lunedì 1 marzo 2010

ZI100301

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 01 marzo 2010

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L'inferno esiste - La verità negata

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Cattolici e musulmani, insieme contro la violenza nel nome di Dio
Emessa da rappresentanti vaticani e dalla voce accademica più prestigiosa del mondo sunnita

IL CAIRO, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Rappresentanti musulmani e cattolici del mondo hanno firmato una storica dichiarazione comune per respingere la manipolazione della religione per giustificare interessi politici, violenza o discriminazione.

Il documento ha raccolto le conclusioni della riunione annuale, celebrata al Cairo (Egitto) il 23 e il 24 febbraio scorsi, del Comitato congiunto per il dialogo del Comitato permanente di Al-Azhar per il Dialogo tra le Religioni Monoteistiche e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

La dichiarazione è firmata dallo sceicco Muhammad Abd al-Aziz Wasil, wakil di al-Azhar e presidente del Comitato per il dialogo di al-Azhar, e dal Cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio, copresidenti della riunione.

Al-Azhar, fondata nell'anno 975, è considerata l'Università più antica con funzionamento ininterrotto e per la maggior parte dei musulmani sunniti è la scuola più prestigiosa.

Come spiega la dichiarazione finale, "i partecipanti sono stati ricevuti dal Grande Imam di al-Azhar, professor sceicco Muhammad Sayyed Tantawi, che il Cardinale Tauran ha ringraziato per aver condannato gli atti di violenza nei quali sono morti sei cristiani e un poliziotto musulmano a Naga Hamadi, lo scorso Natale ortodosso, per aver espresso solidarietà alle famiglie delle vittime e per aver riaffermato l'uguaglianza di diritti e di doveri per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Lo sceicco Tantawi ha dichiarato di aver fatto soltanto ciò che riteneva essere il suo dovere di fronte a quegli eventi tragici".

Il Comitato, con l'aiuto di documenti presentati da monsignor Bernard Munono Muyembe e dal professore Abdallah Mabrouk al-Naggar, ha esaminato il tema "Il fenomeno della violenza confessionale: comprendere il fenomeno e le sue cause e proporre soluzioni", con particolare riferimento al ruolo delle religioni a questo proposito.

Al termine dell'incontro, i partecipanti hanno concordato, tra le altre, queste raccomandazioni: "prestare maggiore attenzione al fatto che la strumentalizzazione della religione a scopi politici o di altra natura può essere fonte di violenza; evitare la discriminazione sulla base dell'identità religiosa; aprire il cuore al perdono e alla riconciliazione reciproci, condizioni necessarie a una coesistenza pacifica e feconda".

Musulmani e cattolici hanno chiesto di "riconoscere le similitudini e rispettare le differenze come prerequisito di una cultura di dialogo basata su valori comuni; affermare che entrambe le parti si impegnano di nuovo a riconoscere e a rispettare la dignità di ogni essere umano, senza alcuna distinzione basata sull'appartenenza etnica o religiosa; opporsi alla discriminazione religiosa in tutti i campi (leggi giuste dovrebbero garantire un'uguaglianza fondamentale); promuovere ideali di giustizia, solidarietà e cooperazione per garantire una vita pacifica e prospera a tutti".

L'incontro bilaterale è finito con l'impegno a "opporsi con determinazione a qualsiasi atto che tenda a creare tensioni, divisioni e conflitti nelle società; promuovere una cultura di rispetto e di dialogo reciproci attraverso l'educazione a casa, a scuola, nelle chiese e nelle moschee, diffondendo uno spirito di fraternità fra tutte le persone e la comunità; opporsi agli attacchi contro le religioni da parte dei mezzi di comunicazione sociale, in particolare sui canali satellitari, in considerazione dell'effetto pericoloso che queste trasmissioni possono avere sulla coesione sociale e sulla pace fra comunità religiose".

Cattolici e musulmani hanno infine chiesto di "assicurarsi che la predicazione dei responsabili religiosi nonché l'insegnamento scolastico e i libri di testo non contengano dichiarazioni o riferimenti a eventi storici che, direttamente o indirettamente, possano suscitare un atteggiamento violento fra i seguaci delle differenti religioni".

Il Comitato ha concordato sul fatto che il prossimo incontro si svolgerà a Roma nel 2011, il 23 e il 24 febbraio.

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La Chiesa sia più presente tra gli zingari
Monsignor Vegliò inaugura l'Incontro dei Direttori Nazionali di questa pastorale

di Roberta Sciamplicotti

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Favorire "una maggiore partecipazione alla vita e alla ricchezza della Chiesa" da parte degli zingari e, viceversa, "farla maggiormente presente in mezzo a loro". E' questo l'obiettivo dell'Incontro dei Direttori Nazionali della Pastorale degli Zingari in Europa, che si svolgerà in vaticano dal 2 al 4 marzo.

L'evento è organizzato dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e verrà aperto dal presidente del dicastero, monsignor Antonio Maria Vegliò, che interverrà sul tema "Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive".

Nuova ecclesiologia

Dal Concilio Vaticano II, sottolinea il presule, è nata una "rinnovata ecclesiologia". A questo proposito, ricorda tre eventi, iniziando dalla "storica visita" di Papa Paolo VI all'accampamento degli zingari a Pomezia (Roma) il 26 settembre 1965, in occasione del loro pellegrinaggio internazionale.

Quella visita, spiega monsignor Vegliò, mostrò agli zingari "la sollecitudine della Chiesa, nel cui seno non ci devono essere ineguaglianze riguardo alla stirpe, alla nazione o alla condizione sociale".

Quest'"opera d'amore" fu ripresa da Papa Giovanni Paolo II, che il 12 marzo 2000, "con un gesto storico di riparazione, un atto intensamente evangelico di coraggio e di umiltà, chiese solennemente perdono per le colpe commesse dai figli della Chiesa nel passato; colpe che continuano, purtroppo, a proiettare le loro ombre anche nel presente".

Tre anni prima, del resto, il 7 maggio 1997, Papa Wojtyła aveva elevato alla gloria degli altari un martire gitano, lo spagnolo Ceferino Giménez Malla, "riconoscendo così alla sua etnia la possibilità della santità".

Esame di coscienza

L'eredità del Concilio e del Magistero Pontificio, spiega monsignor Vegliò, richiede "un ‘esame di coscienza' sulla nostra fedeltà alla vocazione e missione nella Chiesa, la quale è di tutti, e particolarmente dei poveri".

Ciò, osserva, "ci obbliga a verificare la nostra capacità di essere accoglienti, ascoltatori, servitori con il dovere di condannare ogni forma di discriminazione e di intolleranza, di violazione dei diritti e di disprezzo della dignità umana".

Oggi, riconosce il presidente del dicastero vaticano, "gli zingari non sono più lasciati soli come in passato", visto che "numerose organizzazioni internazionali e nazionali, zingare e non, operano per la loro promozione umana, sociale, culturale e religiosa", "il Consiglio d'Europa, l'Unione Europea e il Parlamento Europeo emanano numerose risoluzioni e raccomandazioni atte a tutelare i loro diritti fondamentali, nonché danno vita a vari programmi che offrono ai giovani Rom, Sinti e Viaggianti molteplici opportunità di formazione professionale e di sviluppo integrale", si moltiplicano le proposte di collaborazione culturale internazionale e aumentano le "iniziative volte alla inclusione sociale".

Moltissimi zingari, però, "sono, purtroppo, tuttora esclusi da tali benefici", denuncia.

"Molti sono costretti a vivere in condizioni di povertà e altri trovano difficoltà a raggiungere il cuore della Chiesa a causa di preconcetti e stereotipi, talmente radicati nella società da non permettere sviluppo e maturazione di atteggiamenti di apertura, accoglienza, solidarietà e rispetto. Inoltre, fenomeni di razzismo, xenofobia, antiziganismo, troppo spesso ostacolano una pacifica, umana e democratica convivenza".

Allo stesso tempo, riconosce, non si possono dimenticare "responsabilità e atteggiamenti negativi degli zingari stessi nei confronti degli ambienti in cui vivono". Per questo, "è necessario ricordare" che anch'essi "devono assumere i doveri propri di tutti i cittadini del Paese dove permangono".

Cultura e comunione

"Per spianare la strada che porta a una vera cultura e a una auspicata spiritualità di comunione", osserva monsignor Vegliò, bisogna lasciarsi guidare da "un amore ricco di intelligenza e dall'intelligenza piena di amore", come scrive Papa Benedetto XVI nell'Enciclica Caritas in Veritate (n. 30).

"La riconciliazione, la ricerca di comprensione delle situazioni concrete della vita, lo sforzo comune di rispettare e osservare le regole e norme di coordinamento e di integrazione racchiuse e riaffermate nei consessi internazionali, sono principi validi nelle relazioni Chiesa-Zingari e Zingari-Società civile nell'Europa odierna, in fase di trasformazione e crescita".

Solo così, infatti, si potranno aprire "vie di speranza, nella prospettiva di un concretizzarsi dell'interesse e della mobilitazione degli organismi internazionali e nazionali in favore degli Zingari nelle nuove strategie europee e nei processi di cambiamento".

Il presule auspica anche che le trasformazioni in atto "contribuiranno ad arrestare fenomeni e atti di razzismo, antizingarismo e di discriminazione, e creeranno una nuova ‘coscienza europea' che consenta a Rom, Sinti e altri gruppi viaggianti, di riaffermare la propria identità e diversità culturale, nell'ottica di un inserimento civile nei rispettivi Paesi".

Conclude quindi il suo intervento sottolineando la necessità di "portare ai nostri fratelli e sorelle zingari questo messaggio: anche noi, oggi, come una volta Paolo VI, altro non chiediamo dal punto di vista pastorale se non che 'accettino la materna amicizia della Chiesa'".

Gli zingari nel mondo sono circa 36 milioni, la metà dei quali vive in India. In Europa sono tra i 9 e i 12 milioni, diffusi soprattutto nell'Est europeo. In Italia rappresentano lo 0,16 % della popolazione nazionale.

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Uomini e donne di fede


Witold Pilecki, un eroe dimenticato

di Włodzimierz Rędzioch 

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- La Shoah, il genocidio del popolo ebreo, è uno degli episodi più tragici della storia contemporanea e, giustamente, viene ricordato dal popolo che ne fu vittima.

Si tiene viva la memoria della Shoah anche chiedendone conto ai presunti complici della Germania nazista che pianificò e perpetrò il genocidio, tra cui - paradossalmente - a Pio XII, il Papa che subito dopo la fine della guerra fu osannato ed elogiato da tutti gli ambienti ebraici per il suo impegno a favore degli ebrei.

La scala e la determinazione degli attacchi al Romano Pontefice contrastano con uno strano silenzio che riguarda i veri carnefici, cioè i nazional-socialisti e la Germania di Hitler; non si sentono critiche neanche nei confronti dei Governi dei Paesi alleati, in primo luogo della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che sapevano benissimo cosa stava succedendo nei campi di concentramento e non reagivano.

Allora si può parlare piuttosto del "silenzio" delle Cancellerie occidentali e non di un Papa, che ebbe la sfortuna di guidare la Barca di Pietro nel drammatico periodo del secondo conflitto mondiale, ma non ebbe i mezzi per contrapporsi al disegno criminale dei nazisti. Purtroppo, le sue denunce verbali non avrebbero servito, al contrario, avrebbero peggiorato la situazione degli ebrei, come insegna il caso dell'Olanda dove l'intervento dei vescovi scatenò la più forte persecuzione (i critici del Papa lo sanno, ma non ne tengono conto).

Invece i mezzi li avevano gli alleati, ma rimasero a guardare. Rimasero inerti anche gli influenti ambienti ebraici americani che oggi "scaricano" le colpe su Pio XII. E' stupefacente che gli storici, che con tanta ansia vogliono consultare i documenti degli archivi vaticani per trovare le "prove" delle presunte colpe del Papa Pacelli, non passano al setaccio gli archivi inglesi ed americani per trovare documenti attestanti l'inerzia degli alleati di fronte al genocidio ebraico.     

Purtroppo, per non colpevolizzare i governi occidentali, si tenta d'ignorare l'eroica azione della resistenza polacca che con enormi rischi si sforzava di scoprire che cosa succedeva nei campi di concentramento nazisti e trasmetteva tali informazioni all'Occidente libero.

Un uomo chiave di questa vera azione di intelligence fu l'ufficiale polacco Witold Pilecki. La Casa Editrice Laterza ha appena pubblicato un'opera dello storico Marco Patricelli dal titolo "Il Volontario", che parla appunto di questo personaggio straordinario e, purtroppo, poco conosciuto. Pilecki, dopo la disfatta dell'esercito polacco nel 1939, passò alla resistenza.

Nel 1940, con un gesto di estremo altruismo, si fece arrestare sotto falso nome dalla Gestapo e venne imprigionato nel campo di concentramento di Auschwitz. Lo scopo di questo eroico gesto fu di organizzare il movimento di resistenza anche lì, in quel luogo infernale, e per far sapere all'esterno cosa succedeva esattamente nel campo. Il suo fu il primo documento arrivato dai campi di concentramento agli alleati. I suoi rapporti venivano recapitati, tramite una catena di collaboratori, al governo polacco in esilio a Londra, che successivamente informava le Cancellerie dei Paesi alleati, in primo luogo quelle della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.

Tali rapporti riguardavano le sorti dei prigionieri di guerra e lo sterminio degli ebrei. Pilecki riuscì nella sua "missione impossibile" grazie alla salute di ferro, astuzia, abilità e tanta, tanta fortuna.  Successivamente, evase e partecipò alla rivolta di Varsavia del 1944. Dopo la guerra i comunisti l'imprigionarono e, in un processo farsa, lo condannarono a morte come un "traditore", un "agente imperialista" e un "nemico del popolo": fu ammazzato con un colpo alla nuca il 25 maggio 1948.

Lo storico Michael Foot lo ritiene uno dei più coraggiosi soldati della resistenza in Europa, ma Pilecki fu condannato al damnatio memoriae perché eroe scomodo. Prima di tutto Pilecki testimonia che le cancellerie del mondo già dal 1943 sapevano benissimo, tramite lui e la resistenza polacca, cosa succedeva ad Auschwitz; sapevano e non reagivano (gli aerei inglesi sganciarono solamente qualche bomba, senza fare dei danni al campo). Inoltre, Pilecki fu una vittima innocente del comunismo di cui nessuno vuol parlare.

Recentemente, si è tentato di riabilitare questo straordinario eroe sia in Polonia, sia in Europa: l'anno scorso un gruppo di europarlamentari polacchi propose di stabilire una Giornata Internazionale degli Eroi della Lotta contro i Totalitarismi, il giorno della morte di Pilecki, il 25 maggio. Purtroppo, il Parlamento Europeo ha bocciato la proposta! E' un vero peccato.

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Dove Dio piange


Una voce inascoltata in Terra Santa
Intervista a mons. Twal, Patriarca di Gerusalemme

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Sebbene gli arabi cristiani costituiscano solo una piccola minoranza in Terra Santa, essi potrebbero tuttavia rappresentare un importante ponte nel conflitto che ha diviso la regione ormai da troppo tempo, afferma il patriarca Fouad Twal.

Il Patriarca latino di Gerusalemme lamenta che mentre la comunità internazionale tarda ad intervenire, il numero di questi cristiani diminuisce rapidamente. Parte del problema, osserva, è che il muro israeliano alto 6 metri, che circonda i Territori palestinesi, ha reso la vita quotidiana per molte persone quasi impossibile.

Vi sono circa 50.000 cristiani che vivono nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, mentre altri 200.000 vivono in Israele.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo "Where God Weeps" della testata Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il Patriarca parla delle molte difficoltà in cui vivono i cristiani di Terra Santa, e lancia un triplice appello alle tre "P": preghiera, progettazione e pressione.

Quale è la situazione dei cristiani in Terra Santa oggi?

Mons. Twal: Dobbiamo ricordare che il Patriarcato latino si estende su tre Stati: Giordania, Palestina e Israele, e persino su Cipro. Quindi non è facile parlare di una condizione omogenea, perché la situazione cambia da Stato a Stato. Generalmente, come sappiamo, ogni Stato è diviso in molte diocesi; nel nostro caso invece abbiamo una diocesi che copre diversi Stati.

Il fatto di vivere in condizioni di conflitto comporta problemi di frontiera; problemi per attraversare i confini; problemi per trasferire un sacerdote da una parrocchia a un'altra. Dobbiamo sottostare al rilascio di permessi, da parte di Israele, per muoverci nell'ambito di questi tre Stati che rientrano nel Patriarcato di Gerusalemme.

Come descriverebbe i sentimenti delle persone, in particolare dei cristiani, che abitano a Gerusalemme e in Terra Santa?

Mons. Twal: Gerusalemme è una città particolare: meravigliosa e drammatica, in cui persino il Signore pianse, e in cui noi continuiamo a piangere. Non è facile. Gerusalemme unisce tutti i credenti - ebrei, musulmani, cristiani - ma allo stesso tempo Gerusalemme divede tutti i credenti - fino alla morte. Ognuno vorrebbe Gerusalemme come propria capitale. Per me Gerusalemme deve essere la madre delle Chiese, la madre di tutti i credenti e non di un popolo solo.

È bello, da una parte, vedere queste persone che vengono a visitare il Luoghi Santi, e dall'altra fa male vedere la Chiesa locale, i cristiani del luogo, che non possono neanche visitare questi Luoghi Santi. Un parroco di Betlemme non può portare i propri parrocchiani in pellegrinaggio nei Luoghi Santi. La stessa situazione vale per Ramallah, la Giordania e altre parrocchie: non possono muoversi liberamente con tutti i posti di blocco e con il muro che li separa.

Una domanda cruciale: la situazione è peggiorata per i cristiani in Terra Santa, a seguito della costruzione del muro?

Mons. Twal: Sicuramente il muro ha diviso famiglie intere. Non si tratta solo dei Luoghi Santi, ma di famiglie vere. In alcune famiglie, i giovani non possono visitare i propri nonni che si trovano dall'altra parte del muro. Non possono andare ai loro parchi, giardini e uliveti che si trovano dall'altra parte. Il problema è notevole. Non è solo questione dei Luoghi Santi, ma della dignità delle famiglie, della separazione tra giovani e anziani. Non possono andare a visitare qualcuno che sta morendo dall'altra parte.

Lei viaggia con il passaporto diplomatico del Vaticano?
 
Mons. Twal: Sì, è così. In questo modo posso visitare i fedeli nei tre Stati che compongono il Patriarcato: Giordania, Israele e Palestina. La questione sorge quando dobbiamo trasferire un prete da una parrocchia ad un'altra, in base al nostro lavoro pastorale e delle necessità pastorali. In questi casi devo pormi il problema se gli verrà dato il permesso oppure no. È un grande problema.

In Giordania - la parte più vasta del Patriarcato e la maggiore fonte di sacerdoti, seminaristi e suore - la questione è sempre se possiamo portarli in Palestina oppure no. L'altra questione riguarda i giovani seminaristi che si trovano a Beit Jala, vicino Betlemme, e che vogliono andare a trovare le proprie famiglie in Giordania durante le vacanze.

A trovare le proprie famiglie?
 
Mons. Twal: Sì. È un problema. Il conflitto esiste. E noi ne subiamo le conseguenze. Ciò di cui abbiamo bisogno non è di un permesso ma della pace. Abbiamo bisogno di una vita normale; della libertà di movimento; di poterci muovere pacificamente, senza problemi e senza permessi. Anche se Israele ci dà i permessi, non siamo pienamente contenti. Lo saremo solo quando avremo la pace, quando avremo una vita normale e quando potremo muoverci senza problemi.

Il fatto è che il conflitto esiste ormai da 60 o 100 anni, e che finora non abbiamo visto alcun progresso verso la pace, la dignità, la libertà. Non l'abbiamo visto, ma non abbandoniamo mai la speranza. Preghiamo e chiediamo aiuto dall'esterno perché possiamo raggiungere la pace.

I cristiani si trovano in mezzo tra estremisti musulmani ed estremisti sionisti. Dove si collocano i cristiani? Esiste un diffuso senso di aggressività nei confronti delle comunità cristiane, da parte di entrambe le parti?

Mons. Twal: Sono convinto che la drammatica situazione ci deve riportare al Vangelo e a considerarlo seriamente. Nel Vangelo il Signore ci dice: "Se uno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua".

E questo è il nostro "pane quotidiano": portare la croce negli stessi luoghi dove lui l'ha portata. E come cristiani, e come minoranza, che questa croce venga dagli ebrei, dai musulmani o da noi stessi, non fa differenza. Il fatto è che non possiamo vivere in Terra Santa, che non possiamo amare la Terra Santa, che non possiamo lavorare in Terra Santa, senza prendere su di noi la croce. La situazione ci riporta quindi letteralmente al Vangelo. Ma al contempo, nel Vangelo, il Signore ci dice: "Non temere, io sono con te".

Per questo il nostro entusiasmo, la nostra gioia di vivere, di lavorare, di evangelizzare, di portare avanti le nostre attività pastorali, non dipende dalla gioia della situazione politica - che il governo sia con noi o contro di noi. La nostra gioia di vivere, lavorare, pregare, viene da un'altra fonte: dal Signore, dalla sua forza, dal suo amore, dal suo perdono.

Lei ha detto che gli arabi cristiani sono come un ponte tra Oriente e Occidente. Che ruolo hanno i cristiani in questo contesto?
 
Mons. Twal: Anzitutto, dobbiamo mantenere e rispettare la nostra identità di arabi e di cristiani. Non possiamo dimenticare questa identità. Come arabi abbiamo le stesse tradizioni, la stessa lingua, e abbiamo lo stesso approccio dei musulmani. Possiamo parlare con loro. Ci sentiamo più arabi noi di loro. Gli arabi esistevano secoli prima dell'arrivo dell'Islam nel Medio Oriente, e siamo fieri di poterci dire arabi provenienti dal deserto. Io lo dico con piacere e non mi crea problemi.

Allo stesso tempo siamo cristiani, e abbiamo una cultura, una cultura cristiana e una cultura occidentale, e possiamo e dobbiamo essere un elemento di moderazione, un fattore di riconciliazione, un fattore o un ponte tra i due popoli in conflitto. La questione è se la comunità internazionale ci accetta o ci considera in questo senso. Questa è la questione.

Troppo spesso veniamo dimenticati. Si prendono decisioni sul Medio Oriente spesso senza pensare a questa piccola minoranza cristiana nell'area. E spesso noi paghiamo il prezzo delle loro decisioni perché nessuno considera la nostra presenza, stretta tra la maggioranza musulmana e la maggioranza israeliana.

Se potesse fare un appello ai cattolici, cosa chiederebbe per i cristiani in Terra Santa?
 
Mons. Twal: È semplice: un appello alle tre grandi "P".

Preghiera: chiediamo alla Chiesa in tutto il mondo, alle comunità, ai sacerdoti e ai fedeli, di pregare per la pace in Terra Santa, perché noi continuiamo a credere nella forza della preghiera. Il Signore ha detto: vi do la mia pace. La pace che il mondo e i politici non possono dare, o che forse non vogliono dare. Quella solo lui ce la dà. Questa pace significa serenità, fede, amore e rispetto per tutti. Dunque la prima "P" è la preghiera.

La seconda "P" sta per Progetto: che sia avviato qualche progetto sociale, religioso o culturale. Si possono adottare le scuole, i seminaristi o il Patriarcato. Si può e si deve fornire aiuto.

E l'ultima "P" è quella della Pressione sui governi perché sia fatta pace. Abbiamo bisogno di questo, più di qualsiasi altra cosa. Abbiamo bisogno di pace; di una "road map" che conduca ad eliminare i posti di blocco e il muro, e a vivere in pace con tutti.

Vogliamo dire con chiarezza a tutti che con le armi, i muri e i posti di blocco, non ci sarà pace e non ci sarà sicurezza. La pace e la sicurezza, o lo sono per tutti, o non ci potranno essere per nessuno. Nessun popolo, né gli israeliani, né i palestinesi, possono avere una sicurezza o una pace unilaterale. Entrambi, o avranno pace e sicurezza, o continueranno ad uccidersi a vicenda in una spirale di violenza che non avrà mai fine. E noi non vogliamo questo.

Vogliamo la pace e la sicurezza per tutti: ebrei, musulmani e cristiani.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

www.acs-italia.glauco.it

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Notizie dal mondo


Cile: alle vittime del terremoto arriva l'aiuto della Chiesa
"E' tempo di pregare e unirci come una famiglia", spiega il presidente dei Vescovi
SANTIAGO, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- "E' il momento di pregare e di unirci come una famiglia", ha spiegato in piena attività di risposta al dramma del terremoto monsignor Alejandro Goic, presidente della Conferenza Episcopale del Cile, in alcune dichiarazioni pubblicate dalla pagina web dell'episcopato.

Caritas Cile si è mobilitata, attraverso la sua rete locale presente nelle 23 Diocesi del Paese andino, per prestare aiuto d'emergenza alle vittime del devastante terremoto di sabato scorso, che ha provocato almeno 711 vittime.

Le Messe di questa domenica sono state una preghiera congiunta del Paese a favore delle vittime e dei loro cari, alla quale si è unito Benedetto XVI da Piazza San Pietro in Vaticano.

Secondo quanto ha reso noto il direttore della Caritas nazionale, Lorenzo Figueroa, "ci stiamo coordinando con il Governo e altre organizzazioni civili per stabilire una rete nazionale di aiuto che ci permetta di superare le grandi difficoltà che abbiamo nelle comunicazioni".

"Caritas Cile sta raccogliendo cibo in tutto il Paese per inviarlo immediatamente alle comunità più colpite dal sisma e dove si inizia già a registrare scarsità di prodotti di prima necessità", ha spiegato.

"In questo momento, tutti i nostri sistemi di comunicazione interna e la nostra capacità logistica di immagazzinamento e distribuzione degli aiuti sono completamente operativi", ha aggiunto, riconoscendo che "vista la portata della catastrofe, che ha colpito le regioni più povere del Paese, sarà necessario il sostegno della rete Caritas, anche se quello di cui abbiamo più bisogno è la speranza per il nostro popolo provato".

Monsignor Goic ha confermato che tutte le parrocchie e i centri locali della Caritas in Cile stanno unendo i propri sforzi per assistere le vittime della catastrofe, e ha reso noto che sia a Maule che a Bio Bio, le regioni più colpite, i volontari delle parrocchie hanno già iniziato a distribuire aiuti.

Caritas Internationalis ha inviato a Santiago del Cile un'équipe di esperti per collaborare alle operazioni di soccorso alle vittime.

Tra i membri dell'équipe ci sono il direttore per le questioni umanitarie di Caritas Internationalis, Alistair Dutton, che è giunto in Cile da Haiti, e i membri della squadra di soccorso di Caritas Messico che poche settimane fa hanno partecipato al recupero delle vittime a Port-au-Prince.

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Iraq: giornata di preghiera e digiuno in risposta agli omicidi di cristiani
Organizzata dall'Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk
ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Di fronte all'ondata di violenza anticristiana che sta sconvolgendo l'Iraq provocando numerose vittime, l'Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk ha organizzato per questo lunedì una giornata di preghiera e digiuno.

L'iniziativa del presule cattolico caldeo segue l'assassinio di almeno otto cristiani a Mosul nelle ultime due settimane, una serie di crimini che ha portato a un nuovo esodo di fedeli dalla città verso il nord dell'Iraq.

"Prendere di mira cristiani innocenti, soprattutto in questi giorni a Mosul, in modo barbaro, in coincidenza con le elezioni, è un atto vergognoso", ha affermato l'Arcivescovo nell'omelia che ha pronunciato nella cattedrale di Kirkuk questa domenica, come riporta l'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS).

"Colpisce il disegno di Dio che ci ha creati diversi, viola i diritti umani, intacca la partnership nazionale e insulta i valori religiosi", ha denunciato.

Il presule ha detto di aver voluto organizzare la giornata di preghiera e digiuno perché "cancellare il cristianesimo dalla regione, o forzare i fedeli a seguire il vessillo islamico, porterà solo a far diventare il Paese più radicale".

"Per questo abbiamo deciso di digiunare e pregare per protestare contro questi atti efferati e in solidarietà con i nostri fratelli, fiduciosi del fatto che la giustizia di Dio è inevitabile".

La Chiesa, ha riferito l'Arcivescovo ad ACS, ha coperto i muri dell'Arcivescovado e della Cattedrale di Kirkuk con poster con scritte in arabo e in inglese che condannano gli omicidi.

Anche se il motivo degli attentati non è ancora noto, secondo molti questi eventi sono collegati alle elezioni parlamentari previste per domenica prossima, 7 marzo.

Anche secondo monsignor Sako gli eventi di Mosul sono il risultato di "tensione e lotta tra forze politiche".

Senza unità nazionale, ha osservato, non ci sarà stabilità in Iraq. Per questa ragione, ha chiesto l'armonia tra i vari partiti politici nel Paese, ma ha riconosciuto che ciò "non avverrà automaticamente", richiedendo partnership e dialogo.

I cristiani restino in Iraq

Monsignor Sako ha riconosciuto che "purtroppo il Paese sta andando verso una maggiore intolleranza etnica, verso una divisione religiosa e settaria".

Molti cristiani hanno lasciato l'Iraq alla volta di Paesi vicini come Siria e Turchia, ha sottolineato, esortando i fedeli a restare nel Paese per aiutare a ricostruirlo.

"La nostra posizione e la nostra volontà è quella di costruire il nostro futuro insieme ai nostri fratelli musulmani: arabi, curdi e turkmeni".

In questo contesto, ha incoraggiato i cristiani a non cedere alle pressioni e a non scivolare nell'oscurità e nell'isolamento, e ha chiesto al Governo centrale, alle comunità locali e ai partiti a Mosul di "difendere i cittadini, soprattutto i cristiani, che sono stati più di una volta bersaglio di attacchi".

La giornata di preghiera e digiuno terminerà con una preghiera serale e una conferenza stampa.

L'ultimo omicidio a Mosul è avvenuto il 23 febbraio, quando un uomo armato è entrato nella casa di una famiglia cristiana uccidendo il padre e due figli davanti alla moglie e a una figlia.

Nei suoi saluti dopo l'Angelus di questa domenica, Benedetto XVI ha richiamato la difficile situazione che sta vivendo l'Iraq dicendo di aver appreso "con profonda tristezza le tragiche notizie delle recenti uccisioni di alcuni cristiani nella città di Mosul" e di aver seguito "con viva preoccupazione gli altri episodi di violenza, perpetrati nella martoriata terra irachena ai danni di persone inermi di diversa appartenenza religiosa".

"Sono affettuosamente vicino alle comunità cristiane dell'intero Paese. Non stancatevi di essere fermento di bene per la patria a cui, da secoli, appartenete a pieno titolo!", ha esclamato.

Il Papa ha quindi fatto appello "alle Autorità civili, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili".

Allo stesso modo, ha esortato "la comunità internazionale a prodigarsi per dare agli Iracheni un futuro di riconciliazione e di giustizia".

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La Giornata Mondiale della Gioventù conta sulle persone con handicap
Elimina le barriere per i sordi e adatterà la web ai non vedenti
MADRID, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Gli organizzatori della prossima Giornata Mondiale della Gioventù 2011 a Madrid non hanno tenuto conto solo delle varie lingue, ma anche dei vari tipi di persone. Per questo, la GMG favorirà la comunicazione verso le persone portatrici di handicap.

"Oltre alle migliaia di lingue che si parlano al mondo, esistono altre alle quali non si presta attenzione. Le loro parole non si possono ascoltare, si scrivono in aria, con le mani. E' il modo in cui comunicano le persone sorde", ha reso noto a ZENIT il Dipartimento dei Mezzi di Comunicazione della GMG 2011.

Alcune persone sorde hanno difficoltà a leggere testi lunghi, e per questo si è iniziato a pubblicare sulla web della GMG informazioni in video per loro.

Il contenuto preparato inizialmente è un esteso reportage di oltre 20 minuti in cui si forniscono le informazioni principali sull'evento. Per il momento è stato interpretato nel linguaggio dei segni spagnolo e internazionale, ma si sta preparando la traduzione anche in altre lingue.

Il coordinamento e l'accoglienza delle persone sorde si inseriscono nel contesto dell'Équipe per gli Handicap della GMG, commissione composta da rappresentanti di varie disabilità: visiva, uditiva, motoria e psichica.

L'Équipe per gli Handicap lavora da vari mesi per preparare la logistica di fronte alle varie necessità dei portatori di handicap che assisteranno alla GMG. Si sta lavorando anche con l'Organizzazione Statale delle Persone Sorde (CNSE) e con la Fondazione ONCE per rendere la pagina web totalmente accessibile ai non vedenti.

Jaime Gutiérrez è uno dei rappresentanti delle persone con handicap uditivo nell' Équipe. E' anche il responsabile dell'assistenza personale a tutte le persone sorde e sordo-cieche dell'Arcidiocesi di Madrid per la Parrocchia di Santa María del Silencio. Non è solo, contando sulla collaborazione di un ampio gruppo di persone che sta preparando la GMG.

Il suo obiettivo riguardo alle persone sorde che parteciperanno alla Giornata è che "si sentano pienamente accolte e integrate e possano partecipare senza alcuna barriera comunicativa, di modo che sia un'esperienza comunitaria ed ecclesiale che segni davvero la loro vita, servendo a un incontro personale con Gesù Cristo".

A Jaime Gutiérrez piacerebbe che la GMG di Madrid "fosse ricordata come una forte esperienza di fede condivisa con tutta la Chiesa, in cui tutti abbiamo un posto e possiamo sentirci come a casa".

Dopo la fine della GMG di Madrid, Jaime vorrebbe che "si consolidassero gruppi di giovani sordi in tutte le Diocesi, in cui maturare e vivere questa vocazione e missione".

I primi video già pubblicati sono una presentazione della GMG di Madrid ai sordi del mondo. L'obiettivo immediato è pubblicare una serie di video in cui si forniscano informazioni più concrete su vari aspetti organizzativi: alloggio, iscrizioni, informazioni sulla città e moltissimo altro.

Il collegio madrileno de La Purísima sarà il quartier generale delle persone sorde durante la GMG di Madrid. Nell'estate 2011 diventerà il teatro in cui si svolgeranno le attività per i pellegrini sordi che accorreranno nella capitale spagnola. Al mattino avranno luogo le catechesi e le Eucaristie, al pomeriggio ci saranno alcuni laboratori specifici, aperti a tutti i giovani che assisteranno alla GMG che desiderino partecipare.

Jaime Gutiérrez vorrebbe che a questa Giornata "potessero partecipare giovani sordi di tutti i Paesi, soprattutto dei Paesi poveri, che siano protagonisti della GMG e non solo meri ricettori passivi, apportando la loro testimonianza e la loro esperienza di fede".

I video nel linguaggio dei segni sono disponibili anche sul canale di YouTube della GMG di Madrid: http://www.youtube.com/2011madrid.

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Argentina: per la Chiesa il matrimonio omosessuale non è legale
Chiede al Governo di ricorrere contro la decisione di un giudice che lo autorizza

di Nieves San Martín

BUENOS AIRES, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, ha affermato in un comunicato di respingere la decisione giudiziaria che autorizza il matrimonio tra due persone dello stesso sesso e ha chiesto al Governo della capitale, guidato da Mauricio Macri, di ricorrere contro questa decisione del giudice Elena Liberatori.

“La legislazione civile argentina che ci regge regola il matrimonio come entità civile composta da un uomo e da una donna – si legge nel comunicato diffuso dal Cardinale –. La decisione di un giudice nel contenzioso amministrativo che permette un vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso è quindi contraria alla suddetta legislazione”.

“Basandosi sul fatto che da epoche ancestrali il matrimonio si intende come l'unione tra uomo e donna, la sua riaffermazione non implica alcuna discriminazione”, aggiunge.

“Visto che il Potere Esecutivo della città autonoma di Buenos Aires è il garante della legalità nella città, il capo del Governo, attraverso il Pubblico Ministero, ha il dovere di ricorrere di fronte a questa decisione”, termina il testo.

Mauricio Macri era già stato messo in discussione dal Cardinal Bergoglio nel novembre scorso, quando il capo del Governo aveva reso pubblica, attraverso Facebook, la sua intenzione di non ricorrere di fronte alla decisione del giudice Gabriela Seijas che aveva autorizzato le nozze di Alex Freyre e José María Di Bello.

La coppia non aveva poi potuto sposarsi per una decisione contraria della Camera Nazionale riguardo alle questioni civili, ma ha finito per farlo a Ushuaia, nella Terra del Fuoco, nell'estremo sud del Paese, il 28 dicembre scorso.

Membri dell'entourage dell'Arcivescovo hanno riferito al quotidiano “La Nación”: “Il nostro atteggiamento non è religioso, discriminatorio o fondamentalista, ma puramente legalista: è parte del compito pastorale difendere l'applicazione delle leggi perché non si commetta un atto di ingiustizia nei confronti degli altri”.

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Il Fiac all'incontro dei Vescovi a Chisinau

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- “L’esigenza di formare un laicato dedicato alla Chiesa e, nel contempo, capace di essere testimone nella società” cui si collega “un grande interesse dei Vescovi presenti verso gli itinerari di formazione dell’Azione cattolica e la disponibilità a collaborare a progetti comuni”: sono queste, per mons. Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana (Aci) e del Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac) le sottolineature più importanti emerse dall’incontro che ha preceduto la riunione terminata domenica a Chisinau (Repubblica di Moldova), dei Presidenti delle Conferenze episcopali del Sud-Est Europa invitati dal Fiac ad un confronto sulla formazione dei laici nelle Chiese locali.

Il tema si collegava bene con l’ordine del giorno dei lavori dei rappresentanti delle nove conferenze episcopali convocate – Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Grecia, Moldova, Romania, Turchia e la Conferenza episcopale internazionale dei SS. Cirillo e Metodio –, dedicato non solo alla situazione dei diritti riconosciuti alle comunità cattoliche minoritarie nei diversi Paesi della regione, ma anche al contributo specifico che i cattolici devono recare al perseguimento del bene comune nelle società di appartenenza.

“Porre l’accento sulla formazione di laici ‘santi’ – ha affermato Sigalini – salva dalla tentazione di un cristianesimo senza interiorità, preoccupato solo di difendere delle posizioni: si tratterebbe di una scelta perdente”. Così pure “salva dall’idea che in una situazione di chiesa minoritaria ci si deve accontentare di un cristianesimo ridotto, minimale: il cristianesimo deve essere vero dovunque”.

All’incontro organizzato dal Fiac erano presenti i Presidenti delle conferenze episcopali di Bulgaria, Romania, Cipro e Repubblica Moldava, insieme al Nunzio apostolico in Romania e nella Repubblica moldava, mons. Francisco-Javier Lozano. Padrona di casa è stata l’Azione cattolica moldava che nello scorso novembre si è aggiunta alle associazioni di Ac europee con la costituzione di un gruppo giovani proprio a Chisinau, grazie anche all’attività di promozione e sostegno svolta dall’Azione cattolica della diocesi di Iasi (Romania).

I gemellaggi tra diocesi di paesi confinanti sono una delle modalità per percorsi comuni di formazione prospettati dal Fiac: “La proponiamo – ha affermato Chiara Finocchietti, Vicepresidente nazionale Aci per il Settore giovani e responsabile del Coordinamento giovani del Fiac – come evangelizzazione di giovani per i giovani ed è stata realizzata con successo non solo a Chisinau, ma anche in Albania, Bosnia-Erzegovina e in Bulgaria, a Plovdiv, dove nel prossimo aprile si svolgerà un corso di formazione animato da giovani romeni ed italiani”.

Un altro appuntamento importante sarà quello della Giornata mondiale della gioventù di Madrid del 2011 “non solo perché – ha spiegato la Finocchietti – i giovani del Fiac si ritroveranno nella capitale spagnola, ma perché li stiamo invitando ad andare nelle diocesi spagnole dove è presente l’Ac per vivere insieme le giornate che precederanno l’incontro a Madrid”.

A maggio prossimo, inoltre, l’Azione cattolica europea si incontrerà a Cracovia per la sua assemblea continentale: “ci piacerebbe – ha affermato ancora la Finocchietti – che Vescovi e laici delle realtà che abbiamo incontrato a Chisinau potessero partecipare a questa tappa importante della nostra vita di laici impegnati nella Chiesa e nelle società di vari paesi del vecchio continente”.

“Sarebbe ancora una volta importante per noi – ha concluso la responsabile del Coordinamento giovani del Fiac – condividere la loro testimonianza di chiese che, nonostante le difficoltà, continuano ogni giorno a coltivare il seme del dialogo e dell’apertura fiduciosa all’altro”.

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Segnalazioni


Celibato sacerdotale: un convegno alla Santa Croce
Dal 4 al 5 marzo, sarà presente anche il Prefetto della Congregazione per il Clero

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- “Il celibato sacerdotale: teologia e vita” è il tema del XIV Convegno organizzato dalla Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce, in programma dal 4 al 5 marzo prossimi (piazza Sant’Apollinare, 49).

L’iniziativa, che gode del patrocinio della Congregazione per il Clero, rientra nell’ambito dell’anno sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI e si pone lo scopo di “riflettere sulle novità della ricerca sulla dottrina sul celibato”, studiando la materia in “maniera interdisciplinare”, anche a fronte degli sviluppi registrati negli ultimi decenni.

A presentare le varie prospettive ci saranno, il primo giorno (4 marzo), il prof. Stefan Heid (Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana): “La ricerca storica sul celibato e sulla continenza clericale a partire dal Concilio Vaticano II”; Mons. Angelo Amato (Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi): “Per una teologia del celibato di Gesù Cristo, Pontefice della Nuova Alleanza”; il prof. Laurent Touze (Pontificia Università della Santa Croce): “Il celibato è vincolato al sacramento dell’Ordine? Per una teologia spirituale del celibato”; Mons. Damiano Marzotto (Pontificia Università Gregoriana): “Celibato sacerdotale e fraternità: dal Nuovo Testamento alla vita”.

Ad introdurre i lavori del secondo giorno (5 marzo), il Card. Claudio Hummes, O.F.M., Prefetto della Congregazione per il Clero. Seguiranno gli interventi del prof. Aquilino Polaino (Università San Pablo-CEU di Madrid) su “La realizzazione della persona nel celibato sacerdotale”; del prof. Pablo Gefaell (Pontificia Università della Santa Croce) su “Il celibato sacerdotale nelle Chiese orientali: storia, presente, avvenire”; del prof. Antonio Malo (Santa Croce) su “Antropologia dell’affettività e celibato sacerdotale”.

Il Convegno si concluderà con la tavola rotonda dal titolo “Come formare al celibato sacerdotale oggi? Esperienze a Roma e nel mondo”, a cui prenderanno parte alcuni formatori e rettori di seminari. Nel corso delle due giornate, inoltre, è previsto uno spazio per le comunicazioni dei partecipanti.

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Interviste


La storia e le ragioni della conversione di Gilbert Chesterton
Intervista a Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- La Lindau ha appena ripubblicato uno dei libri più famosi di Gilbert Chesterton  la "Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento".

Si tratta del libro in cui Chesterton racconta la sua conversione religiosa avvenuta nel 1922

Con la consueta genialità, ironica e brillante, il grande scrittore inglese racconta la trepidazione della sua anima perennemente in bilico durante le tre fasi che precedono l'ingresso nella Chiesa di Roma: l'assunzione di un atteggiamento intellettualmente onesto nei confronti di essa, quindi la sua progressiva e irresistibile scoperta e infine l'impossibilità di abbandonarla una volta entratovi.

Per Chesterton il cattolicesimo è una forza sempre nuova, in grado di competere con le altre religioni (oltre che con le altre confessioni cristiane) e con le ideologie prodotte dalla modernità dei suoi tempi (socialismo, spiritismo).

Al termine del pellegrinaggio lo scrittore inglese arriva alle stesse conclusioni del Pontefice Benedetto XVI, scoprendo che il fondamento della autentica universalità della Chiesa risiede nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo.

Nell'introduzione al volume Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana, ha scritto che "quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un ‘discorso ecclesiastico' o clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dell'allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorni".

Per conoscere a fondo Chesterton e le ragioni che lo portarono alla conversione, ZENIT ha intervistato Marco Sermarini, uno degli italiani che più hanno studiato l'autore inglese.

Perché ha caldeggiato e introdotto questo libro?

Sermarini: E' una delle opere che riescono meglio a far capire il pensiero di Chesterton sul fatto religioso, anzi, sulla sua adesione piena di ragione e di cuore al cattolicesimo; e soprattutto perché è molto utile oggi alle persone che si troveranno a leggerla.

A chi la fede già l'ha avuta in dono, perché permetterà di ripercorrerne le ragioni fondanti. A chi non ce l'ha ma la desidera, perché comprenderà quanto essa sia importante in aiuto alla ragione. A chi non ce l'ha e neppure la cerca, perché troverà un cattolico contento, arguto, intelligente e pure simpaticissimo in grado di fargli venire la voglia di averla.

Chesterton è ancora attuale oggi? Quali sono le opere e i concetti che lo rendono moderno?

Sermarini: Credo di avere in parte risposto. Tante volte tra amici ci troviamo a dire che ci vorrebbe un Chesterton (e vi assicuro che non ce n'è uno alla sua altezza, nessuno si offenda: troppo intelligente, troppo simpatico, troppo leggero e serio al tempo stesso, troppo battagliero e lontano dalle seduzioni di "destra sinistra centro"), ma poi scopriamo che se ci fossero sempre più chestertoniani in giro a far conoscere il suo pensiero sarebbe già molto più di qualcosa.

Ossia, se si riuscisse a far conoscere sempre più il suo pensiero, tutti se ne gioverebbero moltissimo. Infatti, in maniera apparentemente inspiegabile ci troviamo spesso a leggere nelle sue opere cose che stanno accadendo oggi, e che lui cento anni fa aveva già viste e capite. L'inspiegabilità è solo apparente, perché Chesterton aveva un'intelligenza acutissima illuminata da una fede cristallina, e quindi riusciva a leggere molto più lontano di tanti altri quello che già era iscritto nei fatti che stava vivendo e nelle idee del suo tempo.

Fra le sue opere le più rappresentative sono Ortodossia, Autobiografia, Uomovivo, la "saga" di Padre Brown e altre ancora. Ciò che lo caratterizza in modo assoluto è l'uso rigoroso della ragione dietro i fuochi artificiali dei suoi paradossi e della sua scoppiettante ironia. Stanley Jaki, letta l'Ortodossia e in particolare il capitolo "The Ethics of Elfland" (La morale delle favole), disse che quello era il modo assolutamente più sano di usare la ragione... scusate se è poco.

Quali sono le ragioni della sua conversione dall'anglicanesimo al cristianesimo? Quante di queste ragioni sono ancora valide e in che modo molti anglicani potrebbero rientrare nella Chiesa cattolica ripercorrendo il cammino di Chesterton?

Sermarini: I motivi della sua conversione vanno letti in Ortodossia, nella sua Autobiografia e nel libro che ho avuto la gioia di presentare. Chesterton fu battezzato anglicano, ma la famiglia aderì alla fede unitariana. In seguito egli si abbandonò ad una sorta di scetticismo che lo portò, complice anche la frequentazione con ambienti esoterici ed il clima culturale dettato dal decadentismo, sull'orlo della più insana delle idee.

Successivamente ad una sorta di esperienza mistica descritta in una lettera al suo carissimo amico Edmund Clerihew Bentley (vi si afferma che "è imbarazzante parlare con Dio faccia a faccia come si parla con un amico..."), Chesterton comprende il valore immenso della vita, qualunque ne sia la "qualità" o il "livello", e da ciò nasce la gratitudine che egli si darà come compito e vocazione della sua vita. Dirà nel suo diario giovanile di voler passare il resto della sua vita a ringraziare Dio di tutto (cosa che fece, in realtà).

Si riavvicinerà prima alla chiesa anglicana grazie alla moglie Frances Blogg, che ne era una sincera fedele, e ad alcune figure di pastori particolarmente significative. Successivamente, grazie alla frequentazione con l'amico di una vita Hilaire Belloc e con padre John O'Connor (che gli ispirerà il padre Brown degli omonimi Racconti), conosce sempre meglio il cattolicesimo ed inizia a difenderlo con le sue opere. Ortodossia è la punta di diamante della sua produzione in questo versante.

Dico sempre che andrebbe messa in programma nei seminari e nelle università cattoliche come materia di studio, potrebbe solo fare del gran bene. Per anni fu considerato cattolico pur non essendolo ancora, tanto che la notizia della sua conversione nel 1922 colse moltissimi di sorpresa e creò non poche "prese di distanza", non ultima quella di George Bernard Shaw che gli disse: "No, Gilbert, ora stai andando troppo avanti...". Il cattolicesimo per lui è la cosa cercata da gran tempo, come colui che crede di trovare una nuova esotica terra e invece riscopre la sua cara vecchia patria. Il cattolicesimo è la pienezza del cristianesimo, per Chesterton, ed è questo il motivo tuttora attuale che chiunque può adottare nel fare un passo simile a quello di Gilbert.

Chi sono gli unitariani e perché la loro negazione della divinità di Cristo è oggi così diffusa anche in ambiti vicini alla Chiesa cattolica?

Sermarini: Chesterton da giovane frequentò la Chiesa Unitariana, seguendo padre e madre. Gli unitariani predicano una sorta di cristianesimo privato dello scandalo inaccettabile della divinità di Cristo, fatto di amicizia, concordia e pace ma allontanato dalla loro vera autentica scaturigine.

Oggi sembra un'eresia tornata di moda, complice il dilavamento nei discorsi di uomini di Chiesa della sana dottrina (quella che Chesterton nell'Ortodossia vede sintetizzata nel Credo degli Apostoli) ad una sorta di morale civile di più alto rango, il che fa comprendere come mai il senso comune chestertoniano non sia più di casa in certi ambienti mentre passano con facilità tante idee distorte, quali eutanasia, eugenetica, opzioni libere nel cosiddetto orientamento sessuale, tanta intolleranza verso il cattolicesimo vero.

In che modo e perché Chesterton potrebbe aiutare nel rafforzamento della fede cristiana?

Sermarini: Chesterton era integralmente cattolico, intelligentemente cattolico, cordialmente cattolico, allegramente cattolico: chi meglio di lui potrebbe aiutarci? Tra amici spesso diciamo che Chesterton potrebbe essere considerato il San Tommaso d'Aquino del XX e del XXI secolo. Era buono e molto allegro ed amava tutti, anche i suoi avversari culturali (basterà guardare alla sua sincera amicizia con Shaw, Wells e tanti altri personaggi molto distanti da lui culturalmente).

Ci sono delle persone in Gran Bretagna che si stanno organizzando per chiedere la beatificazione di Chesterton. Lei che cosa ne pensa? L'Associazione che lei dirige sta pensando di promuovere iniziative per caldeggiare tale beatificazione?

Sermarini: Nel mondo anglosassone già da qualche tempo si parla della "santità di Chesterton": tanti sono gli indizi che ci fanno pensare che egli abbia vissuto in maniera esemplare la fede cattolica, basti solo elencare le personalità che gli debbono a loro volta la fede, acquistata dopo la lettura delle sue opere: sir Alec Guinness, Clive Staples Lewis, Joseph Pearce e tanti altri.

Molti di noi debbono tanto a Chesterton, per cui già gira una preghiera per chiedere al Signore di manifestare la Sua gloria in Gilbert, che non era solo un grande intellettuale, ma era soprattutto un uomo straordinariamente buono, dal cuore innocente di bambino. Chi vuole può trovare la preghiera nel nostro blog (http://uomovivo.blogspot.com) e in quello della Società Chestertoniana Inglese (in quest'ultimo tradotta in varie lingue). Noi non vogliamo anticipare il giudizio della Chiesa, ma per noi è un grande amico già da adesso, per il mistero della Comunione dei Santi. Inoltre presto uscirà un libretto di preghiere commentate da alcune citazioni di Chesterton, Le preghiere dell'Uomo Vivo, per i tipi di Fede & Cultura.

A Settembre il Pontefice Benedetto XVI si recherà in Gran Bretagna. In che modo la vicenda e le opere di Chesterton potrebbero aiutare la sua opera di nuova evangelizzazione? 

Sermarini: Papa Benedetto fa spessissimo delle uscite... chestertoniane (una volta lo ha anche citato, seppure senza nominarlo), e a Chesterton lo accomuna proprio l'idea dell'amicizia tra fede e ragione ed il considerare la fede cattolica come la più avvincente delle avventure. La Gran Bretagna ha un grande bisogno di Chesterton: deve ritrovare il senso comune, l'amore per le sue vere radici, la sua originaria allegrezza. Chesterton potrebbe essere una delle punte di diamante avanzatissime di un ritorno degli inglesi alla fede cattolica, assieme al venerabile John Henry Newman, al cardinale Manning e a tanti altri che hanno fatto e continuano a fare il passo di Gilbert.

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Spiritualità


Anche noi siamo trasfigurati in Cristo

di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Gesù sale sul monte Tabor con Pietro, Giacomo e Giovanni per pregare. Il Vangelo dice che, "mentre pregava, il suo volto cambiò aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante". Domenica è stata la festa della "Trasfigurazione" di Gesù davanti a tre discepoli. Nella vita quotidiana, egli era un uomo come gli altri, certo affascinante, faceva miracoli e parlava come nessuno aveva mai parlato; ma insomma, un uomo come gli altri, almeno nell'aspetto esterno. Oggi invece, sale sul monte, si isola dal mondo e dagli altri uomini, e mentre pregava rifulge in lui la luce accecante della sua divinità. I tre discepoli ne sono affascinanti e Pietro dice: "Signore, è bello per noi restare qui con te". Il Vangelo commenta: "Non sapeva quello che diceva". Cioè era talmente eccitato e pieno di gioia, che avrebbe voluto restare sul monte e non tornare più alla pianura nella vita quotidiana.

Che senso ha per noi questo brano del Vangelo? Molti significati. Gesù voleva dimostrare la sua divinità, voleva preparare gli Apostoli alla sua Passione e morte, ma indicava una realtà diversa da quella di tutti i giorni che essi conoscevano. Fermiamoci a riflettere su quest'ultimo significato della Trasfigurazione. Gesù era uomo ed era Dio, viveva una vita umana come tutti noi, ma era anche e sempre unito al Padre e alla realtà soprannaturale della sua natura divina. Ecco, cari fratelli e sorelle, anche la nostra vita è così. Noi viviamo in questo mondo in mezzo alle realtà terrene, fra gioie e dolori, successi e insuccessi, giorni lieti e giorni tristi, esaltazioni e depressioni. Ma poi abbiamo anche una vita soprannaturale, perché Dio ci ha creati "a sua immagine e somiglianza". Noi non siamo come gli animali che hanno solo una vita materiale e istintiva, siamo anche uomini spirituali e Dio, lo sappiamo, è purissimo spirito, in lui non c'è nulla di materiale. La nostra vita spirituale è partecipazione alla vita divina attraverso il Battesimo, l'Eucarestia, la preghiera, i Sacramenti, l'osservanza della Legge di Dio.

Insomma, la mia vita di uomo si svolge su due piani, come quella di Gesù: la vita materiale di tutti i giorni e la vita spirituale e soprannaturale, che ci trasfigura in Dio, ci fa contemplare Dio e vivere la vita di Dio, che è poi la vera vita, quella che tutti vivremo dopo la nostra morte, nei "verdi pascoli" del Paradiso. Ecco, Gesù ha voluto dare ai suoi Apostoli un'immagine concreta della vita divina, non solo quella di Dio, ma anche la nostra se viviamo in Dio. Anche noi possiamo trasfigurarci in Dio, cioè vivere una vita serena, felice, realizzata, cioè realizzare il Regno di Dio non su questa terra, ma almeno in noi, se viviamo non solo la nostra vita materiale, tutti volti ai beni di questa terra, ma la vita spirituale in Cristo.

Ricordo che quando Giovanni Paolo II visitò la città e diocesi di Genova nel 1985, diede ai fedeli, e soprattutto ai giovani ai quali parlava, un'esortazione meravigliosa che mi è rimasta impressa nel cuore: "Vi invito - diceva - a fare della vostra vita un vero capolavoro". Bello ed esaltante questo progetto di vita! Eppure care sorelle e cari fratelli, quante persone sono scoraggiate, depresse; quanti pensano e dicono: "Io non sono nulla, non valgo nulla, la mia vita non ha più nessun significato...". Ho fatto centinaia di voli aerei. Si parte fra nubi e pioggia, un'atmosfera plumbea che invita alla tristezza, al pessimismo. Poi, quando l'aereo si alza sopra gli 8-9.000 metri, ecco il sole sfolgorante, ecco la trasfigurazione dell'atmosfera in cui viviamo. Siamo passati, seppur in piccola misura, dalla terra al cielo, all'atmosfera quotidiana in cui viviamo piena di pessimismo, all'atmosfera divina piena di luce e di gioia, in cui dovremmo vivere ogni giorno della vita.

Forse qualcuno pensa: questo è impossibile nella mia piccola vita. Vi racconto un esempio che ho studiato bene. Dieci anni fa ho scritto la biografia di un grande missionario del Pime, il beato padre Paolo Manna (1882-1952), che veniva da una buona famiglia di Avellino. Come sacerdote nel Pime, è partito per la Birmania nel 1895 ed è tornato tre volte in Italia perché ammalato di tubercolosi e in quel clima caldo umido e con scarse possibilità di nutrimento e di medicine, rischiava di morire a 28-30 anni. A 34 anni si ritrova in Italia ammalato e umiliato, senza più possibilità di andare in missione. Scriveva al superiore: "Sono un missionario fallito e inutile a tutti, vedo molto fosco il mio futuro". La tubercolosi oggi in Italia non esiste quasi più, ma nel Novecento era una malattia grave che portava alla morte.

Padre Manna poteva intristirsi, chiudersi in se stesso e diventare un peso per sé e per gli altri. Invece era un prete molto devoto, pregava molto. Va in pellegrinaggio a Lourdes e chiede alla Madonna non la grazia della guarigione, ma di fare la volontà di Dio e di essere ancora utile alla Chiesa e alle missioni. Infatti, tornato a Milano, il superiore gli propone di andare nella redazione della stampa del Pime come aiutante e in poco tempo dimostra tutta la sua intelligenza e passione missionaria diventando direttore di "Le Missioni Cattoliche" (1908), fonda la Pontificia Unione missionaria del Clero (1917) ed è eletto superiore generale del Pime (1924-1934). Padre Manna è stato il missionario italiano più rappresentativo del Novecento per il suo pensiero e le sue molte iniziative, e beatificato da Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001.

Anche la sua vita è stata trasfigurata in Cristo. Da "missionario fallito e inutile a tutti" a beato e, speriamo, santo della Chiesa universale. Nelle testimonianze per il so processo di beatificazione si legge questa frase di un confratello: "Lo si vedeva trasfigurato dall'amore di Dio e del prossimo e dalla passione missionaria di portare Cristo e tutti i popoli".

Care sorelle e cari fratelli, tutti noi siamo un "progetto di Dio" da realizzare. Non siamo mai pessimisti sulla nostra vita e sul nostro futuro. Anche noi siamo un progetto di Dio da realizzare, se facciamo la volontà di Dio e seguendo le ispirazioni dello Spirito Santo. Fin che il Signore ci dà vita, siamo sempre in cammino per essere trasfigurati in Cristo. E' la grazia che chiediamo al Signore Gesù.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di "Mondo e Missione" e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell'Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E' autore di oltre 70 libri.

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Forum


L'azione degli angeli sulla natura e sul cosmo

di don Marcello Stanzione*

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Già presso gli ebrei si era giunti alla persuasione che non esiste alcuna cosa in questo mondo, neppure un filo d’erba su cui non è posto un angelo. Così anche le singole nazioni per l’ebraismo sono soggette alla custodia di un angelo e tale idea fu conservata anche nell’antichità cristiana. I Padri, senza alcuna difficoltà, pongono sotto la vigilanza e la guida degli angeli tutto il mondo della materia inorganica e animata, le stelle, gli astri, la terra, gli elementi, le piante, gli animali, le nazioni, i popoli, l’uomo. Per esempio Origene, sant’Ambrogio, sant’Agostino ammettono che ciascun oggetto, gli elementi, gli astri fino agli insetti sono affidati alla custodia di un angelo particolare. A tale proposito sant’Agostino scrive: “Riteniamo per certo che in questo mondo ogni creatura visibile è affidata ad una potenza invisibile secondo testimonianza più volte ripetuta nella stessa scrittura” (De diversis questionibus octoginta tribus liber, Pl, 40,11-40,q.83 e seg.).

In questa direzione la teologia cattolica va quindi d’accordo con la migliore filosofia ed infatti san Tommaso d’Aquino asserisce: “Tutti gli esseri corporei sono governati e mantenuti nell’ordine da esseri spirituali, tutte le creature visibili da creature invisibili” ( summa Theol., p.I, q. XLV,a.3.).L’azione degli spiriti angelici nella creazione dipende dall’azione di Dio e gli è subordinata. Conviene dunque prima di tutto stabilire e riservare la parte essenziale dell’azione divina nell’ordine generale del mondo. Come pure che l’essere di tutte le cose viene da Dio, il movimento iniziale impresso a tutte le cose proviene unicamente da Dio. Egli non si è accontentato di creare; conserva la creazione con un’azione continua che è un prolungamento dell’influsso creatore. Egli è intimamente presente a tutti gli esseri che, senza di lui, ricadrebbero nel nulla. Similmente, egli comunica a tutti loro una virtù che li fa muovere ed agire, ognuno secondo la sua attitudine; virtù segreta, sovranamente efficace, effusa ovunque e senza la quale l’universo rientrerebbe nell’immobilità.

Dall’altro lato, ogni essere possiede in se stesso il suo principio di movimento, od almeno un’attitudine ad essere mosso. Così l’animale è dotato di forza motrice; la pianta ha la facoltà di svilupparsi; la pietra è sollecitata dalla pesantezza. Questa attitudine ad essere mossa, questa potenza più o meno rudimentale di muoversi, si traducono con dei movimenti variegati, con delle trasformazioni successive, grazie a quella virtù divina di cui abbiamo parlato che pone ovunque l’attività e la vita.

Allora, direte voi, tutto si spiega molto bene senza l’intervento degli angeli. Dio mette in movimento le forze naturali e queste percorrono la loro traiettoria sotto l’impulso ricevuto; gli angeli non hanno nulla a che fare laddove Dio agisce direttamente. Disingannatevi: Dio agisce come primo ed universale motore; gli angeli agiscono come motori secondari e particolari; la loro azione si subordina all’azione divina, essa l’applica in qualche modo e la specifica. Spieghiamo questo con un esempio familiare. Io lancio una palla: è per virtù di Dio che il mio braccio agisce, è da questa stessa virtù chela palla segue l’impulso dato: nondimeno, è evidente che il mio braccio è il motore della palla. E’ così, se è permesso di paragonare le grandi cose alle piccole, è così che gli angeli mettono in movimento, grazie alla virtù divina, e le sfere celesti e tutte le forze vive della natura. Essi sono dei motori secondi subordinati al primo motore che è Dio.

La loro natura spirituale sempre in movimento li rende talmente propri a questa funzione, e gli oggetti corporali hanno talmente bisogno di essere sollecitati e messi in movimento da un’attività esteriore, che San Tommaso pone chiaramente questo assioma: “Occorre che la creatura corporale sia mossa dalla spirituale”, “Oportet quod creatura corporalis a spirituali moveatur” (Sum. Prim. Pars q. CX, a. 1, ad prim).

Gli angeli non sono solamente i motori degli esseri corporali; essi sono anche incaricati di dirigere e di coordinare i loro movimenti rispettivi, in maniera tale che non ne risulti nessuna confusione e che tutto resti nell’equilibrio che è la pace della natura inanimata. Diamo alcuni esempi. I fisici hanno scoperto quella legge che ogni movimento può trasformarsi in calorico e, reciprocamente, che ogni calorico può trasformarsi in movimento. Lo stato del globo poggerebbe dunque sulla giusta ripartizione del movimento e del calorico in tutte le sue parti. Ma qual è la forza intelligente che presiederà a questa ripartizione, se non qualche spirito angelico?

Portate la vostra attenzione sull’innumerevole quantità di semi che si disputano il suolo della terra. Non occorre che la loro distribuzione e la loro germinazione siano soggette ad alcune leggi, perché le specie utili non scompaiano davanti alla moltiplicazione illimitata dei parassiti? Ora, qual è, noi lo ripetiamo, la forza intelligente che veglia all’esecuzione di queste leggi preservatrici, se non è l’energia degli esseri spirituali preposti da Dio all’amministrazione di questo mondo?

Potremmo moltiplicare questi esempi; sarebbe inutile. Basta un momento di riflessione per comprendere che l’universo non possa essere consegnato alle forze cieche che sorgono dalla materia e che queste forze, per l’armonia del tutto, debbano essere contenute e dirette da delle forze intelligenti. Ponete come legge, se vi sembra bene, la lotta per l’esistenza; ma ammettete l’intervento in questa lotta di una potenza moderatrice che emana da Dio e che si esercita tramite il ministero dei santi angeli. Grazie ad essa, la lotta è circoscritta in saggi limiti, essa ritaglia alcune superfluità, non giunge allo stermino delle specie.

Queste verità hanno per esse la testimonianza di tutta l’Antichità. I filosofi Aristotele e Platone hanno costruito diversi sistemi sull’intervento degli spiriti come moderatori delle cose terrestri. Istruiti dalla Bibbia, i Padri della Chiesa, senza perdersi in vani sistemi, sono stati ancor più affermativi e più precisi. Origene, in un curioso passo relativo all’asina di Balaam, dice che il mondo ha bisogno di essere amministrato dagli angeli e che essi hanno l’intendenza sugli animali stessi, provvedendo alla loro moltiplicazione così come alla vegetazione delle piante e degli alberi. Sant’Agostino dice, da parte sua, che ogni specie distinta d’uno dei regni della natura è governata da una potenza angelica.

Sant’Agostino non ha lanciato questa affermazione per caso. L’Apocalisse menziona “l’angelo che ha potenza sul fuoco” (14, 18), e “l’angelo delle acque” (16, 5). Questo ci fa capire che vi è un angelo incaricato di regolare la distribuzione delle acque sia nelle nubi, sia nelle vene delle montagne, sia nei fiumi, sia nei mari.
Rimane una questione da chiarire: fin dove si estende il potere degli spiriti angelici? Essi mettono tutto in movimento, questo è ammesso. Possono essi produrre degli esseri corporali, e produrli senza impiegare nessun germe? San Tommaso risponde negativamente. Secondo lui, gli angeli e, generalmente, gli esseri spirituali mischiati nel movimento di questo mondo, non possono creare germi, né produrre di colpo un animale od una pianta. Il loro potere si ferma all’utilizzo dei germi preesistenti, per trarne gli esseri che vi sono contenuti. In una parola, essi non prendono il posto degli agenti naturali e non suppliscono alla loro azione che rimane necessaria; essi non fanno che mettere questi agenti in movimento in una maniera molto occulta e molto sottile, e sviluppare la loro azione con una rapidità che dona l’illusione di una creazione o di una produzione istantanea.

E’ così, per dare un esempio, che occorre spiegare i prodigi operati da Mosé e dai maghi del Faraone, tali come l’Esodo ce li racconta (7, 8). Mosé ed i maghi fanno uscire dal fiume legioni innumerevoli di rane. Mosé cambia la polvere in insetti, cosa che i maghi non possono imitare. Mosé agiva con la virtù degli angeli buoni, i maghi operavano con la potenza dei demoni. Né il primo, né i secondi hanno agito per via di creazione o di generazione spontanea. I buoni angeli, come i cattivi, si sono limitati in quella circostanza a vivificare dei germi ch’essi avevano sottilmente raccolti ed ammassati; solamente Dio volle che il potere dei buoni angeli avesse il sopravvento visibilmente sulla potenza dei demoni.

Insomma, l’azione degli spiriti rassomiglia a quella degli uomini, ma con incomparabilmente più sottilità. Gli uomini utilizzano le forze della natura e ne traggono degli effetti meravigliosi. Essi non si accontentano di prendere dei semi e di farli crescere al centuplo in dei terreni ben preparati a riceverli, di far rendere agli alberi dei buoni frutti con l’innesto e il taglio; essi si impadroniscono ancora di queste forze imprendibili che si chiamano il radio e l’elettricità, le padroneggiano, le fanno servire a tutti i loro bisogni, per non dire a tutti i loro capricci.

Questo ci fa intravedere fin dove può penetrare l’influenza dirigente degli angeli. Aventi per forza motrice un’energia spirituale che tocca nell’intimo della materia ed alle sue qualità più segrete, essi potrebbero trarre dalla creazione gli effetti più straordinari e sconvolgere tutto e trasformare in un colpo d’occhio, se il loro ruolo non consistesse precisamente nel mantener l’ordine provvidenziale nel mondo col funzionamento regolare delle forze di ogni specie che vi sono in gioco.

E che non si dica che l’angelo, dal fatto stesso che è uno spirito, non può entrare in contatto con la materia. Questa obiezione è di nessun valore agli occhi della fede e della ragione che riconoscono Dio come il motore necessario del mondo e l’anima come il motore del suo proprio corpo. Precisamente perché l’angelo è uno spirito, egli è adatto ad impadronirsi di questi imponderabili, di quell’etere luminoso, di quel calorico latente che la scienza moderna ci presenta come i grandi agenti fisici del globo. Noi ne siamo convinti, è per mezzo di queste forze sottili che gli angeli guidano le macchina mondiale; e queste forze, essendo da se stesse ceche, reclamano la loro direzione intelligente.

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* Don Marcello Stanzione è il Presidente dell'Associazione Milizia di San Michele Arcangelo.

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Documenti


Dichiarazione dell'incontro cattolico-musulmano al Cairo
Contro la violenza a sfondo religioso

AL CAIRO, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto al Cairo, il 23 e il 24 febbraio scorsi, l'incontro annuale del Comitato congiunto per il dialogo del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e il Comitato permanente di Al-Azhar per il Dialogo tra le Religioni Monoteistiche.

Di seguito pubblichiamo la dichiarazione finale sottoscritta a conclusione dei lavori dal Cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero vaticano, e dallo sceicco Muhammad Abd al-Aziz Wasil, wakil di al-Azhar e presidente del Comitato per il dialogo di al-Azhar.





* * *


Martedì 23 e mercoledì 24 febbraio il Comitato congiunto ha svolto il suo incontro annuale nella sede di al-Azhar, sotto la presidenza  congiunta dello sceicco Muhammad Abd al-Aziz Wasil, wakil di al-Azhar e presidente del Comitato permanente di al-Azhar per il Dialogo con le Religioni Monoteistiche, e del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

La delegazione di al-Azhar era così composta: professor sceicco Muhammad Abd al-Aziz, wakil di al-Azhar e presidente della Comitato permanente di al-Azhar; professor sceicco Omar al-Dieb Muhammad, membro dell'Accademia per la ricerca islamica e membro del Comitato permanente; professor Taha Musatfa Abu Kreisha, membro dell'Accademia per la ricerca islamica e membro del Comitato permanente; professor Abdallah Mabrouk al-Naggar, membro dell'Accademia per la ricerca islamica e membro del Comitato permanente; sceicco Ali Abd al-Baqi Shahata, membro dell'Accademia per la ricerca islamica e membro del Comitato permanente.

Il professor Mohammad al-Shahat al-Gendy, membro dell'Accademia per le ricerca islamica e del Comitato permanente, e il professor sceicco Ali Muhammad Fathallah, membro dell'Accademia per la ricerca islamica, che avrebbero dovuto partecipare, non hanno potuto essere presenti all'incontro.

La delegazione del Pontificio Consiglio era così composta: cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; arcivescovo Pier Luigi Celata, segretario del Pontificio Consiglio; arcivescovo Michael Louis Fitzgerald, nunzio apostolico in Egitto; vescovo Botros Fahim Hanna, vicario del Patriarcato cattolico copto al Cairo; monsignor Khaled Akasheh, capo ufficio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; monsignor Bernard Munomo Muyembe, officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; il fratello domenicano René-Vincent de Grandlaunay, dell'Istituto di Studi Orientali del Cairo.

I partecipanti sono stati ricevuti dal Grande Imam di al-Azhar, professor sceicco Muhammad Sayyed Tantawi, che il cardinale Tauran ha ringraziato per aver condannato gli atti di violenza nei quali sono morti sei cristiani e un poliziotto musulmano a Naga Hamadi, lo scorso Natale ortodosso, per aver espresso solidarietà alle famiglie delle vittime e  per aver riaffermato l'uguaglianza di diritti e di doveri per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Lo sceicco Tantawi ha dichiarato di aver fatto soltanto ciò che riteneva essere il suo dovere di fronte a quegli eventi tragici.

Il Comitato, con l'aiuto di documenti presentati da monsignor Bernard Munono Muyembe e dal professore Abdallah Mabrouk al-Naggar, ha esaminato il tema «Il fenomeno della violenza confessionale: comprendere il fenomeno e le sue cause e proporre soluzioni  con particolare riferimento al ruolo delle religioni a questo proposito».

I membri del Comitato hanno espresso soddisfazione per il clima di rispetto e amicizia reciproci  fra i partecipanti, che ha incoraggiato un aperto scambio di opinioni.

Al termine dell'incontro, i partecipanti hanno concordato sulle seguenti raccomandazioni: prestare maggiore attenzione al fatto che la strumentalizzazione della religione a scopi politici o di altra natura può essere fonte di violenza; evitare la discriminazione sulla base dell'identità religiosa; aprire il cuore al perdono e alla riconciliazione reciproci, condizioni necessarie a una coesistenza pacifica e feconda; riconoscere le similitudini e rispettare le differenze come prerequisito di una cultura di dialogo basata su valori comuni; affermare che entrambe le parti si impegnano di nuovo a riconoscere e a rispettare la dignità di ogni essere umano, senza alcuna distinzione basata sull'appartenenza etnica o religiosa; opporsi alla discriminazione religiosa in tutti i campi (leggi giuste dovrebbero garantire un'uguaglianza fondamentale); promuovere ideali di giustizia, solidarietà e cooperazione per garantire una vita pacifica e prospera a tutti; opporsi con determinazione a qualsiasi atto che tenda a creare tensioni, divisioni e conflitti nelle società; promuovere una cultura di rispetto e di dialogo reciproci attraverso l'educazione a casa, a scuola, nelle chiese e nelle moschee, diffondendo uno spirito di fraternità fra tutte le persone e la comunità; opporsi agli attacchi contro le religioni da parte dei  mezzi di comunicazione sociale, in particolare sui canali satellitari, in considerazione dell'effetto pericoloso che queste trasmissioni possono avere sulla coesione sociale e sulla pace fra comunità religiose; assicurarsi che la predicazione dei responsabili religiosi nonché l'insegnamento scolastico e i libri di testo non contengano dichiarazioni o riferimenti a eventi storici che, direttamente o indirettamente, possano suscitare un atteggiamento violento fra i seguaci  delle differenti religioni.

Il Comitato ha concordato sul fatto che il prossimo incontro si svolgerà a Roma nel 2011, dal 23 al 24 febbraio.

[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]

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"Vie di speranza" nella Pastorale degli Zingari
Incontro in Vaticano dei Direttori Nazionali
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'intervento che monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, pronuncerà inaugurando l'Incontro dei Direttori Nazionali della Pastorale degli Zingari in Europa, programmato in Vaticano dal 2 al 4 marzo.



* * *



Eccellenze,

Reverendi e cari Direttori Nazionali,

Cari Fratelli e Sorelle,

Con grande piacere rivolgo il mio più cordiale benvenuto a tutti voi, convenuti a questo Incontro dei Direttori Nazionali della Pastorale degli Zingari in Europa. Vi ringrazio di cuore per aver accolto il nostro invito a riflettere insieme sulla Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive. Ci ha riuniti il comune desiderio di consentire ai nostri fratelli Rom, Sinti, Manousche, Calò, Zingari in generale e altri Viaggianti, una maggiore partecipazione alla vita e alla ricchezza della Chiesa e, viceversa, di farla maggiormente presente in mezzo a loro. Auspico che questi giorni di studio e di lavoro, nonché di preghiera, siano proficui per il vostro apostolato.

Ringrazio Dio che mi dà questa occasione per conoscere ognuno di voi personalmente e per esprimervi gratitudine e ammirazione per la dedizione e l'interesse con cui svolgete il vostro compito. Nutro grande fiducia che la riunione rafforzi i legami tra voi e porti a una collaborazione ancor più efficiente con il Dicastero di cui, da un anno, sono Presidente. 

Il nostro obbiettivo è di esaminare l'odierna pastorale specifica per evidenziarne le priorità e formulare proposte per un impegno più efficace e coordinato tra le Chiese locali europee e i vari Organismi ecclesiali - oltre che civili - che si prodigano a favore degli Zingari. Con il sostegno della vostra esperienza, cercheremo nuovi cammini e modi, senza tralasciare quelli collaudati antichi, per facilitare una migliore intesa tra gli Zingari e la Chiesa, alla quale ci incoraggiò Giovanni Paolo II al termine del Grande Giubileo dell'anno 2000 con l'invito a "prendere il largo" ("Duc in altum"), facendo "memoria grata del passato", vivendo "con passione il presente" e aprendoci "con fiducia al futuro"[1], e chiedendo anche perdono.

1. Fare memoria grata del passato

La storia degli Zingari, sin dal loro arrivo in Europa, è "tristemente segnata da rigetto e persecuzioni, culminanti nel genocidio nazista, ripresa nelle politiche di pulizia etnica nei Balcani e perdurante nelle attuali e diffuse condizioni di ‘peccato sociale', fatto di esclusione e di emarginazione. In questa storia, la Chiesa ha avuto le sue colpe, dirette o indirette, sia con condanne aperte sia con silenzi a volte interpretati come connivenze. Dall'esame della portata e dei limiti della responsabilità della Chiesa in questo ambito, risultano non poche ombre, ma anche esempi luminosi di cristiani che, con la loro vita e con la loro azione, hanno segnato il cammino di ‘conversione' e di ‘riconciliazione' verso il cambiamento dell'atteggiamento della Chiesa nei confronti degli Zingari"[2].

È doveroso quindi ricordare in questa circostanza un momento di particolare importanza e significato per lo sviluppo positivo dei rapporti tra la Chiesa e gli Zingari, e che è profondamente radicato nella ecclesiologia conciliare. Si tratta della storica visita del Papa Paolo VI all'accampamento degli Zingari a Pomezia, il 26 settembre 1965, in occasione del loro pellegrinaggio internazionale. Il Pontefice vi celebrò la Santa Messa e nell'omelia tracciò un programma di fede e di impegno per il popolo zingaro e con parole piene di affetto lo introdusse nel cuore stesso della Chiesa: "Qui [nella Chiesa] siete ben accolti, qui siete attesi, salutati, festeggiati [...] Voi oggi, come forse non mai, scoprite la Chiesa. Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della Chiesa, [che] ama i poveri, i sofferenti, i piccoli, i diseredati, gli abbandonati"[3].  

Solo un amore autentico per l'uomo, oltre che per Iddio, e il riconoscimento della dignità umana potevano ispirare Paolo VI a compiere quel gesto storico e unico nei confronti degli Zingari: "Qui fate un'esperienza nuova: trovate qualcuno che vi vuole bene, vi stima, vi apprezza, vi assiste"[4]. Quella visita rese loro manifesta la sollecitudine della Chiesa, nel cui seno non ci devono essere ineguaglianze riguardo alla stirpe, alla nazione o alla condizione sociale[5], né alcuna "discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione [...] come contrario al disegno di Dio"[6].

La sua opera d'amore fu ripresa da Papa Giovanni Paolo II, il quale, il 12 marzo 2000, con un gesto storico di riparazione, un atto intensamente evangelico di coraggio e di umiltà, chiese solennemente perdono per le colpe commesse dai figli della Chiesa nel passato; colpe che continuano, purtroppo, a proiettare le loro ombre anche nel presente. Inizia, così, un nuovo itinerario di dialogo e di riconciliazione tra Chiesa e popolo zingaro[7].

Tre anni prima, il 7 maggio 1997, Papa Wojtyła aveva elevato alla gloria degli altari un martire gitano, lo spagnolo Ceferino Giménez Malla, riconoscendo così alla sua etnia la possibilità della santità.

I tre episodi appena presentati riflettono con esattezza la rinnovata ecclesiologia che il Concilio Ecumenico Vaticano II sviluppò, dando inizio a un rinnovamento anche nella  evangelizzazione degli Zingari, che è pure il vostro apostolato. 

Non sbaglieremo - penso - nel dire che Paolo VI, nella sua allocuzione a conclusione del Concilio, fece una sintesi straordinariamente acuta di un aspetto fondamentale della ecclesiologia conciliare, così: "Mai forse come in questa occasione la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinare, di comprendere, di penetrare, di servire, di evangelizzare la società circostante, e di coglierla, quasi di rincorrerla nel suo rapido e continuo mutamento"[8]. La Chiesa ha voluto farsi ascoltare e comprendere da tutti, in quanto la sua ricchezza dottrinale è rivolta a servire l'uomo in ogni sua condizione, infermità e necessità. La Chiesa è "ancella dell'umanità"[9].

Ugualmente attento ai problemi e alle miserie della vita sociale fu, prima di Papa Montini, Giovanni XXIII, premuroso nel compimento della missione della Chiesa di "vivificare, insegnare, pregare". Egli, infatti, reclamava una esistenza terrena più dignitosa, giusta e meritoria per tutti, contrassegnata dalla fraternità e dall'amore come esigenze naturali dell'uomo e come regola di rapporti umani e di convivenza tra le etnie. La Chiesa è chiamata a denunciare le ingiustizie e le indegne ineguaglianze, affinché la vita dell'uomo divenga più umana.

2. Vivere con passione il presente

L'eredità del Concilio e del Magistero Pontificio richiede dunque da noi un ‘esame di coscienza' sulla nostra fedeltà alla vocazione e missione nella Chiesa, la quale è di tutti, e particolarmente dei poveri[10]. Questo ci obbliga a verificare la nostra capacità di essere accoglienti, ascoltatori, servitori con il dovere di condannare ogni forma di discriminazione e di intolleranza, di violazione dei diritti e di disprezzo della dignità umana. 

Certo oggi gli Zingari non sono più lasciati soli come in passato. Infatti, numerose Organizzazioni Internazionali e Nazionali, zingare e non, operano per la loro promozione umana, sociale, culturale e religiosa. Il Consiglio d'Europa, l'Unione Europea e il Parlamento Europeo emanano numerose risoluzioni e raccomandazioni atte a tutelare i loro diritti fondamentali, nonché danno vita a vari programmi che offrono ai giovani Rom, Sinti e Viaggianti molteplici opportunità di formazione professionale e di sviluppo integrale. Numerose sono anche le proposte di collaborazione culturale internazionale; varie, infine, le iniziative volte alla inclusione sociale.

Tuttavia gran parte di loro sono, purtroppo, tuttora esclusi da tali benefici. Molti sono costretti a vivere in condizioni di povertà e altri trovano difficoltà a raggiungere il cuore della Chiesa a causa di preconcetti e stereotipi, talmente radicati nella società da non permettere sviluppo e maturazione di atteggiamenti di apertura, accoglienza, solidarietà e rispetto. Inoltre, fenomeni di razzismo, xenofobia, antiziganismo, troppo spesso ostacolano una pacifica, umana  e democratica convivenza. Nello stesso tempo, non possiamo però dimenticare anche responsabilità e atteggiamenti negativi degli Zingari stessi nei confronti degli ambienti in cui vivono. È necessario ricordare cioè che pure essi devono assumere i doveri propri di tutti i cittadini del Paese dove permangono.   

            Per spianare la strada che porta a una vera cultura e a una auspicata spiritualità di comunione[11], è necessario lasciarsi guidare da "un amore ricco di intelligenza e dall'intelligenza piena di amore" come scrive Papa Benedetto XVI nella Enciclica Caritas in veritate (n. 30). Infatti, soltanto "colui che è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente"[12], come attestava Papa Paolo VI. La riconciliazione, la ricerca di comprensione delle situazioni concrete della vita, lo sforzo comune di rispettare e osservare le regole e norme di coordinamento e di integrazione racchiuse e riaffermate nei consessi internazionali, sono principi validi nelle relazioni Chiesa-Zingari e Zingari-Società civile nell'Europa odierna, in fase di trasformazione e crescita.

            Questi principi sono racchiusi anche nei nostri Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, il primo Documento di portata universale nella Chiesa cattolica, con il quale "si intende riaffermare, senza tentennamenti, l'impegno ecclesiale a favore di questa popolazione. Si propongono poi anche strade nuove da tracciare in seno alle società nazionali e alle Chiese particolari, per aprire le comunità a questi fratelli. Vengono altresì stabiliti alcuni criteri pastorali generali per l'azione e traguardi da raggiungere"[13]. Tale Documento segna dunque un momento importante nella storia di evangelizzazione e promozione umana a favore degli Zingari, dopo l'incontro di Paolo VI a Pomezia, che ho prima menzionato.

            La vostra partecipazione all'incontro di questi giorni, in rappresentanza di Chiese locali, Organizzazioni Internazionali e Congregazioni e Istituti Religiosi è motivo per noi di grande gioia e fiducia ed è un buon segnale che la ‘bussola', affidata da Paolo VI al popolo zingaro e agli Operatori pastorali che l'accompagnarono a Pomezia quarantacinque anni fa, continua a guidare con ferma sollecitudine l'impegno della Chiesa.

3. Aprirsi con fiducia al futuro

            Riflettendo su questa missione in un contesto circoscritto, che è quello europeo, ritengo opportuno far riferimento a quanto ci offre al riguardo l'Esortazione apostolica Ecclesia in Europa.

            Così "guardando all'Europa come comunità civile - leggiamo al n. 12 - non mancano segnali che aprono alla speranza"[14], che quei Padri sinodali intravedevano nella crescente apertura dei popoli gli uni verso gli altri, nella riconciliazione tra nazioni e nell'ampliamento progressivo del processo unitario ai Paesi dell'Est europeo. Inoltre sono in aumento collaborazioni e scambi di ogni ordine, così da creare una ‘coscienza europea' che aiuta a rafforzare la fraternità e la volontà della condivisione, soprattutto tra i giovani. I Padri registravano come positivo il fatto che tutto questo processo si svolge secondo metodi democratici, in modo pacifico e in uno spirito di libertà. Altresì, molto è stato fatto per precisare le condizioni e le modalità del rispetto dei diritti umani[15].

            Si aprono quindi vie di speranza, nella prospettiva di un concretizzarsi dell'interesse e della mobilitazione degli Organismi Internazionali e nazionali in favore degli Zingari nelle nuove strategie europee e nei processi di cambiamento. Le trasformazioni in atto - si spera -  contribuiranno ad arrestare fenomeni e atti di razzismo, antizingarismo e di discriminazione, e creeranno una nuova ‘coscienza europea' che consenta a Rom, Sinti e altri gruppi viaggianti, di riaffermare la propria identità e diversità culturale, nell'ottica di un inserimento civile nei rispettivi Paesi.

            Per quanto riguarda le Chiese locali, Giovanni Paolo II rammentava che esse non possono rimanere sole ad affrontare la sfida che la nuova realtà europea comporta, per cui si rende necessaria "un'autentica collaborazione tra tutte le Chiese particolari del Continente, che sia espressione della loro essenziale comunione"[16]. Al riguardo quel Pontefice chiedeva alle Chiese locali di sottomettersi a una logica del dono e di condividere comuni orientamenti pastorali, come espressione significativa del sentimento collegiale tra i Vescovi del Continente[17].

È arrivato il momento di ringraziare ancora una volta gli Arcivescovi e i Vescovi qui presenti, e anche, da lontano, gli altri Ecc.mi Pastori che hanno a cuore la sorte degli Zingari, nonché il Segretario generale del CCEE, per il loro aiuto ad approfondire l'argomento  importante che abbiamo scelto per la nostra riunione.

A conclusione, vi chiedo, cari Amici, di portare ai nostri fratelli e sorelle zingari questo messaggio: anche noi, oggi, come una volta Paolo VI, altro non chiediamo dal punto di vista pastorale se non che "accettino la materna amicizia della Chiesa"[18].

Grazie.

           

[1] Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n. 1: AAS 93 (2001) p. 308.

[2] Cardinale Stephen Fumio Hamao, "Mai più..." discriminazioni e disprezzo verso gli Zingari: Collana INTERFACE, La Chiesa cattolica e gli Zingari, [Il Centro Stampa, 2000], p. 10.

[3] Paolo VI, Omelia (26 settembre 1965): Insegnamenti di Paolo VI,  III (1965), p. 491.

[4] Ibidem.

[5] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n. 32: AAS 57 (1965), p. 38.

[6] Idem, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 29: AAS, 58 (1966), pp. 1048-1049.

[7] Cfr. Giovanni Paolo II, Giornata del Perdono (12 marzo 2000): L'Osservatore Romano, N. 61 (42.398), 13-14 marzo 2000, 7-9.

[8] Paolo VI, Allocuzione all'ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II  (7 dicembre 1965): AAS 58 (1966), p. 54.

[9] Ibidem.

[10] Cfr. Giovanni XXIII, Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo, a un mese dal Concilio Ecumenico Vaticano II (11 settembre 1962): AAS 54 (1962), p. 682.

[11]  L'argomento fu trattato nel corso del VI Congresso Mondiale della Pastorale per gli Zingari, promosso dal nostro Dicastero in collaborazione con la Conferenza episcopale ungherese, celebratosi a Budapest dall'uno al 7 settembre 2003. Gli Atti del Congresso sono pubblicati nella Rivista People on the Move, Supplemento al n. 93 (dicembre 2003), reperibili anche sul sito internet: http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/pom2003 _93S/ rc_pc_migrants_pom93S_ind.html.

[12] Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967), n. 75: AAS 59 (1967), p. 294.

[13] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, n. 4: People on the Move, N° 100 (Suppl.), April 2006, p. 42.

[14] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Ecclesia in Europa (28 giugno 2003), n. 12: AAS 95 (2003) p. 567.

[15] Cfr. Ibidem.

[16] Ibidem, n. 53: l.c., p. 682.

[17] Cfr Ibidem.

[18] Paolo VI, Omelia (26 settembre 1965): l.c.. p. 493

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Messaggio ai lettori


ZENIT lancia la nuova rubrica "Dove Dio piange"

NEW YORK, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- ZENIT inaugura una nuova rubrica dal titolo “Dove Dio piange”, con interviste a diversi esponenti della Chiesa in rappresentanza delle tante comunità perseguitate.

Le interviste sono realizzate dalla Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, e trascritte per essere pubblicate su ZENIT.

La prima di questa serie, che sarà pubblicata d'ora in poi nel Servizio giornaliero del lunedì, è un’intervista al Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal.

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Francesca Pannuti, "Socrate, la morte di un laico e altri saggi", Aracne, Roma, 2009, pp. 147.
"'La filosofia, che ha la grande responsabilità di formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla ricerca del vero, deve recuperare con forza la sua vocazione originaria' (Fides et ratio). In queste pagine la Dott.ssa Francesca Pannuti ci presenta tale vocazione non solo in modo teoretico, con la forza delle idee, ma anche in modo vissuto, con la forza della testimonianza di quel laico - non laicista - che a distanza di ventiquattro secoli è ancora modello dell'autentico filosofare." (dalla Prefazione del Prof.p.Aguilar, A.P."Regina Apostolorum").

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