ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 08 marzo 2010
Pubblicità
"Per una società ed una economia a misura d'uomo"
La Fondazione Enzo Peserico organizza un convegno sul tema: "Per una società ed una economia a misura d'uomo", il 13 marzo 2010 ore 15.00 all'Istituto Gonzaga di Milano, Via Vitruvio 41. Relatori: Stefano Fontana, dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân; Stefano Zamagni, Professore ordinario di economia politica; Massimo Introvigne, vice responsabile nazionale di Alleanza Cattolica.
Per vedere le tariffe e mettere il tuo annuncio nei servizi via email di ZENIT visita: http://ads.zenit.org/italian
Santa Sede
- La Chiesa esorta a "garantire un futuro" ai cristiani di Terra Santa
- La Santa Sede ribadisce il proprio impegno a favore delle donne
- Difendere i diritti umani, anche per risolvere la crisi finanziaria
Dove Dio piange
Notizie dal mondo
- Georgia: l'ecumenismo può sconfiggere il secolarismo
- Essere pastore in una delle città più violente del mondo
Italia
Segnalazioni
Interviste
Tutto Libri
Forum
Santa Sede
La Chiesa esorta a "garantire un futuro" ai cristiani di Terra Santa
Lettera in occasione della Colletta "pro Terra Sancta"
Ogni anno, all'inizio della Quaresima, la Congregazione per le Chiese Orientali invia a tutti i Vescovi della Chiesa cattolica una lettera circolare sulla Colletta, che nella maggior parte delle Diocesi ha luogo il Venerdì Santo.
Nel testo di quest'anno, firmato dal Prefetto della Congregazione, il Cardinale Leonardo Sandri, e dall'Arcivescovo segretario, Cyril Vasil', S.I., si chiede di mostrare "sensibilità per le necessità della Chiesa di Gerusalemme e del Medio Oriente": "sensibilità che si fa soccorso, come quello inviato ai fratelli della Giudea (At 11,29-30); ricordo, come l'invito di San Paolo nella lettera ai Galati (2,10), e colletta, che risponde a precise indicazioni pratiche (1 Cor 16,1-6) ed è definita grazia di prendere parte al servizio a favore dei santi (2 Cor 8-9 e Rm 15)".
L'appello, ricorda il Cardinale Sandri, trae questa volta ispirazione dal pellegrinaggio compiuto da Benedetto XVI in Terra Santa nel maggio 2009.
"Ho avuto l'onore di accompagnarLo e di condividere l'ansia pastorale, ecumenica e interreligiosa che ne hanno animato le parole e i gesti - rileva il porporato - . Insieme alla comunità ecclesiale di Israele e Palestina ho ascoltato una voce di fraternità e di pace".
Nei suoi discorsi, sottolinea, il Papa ha menzionato "il problema incessante dell'emigrazione", osservando che "nella Terra Santa c'è posto per tutti" ed esortando le autorità "a sostenere la presenza cristiana", assicurando allo stesso tempo "ai cristiani di quella Terra la solidarietà della Chiesa".
Nell'omelia della Messa che ha celebrato a Betlemme, prosegue il Cardinale Sandri, il Pontefice ha poi incoraggiato i battezzati ad essere "un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell'edificare una cultura di pace che superi l'attuale stallo della paura, dell'aggressione e della frustrazione", perché le Chiese locali siano "laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica".
Nell'Anno Sacerdotale, la Lettera del Cardinale Sandri chiede di tornare "col cuore al Cenacolo di Gerusalemme, dove il Maestro e Signore 'ci amò sino alla fine'; a quel luogo dove gli Apostoli con la Santa Madre del Crocifisso Risorto vissero la prima Pentecoste".
"Crediamo fermamente nel 'fuoco mai spento' dello Spirito Santo, che il Vivente effonde in abbondanza".
Benedetto XVI, segnala, ha affidato alla Congregazione per le Chiese Orientali "il compito di tenere vivo l'interesse per quella Terra benedetta".
A suo nome, esorta quindi "a confermare la solidarietà finora mostrata", perché i cristiani d'Oriente portano "una responsabilità che spetta alla Chiesa universale, quella cioè di custodire le 'origini cristiane', i luoghi e le persone che ne sono il segno, perché quelle origini siano sempre il riferimento della missione cristiana, la misura del futuro ecclesiale e la sua sicurezza".
"Essi meritano, pertanto, l'appoggio di tutta la Chiesa", conclude, pregando il Signore "perché sia largo nella ricompensa verso quanti amano la Terra che Gli diede i natali", che "deve rimanere, grazie alla 'Chiesa viva e giovane' che vi opera, la testimone nei secoli delle grandi opere della salvezza".
Scopo della Colletta "pro Terra Sancta" è quello di sensibilizzare i fedeli al valore della solidarietà verso le comunità e gli enti cattolici presenti in quella regione e promuovere ogni iniziativa e intervento in favore dei Luoghi Santi che conservano la memoria di Cristo.
La Congregazione per le Chiese Orientali riceve parte della Colletta "pro Terra Sancta" direttamente dalle Nunziature Apostoliche, e, secondo la percentuale stabilita dalle relative norme pontificie, concede quindi i sussidi ordinari e straordinari alle circoscrizioni ecclesiastiche, agli ordini religiosi e ad altre persone giuridiche ecclesiastiche in Libano, Siria, Iraq, Giordania, Egitto e particolarmente in Israele e Palestina.
La Colletta è una tradizione che risale già ai tempi della Chiesa primitiva. Lo stesso Apostolo Paolo sollecitava infatti le comunità in Asia Minore a sostenere i confratelli a Gerusalemme.
Fu Papa Paolo V, poi, nel Breve "Coelestis Regis" del 22 gennaio 1618, a stabilirne per la prima volta la finalità, mentre Benedetto XIV la confermò con il Breve Apostolico "In supremo militantis Ecclesiae" del 7 gennaio 1746.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
La Santa Sede ribadisce il proprio impegno a favore delle donne
Intervento dell'Osservatore Permanente all'ONU
ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il miglioramento della condizione femminile e la lotta per il riconoscimento della dignità e dei diritti di donne e ragazze è una priorità della Santa Sede, ha ricordato questo lunedì a New York l'Arcivescovo Celestino Migliore.
Il presule, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, è intervenuto alla 54ª sessione della Commissione sullo Status delle Donne del Consiglio Economico e Sociale in occasione della discussione sull'item 3, "Seguito della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne e della 23ª sessione dell'Assemblea Generale sul tema 'Donna 2000: uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il XXI secolo'".
Secondo l'Arcivescovo, il dibattito sulla questione dello status femminile non è interamente positivo, racchiudendo alcune luci "ma anche molte ombre inquietanti".
I progressi raggiunti nel mondo negli ultimi quindici anni, ha spiegato, includono, tra gli altri fattori, "miglioramenti nell'istruzione delle ragazze, promozione delle donne come fondamentali per sradicare la povertà e promuovere lo sviluppo, crescita della partecipazione alla vita sociale, riforme politiche volte a rimuovere forme di discriminazione contro le donne e leggi specifiche contro la violenza domestica".
In particolare, la sottolineato, è stato evidenziato da più parti "il ruolo indispensabile giocato dalla società civile in tutte le sue componenti nel sottolineare la dignità delle donne, i loro diritti e le loro responsabilità".
Nonostante questo, "le donne continuano a soffrire in molte parti del mondo".
Non si possono tralasciare, infatti, fenomeni agghiaccianti come l'aborto di bambine, l'infanticidio e l'abbandono, come anche le discriminazioni a livello di assistenza sanitaria e di alimentazione.
"La malnutrizione interessa le ragazze più dei ragazzi, bloccando la crescita futura fisica e mentale", ha denunciato. Allo stesso modo, le donne dai 15 anni in su rappresentano i due terzi degli analfabeti del mondo.
I tre quarti delle persone affette da Hiv/Aids sono ragazze e donne tra i 15 e i 24 anni, ha proseguito il presule, ricordando che nel traffico internazionale di esseri umani le vittime sono per la metà minorenni e per il 70% ragazze e donne.
"In tutto il pianeta, ragazze e donne sono vittime di violenza fisica, sessuale e psicologica, incluso lo stupro come arma di guerra, per non parlare dello sfruttamento economico".
Le ragioni di questa situazione sono numerose, ha spiegato il rappresentante vaticano, citando "dinamiche sociali e culturali", "ritardi e lentezza delle politiche".
"Faremmo bene a guardare anche ai principi, alle priorità e alle politiche d'azione delle organizzazioni internazionali, nella fattispecie al sistema di motivazioni, valori, linee guida e metodologie che guidano l'operato delle Nazioni Unite sulle questioni relative alle donne".
Anche se il raggiungimento dell'uguaglianza tra uomini e donne nell'istruzione, nell'impiego, nella difesa legale e nei diritti sociali e politici viene considerata "nel contesto dell'uguaglianza di genere", "i fatti dimostrano che la manipolazione di questo concetto (...) è sempre più indirizzato a livello ideologico, e ritarda il vero sviluppo delle donne".
Accanto a questo, ha constatato monsignor Migliore, nei documenti ufficiali recenti ci sono interpretazioni del genere che "dissolvono ogni specificità e complementarietà tra uomini e donne", teorie che "non cambieranno la natura delle cose, ma sicuramente stanno già offuscando e ostacolando ogni serio e tempestivo progresso nel riconoscimento della dignità e dei diritti delle donne".
Quasi tutti i documenti di conferenze internazionali o comitati, inoltre, sottolineano il legame tra "il raggiungimento dei diritti personali, sociali, economici e politici e una nozione di salute e diritti sessuali e riproduttivi violenta verso i concepiti e dannosa per i bisogni integrali delle donne e degli uomini all'interno della società".
Allo stesso tempo, però, "solo raramente si menzionano i diritti politici, economici e sociali delle donne come condizione e impegno ineludibili".
Questo aspetto, sottolinea il presule, è "particolarmente doloroso" considerando la diffusa mortalità materna nelle regioni in cui i sistemi sanitari sono inadeguati.
"Una soluzione rispettosa della dignità delle donne non ci permette di bypassare il diritto alla maternità, ma ci impegna a promuoverla investendo nei sistemi sanitari locali e migliorandoli, fornendo anche servizi ostetrici essenziali".
Nel 1995, ha ricordato monsignor Migliore, "la Piattaforma per l'Azione di Pechino ha proclamato i diritti umani delle donne parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. Ciò è fondamentale non solo per comprendere l'inerente dignità delle donne e delle ragazze, ma anche per renderla una realtà concreta in tutto il mondo".
Per questo, la Santa Sede ribadisce il suo impegno per il miglioramento della condizione femminile.
"Il suo appello alle istituzioni cattoliche, in occasione della Conferenza di Pechino, per una strategia concertata e urgente diretta a ragazze e giovani donne, soprattutto le più povere, ha prodotto nel corso degli anni molti risultati significativi, e resta un forte impegno a implementare e promuovere questo compito per il futuro".
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Difendere i diritti umani, anche per risolvere la crisi finanziaria
Intervento della Santa Sede al Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU
GINEVRA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- La difesa dei diritti umani può contribuire a risolvere la crisi finanziaria attuale, ha affermato la Santa Sede all'ONU, che ha invitato a superare "la dicotomia obsoleta" tra le sfere economica, sociale ed ecologica.
Monsignor Silvano M. Tomasi, rappresentante permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e altri organismi internazionali a Ginevra, è intervenuto alla 13ª sessione del Consiglio per i Diritti Umani mercoledì 3 marzo.
"La delegazione della Santa Sede vuole ribadire la sua convinzione del fatto che la prospettiva dei diritti umani offre un contributo positivo a una soluzione della crisi finanziaria attuale", ha dichiarato.
"Anche se è certo che sembrano visibili alcuni segnali di crescita, la crisi continua a peggiorare la situazione di milioni di persone che non riescono a soddisfare le necessità fondamentali della vita", e "compromette i piani di pensionamento" di molti.
Un'opportunità unica
In sostanza, servono una "nuova regolamentazione" e un "sistema mondiale di governance" per assicurare a tutti uno sviluppo "duraturo e globale".
Monsignor Tomasi ritiene che ci sia un'"opportunità unica" di attaccare le "radici della crisi" applicando i diritti umani negli ambiti "economico, civile e politico".
Il rappresentante della Santa Sede si è soffermato sul Rapporto delle Nazioni Unite sulle conseguenze negative della crisi finanziaria: lo scandalo della fame, crescenti forme di diseguaglianza nel mondo, milioni di disoccupati e di nuovi poveri, fallimento delle istituzioni, mancanza di protezione sociale per le persone vulnerabili...
Citando l'Enciclica sociale di Benedetto XVI "Caritas in Veritate", ha sottolineato che questi squilibri si verificano per il fatto di "separare l'agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione" (n. 36).
Priorità ai cambiamenti sul campo
"L'uguaglianza e la giustizia sono i criteri fondamentali per gestire l'economia mondiale", ha insistito monsignor Tomasi.
Godere dei diritti umani, ha aggiunto, è possibile "quando gli Stati traducono i principi in leggi e rendono realtà i cambiamenti sul campo".
Questo, indica monsignor Tomasi, perché lo Stato è "il primo attore" dell'applicazione dei diritti umani.
In questo mondo "globalizzato" e "interdipendente", non deve mancare, ad ogni modo, la collaborazione "con gli altri attori della società civile e con la comunità internazionale".
Monsignor Tomasi ricorda che "l'obiettivo comune è la difesa della dignità umana che colleghi tutta la famiglia umana", un'unità "radicata in questi quattro principi fondamentali: carattere centrale della persona umana, solidarietà, sussidiarietà e bene comune".
Il rappresentante della Santa Sede ha quindi esortato a dare priorità ai cambiamenti "sul terreno" e all'"applicazione concreta" dei diritti umani.
Ha inoltre indicato una pista, anch'essa a partire dalla "Caritas in veritate": bisogna superare "la dicotomia obsoleta tra le sfere economica, sociale ed ecologica", facendo rispettare i principi di "onestà, giustizia e solidarietà", "di reciprocità e di dono".
La persona umana, primo capitale da difendere
Il presule ha anche avvertito delle soluzioni alla crisi che prendono in considerazione la "riforma del sistema finanziario" o dei "modelli economici" senza tener conto delle necessità delle persone.
Al contrario, bisogna garantire "l'accesso alle risorse per migliorare le condizioni di vita" e permettere di "porre i talenti al servizio della comunità locale e del bene comune universale".
Questo, ha aggiunto, è sempre stato "l'obiettivo della Dottrina Sociale della Chiesa" cattolica, con una "preoccupazione particolare per i membri più vulnerabili della società".
Monsignor Tomasi ha anche osservato che, per "dare priorità agli esseri umani e creare un ordine che li sostenga nel loro viaggio terreno", bisogna "modificare le regole che governano il sistema finanziario", in vista di "cambiamenti concreti".
In questo senso, ha chiesto di "modificare le vecchie forme di avidità che hanno portato alla crisi attuale" e di promuovere uno "sviluppo integrale effettivo e l'applicazione dei diritti umani", perché "il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità" (Caritas in Veritate n. 25).
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Dove Dio piange
Missionari della gioia al servizio dei più poveri
Intervista al fondatore, padre Richard Ho Lung
KINGSTON (Giamaica), lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il fondatore di un nuovo ordine monastico internazionale, dedito al servizio dei più poveri dei poveri, afferma che la sua vocazione è fonte di gioia per molte persone.
Creato nel 1981 da padre Richard Ho Lung, l’ordine dei Missionari dei poveri ora conta su 550 fratelli e sacerdoti che lavorano in Giamaica (dove è stato fondato e dove ha sede), in India, nelle Filippine, a Haiti, in Uganda, nel Kenya e negli Stati Uniti.
Padre Ho Lung, originariamente formato e ordinato nell’ordine dei Gesuiti, ha ricevuto una nuova chiamata mentre si avventurava tra i tuguri della zona di cui era parroco, in Giamaica. Ha deciso, a quel punto, di dedicarsi esclusivamente alla costruzione delle famiglie e della comunità, tra i poveri e bisognosi, attraverso un nuovo ordine religioso.
In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps” (“Dove Dio piange”) del Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il sacerdote parla della sua chiamata al servizio dei poveri, della gioia che si sperimenta nell’ordine, e delle sue speranze per il futuro.
Come ha ricevuto questa vocazione? Non deve essere stata una decisione facile.
Padre Ho Lung: Era la realtà dei senzatetto, dei poveri e degli emarginati in Giamaica. E poi vi fu un terribile incidente, in cui 155 donne rimasero vittime di un incendio in un edificio espropriato dallo Stato in Giamaica.
La mia coscienza ne fu scossa. Fu una terribile tragedia.
Dopo questi eventi, mentre insegnavo all’Università delle Indie occidentali, in Giamaica, trascorsi un periodo di intensa preghiera, in cui la figura di Cristo che lavorava con i più poveri e dimenticati mi assillava la coscienza.
Mi iniziai a porre delle domande, era il Signore che mi faceva queste domande: “Allora, vuoi essere un cristiano autentico o no? Vuoi essere un vero sacerdote o no?”.
Deve essere stato un processo terribile.
Padre Ho Lung: Sì, ero come Giacobbe mentre lotta con l’angelo. E naturalmente il Signore ha avuto la meglio.
È stato un periodo molto faticoso, spiritualmente, ma allo stesso tempo bellissimo.
Talvolta discutevo con il Signore dicendogli: “Come puoi essere così contraddittorio?”. Anzitutto per avermi fatto seguire tutti questi studi, per poi apparentemente tornare indietro e chiamarmi a lavorare con i più poveri, nelle condizioni più difficili, cosa che allora mi sembrava non avesse nulla a che fare con me. Ma poi ho visto che nell’affrontare i problemi dei più poveri ho messo a frutto ogni piccolo insegnamento che ho ricevuto e che quindi il periodo con i Gesuiti è stato in realtà una preparazione per la mia vocazione come fondatore dei Missionari dei poveri.
Il suo cuore ha sempre battuto peri i poveri? È un pensiero che ha sempre avuto? Quando è stato il momento in cui ha detto: “Questo è ciò che sento di essere chiamato a fare”?
Padre Ho Lung: Mio padre, cinese e proveniente dall’Estremo Oriente, una volta sposato con mia madre, ci ha instillato le grandi esigenze e i bisogni dei poveri.
Ci ha sempre ripetuto: “Ricordatevi che siete poveri. Ricordatevi che io sono povero e ricordatevi dei più poveri”. Ci ha sempre ricordato che la gente della Giamaica, anche se povera, è la gente migliore, e che senza i poveri che venivano a casa nostra e al nostro piccolo negozio di alimentari, noi ora non saremmo vivi.
Per questo diceva: “Ringraziate sempre e qualsiasi cosa facciate nella vita non dimenticate i poveri, ovunque voi siate”.
Questo fu l’inizio, prima ancora di diventare cattolico.
Padre Richard, lei ha scelto il motto: “Gioioso servizio con Cristo sulla Croce”. Perché ha scelto questo motto per i Missionari dei poveri?
Padre Ho Lung: Quando la comunità iniziò l’attività, notai un fenomeno molto strano.
I fratelli lavoravano ogni giorno con i più poveri, facendo i lavori più semplici, come lavare le persone, cucinare per loro, fargli la barba, i capelli, e non solo questo ma anche sistemare tutto il disordine che alla fine della giornata si era accumulato. E sebbene incontrassero persone in fin di vita e devastate dall’AIDS, persone malate di mente o lebbrosi, tornavano a casa ogni giorno colmi di gioia.
Tutto ciò mi sembrava molto misterioso perché avevamo chiarito bene che il lavoro con i poveri avrebbe significato portare la croce di Cristo.
Ma alla fine di ogni giornata eravamo così felici, che decidemmo di adottare il motto: Gioioso servizio con Cristo sulla Croce.
Padre, cos’è che vi dà così tanta gioia in questo lavoro?
Padre Ho Lung: Semplicemente il sapere che siamo uniti a Cristo, nella mente e nel cuore, e anche il sapere che stiamo vivendo i sacramenti e la Parola di Dio.
È quel senso di vicinanza e intimità con Dio che è determinante.
Poi, quando guardo a queste meravigliose giovani vocazioni e vedo la grande gioia e l’entusiasmo e l’apertura e la felicità, anche fino alla morte – loro sono pronti anche a dare la vita – niente mi può soddisfare di più.
Qual è la sua più grande sofferenza in questo lavoro?
Padre Ho Lung: La nostra più grande sofferenza è stata quando due dei nostri fratelli sono stati uccisi.
Sì, sono stati uccisi a Kingston, nel cuore del ghetto e, misteriosamente, di notte.
L’intera zona taceva e con uno sparo due dei nostri fratelli sono stati uccisi. È stata una grande tristezza per me e per tutta la comunità.
Ha dato un senso a questi omicidi?
Padre Ho Lung: Innanzitutto, la morte di questi fratelli dimostra il grande impegno dei nostri giovani.
Nessuno ha abbandonato e, anzi, la nostra comunità è cresciuta, e anche di molto, dopo la morte dei nostri fratelli.
Il reale significato della croce di Cristo e del bere dal calice della sofferenza si è reso profondamente vivo nei cuori e nella mente degli altri fratelli.
Hanno dovuto compiere un grande discernimento e comprendere profondamente che si stava facendo sul serio. Cioè che è in gioco anche la loro stessa vita, ma che si deve andare avanti con la gente.
La fuga nell’isola – che non è un’isola cattolica – è stata tremenda, da ogni angolo dell’isola. Vi è stato un senso profondo della tragedia che è la vita moderna nel ghetto in Giamaica.
Padre, quali sono le vostre necessità ora? I vostri programmi? Le vostre speranze?
Padre Ho Lung: È in atto una forte spinta per la legalizzazione dell’aborto in Giamaica, che è una grande offesa al Signore.
Un giorno, mentre percorrevamo i ghetti, alcuni fratelli hanno scorto due buste di plastica, in cui dentro hanno trovato dei bambini che erano stati uccisi.
I fratelli si sono quindi rivolti a me e mi hanno detto: “Padre, tu ci hai sempre parlato del problema dell’aborto come il più crudele e odioso dei crimini. Dobbiamo costituire una casa per madri non sposate, donne che avrebbero abortito, e un’altra per accogliere i bambini, come alternativa da offrire alle donne che sarebbero pronte ad ucciderli”.
E dopo la preghiera abbiamo deciso, come comunità, di aprire una casa.
Molte di loro non sono sposate e ogni giorno possono lasciare i loro bambini da noi. Possono andare a lavorare, riuscendo così a non perdere il lavoro, e a tornare poi a riprendersi i bambini a fine giornata.
Ma vorremmo anche poter avere la Messa, un’evangelizzazione nello stesso luogo, il sabato e la domenica, per riuscire a portare la gente a Cristo e alla Chiesa.
Vorremmo anche avere una clinica prenatale così che le donne che stanno pensando all’aborto possono venire da noi per vedere, attraverso un’ecografia, il proprio bambino e convincersi di conseguenza. Gli verrebbe offerta la possibilità di usufruire del nostro asilo diurno o di lasciare i loro bambini a noi per essere adottati; in questo modo potremmo offrire loro una soluzione.
----------
Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Notizie dal mondo
Georgia: l'ecumenismo può sconfiggere il secolarismo
Lo ha affermato il Vescovo Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso, all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), spiegando come per la Chiesa cattolica in Georgia sia fondamentale la promozione dell'ecumenismo nel Paese.
"La missione fondamentale della Chiesa è lavorare per l'ecumenismo e l'intesa con la Chiesa ortodossa [georgiana]", ha dichiarato.
Nonostante la buona intesa tra cattolici e ortodossi, il presule ha confessato che possono esserci delle tensioni nelle zone rurali.
"Per la minoranza cattolica c'è un conflitto con la maggioranza ortodossa. I cattolici non sono trattati allo stesso modo sia a scuola che a livello lavorativo. Il problema non è aperto, è nascosto - ma è reale".
In questa situazione, alcune famiglie cattoliche battezzano i propri figli secondo il rito ortodosso per far avere loro più opportunità nella vita.
"Il grande obiettivo è l'unità radicata nella fede"; "raggiungerla è solo una questione di tempo", ha constatato il Vescovo. "Il messaggio di Cristo è ‘ut unum sint' - ed è anche il mio motto episcopale".
Fedeltà alla fede
Secondo il presule, tutte le denominazioni nel Paese sono interessate dalla globalizzazione. "C'è stato un grande aumento del secolarismo a causa di Internet e della crescita delle tecnologie della comunicazione. Ha iniziato a infiltrarsi nelle persone, un po' come il veleno nel loro spirito - il veleno del secolarismo e del materialismo".
"Sono preoccupato del fatto che i giovani non sappiano resistere alla tentazione", ha confessato.
Se la Georgia è stato uno dei primi Paesi ad adottare il cristianesimo, nel IV secolo, i valori storici potrebbero essere erosi.
"La Georgia è ben consapevole della sua eredità cristiana, perché la fede cristiana è nel suo cuore", ha osservato. "Anche se c'è stato un periodo difficile sotto il regime sovietico, il popolo è rimasto fedele alla sua religione - non ha permesso al regime sovietico di eliminarla dal proprio cuore".
Nonostante questo, c'è "un grande pericolo", rappresentato dal "cambiamento della mentalità della gente verso il materialismo, che è un problema che riguarda cattolici e ortodossi".
L'importanza della catechesi
La catechesi, ha sottolineato il Vescovo Pasotto, sarà fondamentale per aiutare la gente a conoscere di più la sua fede.
Per questo, "un grande compito per la Chiesa" è proprio quello di "creare una buona base attraverso la catechesi", perché la gente "ha bisogno di conoscere di più la fede e la Bibbia".
"Vogliamo vedere la fede più radicata nel cuore del popolo - ha commentato -. Vogliamo che la gente sia consapevole dei valori morali e li viva nella vita quotidiana".
Il presule ha anche ringraziato ACS per il sostegno che fornisce ai progetti pastorali, come campi estivi con corsi di catechesi per bambini e aiuto alle suore.
"E' molto difficile trovare fondi per questi progetti", ha ammesso. "Si possono trovare aiuti per i progetti sociali, ma non per quelli pastorali".
Neville Kyrke-Smith, direttore nazionale di ACS per la Gran Bretagna, che ha visitato le comunità cristiane in Georgia, ha segnalato che "la Georgia è fondamentale, a livello sia politico che religioso. Questa regione deve evitare di essere balcanizzata e distrutta dal nazionalismo o dall'intervento post-sovietico".
"Il sostegno di ACS ai progetti pastorali è vitale per sostenere la speranza cristiana in questo storico Paese cristiano - ha aggiunto -. La comprensione ecumenica e la costruzione di ponti di dialogo sono essenziali".
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Essere pastore in una delle città più violente del mondo
Parla monsignor León, Vescovo di Ciudad Juárez (Messico)
CIUDAD JUÁREZ, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Monsignor Renato Ascencio León, Vescovo di Ciudad Juárez, ha condiviso con ZENIT alcune riflessioni sulla violenza, il narcotraffico e il ruolo della Chiesa nella zona di Ciudad Juárez (Messico), dichiarata una delle più violente del mondo.
"La violenza suscita una grande preoccupazione. Siamo parte di una società e questo clima di insicurezza ci ha uniti", ha affermato.
"Come responsabile di questa comunità diocesana, posso dire che la Chiesa non accetta la cultura della morte che da tempo si è insediata nella città", ha aggiunto.
La gente, sottolinea, non ha paura di andare a Messa perché "sa contro chi si dirigono gli attacchi". "Anche se ci può essere gente innocente tra le vittime, non si tratta di attacchi alla gente pacifica e che rispetta la legalità".
"Le persone assistono al culto. Come prova abbiamo il Mercoledì delle Ceneri: i templi sono stati fino a tarda sera pieni di fedeli che ricevevano le ceneri".
La Chiesa, segnala il presule, ha partecipato al dibattito sulla situazione a due livelli: "in primo luogo ci siamo riuniti con rappresentanti di altri culti e abbiamo discusso e apportato proposte. In un altro momento siamo stati presenti la prima volta che è venuto il Presidente. Mi è spettato di esporre ciò di cui avevamo parlato nell'incontro della Chiesa cattolica".
In quest'ultima occasione, ha ricordato, sono state analizzate le cause del clima di violenza, sottolineando come quelle principali siano "la povertà e l'ingiustizia".
A questo proposito, ha citato "la perdita degli impieghi alla frontiera", "la disintegrazione familiare" - "i genitori devono andare via a lavorare, non ci si cura dei figli e questi crescono senza un orientamento" -, "la diserzione scolastica" - che fa sì che molti giovani avranno problemi a trovare "impieghi legali", rischiando di venire coinvolti in attività criminose -, "la mancanza di spazi per sviluppare le attitudini proprie della gioventù: sport, attività artistiche e ricreative".
Quanto alla presenza dell'esercito a Ciudad Juárez, monsignor León ha riconosciuto che non si può dire come sarebbe la situazione se questo mancasse e che "non è la cosa migliore il fatto che i militari svolgano compiti di polizia, ma di fronte a un'emergenza l'esercito ha un ruolo importante, e a Ciudad Juárez si vive una situazione straordinaria, di vera emergenza".
L'esercito, tuttavia, sta commettendo angherie nei confronti di alcuni. "Siamo d'accordo che in un'emergenza l'esercito vegli sulla sicurezza dei cittadini, ma non saremo mai d'accordo con gli eventuali abusi che si possano verificare", ha dichiarato il presule.
In questa situazione che non risparmia neanche i presbiteri - "senza dover andare lontano, la settimana scorsa uno dei miei sacerdoti è stato assaltato e minacciato" -, monsignor León chiede di pregare "perché questa condizione abbia fine, e pace e tranquillità tornino a Ciudad Juárez".
Allo stesso modo, chiede di formare i giovani, promuovendo valori tali da far sì che "non vivano in futuro ciò che stiamo vivendo noi ora".
[adattamento di Roberta Sciamplicotti]
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Italia
Difesa della vita e della famiglia al centro dei programmi elettorali
Appello del Movimento per la vita ai candidati alle elezioni
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Movimento per la vita ha stilato un appello a tutti i candidati Governatori e a tutti candidati consiglieri delle tredici regioni dove si voterà il 28 e 29 marzo, affinchè la difesa della vita e della famiglia siano oggetto dei programmi elettorali e della applicazione di politiche per il bene comune.
In particolare si chiede di riconoscere la vita dal concepimento alla morte naturale, e la riforma dei consultori familiari affinchè non siano più dei meri firmatari di autorizzazioni all’aborto.
L’appello è rivolto ai candidati di tutte le liste. Il MpV ha preso l'impegno, verso gli stessi candidati e soprattutto verso gli elettori, a dare conto delle adesioni all’appello
“La ragione decisiva per non rassegnarsi di fronte all’aborto e, più in generale, di fronte alla distruzione di esseri umani allo stato embrionale - inizia l’appello del Mpv -, è che si tratta di ‘esseri umani’, cioè, necessariamente, di ‘soggetti’, di ‘persone’ particolarmente fragili e povere, che come tali devono essere trattate”.
“Perciò – continua l’appello – la tutela del diritto alla vita fin dal concepimento è una questione anche politica. Lo è in modo centrale, primario, poichè lo stesso fondamento dello Stato e della comunità internazionale è la protezione e la promozione della uguale dignità di ogni essere umano”.
L’appello del Mpv spiega che “non fu facile proclamare nella Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, e nella Dichiarazione francese dell’89, che tutti gli esseri umani sono liberi e uguali” così come “non è stato facile superare l’apartheid dei neri. Anche attualmente non è sempre facile ottenere la proclamata eguaglianza di donne ed uomini ed è difficile trarre coerenti conseguenze dalla eguale dignità degli extracomunitari”.
Secondo il MpV, “vi è stato e vi è un problema etico e culturale, ma anche politico” e “solo la politica può formalmente consacrare l’eguaglianza nella legge. Così è stato, così deve essere oggi. La proclamazione di principio non è un gesto inutile. E’ il presupposto necessario di un conseguente cammino”.
Il MpV ricorda che “alla vigilia delle ultime elezioni politiche la proposta di una ‘moratoria sull’ aborto' parallela alla moratoria sulla pena di morte, intese promuovere una integrazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con l’aggiunta che il diritto alla vita è riconosciuto 'dal concepimento'”.
Aderirono migliaia di persone, molti parlamentari dei diversi schieramenti, “ma – sottolinea l’appello- non è ragionevole chiedere ad altri ciò che possiamo fare già in casa nostra: in Europa, In Italia, nelle Regioni”.
Nelle Regioni vi è uno statuto, modificabile, integrabile e per questo il Movimento per la vita chiede ai capi dei partiti, agli aspiranti Governatori, a tutti i candidati, di “assumere l’impegno di fare tutto il possibile per iscrivere negli statuti regionali il riconoscimento del diritto alla vita di ogni essere umano fin dal concepimento”.
Dopo aver fatto riferimento anche al Manifesto presentato dal Forum delle associazioni familiari, il MpV aggiungie una seconda richiesta, e cioè “la ristrutturazione dei Consultori familiari per restituirli alla loro essenziale funzione: essere strumenti che limpidamente, univocamente, visibilmente, proteggono il diritto alla vita dei figli, non contro, ma insieme alle madri”.
“Il senso della storia è la dignità umana – affermaa l’appello -. La grande politica può partire anche dal basso. Le prossime elezioni regionali possono essere una occasione per inserire le Regioni nella grande politica”.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Segnalazioni
Presentazione a Roma del volume "Dio oggi"
ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Sarà presentato giovedì 11 marzo alle ore 17.30 presso la Sala Angiolillo di Palazzo Wedekind (Roma - piazza Colonna, 366) il volume “Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto”, edito da Cantagalli e frutto del Convegno Internazionale celebrato a Roma dal 10 al 12 dicembre del 2009.
Sono previsti gli interventi del Cardinale Camillo Ruini, Presidente del Comitato per il progetto culturale della CEI, di mons. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, di Giacomo Marramao, dell’Università Roma Tre, e di Roberto Maiocchi, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Modererà il dibattito Sergio Belardinelli, dell’Università di Bologna.
Il convegno internazionale “Dio oggi: con Lui o senza di Lui cambia tutto” ha avuto il grande merito di riportare la discussione su un argomento centrale per la nostra epoca. La questione di Dio da sempre interroga e affascina lo spirito umano, ma oggi più che mai assume il valore di un invito a spingere lo sguardo oltre la dimensione puramente “orizzontale” dell’esistenza che vorrebbe ridurre l’uomo a materia pura.
In questo volume sono raccolti gli interventi più significativi che hanno animato le giornate del convegno svoltosi a Roma tra il 10 e il 12 dicembre 2009, facendone un evento culturale senza precedenti.
Nelle quattro sessioni plenarie, personalità del mondo laico e cattolico si sono confrontate davanti a un pubblico eterogeneo, attento e numeroso, su “Dio della fede e della filosofia”, Dio della cultura e della bellezza”, “Dio e le religioni” e “Dio e le scienze” dando vita a un dibattito la cui ricchezza e profondità è destinata a lasciare un segno nella cultura del nostro Paese.
Oltre al messaggio inaugurale di Benedetto XVI, il volume contiene le relazioni del Cardinale Angelo Bagnasco, del Cardinale Camillo Ruini, del Cardinale Angelo Scola, di monsignor Gianfranco Ravasi, di monsignor Rino Fisichella e di Andrea Riccardi, Robert Spaemann, Lorenzo Ornaghi, Roger Scruton, Antonio Paolucci, Francesco Botturi, Remì Brague, Massimo Cacciari, Ugo Amaldi, George Coyne, Martin Nowak, Peter van Inwagen.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Interviste
Monsignor Follo all'UNESCO: "Politica e Religioni davanti al futuro"
Dibattito organizzato dalla Comunità San Giovanni
PARIGI, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Lo Studium della Comunità San Giovanni ha organizzato un dibattito su "Politica e Religioni davanti al futuro" nella sede dell'UNESCO a Parigi il 19 e il 20 marzo.
L'obiettivo sarà far "dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica", sottolinea l'Osservatore Permanente della Santa Sede all'UNESCO, monsignor Francesco Follo, in questa intervista concessa a ZENIT.
Qual è la questione di fondo di questo Colloquio, che conta sul doppio patrocinio dell'UNESCO - è previsto l'intervento del suo direttore generale, Irina Bokova - e del Pontificio Consiglio della Cultura?
Monsignor Francesco Follo: Una piccola affermazione preliminare: non bisogna dimenticare la specificità della situazione dell'uomo nel mondo. L'uomo è l'unico essere dell'universo a far parte di due "mondi": quello dei corpi e quello degli spiriti, aperto alla trascendenza.
Bisognerebbe dunque formare la coscienza delle persone per comprendere e vivere, per vedere in se stessi e rispettare negli altri la complessità dell'esperienza della libertà.
Si dovrebbero anche trovare e proporre le motivazioni e gli strumenti perché l'uomo "religioso" e l'uomo "politico", o meglio, la dimensione religiosa e la dimensione politica dell'uomo, vivano insieme nella sfera privata e in quella della relazione comunitaria, sociale (tra individuo e individuo, tra individuo e società).
Bisognerebbe infine educare e formare il cittadino in questa dimensione completa che Jacques Maritain ha definito "umanesimo integrale".
Per raggiungere questo obiettivo,il simposio farà dialogare le saggezze religiose, in particolare la saggezza cristiana e quella filosofica.
In questo modo, ci sarà una vera cooperazione tra politici, filosofi, teologi e religiosi, per una teoria e una pratica del bene comune.
Lei parla del "bene comune". Uno dei principali oratori sarà il Cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. L'insegnamento sociale della Chiesa cattolica, così ricco, parla a tutte le culture?
Monsignor Francesco Follo: Darei due risposte. La prima viene dai fatti, dalla realtà dell'esistenza.
I martiri cristiani, che testimoniano il loro impegno con Dio e con gli uomini fino alle estreme conseguenze, si uniscono all'impegno di tutti gli uomini.
Si è detto che "le Encicliche sono state scritte con il sangue dei martiri".
Perché il Vangelo entri in una cultura, deve trovare la via dell'uomo, penetrando nelle diverse culture, anche al prezzo della vita di questi testimoni che sono i martiri, martiri "per" gli altri e non contro gli altri.
In questo modo, la Dottrina Sociale della Chiesa diventa la voce di quanti non hanno voce: si parla di "opzione preferenziale per i poveri". Il soggetto della Dottrina Sociale della Chiesa è l'umanità stessa.
Anche la seconda risposta viene dalla storia. Con l'Enciclica Centesimus Annus (1991), l'universalità della Dottrina Sociale della Chiesa ha compiuto un altro passo.
Papa Giovanni Paolo II ha sottolineato che milioni di persone, con il loro impegno, hanno ispirato la Dottrina Sociale della Chiesa.
Nel corso della storia, c'è stato "un grande movimento per la difesa della persona umana e della sua dignità", ma in collaborazione con i credenti di altre religioni e con le persone di buona volontà.
Di recente, Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, ci ricorda che la carità è universale e che è la principale forza di propulsione del vero sviluppo di ogni persona e dell'intera umanità.
Questa carità si basa sulla verità. In effetti, una carità non basata sulla verità è un involucro vuoto che si riempie arbitrariamente (Caritas in veritate n. 3).
Le porto un esempio. Se un uomo ha fame, non è difficile capire cosa sia un bene per lui: mangiare. Non è difficile sapere quello che è il bene di quell'uomo: alimentarsi a sufficienza.
Alla questione relativa al bene dell'uomo, ho dunque risposto con certezza: è l'alimentazione. Ho detto la verità sul bene dell'uomo.
Se a un uomo affamato do dei vestiti ma non del cibo, non lo amerò davvero, non vorrò il suo bene. La "carità nella verità" significa volere il bene dell'altro, vero e reale.
Il Cardinale André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza Episcopale Francese, presiederà l'Eucaristia. Quale posto occupa questa celebrazione nel simposio?
Monsignor Francesco Follo: L'Arcivescovo di Parigi presiederà la mattina di sabato 20 marzo la Santa Messa che i partecipanti al Colloquio celebreranno nella bella Cappella di Nostra Signora del Buon Consiglio, a poche decine di metri dall'UNESCO.
Credo che si sia voluta la Messa anche per sottolineare che il dialogo tra le persone deve essere radicato in quello con Dio.
I due dialoghi non possono essere opposti, entrambi hanno la loro giustificazione e la loro necessità teologica e spirituale.
Se è necessaria una difesa "spirituale" del dialogo con gli uomini, è ancor più importante vedere come la preghiera sia all'origine e nel futuro del dialogo.
La preghiera è all'origine profonda del dialogo fraterno perché "grazie a lei" posso pronunciare parole che vengono da Dio.
E' anche il futuro delle parole fraterne, perché nella parola rivolta al prossimo c'è già una parola a Dio.
Le parole meramente umane corrono il rischio di essere come quelle di un prigioniero ad altri prigionieri.
Che tipo di notizie ci potrebbero comunicare le persone chiuse in carcere, senza informazioni provenienti dal mondo della libertà e della vita? Non molto interessanti, né realmente originali. La novità viene dall'esterno, dall'alto, da Dio che ci ascolta e che, attraverso di noi, parla agli uomini.
Il dibattito vuole essere non solo interculturale, ma anche interreligioso: spicca la partecipazione del gran rabbino Haïm Korsia, cappellano generale israeliano dell'Aviazione, e di M. Tareq Oubrou, teologo, imam della moschea di Bordeaux: le tre grandi religioni monoteiste hanno avuto un rapporto molto diverso con la politica...
Monsignor Francesco Follo: Anche le religioni e le culture asiatiche e africane hanno qualcosa da dire in questo incontro, il cui obiettivo è apportare un contributo al "government".
Dopo le varie crisi (politica, economica, finanziaria) che attraversa il mondo, e a trent'anni dal discorso di Giovanni Paolo II all'UNESCO, lo Studium San Giovanni ha voluto sottolineare gli apporti della filosofia e delle religioni al government su questioni di attualità come le relazioni tra giustizia e pace, il posto dei poveri nella società, la lotta per la dignità umana, la tensione tra la logica del bene e la ricerca della logica finanziaria, economica e politica, la responsabilità nei confronti della famiglia umana.
Lei è per formazione un filosofo. Che mediazione rappresenta la riflessione filosofica nel dialogo tra le culture?
Monsignor Francesco Follo: Il cristianesimo è la religione del Logos. Nel dialogo, quindi, i cristiani devono stare attenti a rimanere fedeli a questo orientamento: vivere una fede che viene dal logos, dalla ragione creatrice, e che quindi è aperta a tutto ciò che è realmente razionale, a ciò che è cultura.
"La" cultura è un avvenimento, più che un dono finito. Non ho la pretesa di contribuire alla cultura del domani.
E' ad ogni modo sufficiente aprire gli occhi e le orecchie per percepire che non sono solo le grandi culture ad avere un valore universale, ma anche quelle che dialogano tra loro nell'opera dei grandi artisti.
Omero non ha scritto solo per i greci, ma per tutti noi. Shakespeare non ha scritto solo per gli inglesi, ma per tutti.
La Bibbia non è stata composta solo per un piccolo popolo mediorientale, o per alcuni gruppi di cristiani, ma per tutti.
Ancora, penso a Keith Jarrett, uno dei grandi musicisti jazz del momento: è anche un grande interprete di Bach, e le sue improvvisazioni non si possono comprendere senza considerare l'influenza della musica indiana.
L'universalità è la pretesa delle culture, l'"interculturalità" il ritmo normale di appartenenza a una cultura, e il ritmo normale della vita della cultura.
Siamo realisti, il dialogo interculturale è un dialogo che conduciamo in pace con noi stessi, e in cui constatiamo tutti i frutti in noi stessi.
Nessuna legge regola un dialogo di questo tipo. Gli Stati possono favorirlo: bisognerebbe dare denaro all'Università di Pechino perché le opere di Kierkegaard siano accessibili in lingua cinese.
Quello che fanno gli Stati deve essere fatto prima che gli Stati se ne preoccupino. L'uomo "coltivato" è un uomo intellettuale.
Possiamo andare più oltre e dire che l'"interculturalità" è un fatto, prima che un dovere da compiere.
L'"interculturalità" non aspetta, per essere inscritta in ogni cultura che abbia un po' di ricchezza, che ci formiamo il concetto.
Noi siamo qui nella situazione di quelli che constatano, scrivono la storia e vogliono - evidentemente - che il futuro sia fedele al passato.
Siamo anche, si potrebbe dire, nella situazione di garanti: se è necessario che le grandi opere dell'Oriente siano tradotte in lingue occidentali, bisognerà poter andare ad aiutare traduttori ed editori.
Come l'UNESCO non ha inventato la cultura né l'ha definita, però, non ha nemmeno creato l'"interculturalità", né l'ha definita, e può essere felice di svolgere la funzione di aiuto.
Sarà così fedele alla sua definizione. E mi permetta di ripetere che è nel rispetto della verità, della singolarità, che serviamo con più fedeltà le città, al plurale, le culture, al plurale, e anche la cultura, al singolare.
Come definire il dialogo per giungere realmente a dialogare?
Monsignor Francesco Follo: Il dialogo non è solo uno scambio di idee, deve essere sempre uno scambio di doni (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 13).
C'è dialogo quando una delle due parti "esce" da sé, si apre alla diversità che è l'alterità dell'altro, e questo ha come conseguenza lo "scambio" di temi, la "trasformazione".
Attraverso il dialogo, e come effetto del dialogo, c'è sempre un'apertura di orizzonti.
Vorrei concludere proponendole un'immagine che riassume ciò che sto dicendo: "Quando la farfalla arriva, il fiore si apre; quando il fiore si apre, la farfalla arriva".
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Tutto Libri
Da Socrate a Dio: quando il pensiero si fa perenne ricerca del vero
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- E’ uscito per le edizioni Aracne, il saggio di Francesca Pannuti dal titolo “Socrate, la morte di un laico e altri saggi”, nel quale si affrontano temi quali il rapporto tra fede e ragione, e di entrambe con la modernità, allo scopo di stimolare il recupero dell'autentica razionalità.
Nella prefazione padre Alfonso Aguilar, L.C. docente dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, ha spiegato che il saggio contiene “semi di sapienza antica e moderna - da Platone, sant’Agostino e san Tommaso fino a P. Thomas Tyn e Solov’ëv - con lo scopo di far risuscitare la dimensione sapienziale della filosofia di ricerca del senso ultimo e globale della vita”.
Secondo il prof. Aguilar, “oggi la filosofia non solo non è capace di superare la crisi di senso, ma è addirittura una delle cause più importanti di questa crisi” e la Pannuti ci presenta la “vocazione originaria” della filosofia, “non solo in modo teoretico, con la forza delle idee, ma anche in modo vissuto, con la forza della testimonianza di quel laico - non laicista - che a distanza di ventiquattro secoli è ancora modello dell’autentico filosofare”.
Per Socrate, infatti, la filosofia era “il modo più umano di vivere, la scienza che sa rendere ragione dell’essenza di ciascuna realtà, la liberazione dal più grande dei mali che è l’ignoranza vissuta nel vizio, un incontro provvisorio con la sapienza divina, la contemplazione del trascendente, una terapia per guarire l’anima e una giusta preparazione alla morte per salvare l’anima”.
Per Aguilar la morte di Socrate rappresenta “la vittoria della razionalità e della religiosità” perché “non è senza significato che il pensiero filosofico abbia ricevuto un suo decisivo orientamento dalla morte di Socrate e ne sia rimasto segnato da oltre due millenni” e non è affatto casuale che i filosofi dinanzi al fatto della morte “si siano riproposti sempre di nuovo questo problema insieme con quello sul senso della vita e dell’immortalità”.
“Socrate – ha scritto il docente dell’APRA - ci insegna la giusta scala dei valori, relativizzando tutto a vantaggio di beni spirituali universali e perenni” e “l’ammirevole atteggiamento di un laico credente e ragionevole come Socrate viene portato a compimento con la grazia di Cristo, il quale ci offre la partecipazione alla Vita stessa di Dio, nella piena e perfetta felicità”.
E’ in questo contesto che l’autrice invita a “lasciarsi istruire dalla Verità nell’interiorità, che nel cristianesimo è il Lόgos”.
La Pennuti sostiene che “l’uomo è spinto irresistibilmente dal desiderio di felicità e che questo non possa che trovare soddisfazione in Dio” e che la “ricerca la verità in modo sincero non può non giungere alla scoperta di Dio e della possibilità di un rapporto con Lui”.
L’autrice del saggio precisa che “l’attuale smarrimento del senso della verità (…) prima che essere un allontanamento dalla fede è una vera e propria dissoluzione della ragione”.
“Con l’avvento di Cristo - continua la Pannuti -, il negare la fede non rappresenta per la ragione un ammettere i propri limiti o un rifiutare una ‘possibilità’ remota, bensì piuttosto un negare a se stessa l’apertura verso la pienezza di verità cui anela e che le è concretamente offerta”.
L’autrice conclude sostenendo che “quando la ragione viene usata in modo corretto conduce al Creatore e che per una corretta elaborazione della fede in campo teologico è di fondamentale importanza partire da presupposti razionali corretti, pena la caduta in concezioni deformate su Dio e sui misteri concernenti l’economia della salvezza”.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Forum
La conversione è il centro della vita cristiana
di padre Piero Gheddo*
ROMA, lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vangelo della terza domenica di Quaresima (Luca 13, 1-9) potrebbe essere stato scritto anche ai nostri giorni. Gesù sapeva che tutti parlavano di due tragici fatti appena successi: il governatore romano della Giudea, Ponzio Pilato, aveva compiuto un massacro di ebrei nel tempio, mentre i sacerdoti offrivano a Dio i loro sacrifici; e 18 persone erano morte per il crollo della torre di Siloe a Gerusalemme. Notizie quotidiane anche ai nostri tempi.
Come spiegare quelle morti violente? Molti pensavano che quei morti avevano sbagliato, erano colpevoli di qualche delitto o peccato grave e pagavano le loro colpe: Dio li aveva puniti, la sua ira si era scatenata contro di loro. Il buon ebreo che pensava così era anche convinto di essere innocente, quindi non poteva succedergli niente di simile: viveva quelle tragedie come spettatore esterno, incuriosito, scandalizzato, ma non provocato nella sua vita. Ma Gesù dice che quei morti non erano più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme. E conclude dicendo: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Parole forti rivolte agli ebrei del suo tempo, ma anche a noi cristiani del nostro tempo.
Cari fratelli e care sorelle, giornali e televisioni portano ogni giorno nelle nostre case i morti per il terremoto all’Aquila o in Cile, i morti di guerre e terrorismi, gli arresti e processi per fatti di corruzione amministrativa o politica, per rapine o altre gravi trasgressioni delle leggi. Noi siamo spettatori scandalizzati, non ci viene in mente che altre disgrazie simili o diverse, ma egualmente rovinose per la nostra vita, possano capitare anche a noi. Ma Gesù dice anche a noi in questa Quaresima: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”.
Ci pare impossibile che a noi, persone normali e bravi cristiani (e bravi preti) che viviamo una vita del tutto onesta e pacifica, Gesù venga a chiederci di convertirci. Eppure oggi Gesù lancia anche a noi tre messaggi:
1) Dobbiamo imparare a leggere l’attualità non con la sola logica umana, ma con gli occhi della fede. La fede mi dice che nulla succede senza un significato anche per la mia vita. Dio mi manda continuamente messaggi di amore e di misericordia, ma anche di conversione. Sono i cosiddetti “segni dei tempi” che nel Vangelo di domenica il Signore mi invita a leggere con fede. In altre parole, tutto quello di positivo che succede nel mondo e attorno a me è un invito all’imitazione, tutto il negativo mi dimostra concretamente gli effetti del peccato ed è una provocazione anche per me, di quanto male il peccato porta a chi lo commette e all’intera società; le disgrazie naturali (terremoti) o i malanni fisici (ad esempio cancro), ci indicano la situazione precaria dell’uomo su questa terra. La scena di questo mondo passa in fretta, dobbiamo sempre essere preparati a lasciarlo!
2) Nessuno può presumere di essere giusto. I santi avevano coscienza della loro debolezza, chiedevano spesso a Dio la grazia della conversione. A volte sembravano esagerati nelle loro espressioni: “Sono l’ultimo dei peccatori!” diceva spesso il Curato d’Ars. In realtà non lo erano, perché più l’uomo si avvicina a Dio e più gli appare la propria miseria e piccolezza. Più uno è lontano da Dio e più pensa di essere giusto e di non aver bisogno di conversione. E’ questo un esame di coscienza, per noi che presumiamo di essere giusti agli occhi di Dio e pensiamo di esserci già convertiti a Cristo o che comunque la conversione non è per noi un problema urgente, immediato, non esiste nelle nostre preoccupazioni quotidiane.
Voi ricordate il beato Papa Giovanni XXIII, “il Papa buono” che suscitò nel mondo intero, anche fra i popoli non cristiani, sentimenti di ammirazione e di amore per il cristianesimo che lui rappresentava col suo sorriso e la sua umanità. Ebbene, Papa Giovanni negli ultimi giorni della sua vita (morì il 3 giugno 1963), scriveva nel suo “Diario dell’anima”: “Debbo prendere sul serio la necessità della mia conversione”. Pensate, aveva 82 anni e sarebbe morto pochi giorni dopo! In tutta la sua vita si era impegnato a lavorare solo per Dio e per la Chiesa. Ma prima di morire capiva che avrebbe avuto ancora un lungo cammino di conversione da fare! Ecco un santo che è vissuto nella perenne tensione verso la santità.
Un grande missionario che ho conosciuto bene, padre Giovanni Battista Tragella, nel 1968 aveva 84 anni ed era a letto. Morì una settimana dopo avermi incontrato. Mi diceva: “Vedi, sento che sto morendo e mi chiedo perché il Signore ci fa vivere così poco!”. Io avevo 38 anni e non capivo, gli dicevo che aveva vissuto e lavorato tanto ed era stato di esempio a molti, ma lui rispondeva: “Tu sei giovane e non capisci. Adesso che si avvicina la morte capisco meglio di prima quale immenso dono da spendere è la vita. Se avessi ancora tempo per vivere, potrei fare molto meglio, per imitare il modello del Signore Gesù”.
3) La vita cristiana, e specialmente di noi preti e persone consacrate, deve essere una tensione continua verso l’imitazione di Cristo, verso l’unione con Dio e la santità.
Nel nostro mondo globalizzato e secolarizzato, in cui non esiste più una “civiltà cristiana” e un “cristianesimo di massa”, la fede e la vita cristiana diventano sempre più una scelta personale e cosciente. La “nuova evangelizzazione” di questa umanità nuova e diversa avviene principalmente attraverso la testimonianza che noi credenti in Cristo riusciamo a dare con la nostra vita quotidiana. “L’uomo contemporaneo – scriveva Paolo VI nella “Evangelii Nuntiandi” (1975, n. 41) – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni”. Lapidario il grande Paolo VI!
La vita cristiana è bella ed esaltante, ringiovanisce perchè ogni giorno ricomincia da capo con un cammino nuovo verso nuove mete da raggiungere sulla via della santità. Dobbiamo chiedere a Dio la grazia della conversione, non solo, ma di poter vivere in una continua e consolante tensione verso il Signore Gesù.
------
*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.
Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo
Nessun commento:
Posta un commento