone insieme le esigenze della tradizione eucologica e le leggi della linguistica, in vista di una migliore partecipazione dei fedeli alle diverse celebrazioni liturgiche”.

Infine, “in vista del rinnovo delle Commissioni Episcopali che avverrà durante la prossima Assemblea di maggio, si sono date indicazioni per la stesura delle relazioni quinquennali sull’attività fin qui svolta e - come ultimo adempimento – c’è stata la presentazione di nuovi parametri per l’edilizia di culto”.




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La morte di Eluana e l'assuefazione all'"evidenza negata"

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ha destato scalpore la lettura della 'Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale', relativa alla morte di Eluana Englaro, fatta dal gip di Udine in occasione della seduta in cui ha de­finitivamente stabilito che il tut­to è avvenuto “regolarmente”.

Nella relazione vengono riportate le note dell’équipe del dottor Amato De Monte che sede­va accanto a Eluana e registrava di ora in ora gli “elementi indicativi di sofferenza”.

Come ha riportato Lucia Bellaspiga sulla pagine di Avvenire (14 gennaio 2010) si tratta di un rapporto “meticoloso”, in cui è descritta l’agonia di Eluana.

“La sua voce – è scritto – si è sentita sette volte”. I suoni si moltiplicano il 4, il 5 ed il 6 di febbraio. Una infermiera ha annotato 'Sembrano sospiri'. L’8 di febbraio (il giorno prima di morire) il rapporto parla di “nessun suono”, ma ore e ore di “respiro affaticato e affannoso”. Nei palmi delle mani, strette, i segni delle sue stesse unghie.

Un gelo al cuore la descrizione del cadavere: “Trattasi di cadavere femminile, della lunghezza di circa 171 centimetri, del peso di 53.5 chili, cute liscia ed elastica, capelli neri... Entrambi i lobi pre­sentano un foro per orecchini. Indossa una camicia da notte in cotone rosa”.

La relazione è agghiacciante non solo perchè mostra che Eluana mostrava segni di evidente e solida vitalità, ma soprattutto conferma l’atroce sofferenza a cui è andata incontro morendo di sete.

Intervistata da ZENIT la dott.ssa Chiara Mantovani, Vicepresidente nazionale per il Nord Italia dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI), ha osservato che l’articolo pubblicato da “Avvenire” “avrebbe dovuto scatenare polemiche, cortei, manifestazioni pubbliche e scioperi della fame. Invece, niente”.

“Neppure di fronte al racconto discreto ma agghiacciante della morte di Eluana – ha affermato –, neppure davanti a frammenti di cronaca in differita che muovono lo stomaco, si è mosso chicchessia, nessun profeta della morte pietosa si è indignato per come è morta la Englaro”.

La Vicepresidente dell’AMCI sostiene che purtroppo ci stiamo “abituando all’evidenza negata” e fa l’esempio della pillola abortiva RU 486 mostrata come “innocua, discreta, civile e rispettosa della legge 194/78”.

“Neppure – ha aggiunto – quando si viene a sapere ufficialmente che in Emilia Romagna ci si fa un baffo delle regole per la somministrazione, così che l’aborto è diventato davvero un fatto privatissimo e clandestino – nel senso che non ha diritto di cittadinanza nelle preoccupazioni sociali ed etiche –, neppure allora qualcuno si sente in dovere di chiedere scusa”.

Per la Mantovani, “nessuno chiede scusa o dice mi sono sbagliato perchè domina l’ideologia del ‘quel che voglio, quando lo voglio, perché lo voglio’ non si ha tempo per ragionare e ripensare, magari persino pentirsi. I fatti? Tanto peggio per i fatti”.

In merito alla vicenda della Englaro la dott.ssa Mantovani ha sottolineato i fatti contenuti nella 'Re­lazione di consulenza tecnica medico-legale' e cioè: “Eluana non presentava un fisico minato, si è lamentata fino a che ne ha avuto la forza, e il modo di nutrirla non poneva problemi medici”.

“Evidentemente – ha argomentato l’esponente dell’AMCI - i problemi erano di altro tipo, stavano (e restano) nello sguardo con cui ci si rivolge a persone come lei: scomparsa per sentenza la compassione che ha generato in due millenni l’assistenza ai bisognosi, negata la dignità senza condizioni per ogni essere umano, subordinato il diritto di vivere al desiderio proprio o di altri, non ci si può meravigliare se ci guardiamo reciprocamente con sospettosi criteri di efficienza”.

Inoltre ci sono anche dati tecnici che “inquietano” ed in particolare la “mezz'ora tra il decesso e la registrazione dell'elettrocar­diogramma” giustificata come un “ritardo dovuto alla difficoltà di reperimento del­lo strumento”.

A questo punto la Mantovani pone domande scottanti: “Che forse il personale della clinica di Udine non si aspettava di dover utilizzare un elettrocardiografo per stilare il certificato di morte di una donna portata lì per morire? Difficoltà di reperire uno strumento? Credibile in queste ore a Port-au-Prince, non alla Clinica 'La Quiete'”.

La Relazione parla di Eluana che 'ha capelli neri, cute liscia ed elastica, corpo normale, nessun decubito'. E dicevano che ormai era morta. Ma la Mantovani aggiunge: “e se fosse stata piagata, calva, magra? Allora l’opinione pubblica, sarebbe più tranquilla?”.

“Forse sì – risponde -, perché sembra che un sottile e insapore veleno sia stato messo nell’acqua potabile: l’indifferenza e la presunta pietà (così la chiamava Giovanni Paolo II, nella Preghiera per la vita) conducono alla stessa irragionevole persuasione, che se non sei viva secondo i parametri dell’efficienza e della bellezza e della comunicazione, non sei davvero viva”.

“Non c’è rimedio ad un tale avvelenamento della ragione (quella che interroga obiettivamente i fatti e ne trae conseguenze e assume responsabilità anche quando costano) - ha aggiunto la Vicepresidente per il Nord dell’AMCI - se non l’esercizio quotidiano e oggi eroico del rispetto per il reale”.

E allora, ha concluso, “facciamo il possibile per accorgerci del reale prima che ce lo raccontino i certificati di morte”.

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Creata una pagina per rilanciare il Concilio Vaticano II
Vi partecipano teologi, Cardinali e Vescovi

di Nieves San Martín

MILANO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per rilanciare il Concilio Vaticano II, la Fondazione Ambrosianeum ha promosso un portale Internet presentato questo martedì a Milano.

Il nuovo portale (www.vivailconcilio.it) vuole conservare la memoria e i contenuti e far conoscere ai giovani questo avvenimento che ha portato la Chiesa cattolica verso il terzo millennio.

Il progetto ha coinvolto importanti teologi, Cardinali e Vescovi. Il Comitato promotore è formato, tra gli altri, dal Cardinale Carlo Maria Martini, che è stato Arcivescovo di Milano, dal Cardinale Roberto Tucci, ex organizzatore dei viaggi papali nel mondo, e dal Vescovo Luigi Bettazzi, che ha partecipato assieme agli altri al Concilio Vaticano II.

Tra i promotori ci sono anche teologi come Piero Coda, presidente dell'Associazione Teologica Italiana.

Sostegno all'iniziativa è stato espresso dai Cardinali Roger Etchegaray, Silvano Piovanelli, Achille Silvestrini e Dionigi Tettamanzi, così come da una ventina di Vescovi, tra cui il noto teologo Bruno Forte, e da monsignor Loris Capovilla, che è stato segretario di Papa Giovanni XXIII.

Sul portale – presentato nel giorno in cui 51 anni prima Papa Giovanni XXIII aveva annunciato la convocazione del Concilio – si potranno consultare tutti gli interventi magistrali, le letture teologiche e altre iniziative e documenti collegati all'evento.

Si potranno anche vedere fotografie, immagini e altri formati multimediali sul Concilio, tutto perché le persone lo capiscano, spiegano i promotori.

Il portale illustra nella sua pagina iniziale la sua ragion d'essere: “'Viva il Concilio' è anzitutto espressione di ringraziamento, poiché lungo i secoli della sua storia alla Chiesa non è mai venuta meno l’assistenza dello Spirito Santo. Nel caso del concilio Vaticano II, ancora una volta, lo Spirito di Dio non ha lesinato i suoi doni, versandoci in grembo 'una misura buona, pigiata, scossa e traboccante' (Lc 6,38b). Deo gratias”.

“'Viva il Concilio', oltre ad essere una benedizione, costituisce una promessa: solo a condizione di rinnovare la fedeltà e la verità di quell’evento spirituale sarà possibile per la Chiesa cattolica disporre dei doni ricevuti e tenerne viva la memoria. In modo tenace Paolo VI ha richiamato il dovere ecclesiale della 'fedeltà al Concilio', poiché trattandosi di un evento che chiama in causa la responsabilità apostolica, prima 'dobbiamo comprenderlo' poi 'dobbiamo seguirlo'”.

“'Viva il Concilio' è un compito che si fonda sulla memoria, impegna il presente e apre alla profezia. Occorre 'ricordare che il Concilio scaturì dal grande cuore del papa Giovanni XXIII […] Noi tutti siamo davvero debitori di questo straordinario evento ecclesiale' (Benedetto XVI). Per questo, la lezione dell’ultimo Concilio dev’essere accolta come 'la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre' (Giovanni Paolo II)”.

“'Viva il Concilio' vuol essere, per ultimo, un sito web - promosso da Giacomo Canobbio, Piero Coda, Severino Dianich, Massimo Nardello, Gilles Routhier, Marco Vergottini, con i Cardinali Carlo M. Martini e Roberto Tucci, e il Vescovo Luigi Bettazzi. Vi si troveranno a) fonti; b) interventi magisteriali; c) saggi teologici; d) iniziative (testi, video, convegni e pubblicazioni), utili per sollecitare il popolo di Dio a leggere e interpretare 'nel cono di luce del Concilio' (Paolo VI) l’agire e la testimonianza ecclesiale nell’oggi della storia”.

Il comitato promotore di “Viva il Concilio” è composto da Giacomo Canobbio (Brescia); Piero Coda (Loppiano); Severino Dianich (Pisa); Massimo Nardello (Modena); Gilles Routhier (Québec); Marco Vergottini (Milano, coordinatore); dal Cardinale Carlo Maria Martini, dal Cardinale Roberto Tucci e da monsignor Luigi Bettazzi.



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Sant'Agostino: dalla conversione alla santità
Proiezione di una sintesi in anteprima del film prodotto da Lux Vide

di Roberta Favorini

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- “Tutti siamo in diritto di chiedere una televisione migliore e abbiamo il dovere di farlo”. In questa frase pronunciata da Luca Bernabei, direttore delle attività produttive della Lux Vide, è sintetizzato il senso del lavoro che la sua società sta portando avanti con coraggio, ma anche con successo di pubblico, dal 1992.

Queste sono le parole che venerdì 15 gennaio, a Roma, nella prestigiosa sala dell’ICEF (Iniziative culturali, educative e familiari), Luca Bernabei ha pronunciato presentando, davanti a una sala gremita, uno specimen del nuovo film per la televisione “Sant’Agostino”, diretto da Christian Duguay in una produzione congiunta italiana, polacca e tedesca.

“Si deve produrre spettacolo – ha aggiunto - tenendo conto che dall’altra parte dello schermo ci sono sempre Persone”, per le quali la Lux Vide vuole essere prima di tutto fornitrice di contenuti pensati per offrire un lavoro valoriale, che arricchisca, oltre che divertire e divulgare.

Gli ascolti ottenuti da serie di successo, che vanno dalla “Bibbia” a “Don Matteo”, per passare a filmati come “Enrico Mattei”, ”Giovanni XXIII”, ”Guerra e pace”, ”Padre Pio”, gli danno ragione.

Lo stesso Papa Benedetto XVI avrebbe chiesto di produrre questo film su S. Agostino, infaticabile cercatore di un senso alla sua vita e alla sua storia. Il suo pensiero lega tutto il film: la biografia è di quelle “accattivanti”, c’è un prima e c’è un dopo.

In Agostino giovane e brillante avvocato si scorge la stessa insoddisfazione che ancora oggi rende inquieti molti uomini, anche se di successo; trapela la stessa curiosità intellettuale degli uomini di cultura e dei giovani di oggi che si pongono ancora le stesse domande: “perché Dio mi ha creato?”, ”perché c’è il male?”, ”cosa c’è dopo la morte?”.

Il santo è interpretato da Alessandro Preziosi che - particolare curioso - ha svolto la professione dell’avvocato prima di diventare un attore e ha dato un profilo convincente del graduale ma inesorabile avvicinamento alla luce della Fede; la madre è Monica Guerritore, dolente ma combattiva; Sant’Ambrogio, tramite della Grazia per la conversione, è Andrea Giordana, autorevole e saldo nella sua missione, costretto a fare da contraltare al potere imperiale, che si sentiva sminuito dal prestigio che irreprensibili Vescovi avevano acquisito agli occhi del popolo.

La ricostruzione molto curata degli episodi storici e degli ambienti contribuisce ad offrire un prodotto di alta qualità sia negli aspetti spettacolari che di contenuto.

Il film inizia proprio a Ippona (attuale Tunisia) col Vescovo Agostino, che accoglie i profughi fuggiti da Roma, conquistata e saccheggiata dai Visigoti; la mente dello spettatore non può non correre alla realtà attuale che ribalta il flusso di disperati in cerca di speranza dalle coste africane verso le coste dell’Italia.

Tutto il film riporta nelle atmosfere a un parallelo tra l’ansia, il disagio e il disorientamento per la fine di un mondo e i sentimenti che pervadono oggi i paesi occidentali: ora come allora. Le scene finali, invece, prospettano la nascita, dalla fusione tra Barbari e Cristiani, di una nuova “città terrena”, diversa, inaspettata e destinata a vivere nell’attesa della “Città di Dio”.

Il film sarà trasmesso in due parti su RAI 1 in prima serata domenica 31 gennaio e lunedì 1 febbraio.

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Interviste


Aborto e ideologia di genere: due risoluzioni al Consiglio d'Europa
"La sessualità umana è una attività, non una identità"

di Jesús Colina


STRASBURGO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Due relazioni saranno esaminate e votate dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa questa settimana, spiega l’esperto di diritto europeo Grégor Puppinck in questa intervista rilasciata a ZENIT.

Una di queste contiene una proposta di risoluzione diretta a promuovere i diritti dei cosiddetti “LGBT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), tra i quali sono contemplati anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale. L’altra, invece, è a favore di una politica di riduzione demografica, che comprende tra i suoi strumenti anche l’aborto.

Grégor Puppinck è direttore dello European Centre for Law and Justice*, una ONG con sede a Strasburgo specializzata in diritto europeo, ed ha partecipato ai lavori del “Comitato di esperti sulla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” (DH-LGTB) del Consiglio d’Europa.

L’attenzione si è incentrata su due testi che sollevano perplessità, e che saranno esaminati e votati nel corso della prossima sessione dell’Assemblea parlamentare, questa settimana. Diversi deputati e ONG hanno proposto di correggere o arginare questi testi. Di che si tratta?

G. Puppinck: Si tratta di due relazioni parlamentari elaborate in seno al Consiglio d’Europa.

Queste hanno come obiettivo, da una parte, quello di promuovere i diritti dei cosiddetti “LBGT” (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transessuali), trai quali figurano anche il matrimonio, l’adozione e l’inseminazione artificiale.

Dall’altra quello di favorire una politica di riduzione demografica, anche attraverso – e qui è l’elemento problematico – l’aborto.

Le relazioni saranno discusse e votate, rispettivamente, mercoledì 27 e venerdì 29 gennaio, a Strasburgo.

Che problemi concreti presenta la relazione sui diritti dei “LBGT”?

G. Puppinck: La relazione di M. Andreas Gross, il cui titolo è “Discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere” è problematica perché non si limita all’obiettivo rispettabile di tutelare le persone “LBGT” da violenze e discriminazioni ingiustificate.

In realtà, la proposta di risoluzione in essa contenuta va al di là di questo e tende a forzare l’opinione e le coscienze, imponendo un’idea secondo cui ogni tipo di rapporto (eterosessuale, omosessuale, bisessuale o transessuale) sarebbe equivalente dal punto di vista della natura e della morale.

Come conseguenza, la risoluzione non permetterebbe alcuna distinzione morale, politica o giuridica, per esempio, in relazione al matrimonio, all’adozione o all’inseminazione artificiale.

E andando oltre la legittima tutela delle persone “LBGT” contro le violenze fisiche e le discriminazioni ingiustificate, questa risoluzione viola diversi diritti fondamentali.

In primo luogo verrebbero indebolite le libertà di opinione, di espressione e di religione, poiché non sarebbe considerato più ammissibile avere un’opinione morale o religiosa sull’omosessualità.

È semplicemente il diritto a “non essere d’accordo” che verrebbe meno, in favore di un pensiero unico, in nome dello “sradicamento dell’omofobia e della transfobia”.

La libertà della Chiesa e dei credenti è direttamente e attualmente minacciata in questo contesto.

Inoltre, anche l’interesse dei bambini e delle famiglie viene minacciato. Di fatto, la famiglia e i bambini non sarebbero più riconosciuti come realtà naturali in se stesse, ma come oggetto di desiderio soggettivo.

Posto che l’adulto LGBT può avere questo desiderio, la proposta di risoluzione conclude affermando l’esistenza di un loro “diritto” a sposarsi, ad adottare e a fondare una “famiglia”, come se le realtà naturali non esistessero.

D’altra parte, del superiore interesse del bambino non si dice nulla, sebbene potrebbe sembrare del tutto opportuno educare i bambini sin dalla tenera età contro i pregiudizi.

Qual è la filosofia che sottende questa proposta di risoluzione?

G. Puppinck: L’affermazione di diritti delle persone LBGT si realizza, da un lato, mediante la negazione della differenziazione tra le realtà – effettivamente diverse – di coppie eterossessuali e di rapporti tra LGBT.

E dall’altro, sul fondamento di una neutralizzazione morale della sessualità, specialmente nella sua variante LGBT.

Questa risoluzione si basa sul presupposto che la sessualità sia esterna alla sfera dell’azione morale.

Tuttavia, la sessualità umana, come ogni attività volontaria, possiede una dimensione morale: si tratta di un’attività posta in essere da una volontà individuale, per una finalità; non è una “identità”.

In altre parole, dipende dall’agire e non dall’essere, nonostante quanto le tendenze omosessuali possano essere radicate nella personalità.

Negare la dimensione morale della sessualità equivale a negare la libertà della persona in questo ambito e porta, in ultima analisi, verso una violazione della sua dignità ontologica.

Le conseguenze di questa impostazione emergono in tutto il testo che viene sottoposto all’esame e al voto dell’Assemblea.

In questo senso, per esempio, si equipara il comportamento sessuale a criteri come la razza, l’età o il sesso, nonostante che questi ultimi siano generalmente accettati per la loro oggettività, in quanto ricadono nell’essere e non nell’agire.

In un senso più generale, la conseguenza principale – e senza dubbio l’obiettivo – dell’estromissione della sessualità dalla sfera dell’azione morale, è di impedire la possibilità stessa di una valutazione morale del comportamento.

Come risultato, la giustificazione morale di una differenza di trattamento – di una discriminazione – diventa impossibile: i diversi tipi di comportamento sessuale sono presenti “in abstracto” come neutrali e equivalenti tra loro.

Diventa impossibile e persino vietato, esprimere un’opinione su questa questione.

Per contro, l’approccio classico e propriamente giuridico, al concetto di discriminazione, si basa sulla valutazione “in concreto” delle circostanze che giustificano o meno una differenza di trattamento.

Si viola in questo modo il diritto ad avere un’opinione personale su un determinato comportamento e ad agire di conseguenza, nella propria sfera personale.

Si vieta la possibilità di valutare, dal punto di vista morale, la differenza tra le diverse realtà di una coppia eterosessuale e i rapporti LGBT, costringendo ad adottare un approccio indifferente e a non poter controbattere alle rivendicazioni idealistiche di presunti “diritti”, come il diritto al matrimonio, all’adozione o alla procreazione medicalmente assistita.

E questo perché esiste l’imperativo di preservare le libertà giuridiche di coscienza e di religione, di pensiero e di parola.

Come opera lo European Centre for Law and Justice (ECLJ) su questi temi?

G. Puppinck: Come organizzazione non governativa, specializzata in diritto internazionale ed europeo dei diritti umani, l’ECLJ ha scritto una memoria molto approfondita, che illustra, basandosi su un’analisi puramente giuridica, gli elementi di questa risoluzione che devono essere modificati.

Sul sito Internet dell’ECLJ è disponibile un memorandum in inglese, che abbiamo preparato su richiesta di un gruppo di deputati, coordinato dal dinamico deputato italiano Luca Volonté.

Fino a questo momento l’Assemblea parlamentare ha agito con una certa indifferenza su alcune questioni molto sensibili, sebbene le sue raccomandazioni esercitino un’influenza reale, soprattutto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Per questo è importante seguire da vicino i suoi lavori. Negli ultimi anni, altre ONG hanno svolto un’attività di “lobbying” diretta e classica, per esempio invitando a scrivere ai deputati.

Un'azione quest'ultima molto efficace. I dati dei deputati si trovano sul sito internet dell’Assemblea parlamentare.

E sull’altro testo, quello sulla demografia, che sarà votato questa settimana?

G. Puppinck: Si tratta della relazione intitolata: “Quindici anni dopo il Programma d’azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo”, che si riferisce alla Conferenza del Cairo. La proposta di raccomandazione sarà discussa venerdì 29 gennaio.

L’ECLJ ha espresso la sua preoccupazione per la promozione dell’aborto come mezzo di controllo demografico e di pianificazione familiare.

Nel corso dei negoziati sul Programma d’azione del Cairo, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno escluso esplicitamente l’aborto come mezzo di regolazione delle nascite, così come è stata esclusa l’affermazione di un ipotetico “diritto” fondamentale ad abortire.

La relazione nel suo insieme si fonda su un’ideologia neomaltusiana, in cui si insiste sulla necessità concreta di limitare le nascite nei Paesi più poveri.

Anche per questa raccomandazione, l’ECLJ ha elaborato uno studio approfondito, disponibile in francese e in inglese, su Internet.

Questo intervento ha provocato un primo rinvio dell’esame del testo, previsto inizialmente per l’ultima sessione.

In questa analisi, insistiamo molto sul fatto che la promozione dell’aborto costituisca una violazione dei diritti fondamentali sui quali è stato costituito il Consiglio d’Europa.

Questa promozione è contraria alla tutela della vita umana e alla sua dignità, nonché al rispetto della sovranità nazionale.

Il Programma d’azione del Cairo non ha creato un “diritto” all’aborto e ha lasciato agli Stati membri il compito di decidere sul grado di tutela da riservare ai nascituri nei rispettivi Paesi.

Il Programma d’azione precisa che l’attuazione delle raccomandazioni in esso contenute “è un diritto sovrano che ciascun Paese esercita in maniera compatibile con le proprie leggi nazionali e le sue priorità in materia di sviluppo, nel pieno rispetto dei valori religiosi ed etici e delle origini culturali del suo popolo, e in conformità con i diritti umani universalmente riconosciuti”.


* Il Centro europeo per la legge e la giustizia (ECLJ) è un’organizzazione non governativa fondata nel 1998 a Strasburgo e ha come obiettivo la tutela dei diritti umani e la libertà religiosa in Europa. I giuristi dell’ECLJ sono intervenuti in numerosi casi giunti anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’ECLJ gode di uno statuto consultivo speciale presso le Nazioni Unite ed è accreditato presso il Parlamento europeo.

http://www.eclj.org





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Il Papa invita a dialogare con l'Islam come fece san Francesco
Intervista al Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani dell'Antonianum

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Proprio oggi, in un momento di forte dibattito sui rapporti tra cristiani e musulmani, il Pontefice Benedetto XVI ha indicato san Francesco come esempio per il dialogo con l’Islam.

Per questo motivo abbiamo posto alcune domande a padre Pietro Messa, ofm, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani presso la Pontificia Università “Antonianum” di Roma.

Nel corso dell’Udienza generale Benedetto XVI ha indicato san Francesco come modello del dialogo con l’Islam ed ha fatto riferimento all’incontro con il Sultano Melek-el-Kamel. Può raccontarci come avvenne questo incontro e cosa disse san Francesco al Sultano?

Padre Messa: Circa l’incontro tra frate Francesco d’Assisi e il sultano Melek-el-Kamel vi sono diverse testimonianze, contenute sia nei racconti della vita del Santo, sia in cronache del tempo. Non sempre tali testimonianze collimano, perché spesso gli scrittori parlando del Santo di Assisi sono più preoccupati di dare una loro versione circa il modo di rapportarsi con i musulmani che di fare una cronaca degli avvenimenti, come ha evidenziato anche il recente libro di John Tolan, “Il Santo dal Sultano. L'incontro di Francesco d'Assisi e l'Islam” (Laterza, 2009). Proprio per cercare di comprendere maggiormente tale avvenimento si terrà nel settembre prossimo a Firenze un convegno dal significativo titolo "San Francesco e il Sultano".

Quindi non possiamo sapere cosa sia successo in quel momento?

Padre Messa: Come ormai è assodato negli studi francescani, è possibile risalire dall’agiografia alla storia, dando sempre un posto particolare agli scritti dello stesso Francesco. Così la chiave di lettura dell’incontro con Melek-el-Kamel è quanto scrive lo stesso frate Francesco a proposito di coloro che vanno tra i Saraceni, ossia i musulmani: «I frati poi che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, e nel Figlio redentore e salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio» (Regola non bollata, XVI,5-7: Fonti Francescane, 43).

E’ vero che san Francesco sfidò il Sultano a convertirsi al cristianesimo?

Padre Messa: Certamente no, perché contrasterebbe con quanto espresso da lui stesso, cioè che i frati quando vanno tra i musulmani «non facciano liti né dispute»; questo non gli impedì di compiere quanto richiese sempre ai frati ossia che «confessino di essere cristiani» e «che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio».

Nel corso dell’incontro san Francesco chiese esplicitamente di poter predicare il Vangelo in territorio islamico?

Padre Messa: Nel 1209 la primitiva fraternità minoritica, assieme a Francesco, incontrò Papa Innocenzo III per farsi confermare la loro modalità di vita, cioè «vivere secondo la forma del santo Vangelo». Uno dei motivi che spinse Francesco ad andare dal «Signor Papa» – come lui lo chiama – è anche la possibilità di svolgere una predicazione di tipo penitenziale-esortativa. Tuttavia nel suo Testamento Francesco afferma: «Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna di privilegio alla Curia romana, né personalmente né per interposta persona, né a favore di chiesa o di altro luogo, né sotto il pretesto di predicazione». Se non voleva che si chiedesse neppure alla Curia romana lettere in favore della loro predicazione, non appare plausibile che andasse a chiederle al Sultano.

La libertà di poter praticare la religione cattolica e diffondere il Vangelo nei paesi a maggioranza islamica è ancora oggi una questione non risolta. Qual è il suo parere in proposito?

Padre Messa: La libertà religiosa è uno dei diritti dell’uomo che deve essere riconosciuto ovunque e per chiunque; esso consiste nella possibilità di professare una religione, cambiarla o anche non averne alcuna; usando le parole di sant’Agostino potremmo definirla come l’avventura di trovare la Verità e dopo averla trovata cercarla ancora. Purtroppo spesso si confonde la libertà religiosa con la libertà di culto, ossia la concessione di esercitare il culto della propria religione, ma senza l’opportunità di comunicarla ad altri o professarla pubblicamente. Quindi si tratta prima di tutto di una questione di diritti dell’uomo.

Un'altra questione irrisolta è quella relativa alla libertà dei fedeli dell’Islam di convertirsi ad un'altra religione. Senza una soluzione a questa questione è difficile immaginare sviluppi significativi nel dialogo, non crede?

Padre Messa: Come espresso sopra in questione è sempre la libertà religiosa, che spesso in alcuni paesi o culture si afferma di garantire ad ogni persona, mentre in realtà si sta soltanto permettendo la libertà di culto.

Quali sono le virtù francescane da praticare oggi per superare il conflitto che sembra contrapporre l’Islam al Cristianesimo?

Padre Messa: Quello che stupisce in Francesco d’Assisi è come in lui sussista una identità cristiana molto chiara e la capacità di incontro e dialogo. Il prof. Andrè Vauchez, chiedendosi come è potuto coesistere in Francesco identità e dialogo ha dato una spiegazione nel fatto che egli voleva un’adesione integrale al Vangelo, non per viverlo in modo letterale – cosa che lo avrebbe reso un integralista – ma per coglierne lo spirito contenuto nella lettera [cfr. André Vauchez, Francesco d'Assisi e il Vangelo tra lettera e spirito, in Frate Francesco 74 (2008), 325-338]. Con una bella espressione egli dice che Francesco visse un’osservanza “spiritualmente letterale” del Vangelo.

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Internet al servizio della e-vangelizzazione (parte II)

di don Natale Scarpitta*

ROMA, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- E’ possibile approfondire le effettive potenzialità religiose di Internet, esaminando con realismo anche alcuni rischi e pericoli scaturibili da impieghi errati della Rete. Infatti, pur essendo il Web uno spazio virtuale in cui testimoniare la propria spiritualità e professare la propria fede, si è profondamente consapevoli che Internet non potrà mai sostituire la capacità comunicativa della relazione interpersonale, via primaria di trasmissione della fede.

Così pure, per quanto la Rete costituisca uno spazio sociale/virtuale in cui rendere visibile la presenza della Chiesa e in cui annunciare il messaggio salvifico all’intera umanità, non potrà mai essere intesa come un ambiente di amministrazione sacramentale. A questo proposito il documento La Chiesa e Internet del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali afferma che «la realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne ed ossa. Su internet non ci sono sacramenti» (n. 9)

Il Web, infatti, non permette un incontro personale reale, necessario per la validità della celebrazione dei Sacramenti. In esso è possibile un dialogo spirituale, basta che non sia inteso come colloquio penitenziale: in questo caso non è prevista l’assoluzione dei peccati. Così pure il carattere unicamente ludico di molteplici “matrimoni on-line” non sancisce affatto alcun vincolo sacramentale.

Inoltre, la coesistenza di un pullulare telematico di culti, sette e filosofie religiose può generare in utenti ingenui, o non opportunamente formati, il rischio di un “sincretismo elettronico” culturale e religioso che rende anche più faticosa la trasmissione del Vangelo.

E-vangelizzazione della cultura

Abbiamo avuto modo di vedere come Internet, per la sua capillarità ed efficacia, contribuisca a modellare la cultura e la mentalità, le relazioni e i comportamenti degli uomini. Costituisce, insomma, una vera e propria agenzia educativa in cui ognuno può formare la propria coscienza.

Ma è possibile constatare come la Rete proponga e sviluppi una cultura che si configura ormai perlopiù dissociata dalla fede cristiana, che molto spesso giunge persino a soffocare gli stessi valori Umani fondamentali.

Giovanni Paolo II scriveva che «Internet offre numerose nozioni, ma non integra valori e, quando questi ultimi vengono trascurati, la nostra stessa umanità ne risulta sminuita e l’uomo perde facilmente di vista la sua dignità trascendentale».

La Chiesa è pienamente consapevole dell’urgenza di destinare a queste nuove istane educative un’azione pastorale peculiarele, formulando una evangelizzazione della cultura che sappia riproporre i valori di ispirazione cristiana quali chiave per un umanesimo integrale.

Internet rappresenta, infatti, un nuovo ambito in cui incarnare un progetto culturale dal respiro cristiano. Una presentazione efficace e persuasiva dell’intero patrimonio valoriale proprio della tradizione cristiana può costituire una modalità efficace e incisiva di comunicazione pastorale telematica, altamente stimolante in un contesto di e-vangelizzazione.

Formulare un progetto culturale/educativo virtuale che abbia la sua origine nella Persona di Cristo e la sua radice nella dottrina del Vangelo, promuove la dignità e il rispetto dell’uomo. Questa proposta culturale virtuale rappresenta una sfida nel mondo contemporaneo. La Chiesa deve utilizzare Internet per porre al centro la dignità della persona, la capacità ad affrontare i grandi interrogativi della condizione umana, l’impegno a servire con onestà il bene comune, l’attenzione ai problemi della convivenza nella giustizia e nella pace. E’ così che può assicurerebbe nel mondo quella “diaconia della cultura” di cui il Santo Padre parla nell’ultimo Messaggio per le Comunicazioni Sociali.

Una chiesa nel virtuale?

L’opportunità offerta dalle comunicazioni inducono la Chiesa, oltre a re-interpretare e ripensare la sua missione, anche a maturare una nuova coscienza ecclesiale e la comprensione che ha di se stessa.

Con l’avvento di Internet abbiamo assistito a dei mutamenti culturali e sociali che, seppur discretamente, tendono a modificare il significato di alcuni concetti tradizionali, ben consolidati in ambito ecclesiale, quali “autorità”, “mediazione”, “comunità”, “senso di appartenenza/identità”, “partecipazione”, “relazione interpersonale”, “fine/scopo” di un’azione condivisa.

Il Web presenta un pullulare sterminato di comunità, le popolarissime web-communities, che, per il fatto stesso di essere “realtà virtuali”, sono anonime, disincarnate, quasi sempre “luoghi” di passaggio, invisibili. In esse i rapporti interpersonali, fondati spesso su identità mascherate, sono quasi sempre banali, fugaci, fragili e mutevoli. Tali comunità virtuali, per la loro fluidità, annullano ogni concetto di autorità/istituzione indebolendo, allo stesso tempo, anche il bisogno di mediazione.

Infatti, nella condizione del supermarket virtuale, in cui tutto è disponibile per tutti, con facilità ed immediatezza, e in cui ognuno prende secondo le proprie capacità, non si riscontra la necessità di una presenza atta a mediare l’accesso a delle conoscenze specifiche.

Anche il senso di appartenenza e di partecipazione vengono lentamente ad indebolirsi: nello spazio virtuale ognuno ha la possibilità di accedere a qualsiasi ambiente (chat, mailing list, forum, social network) senza dover per questo avere caratteristiche particolari o compiere riti specifici.

La partecipazione ad una community è libera, volontaria, priva di oneri, scevra di norme. Tale partecipazione, nella maggior parte dei casi, risponde ad uno scopo primariamente ludico con un fine quasi esclusivamente evasivo. “Conoscere” nuove persone ed entrare in contatto con loro rappresenta una mera attività di svago e/o fuga dal reale.

Ma, allora, come le forme di comunicazione rese possibili da Internet possono contribuire al consolidamento di una più viva comunione ecclesiale? La Chiesa è comunione costituita e costruita dalla comunicazione. Internet è il medium che offre una preziosissima opportunità per costruire, rinsaldare o consolidare legami di fraterna unione tra persone all’interno di comunità (ecclesiali), qualunque esse siano (movimenti, diocesi, parrocchie, gruppi/associazioni parrocchiali).

Sappiamo bene che la comunione in ambito ecclesiale è dono dello Spirito, ma richiede anche un impegno umano che si può instaurare e consolidare attraverso la cooperazione, la collaborazione e la condivisione in vista di medesimi fini salvifici.

Internet, grazie ad una comunicazione-interna rapida e capillare, costituisce una magnifica risorsa atta a favorire la promozione amplificata di eventi sul territorio che contribuiscono alla creazione di momenti di comunità, rafforzando in ognuno lo spirito di appartenenza e la gioia di un’attiva partecipazione.

Internet, impiegato in ambito ecclesiale, permette anche la conoscenza di bisogni, necessità ed attese sociali, favorendo così azioni di solidarietà condivisa attraverso gesti collettivi di carità verso la comunità.

Anche la percezione dell’universalità della Chiesa Cattolica viene manifestata attraverso i media. Un senso di profonda appartenenza all’unica Chiesa Cattolica, può essere alimentato, ribadito o, addirittura, scoperto nel Web. La consapevolezza di essere parte di un popolo universale permette un arricchimento favorito dall’aprirsi ad esperienze ecclesiali legate ad altre culture o condizioni sociali.

Risulta così evidente la presa di coscienza che la Rete sia particolarmente adatta a favorire una forma di “comunità” che non sostituisca in nessun modo quella reale e concreta, ma si affianchi ad essa offrendo nuove ed originali opportunità di scambio e di incontro, valorizzando pure le relazioni esistenti tra i membri che la costituiscono.

Conclusioni

Quanto finora rilevato permette di ribadire che, nell’odierno contesto culturale, la comunicazione della fede non può prescindere dalla comunicazione mediatica. La sua immediatezza in qualsiasi latitudine geografica e la sua capacità di incidere nell’immaginario individuale e sociale, evidenziano la necessità per la Chiesa di proporre un’azione pastorale vigorosa anche nello spazio telematico di Internet.

Il Web rappresenta per la missione della Chiesa una strada inedita da percorrere con realismo, responsabilità e fiducia. Questa “missione virtuale” ha però l’imperativo di riorientare i percorsi personali verso Cristo, attraverso una reale comunità cristiana, che quotidianamente ascolta la Parola e la comunica, che insieme prega ed unita si nutre dell’Eucaristia.

Nella moderna arena dei mezzi di comunicazione sociale, la sfida che siamo chiamati ad affrontare consiste nel trovare modi per garantire che la voce della Chiesa non sia marginale o messa a tacere. Nonostante i molteplici pericoli sommariamente analizzati, il potenziale positivo della moderna tecnologia informatica supera di gran lunga i fattori negativi. Internet risulta così un fecondo terreno in cui gettare i semina Verbi.

L’impiego evangelizzatore della Rete, oltre al rinnovato impulso missionario, prospetta anche una revisione e un ripensamento delle forme con le quali vivere la dimensione pastorale. Tale asserto implica necessariamente un maggiore investimento di risorse umane ed economiche della Chiesa per la formazione e l’azione delle comunità nei confronti dei media. Giovanni Paolo II scriveva nel 2002: attraverso Internet «emergerà il volto di Cristo? Si udrà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udrà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo».

La Chiesa, che da sempre è madre e maestra di umanità, continuerà ad assolvere al suo compito se persevererà, anche attraverso l’uso responsabile di Internet, a promuovere la nuova cultura di un umanesimo integrale che fonda le sue radici nel rispetto della dignità umana, del bene comune, dello sviluppo, della giustizia e della pace.


[La prima parte dell'articolo è stata pubblicata il 26 gennaio]

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*Don Natale Scarpitta è un prete dell’arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno, appassionato di informatica e impegnato fattivamente in progetti di pastorale attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.

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Udienza del mercoledì


Benedetto XVI presenta la figura di San Francesco d'Assisi
Catechesi per l'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di San Francesco d’Assisi.

 



* * *

Cari fratelli e sorelle,

in una recente catechesi, ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei presentarvi la figura di Francesco, un autentico "gigante" della santità, che continua ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione.

"Nacque al mondo un sole". Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI), il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia – il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato. Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale, che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si animò, e gli disse: "Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina". Questo semplice avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta, ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte, che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico, tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso: è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento.

Ritorniamo alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione –, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione. Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello Spirito Santo.

In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai "mio", ma è sempre "nostro", che il Cristo non posso averlo "io" e ricostruire "io" contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio.

E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni e religioni.

Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano, quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di santità nella Chiesa.

Anche il successore di Innocenzo III, il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa, e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare, in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3). Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa.

Rientrato in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani, mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore, tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola, poi approvata dal Papa.

Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso, ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi, che esprime la sua intima identificazione col Signore.

La morte di Francesco – il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini, che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto, pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco.

È stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva di Cristo. Egli fu chiamato anche "il fratello di Gesù". In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali.

In Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi, come questa: "Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane" (Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401).

In quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco ai sacerdoti: "Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo" (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo.

Dall’amore per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio. Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente e possiamo noi parlare di Dio e con Dio.

Cari amici, Francesco è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera felicità: diventare santi, vicini a Dio!

Ci ottenga la Vergine, teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse del Poverello di Assisi: "Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi... presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro" (Francesco di Assisi, Scritti, 163).

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto a i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i vari gruppi di militari qui presenti, augurando a ciascuno di arricchire il proprio servizio al paese con la personale testimonianza.

Saluto, infine, voi, cari giovani, cari malati e cari sposi novelli, ed auspico che ciascuno nella propria condizione, contribuisca con generosità a diffondere la gioia di amare e servire Gesù Cristo.



[APPELLO DEL SANTO PADRE]

Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945, venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oświęcim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti. Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l'orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista.

Oggi, si celebra il "Giorno della memoria", in ricordo di tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli Ebrei, e in onore di quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida. Con animo commosso pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani. La memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia. Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Patriarca Twal: "La preghiera comunitaria ha una particolare forza"
Messaggio per la II Giornata Internazionale di Intercessione per la Pace in Terra Santa
GERUSALEMME, mercoledì, 27 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio inviato dal Patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal, in vista della II Giornata Internazionale di Intercessione per la Pace in Terra Santa, che si svolgerà il 31 gennaio prossimo e prevederà una 24 ore no-stop di celebrazioni eucaristiche e adorazioni.

L'iniziativa è promossa da un gruppo di giovani della Terra Santa e dell'Italia, in particolare dall'Apostolato "Giovani per la Vita" (www.youthfl.org), dall'Associazione dei Papaboys (www.papaboys.it), dai gruppi di Adunanza Eucaristica (www.adorazione.org) e dalle Cappelle di Adorazione Perpetua.




* * *

Ad un anno dal sorgere di questa importante iniziativa, che ha visto l'adesione di più di 500 città del mondo, esprimo la mia profonda gratitudine per la 2. Giornata Internazionale di intercessione per la Pace in Terra Santa, per quello che è un desiderio ed un impegno vivo, nato nel cuore soprattutto di tanti giovani, di elevare al Signore una sincera ed intensa preghiera per il dono della pace. È un'esperienza di Chiesa, che, in quanto "forza spirituale" è una realtà che, come ci ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI, "può contribuire ai progressi nel processo di pace"[1].

Egli stesso ha sottolineato, in viaggio verso la Terra Santa nel maggio dell'anno scorso, l'importanza della preghiera: "Da credenti siamo convinti che la preghiera sia una vera forza: apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace"[2].

Per questo, non può che essere motivo di speranza e di fiducia ogni iniziativa in cui, uniti insieme nella preghiera con un'intenzione particolare, ci rivolgiamo a Dio come Suoi figli. La preghiera comunitaria ha una particolare forza, lo stesso Signore Gesù ce lo ha ricordato: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20).

Grazie a tutti voi, in modo particolare voi giovani, che senza esitare e con molta generosità vi riunirete, in tante parti del mondo, per 24 ore consecutive nella preghiera, in momenti di silenziosa adorazione davanti a Gesù Eucarestia, nelle celebrazioni eucaristiche, al fine di implorare questo dono, tanto prezioso quanto fragile, che è la Pace.

A nome della Comunità dei cristiani in Terra Santa, ringrazio tutti i promotori di questo evento: le varie associazioni (l'Apostolato "Giovani Per La Vita", l'Associazione Nazionale Papaboys, le Cappelle di Adorazione Perpetua in tutta Italia e nel mondo, i Gruppi di Adunanza Eucaristica), le varie Congregazioni e chi singolarmente o in gruppo si impegnerà ad offrire il proprio tempo e la propria preghiera per questa intenzione.

Il Signore Gesù, Principe della Pace, volga il suo sguardo sulla Sua terra, ci conceda la Pace, e doni la Sua abbondante benedizione su tutti coloro che prenderanno parte a questa iniziativa.

+ Fouad Twal, Patriarca

 




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1) Benedetto XVI, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, 8 maggio 2009, in Pellegrinaggio del Santo Padre Benedetto XVI in Terra Santa (8-15 maggio 2009), Raccolta completa dei discorsi, Gerusalemme, 2009, p. 7.

2) Benedetto XVI, Intervista concessa ai giornalisti durante il volo verso la Terra Santa, 8 maggio 2009, in Op. cit., 7.

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