giovedì 18 marzo 2010

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ZENIT

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Servizio quotidiano - 18 marzo 2010

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Il Papa: lo sviluppo, in qualsiasi settore, implica apertura al trascendente
Riceve in udienza i membri dell'Unione Industriali e Imprese di Roma
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- "Lo sviluppo, in qualsiasi settore dell'esistenza umana, implica anche apertura al trascendente, alla dimensione spirituale della vita, alla fiducia in Dio, all'amore, alla fraternità, all'accoglienza, alla giustizia, alla pace".

Benedetto XVI lo ha ricordato ai membri dell'Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma, ricevuti in udienza questo giovedì, vigilia della festa di San Giuseppe, che rappresenta "un esempio per tutti coloro che operano nel mondo del lavoro".

La realtà imprenditoriale romana, ha riconosciuto il Papa, opera "in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione, dagli effetti negativi della recente crisi finanziaria, dalla cosiddetta 'finanziarizzazione' dell'economia e delle stesse imprese".

"Si tratta di una situazione complessa, perché la crisi attuale ha sottoposto a dura prova i sistemi economici e produttivi dei vari Paesi", ha ammesso, esortando tuttavia a viverla "con fiducia, perché può essere considerata un'opportunità dal punto di vista della revisione dei modelli di sviluppo e di una nuova organizzazione del mondo della finanza, un 'tempo nuovo'
- com'è stato detto - di profondo ripensamento".

Il Pontefice ha quindi citato la sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, nella quale ha ricordato che si viene "da una fase di sviluppo in cui si è privilegiato ciò che è materiale e tecnico, rispetto a ciò che è etico e spirituale".

Nel testo, ha incoraggiato "a porre al centro dell'economia e della finanza la persona, che Cristo svela nella sua dignità più profonda", e ha proposto "che la politica non sia subordinata ai meccanismi finanziari", sollecitando "la riforma e la creazione di ordinamenti giuridici e politici internazionali, proporzionati alle strutture globali dell'economia e della finanza, per conseguire più efficacemente il bene comune della famiglia umana".

Allo stesso modo, ha ribadito che "l'aumento della disoccupazione, specie giovanile, l'impoverimento economico di molti lavoratori e l'emersione di nuove forme di schiavitù esigono come obiettivo prioritario l'accesso ad un lavoro dignitoso per tutti".

Ciò che guida la Chiesa nel farsi promotrice di questo traguardo, ha proseguito il Vescovo di Roma, è "il convincimento che il lavoro è un bene per l'uomo, per la famiglia e per la società, ed è fonte di libertà e di responsabilità".

Nel raggiungimento di questi obiettivi, "sono ovviamente coinvolti, assieme ad altri soggetti sociali, gli imprenditori, che vanno particolarmente incoraggiati nel loro impegno a servizio della società e del bene comune".

Nessuno, ha riconosciuto il Papa, "ignora quanti sacrifici occorre affrontare per aprire o tenere nel mercato la propria impresa, quale 'comunità di persone' che produce beni e servizi e che, quindi, non ha come unico scopo il profitto, peraltro necessario".

In questo contesto, ha invitato a "saper vincere quella mentalità individualistica e materialistica che suggerisce di distogliere gli investimenti dall'economia reale per privilegiare l'impiego dei propri capitali nei mercati finanziari, in vista di rendimenti più facili e più rapidi".

Le "vie più sicure" per contrastare il declino del sistema imprenditoriale del proprio territorio, ha osservato, consistono nel "mettersi in rete con altre realtà sociali, investire in ricerca ed innovazione, non praticare un'ingiusta concorrenza tra imprese, non dimenticare i propri doveri sociali ed incentivare una produttività di qualità per rispondere ai reali bisogni della gente".

La stessa crisi finanziaria, del resto, ha mostrato che in un mercato sconvolto da fallimenti a catena hanno resistito quei soggetti economici "capaci di attenersi a comportamenti morali e attenti ai bisogni del proprio territorio".

L'imprenditore attento al bene comune "è chiamato a vedere la propria attività sempre nel quadro di un tutto plurale", impostazione che "genera, mediante la dedizione personale e la fraternità vissuta concretamente nelle scelte economiche e finanziarie, un mercato più competitivo ed insieme più civile, animato dallo spirito di servizio".

Una simile logica di impresa presuppone ovviamente determinate motivazioni e una certa visione dell'uomo e della vita: "un umanesimo che nasca dalla consapevolezza di essere chiamati come singoli e comunità a far parte dell'unica famiglia di Dio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza e ci ha redenti in Cristo, un umanesimo che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità".

In questo contesto, ha concluso Benedetto XVI, la Quaresima che stiamo vivendo si pone come "tempo propizio per la revisione dei propri atteggiamenti profondi e per interrogarsi sulla coerenza tra i fini a cui tendiamo e i mezzi che utilizziamo".

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La Santa Sede esorta a combattere la piaga del turismo sessuale
Monsignor Marchetto interviene sul turismo a Norcia
di Roberta Sciamplicotti

ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Combattere la piaga del turismo sessuale e adoperarsi per il recupero fisico e psicologico delle vittime è uno degli obiettivi della Pastorale del Turismo, settore che sta acquisendo un'importanza sempre maggiore con l'aumento del fenomeno turistico.

Lo ricorda l'Arcivescovo Agostino Marchetto nel testo dell'intervento sul tema "In onore di San Benedetto. Il turismo oggi e la sua pastorale", preparato per un incontro a Norcia il 20 marzo.

Il presule, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, spiega che la "pratica scellerata" del turismo sessuale è "sempre più estesa anche per la vasta e facile diffusione che le consente la rete, nuova via per evitare censura sociale e sanzioni legali".

Un elemento determinante di questo fenomeno è "la povertà, seguita da carenza di educazione e di opportunità lavorative", rileva, sottolineando come contino anche "la scarsa considerazione in cui sono tenute le donne e la mancanza di consapevolezza da parte loro".

Il dramma del turismo sessuale, dichiara, si è ampliato con il tempo a causa "dell'urbanizzazione, delle migrazioni, della diffusione di mentalità materialistiche, del deterioramento di sistemi sociali tradizionali, della perdita di dignità della sessualità o a causa di consumismo e avidità".

Si sono formate così "nuove sacche di sfruttati quali sono i ragazzi e i bambini di strada e le vittime della tratta di esseri umani, persone già duramente colpite nella loro condizione umana e sociale".

Di fronte a ciò, osserva il presule, bisogna "affrontare il problema a partire dalla nostra fede, che ci rivela la radice del peccato che cresce nel cuore dell'uomo, che ha assolutamente bisogno della grazia di Cristo per purificarsi e convertirsi".

"Dobbiamo rivolgere, pertanto, un'attenzione pastorale più determinata verso i turisti, nei Paesi di origine, per conoscere i motivi che li spingono a questi comportamenti, per far comprendere loro la gravità del delitto che commettono, per cercare di convincerli, con tutti i mezzi a nostra disposizione, affinché rinuncino alle loro intenzioni e cambino il loro comportamento".

Allo stesso modo, le autorità governative "devono comprendere che è nell'interesse stesso del Paese non consentire la pratica e la diffusione di un simile turismo, che non è 'sostenibile' e discredita il Paese".

La Chiesa, attraverso le Diocesi, le parrocchie, gli operatori pastorali e le associazioni, "si prodiga in favore di quanti subiscono abusi per offrire loro assistenza giuridica, terapia e reinserimento nella società e anche nella comunità dei fedeli nel caso di cristiani".

Turismo come risorsa

Come ricorda Benedetto XVI nella sua Enciclica sociale Caritas in Veritate, a patto che gli aspetti economici "si combinino con quelli culturali, primo fra tutti l'educativo", il fenomeno del turismo internazionale "può costituire un notevole fattore di sviluppo economico e di crescita culturale".

L'esperienza di San Benedetto, afferma monsignor Marchetto, si inserisce bene in questo contesto, visto che insieme ai suoi discepoli è stato, "nelle radici dell'Europa, fattore di cultura, di educazione, di unità".

Se ben gestito, il turismo "può avere valenza economica significativa per generare sviluppo e combattere la povertà, soprattutto creando impieghi per una fascia vasta e differenziata di popolazione, e conservando il lavoro artigianale locale".

Perché ciò avvenga, tuttavia, bisogna applicare "principi etici" alle attività economiche turistiche.

A questo proposito, il presule sottolinea tre tipologie di turismo, iniziando da quello sostenibile, che "mira a che lo sviluppo economico dell'attività turistica rispetti le condizioni e perfino i limiti dettati dall'ambiente circostante". "E quale osmosi con l'ambiente si può costatare nei monasteri benedettini!", segnala.

"Il turismo sociale, a sua volta, combatte le discriminazioni fra le persone promuovendo l'uguaglianza tra di esse e facilitando la partecipazione delle fasce più deboli della popolazione allo svago, ai viaggi e alle vacanze annuali retribuite".

"Il turismo solidale, poi, nel segno della solidarietà (uno dei concetti portanti della Caritas in veritate), offre pacchetti vacanza destinati a progetti di sviluppo, e mira a responsabilizzare i viaggiatori nei riguardi delle persone meno favorite, suggerendo gesti concreti di fraterna condivisione nella carità".

Monsignor Marchetto ricorda quindi l'importanza della Pastorale del Turismo, che esprime l'"impegno ecclesiale costante di far sentire sempre più la materna presenza della Chiesa nell'importante ambito del turismo".

Spetta - oltre che ai Governi - anche alla Chiesa, "con la sua presenza vigile e caritatevole", "far sì che i diritti delle persone siano sempre anteposti al profitto e che sia accessibile a tutti fruire dei beni della natura, della cultura, dell'arte".

Per i cristiani, oltre a un momento di svago, il turismo deve essere infatti un "tempo di ammirazione e riconoscimento dell'opera di Dio, creatore di tutte le cose, nella storia della salvezza".

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I giovani incontrano il Papa a 25 anni dalla prima Gmg
Parla il responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Roma

di Silvia Gattas

ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Ci saranno oltre 70mila giovani, faranno memoria della Giornata Mondiale della Gioventù che è giunta alla 25esima edizione, un lungo percorso inventato da Giovanni Paolo II per risvegliare la fede nei giovani, che ha attraversato nella sua storia ogni angolo della terra, passando per tutti e cinque i continenti.

L’appuntamento è per giovedì 25 marzo, alle 19, in piazza San Pietro. La diocesi di Roma, in particolare la pastorale giovanile, ha organizzato un momento di incontro per i giovani, alla vigilia della Domenica delle Palme, 28 marzo, quando il Papa celebrerà la 25esima Giornata Mondiale della Gioventù, quest’anno a livello diocesano, in vista di quella del prossimo anno a Madrid.

“L’incontro è strutturato in due momenti – spiega a ZENIT don Maurizio Mirilli, responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Roma –. La prima parte fa memoria dei 25 anni della Gmg, di questo grande appuntamento inventato da Giovanni Paolo II”.

“Ricorderemo soprattutto la prima Gmg – aggiunge –, che si tenne a Roma nel 1985, con cui Papa Wojtyla diede inizio a questo grande incontro dei giovani con il Papa nel nome di Gesù. Poi ricorderemo in particolare i momenti della Gmg del 2000, a Tor Vergata, nel decimo anniversario, e infine l’ultima Gmg che si è tenuta a Sydney nel 2008”.

Don Mirilli spiega inoltre come sarà strutturata la serata del 25 marzo. “Ci sarà la testimonianza di due sposi, lui romano e lei originaria di Valencia, oggi cinquantenni – dice - che si sono conosciuti proprio durante la prima Gmg. Due anni dopo si sono sposati e oggi hanno 5 figli, i più grandi dei quali l’anno prossimo parteciperanno al raduno mondiale di Madrid”.

“Poi sarà la volta dell’attrice Beatrice Fazi, che proprio in seguito alla Gmg di Tor Vergata ha iniziato un cammino di fede ed è iniziata la sua conversione – continua poi –. La terza testimonianza è quella di un seminarista, Davide Martini, che riceverà l’ordinazione sacerdotale il prossimo anno”.

La testimonianza sarà alternata a momenti di musica. Ci saranno le voci di Nek – che canterà ‘Per non morire mai’ e ‘Se non ami’ - e quella di Erika Provinzano, vincitrice della prima edizione del “Good news festival”, la rassegna romana di musica di ispirazione cristiana che si è svolta lo scorso anno. Sarà inoltre presente il Coro diocesano e l’Orchestra diretti da monsignor Marco Frisina.

“Il secondo momento della serata – aggiunge don Mirilli – sarà l’incontro con il Papa che arriverà alle 20.20 per restare insieme ai giovani fino alle 21.30. Benedetto XVI, che per la prima volta ha accettato di incontrare i giovani di sera, risponderà a braccio alle domande di tre giovani, che lo ‘interrogheranno’ sul tema della Gmg di quest’anno: ‘Maestro, cosa devo fare per avere la vita eterna’”.

“Scopo di questa iniziativa - prosegue don Mirilli – è duplice: da un lato quello di incontrare il Papa e ascoltare cosa ha da dire ai giovani oggi, su domande che interrogano il cuore dei giovani. Attendiamo parole di speranza dal Pontefice. Il secondo scopo è quello di fare memoria di questi 25 anni della Gmg, per capirne il senso, per comprendere se oggi ha ancora senso viverle, e quali sono stati i frutti”.

Momento suggestivo sarà poi l’ingresso della Croce delle Gmg, un semplice pezzo di legno che ha fatto il giro del mondo, consegnata di mano in mano, che arriverà dall’Università di Tor Vergata. La Croce sarà portata da 20 universitari e da 5 militari. In piazza si accenderanno oltre 30mila flambeaux. Sarà presente una delegazione di giovani spagnoli, mentre il Pontificio Consiglio per i Laici ha convocato giovani in rappresentanza dei cinque continenti.

La coreografia sarà curata dalla "Star Rose Accademy" di Claudia Koll. Alcuni giovani attori leggeranno dei passi del messaggio di Benedetto XVI.

In piazza sono attesi il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, tutti i vescovi del Lazio e molti cardinali.

La serata, condotta da Lorena Bianchetti e Rosario Carello, sarà trasmessa in differita su Rai 1 sabato 27 alle 17.45.

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Anno Sacerdotale


"Alter Christus", video in Internet e DVD dell'Anno Sacerdotale
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- In occasione dell'Anno Sacerdotale convocato da Benedetto XVI, la HM Television, attraverso la Fondazione E.U.K. Mamie, in collaborazione con la Congregazione vaticana per il Clero, ha prodotto un DVD dal titolo "Alter Christus: Fidelitas Christi, Fidelitas Sacerdotis" ("Un altro Cristo: fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote").

"Questa produzione dà rapide pennellate sui molteplici aspetti della vita sacerdotale. Prendendo come centro la vita di San Giovanni Maria Vianney, i temi che tratta vanno dall'identità sacerdotale ai sacramenti, dal celibato alla missione", spiegano i produttori in un comunicato.

Tra le interviste che include, figurano quelle al Cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero; al Cardinale Antonio Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; al Cardinale Julián Herranz, presidente della Comissione Disciplinare della Curia Romana; all'Arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero; all'abate Michael John Zielinski, vicepresidente della Commissione per il Patrimonio Culturale della Chiesa; a monsignor Guido Marini, maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie.

La produzione si presenta in due formati: uno completo, in DVD, di una durata di 180 minuti, un altro più breve su Internet, di una durata di circa 30 minuti.

Il video può essere visionato e il DVD acquistato ai seguenti link:

Italiano: http://www.eukmamie.org/it/alter/

Spagnolo: http://www.eukmamie.org/es/alter/

Francese: http://www.eukmamie.org/fr/alter

Inglese: http://www.eukmamie.org/en/alter

Tedesco: http://www.eukmamie.org/de/alter

E' possibile consultare un servizio sul DVD su sito di h2o News: http://www.h2onews.org/italiano/1-Anno%20sacerdotale/224443101-dvd-per-lanno-sacerdotale.html

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Notizie dal mondo


Cile: cappelle temporanee per ricostruire la speranza
Aiuto alla Chiesa che Soffre assume l'onere finanziario dell'iniziativa
ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Grazie al sostegno economico dell'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), i fedeli delle zone del Cile devastate dal terremoto del 27 febbraio scorso potranno pregare in cappelle temporanee.

ACS sta infatti provvedendo alla sistemazione di 15 strutture nelle Diocesi più colpite - come Rancagua, Talca, Linares, Chillán, Concepción e Los Angeles -, in cui il 70-90% delle chiese è inutilizzabile.

Lo tsunami seguito al terremoto ha provocato ulteriore distruzione, spazzando via villaggi e cittadine sulla costa.

La Chiesa stima che le vittime siano quasi 500.

In base ad alcuni rapporti ricevuti da ACS, il mese scorso la regione è stata colpita da circa 270 scosse, metà delle quali almeno di magnitudo 5.0 della scala Richter. Alcune di queste sono state seguite da tsunami.

ACS ha donato per le cappelle temporanee più di 211.000 euro, ha riferito Ulrich Kny, coordinatore dei progetti per l'America Latina.

Ogni cappella potrà ospitare un massimo di 100 persone. Kny spera che queste strutture aiutino a ravvivare la vita ecclesiale in Cile.

L'iniziativa, ha aggiunto, è coordinata dal Vescovo Alejandro Goic Karmelic di Rancagua, presidente della Conferenza Episcopale Cilena.

Nella maggior parte delle zone colpite dai terremoti, ha sottolineato Kny, le Messe sono celebrate all'aperto, ma tra poche settimane arriverà l'inverno, con temperature molto basse e forti piogge.

"La gente vive nella paura per la possibilità di nuove scosse e tsunami", ha confessato.

"L'unica cosa che dà speranza è la fede. La costruzione delle cappelle è molto importante perché permette alle persone di esprimere la propria fede e di ricostruire la speranza. Molti hanno perso tutto".

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Spagna: il Parlamento andaluso approva la Legge sulla Morte Degna
I Vescovi: "Sì all'umanizzazione della morte, no all'eutanasia"
di Nieves San Martín

SIVIGLIA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Parlamento dell'Andalusia ha approvato questo mercoledì una legge che regola la "morte degna". I Vescovi andalusi si erano già espressi su questo progetto affermando che la libertà non può giustificare atti contro la vita umana, propria o altrui. Il Forum Andaluso della Famiglia sostiene che con questa decisione si "lascia la porta aperta all'eutanasia".

La Plenaria parlamentare ha approvato la prima norma autonomistica della Spagna che regolerà i diritti del paziente nell'ultima tappa della sua vita e i doveri dei medici nei centri sia pubblici che privati.

La cosiddetta "Legge sui Diritti e le Garanzie della Dignità delle Persone nel Processo della Morte" regola la limitazione dello sforzo terapeutico, proibisce l'accanimento terapeutico e permette ai pazienti di rifiutare un trattamento che prolunghi la loro vita in modo artificiale.

Ad ogni modo, la norma non regola l'obiezione di coscienza dei medici, visto che, secondo i giuristi del Consiglio Consultivo dell'Andalusia, deve essere una legge statale a farlo.

Il 22 febbraio scorso, i Vescovi andalusi avevano diffuso una dichiarazione su questo disegno di legge.

Nel testo, citavano una precedente nota pastorale del 28 dicembre, intitolata "Di fronte al processo della morte, promuovere o permettere la morte", in cui ricordavano i principi morali che devono guidare la regolamentazione del trattamento clinico di ogni malato nel processo di morte.

Circa la pubblicazione del disegno di legge approvato mercoledì, i Vescovi avevano valutato "positivamente quanto si regoli a favore dell'umanizzazione del processo della morte, salvaguardando sempre il diritto primario e fondamentale alla vita di ogni persona. Bisogna garantire il diritto di tutti i malati terminali di ricevere una buona medicina palliativa, così come il sostegno ai familiari (articoli 12-16). Allo stesso modo, sarà di grande utilità il corretto funzionamento dei comitati etici per il discernimento dei medici nei casi più complessi".

Allo stesso tempo, consideravano "necessario richiamare l'attenzione su quegli aspetti del disegno di legge che, a nostro giudizio, richiedono maggior chiarezza e precisione, lungi da qualsiasi ambiguità".

In primo luogo, affermavano, "manca di fondamento antropologico il distinguere tra vita biologica e vita personale (cfr. Preambolo). La vita umana è sempre un'unità biologica e personale e l'assistenza medica deve essere integrale. Queste ambiguità aprono la via a interpretazioni contrarie alla dignità della persona umana nel processo della sua morte, con il rischio di favorire una forma di eutanasia coperta".

Quanto all'affermazione del progetto per cui "gli scopi della legge sono difendere la dignità della persona e assicurare l'autonomia del paziente e il rispetto della sua volontà nel processo della morte (articolo 2)", i Vescovi segnalavano che "di fronte a questi fini bisogna evitare ogni ambiguità e spiegare chiaramente che l'autonomia personale non può mai arrivare a giustificare decisioni o atti contro la vita umana propria o altrui, perché senza vita non può esserci libertà".

"Non ha senso - sottolineavano - contrapporre il diritto alla libera autodeterminazione della persona, come espressione della sua dignità, al bene della vita umana, visto che la vita umana, qualunque sia il suo stato di pienezza o deterioramento, è sempre vita personale, e per questo gode indissociabilmente della dignità indivisibile della persona".

Quanto alla limitazione dello "sforzo terapeutico" proposta nel progetto, secondo i Vescovi "deve spiegare chiaramente che nei malati in coma o in stato vegetativo le cure ordinarie e di base come l'alimentazione e l'idratazione devono essere realizzate sempre. Se si prescinde da queste, anziché permettere la morte inevitabile la si provoca, e questa è una forma di eutanasia".

I presuli rimarcavano che "l'applicazione di questa Legge richiede il suo adeguato finanziamento che garantisca i diritti del malato a una buona medicina palliativa ed eviti il minimo dubbio sul fatto che il malato, pur se molto indebolito dalla malattia, abbia perso anche un solo elemento della sua dignità".

Chiedevano infine che, "di fronte alla difficoltà di discernere in alcuni casi o di fronte al possibile conflitto di valori, si riconosca ai professionisti sanitari il diritto all'obiezione di coscienza".

Dal canto suo, il Forum della Famiglia (FEF) in Andalusia ha segnalato questo mercoledì che si tratta di "una legge molto migliorabile nella difesa della vita umana, anche al momento della morte", e ha esortato a far sì che "si smetta di parlare di morte degna e si lavori per una vita migliore delle famiglie andaluse".

Il presidente del Forum, Federico Die, ha segnalato in un comunicato alcuni aspetti "positivi" di questa legge, "come l'assistenza medica palliativa al malato e l'assistenza ai suoi familiari", una cosa che, ha detto, "abbiamo chiesto continuamente a sostegno delle associazioni dei familiari dei malati".

A suo avviso, "in questa legge si sono mescolati punti ambigui e molto conflittuali, come la limitazione dello sforzo terapeutico, che lascia la porta aperta all'eutanasia".

Accanto a questo, ha indicato, "suscita grande inquietudine il fatto che i professionisti sanitari non possano esercitare il loro diritto costituzionale all'obiezione di coscienza".

Per questo il Forum, che ha detto di "non comprendere l'origine né gli interessi di questa legge", l'ha respinta annunciando che "sarà attento ai conflitti che sorgeranno nella sua applicazione concreta, così come alla dubbia costituzione e azione dei comitati etici, che a volte sono presieduti e diretti da politici, non da professionisti esperti".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]




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Il Cardinale Kung, a 10 anni dalla morte ancora un esempio
Subì 30 anni di carcere per la sua fedeltà al Papa
HONG KONG, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il Vescovo emerito di Hong Kong ha proposto l'esempio del Cardinale Ignatius Kung Pin-mei affermando che continua ad essere un modello per i Vescovi in Cina anche a dieci anni dalla morte.

Il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun ha offerto una Messa, alla quale hanno partecipato circa 40 fedeli, in memoria del defunto Cardinale Kung il 12 marzo. Il porporato, che era Vescovo di Shanghai, è morto in quel giorno nel 2000 negli Stati Uniti.

Il Cardinale Zen ha proposto il defunto come modello per i presuli cinesi al momento di resistere alle tentazioni.

"Quasi tutti i Vescovi cinesi delle comunità ufficiali sono stati riconosciuti dal Papa (...), ma alcuni non sono tornati, e altri hanno anche dichiarato il proprio sostegno a una Chiesa indipendente e autonoma", ha ammesso il Cardinale Zen. "Alcuni di loro stanno lottando, dubitano, a causa di tentazioni e pressioni".

Pur riconoscendo che questi Vescovi non possono essere giudicati o criticati e ammettendo che "non abbiamo vissuto le loro difficoltà", il porporato ha esortato a pregare per i Vescovi cinesi, perché "possano seguire il modello del Cardinale Kung".

Kung è morto a Stamford, nel Connecticut, a 98 anni. Era stato per più di 30 anni in carcere per la sua fedeltà al Papa.

Nel 1988, il Governo cinese gli aveva permesso di recarsi negli Stati Uniti per ricevere cure mediche. Era stato in libertà condizionata e posto agli arresti domiciliari nel 1985, a 86 anni.

Il Cardinale è rimasto negli Stati Uniti con il nipote fino alla morte. Papa Giovanni Paolo II lo nominò Cardinale in pectore nel 1979, quando era ancora in prigione.

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Brasile: muore un sacerdote vittima di un tentativo di furto
Padre Dejair Gonçalves de Almeida aveva 32 anni
BRASILIA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- E' morto martedì padre Dejair Gonçalves de Almeida, 32 anni, raggiunto da colpi di arma da fuoco all'alba di domenica scorsa a Volta Redonda (Rio de Janeiro, Brasile).

Il sacerdote era stato vittima di un assalto mentre tornava dalla Comunità Ecclesiale Senhor Bom Jesus, nel quartiere di Água Limpa. Era accompagnato dall'ex seminarista Epaminondas Marques da Silva, 26 anni, morto sul colpo.

Secondo la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB), l'ufficio stampa della Diocesi di Barra do Piraí/Volta Redonda ha reso noto che padre Dejair ed Epaminondas, all'alba di domenica, sono stati sequestrati e portati alla casa parrocchiale.

"I sequestratori volevano denaro, e visto che non ne hanno trovato hanno sparato alla testa dei due. L'ex seminarista è morto sul colpo, il sacerdote è stato sottoposto a intervento chirurgico, ma non ce l'ha fatta ed è morto", ha spiegato l'addetto stampa, Vagner Mattos.

L'ex seminarista era coordinatore di pastorale nel quartiere di Santa Cruz. Padre Dejair era cancelliere della Mitra Diocesana e consulente dell'Apostolato Diocesano di Preghiera. Lavorava nel settore di Nostra Signora delle Grazie, dove assisteva otto comunità ecclesiali.

Il Vescovo di Volta Redonda, monsignor João Maria Messi, ha affermato che la Chiesa è inserita nella società e che la Diocesi soffre per la violenza.

"Dobbiamo essere ambasciatori della Pace e promuoverla in tutti i sensi - ha sottolineato -. Dobbiamo essere come Cristo e non cercare la vendetta".

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Dottrina Sociale e Bene Comune


Il lavoro nella "Caritas in veritate" e l'imprenditoria giovanile

di mons. Angelo Casile*

ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- «Non esistono formule magiche per creare lavoro. Occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone…». È un pensiero di mons. Mario Operti, Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro negli anni 1994-2000, che descrive realisticamente il lavoro come un investimento, un'opera paziente dell’intelligenza e del cuore.

A ben pensarci, questa opera di paziente dedizione per il lavoro trova piena realizzazione nel Progetto Policoro,[1] pensato da don Mario nel 1995, ma che rivela ancora oggi tutta la sua positività perché punta a valorizzare i giovani attraverso l’annuncio del Vangelo, l’educazione a una nuova cultura del lavoro e l’esprimere insieme segni di speranza (cooperative, imprese), che inverano la parola annunciata e diventano segni di fiducia e speranza in territori che spesso vivono l’esperienza del lavoro nero, della criminalità, della disoccupazione.

“Intelligenza e cuore” oppure potremmo dire “conoscenza e amore”, “verità e carità” per usare un binomio molto caro al Santo Padre Benedetto XVI al punto da donarci, il 29 giugno 2009, un’intera enciclica intitolata Caritas in veritate (CV), che si apre con una straordinaria affermazione: «La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera» (CV 1). È Cristo, verità e carità, la forza del nostro sviluppo, è «Dio è il garante del vero sviluppo dell’uomo» (CV 29).

«Veritas in caritate» (Ef 4,15), ma anche in modo inverso e complementare “caritas in veritate”, nel senso che la verità va cercata, trovata ed espressa nella carità, «e la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità» (CV 2).

La Caritas in veritate fa proprie tre prospettive di ampio respiro contenute nell’enciclica Populorum progressio (PP) di Paolo VI e legate allo sviluppo umano integrale:

- «il mondo soffre per mancanza di pensiero (PP 85)» (CV 53), è necessaria perciò una profonda opera formativa ed educativa a servizio dello sviluppo umano;

- «non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto (PP 42)» (CV 16), occorre educare al trascendente, il traguardo dello sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini è davanti a noi e sopra di noi;

- all’origine del sottosviluppo c’è «la mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli (PP 66)» (CV 19), è importante riscoprire la fraternità nella logica della gratuità e del dono.

Formare l’uomo, educarlo al trascendente e fargli riscoprire e vivere la fraternità sono compiti da realizzare nella carità e nella verità, con tutto il cuore e con tutta l’intelligenza (cfr PP 82: CV 8).

Lavoro… investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone

Occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone… perché «tutti gli uomini avvertono l’interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell’amore e della verità e ci svela in pienezza l’iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14,6)» (CV 1).

La Caritas in veritate ci ricorda che ogni uomo, in quanto amato da Dio, riceve una vocazione che si concretizza nell’amare nella verità Dio e il prossimo. Solo dopo aver accolto il dono del Vangelo nella nostra vita, possiamo annunciare la verità dell’amore di Cristo nella società, testimoniare Gesù risorto con coraggio e generosità in ogni ambito: lavoro, politica, economia, sociale…

Siamo chiamati da Dio a rispondergli ogni giorno e ad aiutare gli altri a rispondere, a vivere la carità nella verità, a riconoscere il vero, a gioire del bello e a godere del buono.

Anche il lavoro quindi è per l’uomo una vocazione: «Non a caso Paolo VI insegnava che “ogni lavoratore è un creatore”[2] (CV 41). Il lavoro è atto della persona,[3] per cui è bene che a ogni lavoratore «sia offerta la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso sappia di lavorare in proprio» (CV 41). Il lavoro permette a ogni uomo di esprimere sé stesso, il proprio talento, le proprie capacità in quanto è espressione della propria creatività a immagine del Creatore, di un Dio che “lavora” nella Creazione e nella Redenzione. La Bibbia si apre con Dio che lavora: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1) e che crea l’uomo a sua immagine.

Attraverso il lavoro l’uomo realizza se stesso, poiché il lavoro, per essere pienamente vero, ci deve parlare oltre che dell’uomo e della sua dignità, anche di Dio. Di Dio che lavora sei giorni e il settimo si riposa fa festa e gioisce, trovando bella l’opera delle sue mani (Gen 2,2), di Dio che si è identificato per quasi trent’anni della sua vita terrena nel lavoro del carpentiere di Nazareth (Mc 6,3), di Dio che ha redento il lavoro e ha chiamato i suoi discepoli a seguirlo mentre erano al lavoro, invitandoli a diventare pescatori di uomini (Lc 5,10), di Dio che «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo».[4]

Il lavoro nella Caritas in veritate… prospettive

Il nostro Dio lavora; «continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita».[5] Avendo come sfondo queste parole di Benedetto XVI su Dio che lavora, approfondiamo il tema del lavoro nella Caritas in veritate.

Nell’enciclica non c’è una trattazione sistematica del lavoro, cosi come per tanti altri temi,[6] tuttavia si trovano tanti riferimenti particolari che aiutano ad avere una visione del lavoro collocata nell’orizzonte della primato di Dio, della rilevanza dell’essere sul fare e della vocazione dell’uomo allo sviluppo integrale.


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*Mons. Angelo Casile è Direttore dell'Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.


1) Nato all’indomani del Convegno Ecclesiale di Palermo con il coinvolgimento del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e di Caritas Italiana. Il primo incontro si svolse a Policoro (MT) il 14 dicembre 1995.

2) Lett. enc. Populorum progressio, 27.

3) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 24.

4) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22.

5) Benedetto XVI, Discorso all’Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008.

6) Il tema di fondo dell’enciclica è lo sviluppo (250 ricorrenze). La dottrina sociale della Chiesa è “caritas in veritate in re sociali”, ovvero annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società. Quindi si tratta di una verità (96) che sempre si esprime nella carità (90), nell’amore donato, nell’amare (68). Ogni società elabora un sistema di giustizia (45), quale “misura minima della carità”, ma nonostante ciò si producono disuguaglianze, povertà intollerabili e si lasciano soli i poveri (30). La crisi (22) economico-finanziaria potrà essere un’opportunità per ripensare un nuovo modello di sviluppo se, è questo l’invito dell’enciclica, l’impresa (30), la politica (28), l’economia (28), la tecnica (27) rimettono al centro la persona (57), nella sua libertà (38), responsabilità (51) e impegno nel lavoro (50). Il sociale (109) deve diventare spazio pubblico di relazione con l’altro (38) in una logica di fraternità e reciprocità (16) da vivere della comunità (24) e della comunione (10) fra uomini e fra Stati (26) nella prospettiva di una vera famiglia umana (10). Il mercato (33) deve aprirsi al dono e alla gratuità (36) nel perseguimento del bene comune (19), vera declinazione dell’etica (19), parola troppo spesso vuota. Gli strumenti? Una logica di sussidiarietà (13) per il governo della globalizzazione (30) e un metodo di collaborazione e di cooperazione (21). Da segnalare l’ingresso di molte parole nuove per lo sviluppo possibile: Microcredito, Microfinanza, Finanza etica (4); Responsabilità sociale dell’impresa (3); non profit (2); Terzo settore (1); economia civile e di comunione (2) (cfr http://blog.vita.it/lapuntina/2009/07/08/lenciclica-parola-per-parola/

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Italia


I missionari del Pime e il Risorgimento italiano

di padre Piero Gheddo*

ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il 6 marzo scorso “Avvenire” ha pubblicato un’interessante intervista di Andrea Galli ad Angela Pellicciari sul Risorgimento italiano e la Chiesa. La Pellicciari ha studiato a fondo questo tema e afferma che “tutte le fonti dell’800, sia da parte cattolica che massonica, dicono la stessa cosa: che la fine del potere temporale del Papa era l’obiettivo di forze internazionali legate al protestantesimo e alla massoneria per distruggere la Chiesa”.

La prof.ssa Pellicciari ha comunicato i risultati dei suoi studi in alcuni volumi che vanno segnalati: “Risorgimento da riscrivere” (Ares 1998), “I panni sporchi dei mille” (Liberal 2003), “Risorgimento anticattolico” (Piemme 2004). Insomma, liberali e massoni erano convinti che togliendo al papato il suo potere politico e le sue ricchezze, questo sarebbe crollato anche spiritualmente, perchè proiettavano sulla Chiesa le loro categorie.

Pio IX (1792-1878) era favorevole, e con lui tutti i cattolici, ad un’Italia unita. Ma quando questo progetto inizia ad essere realizzato dai Savoia e dal loro governo liberal-massonico in modo violentemente anti-cattolico (un solo esempio su tanti altri: sopprimendo nel 1855 i gesuiti e tutti gli ordini religiosi e requisendo le loro proprietà), il Papa e i cattolici che lo seguivano si dimostrano contrari. Il timore era che la sede di Pietro sarebbe finita sotto il potere di uno Stato dichiaratamente anti-cattolico, nelle opere anche se non nello Statuto Albertino del 1848, che dichiarava il cattolicesimo religione di Stato e rimane alla base dell’Italia unita!

Perché segnalo questo tema? Perché merita di essere conosciuto e studiato, non per creare divisioni fra credenti e non credenti, ma per essere informati sul come mai il beato Pio IX, dopo aver favorito l’unità d’Italia nel 1948, assunse poi una ferma posizione contro i primi governi dell’Italia unita e capire il perché delle molte opposizioni ad una sua beatificazione, avvenuta il 3 settembre 2000 da parte di Giovanni Paolo II.

Ma il giudizio sul Risorgimento italiano interessa anche chi, come il sottoscritto, ha studiato la storia del Pime, pubblicando un “volumone” per i nostri 150 anni: vedi P. Gheddo, “PIME 1850-2000.150 anni di missione” (EMI 2000, pagg. 1228, Euro 25,00). Il Pime è stato fondato da mons. Angelo Ramazzotti, approvato e fatto proprio dai vescovi lombardi nel 1850, come “Seminario lombardo per le missioni estere”. In quei tempi i missionari dell’Istituto erano conosciuti come “papalini”, perché le due personalità rappresentative del nascente Pime (nel 1926 acquista questo nome), mons. Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia e poi patriarca di Venezia, e mons. Giuseppe Marinoni, primo direttore del Pime, difendevano Pio IX e il suo potere temporale, come garanzia di libertà per poter esercitare il suo ministero universale.

Marinoni fondò nel 1964 a Milano il quotidiano “L’Osservatore cattolico” (superando «indescrivibili difficoltà»), proprio allo scopo di difendere il Papa e la Chiesa dalle calunnie e dai sistematici attacchi della stampa di quel tempo. E già il 22 settembre 1859 Marinoni si era rifiutato di illuminare San Calocero, contravvenendo all’ordine del governatore di Milano, che aveva disposto l’illuminazione di tutti gli edifici religiosi di Milano per onorare la deputazione della Romagna venuta ad offrire a Vittorio Emanuele II il potere politico della regione, già appartenente al governo pontificio. Fu l’unica disobbedienza nella capitale lombarda!

I missionari di San Calocero (così chiamati dalla loro chiesa a Milano) erano presi di mira dai giornali anti-cattolici, particolarmente attivi. Ecco le gentili parole che «Il Pungolo» dedica alla partenza dei missionari nel gennaio 1865: «I giornali clericali annunziano che mercoledì venturo partiranno da Milano tre missionari con due suore di carità per le Indie orientali. Furbi quei missionari! Hanno trovato che, in certi paesi barbari, le suore possono servire assai bene. Buon viaggio a loro! Così tutti i frati e le monache che poltriscono nei nostri conventi, si decidessero a partire per le Indie! Ci farebbero un gran servizio!».

Nel 1867, ancora «Il Pungolo», preoccupato per la voce di una prossima nomina di Marinoni a vescovo di Como, scrive che «il famoso Marinoni... si può dire il comandante generale del biscottismo milanese»... Nel milanese i cattolici papalini erano chiamati “biscotti”, cioè cotti due volte. E’ appassionante conoscere la storia del nostro grande e bel paese, non per dividerci (siamo tutti italiani!), ma solo per capire bene come siamo nati. Conoscendo la storia si capisce anche l’attualità.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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Segnalazioni


Istituita una Cattedra UNESCO di Bioetica e Diritti Umani
Presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e l'Università Europea di Roma
ROMA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) ha firmato un accordo con l'Università Europea di Roma e l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum con cui si istituisce una Cattedra UNESCO di Bioetica e Diritti Umani.

La Cattedra è inserita all'interno dell'Istituto di Bioetica e Diritti Umani, sostenuto dalla Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Europea di Roma.

La presentazione della Cattedra avverrà lunedì 22 marzo, alle 18.00, nella sede dell'Ateneo Pontificio e dell'Università Europea (Via degli Aldobrandeschi 190, Roma).

Interverranno il prof. Henk Ten Have, Direttore della Divisione di Etica della Scienza e della Tecnologia dell'UNESCO; il prof. Alberto García, Direttore della Cattedra UNESCO di Bioetica e Diritti Umani; padre Friedrich Bechina, F.S.O., officiale della Congregazione per l'Educazione Cattolica; il prof. Enrico Garaci, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

L'incontro sarà preceduto da un saluto dell'ambasciatore Lucio Alberto Savoia, Segretario Generale della Commissione Nazionale Italiana per l'UNESCO, di padre Pedro Barrajón LC, Rettore dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e di padre Paolo Scarafoni LC, Rettore dell'Università Europea di Roma.

La Cattedra, ricordano gli organizzatori, "promuove un ampio interscambio di idee e la condivisione di esperienze diverse attraverso il dialogo tra le istituzioni di educazione superiore di diversi Paesi, specialmente dei Paesi in via di sviluppo".

I partner iniziali (UNITWIN) sono la Universidade Agostinho Neto di Luanda (Angola) e l'Universidad Anáhuac di Città del Messico. E' prevista, in futuro, la partecipazione di altri partner interessati all'iniziativa.

La Cattedra UNESCO "stabilisce uno spazio di riflessione, studio ed informazione sull'applicazione dei principi di bioetica nella scienza, la medicina e le nuove tecnologie, alla luce della Dichiarazione Universale sulla Bioetica e i Diritti Umani dell'UNESCO".

Attraverso la formazione integrale, la ricerca e l'informazione, "vuole contribuire al riconoscimento e alla promozione di una visione globale ed integrale della bioetica, portando alla luce i valori e i principi universali e le loro implicazioni legali in relazione ai diritti umani".

Tra le principali aree di interesse della Cattedra, Neurobioetica, Bioetica, Multiculturalismo e Religioni, Bioetica e Mass media, Bioetica ed Arte, Etica delle nanotecnologie, Dignità ed equità nella salute delle donne, Bioetica ed Ecologia umana, Osservatorio di Bioetica.

Per ulteriori informazioni: tel. 06 665431, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum - www.upra.org, Università Europea di Roma - www.unier.it. Link alla pagina ufficiale della Cattedra UNESCO di Bioetica e Diritti umani: www.unescobiochair.org, link alla pagina delle Cattedre UNESCO di Bioetica: http://portal.unesco.org/education/en/ev.php-URL_ID=16956&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html.

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Interviste


"La politica laicista del Governo spagnolo è evidente, aggressiva e belligerante"
Parla José Andrés Rozas, di "Juristes Cristians de Catalunya Duran i Bas"
di Nerea Rodríguez del Cuerpo

BARCELLONA, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Anche se ci sono stati progressi sostanziali nel finanziamento, persistono questioni spinose che dividono la Chiesa dallo Stato spagnolo.

Lo afferma José Andrés Rozas, membro del Consiglio dell'Associazione di Giuristi Cattolici della Catalogna Duran i Bas (http://www.juristescristians.org/cream/). Rozas è anche decano dell'Università Abat Oliba CEU (www.uao.es) di Barcellona, dove insegna Diritto Tributario.

In che situazione si trova il dialogo tra la Chiesa cattolica e il Governo spagnolo?

J.A. Rozas: Difficile, anche se ci sono stati momenti di distensione. Ad esempio, in termini di finanziamento sono stati compiuti progressi sostanziali. La modifica dell'accordo dell'anno scorso tra il Governo e la Conferenza Episcopale ha definito il sistema di finanziamento e lo ha migliorato notevolmente.

E' scomparsa la sovvenzione diretta e si è incrementata la partecipazione all'IRPF, che è il finanziamento attraverso i fedeli. Questo è molto positivo e interessante, per entrambe le parti. E' stata anche eliminata una distorsione sull'IVA che era molto dannosa.

Le relazioni, però, non possono essere facili visto che la posizione del Governo in termini ideologici è molto marcata e la politica laicista è evidente, aggressiva e belligerante. Questo pone la Chiesa in una situazione molto difficile, che si è espressa nell'iter della Legge sulla Salute Sessuale e Riproduttiva e sull'Interruzione Volontaria di Gravidanza.

Sarebbe d'accordo ad affermare che in Spagna la religione è stata espulsa dalla vita pubblica?

J.A. Rozas: L'impegno ad espellerla dalla vita pubblica è stata un revulsivo interessante per la società civile. I cattolici si sono sentiti interpellati e ci sono state reazioni, e se ci sono reazioni vuol dire che c'è vita. Se ne può dare un'interpretazione positiva.

Il problema è come si presenta questa voce, ma si sta migliorando molto nella presentazione della comunicazione della Conferenza Episcopale, di associazioni laicali e della struttura della società su iniziative come quelle della difesa di fronte alla Legge sull'aborto. Il mondo intellettuale cattolico sta reagendo agilmente.

Che atteggiamento dovrebbe adottare l'Esecutivo di fronte al fenomeno religioso e alle varie confessioni religiose?

J.A. Rozas: Di rispetto, senza dubbio. E' sorprendente perché sembra che l'unico pregiudizio ammissibile nel dibattito pubblico sia quello anticattolico, e ciò non ha senso. E' nota la frase "Tutte le opinioni sono rispettabili", ed è così, tranne quella dei cattolici. Meritiamo almeno lo stesso rispetto di qualsiasi altra confessione.

Dal punto di vista antropologico, lo Stato deve comprendere che il fenomeno religioso è inerente all'uomo, in qualsiasi delle sue manifestazioni. Il credente non è un marziano, è un cittadino di pieno diritto.

Lo Stato tende fortemente ad ammettere l'agnosticismo come dottrina pubblica e la dimensione religiosa come patologia, o quantomeno come una questione da restringere all'ambito privato. E' un'idea che nega la realtà. E' anche settaria, perché presuppone di imporre come dottrina pubblica l'agnosticismo, che è il problema dell'Educazione alla Cittadinanza.

Il Governo, allora, non rispetta sufficientemente la libertà d'espressione dei cattolici?

J.A. Rozas: Si è creato un clima di opinione pubblica in cui funziona qualcosa di molto dannoso e molto peggiore della censura: l'autocensura. Tutti sono consapevoli di cosa bisogna dire per non essere espulsi dalla società civile e condannati alla morte intellettuale.

Il problema è che l'opinione del cattolico è relegata, nel migliore dei casi, all'angolo delle stravaganze e delle stranezze intellettuali. C'è un pregiudizio singolare: partire dalla premesse per cui tutto ciò che dice un cattolico lo dice perché glielo comandano i Vescovi ed è inoltre un'imposizione per il resto dei cittadini. Ciò presuppone il fatto di trattare i cattolici come persone incapaci di ragionare di per sé. Presuppone anche il fatto di partire dalla premessa per cui l'unico che impone è anche colui che propone l'impostazione cattolica per risolvere le questioni sociali.

L'impostazione deve essere situata in questo schema: ci sono diversi modi di risolvere i problemi della società, e uno di questi è la proposta della Dottrina Sociale della Chiesa, un altro è la proposta laicista e agnostica. Nel dibattito politico può trionfare l'una o l'altra, ma deve essere chiaro che non è che un atteggiamento è intromissivo e impositivo e l'altro neutrale e asettico.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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"Quando un sacerdote si mobilita davvero, i fedeli lo seguono"
Intervista a don Pigi Perini, animatore di un nuovo metodo di evangelizzazione

di Isabelle Cousturié


MILANO, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Dal 26 al 30 maggio prossimo, la parrocchia di Sant'Eustorgio a Milano, accoglierà sacerdoti e laici di diversi continenti per un nuovo Seminario internazionale sulle Cellule parrocchiali di Evangelizzazione.

Questo sistema introdotto in Europa 22 anni fa sta sperimentando una forte crescita in tutto il mondo. Il seminario presterà speciale attenzione all'impegno dell'Organismo internazionale di Servizio del Sistema di Cellule parrocchiali di Evangelizzazione nella diffusione di questo metodo nei paesi più lontani, dall'Africa alla Cina.

L'iniziativa propone, inoltre, un Colloquio internazionale per sacerdoti, il 27 maggio, sul tema “Il sacerdote nella nuova evangelizzazione”, così come una formazione specifica per i leader di queste Cellule, il 28 e il 29 maggio.

Il Seminario si rivolge a tutti coloro che desiderano scoprire il metodo di don Pigi Perini, parroco di Sant'Eustorgio e presidente dell'Organismo internazionale delle cellule. Un sistema introdotto in Europa e a cui si deve “assicurare la perennità”, secondo quanto si afferma nel decreto di riconoscimento pubblicato ufficialmente dalla Santa Sede nel maggio del 2009

Questo riconoscimento premia un servizio che aiuta i sacerdoti a sviluppare una coscienza missionaria nei fedeli della propria parrocchia.

Don Pigi è convinto che “quando un sacerdote si mobilita davvero, i fedeli lo seguono con piacere”.

In questa intervista a ZENIT, il sacerdote ricorda gli obiettivi di queste Cellule e mostra come questo metodo, adattato alla vita parrocchiale, non cessi di suscitare grazie nelle parrocchie dei cinque continenti, “prova vivente della sua fecondità”.

Don Pigi, dal 26 al 30 maggio prossimo, organizzerete il 21° Seminario internazionale sul Sistema di Cellule parrocchiali di evangelizzazione. Avete un tema generale? E su quale punto desiderate insistere in particolar modo?

Don Pigi: Durante il prossimo Seminario ci proponiamo di presentare come tema generale l’impegno dell’Organismo Internazionale di Servizio del Sistema di Cellule Parrocchiali di evangelizzazione riguardante la diffusione del nostro metodo di evangelizzazione anche nei paesi più lontani dall’Africa alla Cina.

Presenteremo la metodologia di evangelizzazione dell’oikos che è il tratto caratteristico della nostra proposta di evangelizzazione: l’evangelizzazione dell’oikos consiste nell’evangelizzazione di coloro che abitualmente si incontrano nella vita quotidiana come parenti, amici, compagni di lavoro, compagni del tempo libero, vicini di casa: sono loro i destinatari dell’annuncio dell’amore di Dio. Ecco perché possiamo dire che tutti sono chiamati ad annunciare Gesù, non solo alcuni consacrati o sacerdoti o missionari o suore, ma tutti, in forza del Battesimo ricevuto, hanno ricevuto il Grande Mandato di Gesù, annunciare l’amore di Dio.

L’evangelizzazione dell’oikos, tuttavia, non è mai possibile, senza la preghiera, perché evangelizzare è opera dello Spirito Santo, noi siamo soltanto semplici e poveri strumenti nelle sue mani. L’impegno di evangelizzazione è prima di tutto un impegno di preghiera: ecco perché nella nostra comunità di S. Eustorgio e direi in quasi tutte le comunità nelle quali sono presenti le cellule è presente l’Adorazione Eucaristica.

Durante il Seminario, sottolineeremo il ruolo dello Spirito Santo, perché, come ha scritto Papa Paolo VI nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi al n° 75 “lo Spirito Santo è l'agente principale dell'evangelizzazione: è lui che spinge ad annunziare il Vangelo e che nell'intimo delle coscienze fa accogliere e comprendere la parola della salvezza”. Occorre educare i fedeli laici e forse anche tanti sacerdoti ad avere un rapporto di familiarità con lo Spirito santo, aprendosi alla sua azione discreta ma al tempo stesso potente.

Le cellule di evangelizzazione puntano al rinnovamento della parrocchia che si trova così a scoprire la sua vera identità e a favorire la vocazione missionaria di tutti i credenti secondo quanto che ci suggerisce Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi al n°. 14 “Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. La Chiesa esiste per evangelizzare” e Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici al n° 33: “I laici, proprio perchè membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo: per questa opera sono abilitati e impegnati dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dai doni dello Spirito Santo”.

Prendendo coscienza di questo incarico, i laici saranno il fermento per trasformare il volto della parrocchia. Ma tutto questo non sarà possibile se il parroco a sua volta non si apre definitivamente e decisamente a ciò che costituisce la singolarità del suo servizio sacerdotale, a ciò che dà un'unità profonda alle mille occupazioni che lo sollecitano durante tutto il corso della sua vita, annunziare il Vangelo di Dio e formare laici evangelizzatori. Così la parrocchia cambierà volto, trasformandosi in una parrocchia viva ed evangelizzatrice.

A chi è rivolto, innanzitutto, questo Seminario e qual è il filo conduttore rispetto all’anno scorso?

Don Pigi: Il Seminario è rivolto a tutti i sacerdoti che desiderano scoprire nuove strade per l’evangelizzazione così da trasformare la loro parrocchia anche secondo gli insegnamenti pontifici (vedi sopra). Questi sacerdoti accompagneranno diversi laici della loro comunità così che questo piccolo nucleo che si è formato, possa rappresentare una forza trainante all’interno della parrocchia stessa. Quest’anno ci occuperemo in modo particolare della formazione di coloro che sono chiamati come leader a guidare questi piccoli gruppi che sono le cellule.

Il Sistema di Cellule parrocchiali di Evangelizzazione è stato riconosciuto ufficialmente dalla Santa Sede un anno fa a maggio. Questo riconoscimento ha avuto un impatto sulla crescita di quest’anno e sul giudizio che alcuni avevano di questo metodo di evangelizzazione?

Don Pigi: Ovviamente, molti pregiudizi sono caduti, perchè questo Riconoscimento ufficiale, da noi non richiesto, ma offertoci dal Pontificio Consiglio per i Laici, ci qualifica come attività della Chiesa universale in quanto tale, garantendo la ortodossia del metodo anche in base ai risultati spirituali e di diffusione fino ad ora raggiunti. Il riconoscimento esprime la volontà della Chiesa di vedere proseguire questo metodo confermando inoltre la cattolicità e la validità pastorale di una proposta in grado di rinnovare profondamente in senso missionario le comunità parrocchiali.

Ci sono parrocchie nuove che hanno deciso di adottare questo metodo?

Don Pigi: La risposta è decisamente sì e risulta dal fatto che varie centinaia o migliaia di parrocchie nel mondo hanno adottato con successo questo metodo di evangelizzazione attraverso le cellule.

Nel Decreto di Riconoscimento, si legge: “Questo perchè la comunità parrocchiale è il tessuto ecclesiale in cui s'innesta tutto il Sistema delle cellule. Il suo sviluppo in numerose nazioni del mondo dimostra la validità di questo metodo, che contribuisce a dare risposta alla chiamata di papa Giovanni Paolo II ad una «nuova evangelizzazione. Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni» (Discorso alla XIX Assemblea del Consiglio Episcopale Latinoamericano, 9 marzo 1983, in Insegnamenti, 1983, vol. VI, t. l, p. 698).

Quest’anno è stato caratterizzato da momenti forti di cui vuole parlarci? Avete avuto qualche eco sulla crescita delle Cellule nel mondo ?

Don Pigi: Dalla consegna del Decreto di Riconoscimento ottenuto il 29 maggio del 2009, nuove iniziative sono nate in molti paesi del mondo intero. Tante comunità ci hanno chiamato a presentare questo metodo e molti sacerdoti e laici sono venuti a conoscere la nostra realtà.

Un’esperienza importante e significativa è stata vissuta da alcune comunità cinesi che, venute a conoscenza di questa metodologia di evangelizzazione a livello parrocchiale, hanno partecipato nel maggio dell’anno scorso al Seminario Internazionale. Abbiamo inoltre visitato alcune comunità parrocchiali del Brasile e del Venezuela, dove l’esperienza delle cellule produce diverse centinaia di cellule.

Un momento significativo è stato vissuto in Irlanda durante il Seminario, al quale io stesso ho partecipato), da loro organizzato in occasione del ventesimo anniversario di presenza delle cellule e

Nel mese di gennaio 2010 si sono riuniti a St Eustorgio i promotori di zona, coloro cioè che si occupano delle cellule presenti in diverse aree geografiche o linguistiche del mondo. Durante questo incontro, ha preso corpo il Sito internazionale delle cellule, che rappresenta lo strumento di comunicazione consultabile a questo indirizzo: www.cells-evangelization.org, inoltre, è stata creata un’equipe internazionale che si occuperà della formazione dei leader e co-leader.

Durante l’incontro abbiamo avuto modo di conoscere come e quanto le cellule si stiano diffondendo in tutto il mondo: proprio oggi ho saputo che 17 cellule sono nate in una parrocchia della Lettonia e che da questa parrocchia 30 persone parteciperanno al prossimo seminario del 26-30 maggio p.v.

In quali paesi questo nuovo modo di vivere la parrocchia incontra il maggior numero di simpatizzanti?

Don Pigi: Francia, Belgio, Irlanda, Italia, Brasile e Venezuela ecc., paesi dell’Est Europeo, in una parola, la dove la parrocchia tende ad addormentarsi, le cellule possono rappresentare un’occasione per rinnovare profondamente parroco e fedeli laici. Le cellule attraverso l’Adorazione perpetua, la sensibilizzazione da parte del pastore all’impegno di evangelizzazione, l’esercizio dell’evangelizzazione da parte dei membri di cellula e del leader possono produrre quel risveglio desiderato per cui la parrocchia non deve più riconoscersi nel gigante addormentato di cui ha parlato il Cardinale Hume.

Le parrocchie francesi sono recettive?

Don Pigi: La Francia ha corrisposto con molto entusiasmo alla proposta di Nuova Evangelizzazione rappresentata dalle cellule, anche perchè le percentuali di frequentazione della chiesa erano estremamente preoccupanti, arrivando al di sotto del 5%. Questa contingenza ha aperto il cuore di pastori e di fedeli laici alla necessità di porre un argine a questa situazione di allontanamento della fede e in molti casi questo argine ha funzionato con buon successo. Numerose parrocchie, sostenute dagli insegnamenti pontifici, hanno riscoperto l’ansia di reagire alla progressiva riduzione dei fedeli con un impegno di evangelizzazione deciso desunto dal mandato stesso di Gesù alla chiesa: “andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura” Mt 28,19. Così è nata da oltre venti anni questa esperienza di evangelizzazione delle cellule.
 
Durante questo Seminario, una giornata sarà dedicata al “Sacerdote nella nuova evangelizzazione”, immagino in rapporto con l’Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI. Mi parli dell’importanza di questa giornata?

Don Pigi: Durante il 21° seminario che si svolgerà dal 26-30 maggio, la giornata del 27 sarà dedicata ai sacerdoti. L’importanza di questa giornata la desumo dal fatto che la nuova evangelizzazione potrà aver successo solo se, sostenuta dallo Spirito Santo, vedrà i pastori impegnati in prima linea. Questa è una necessità che coinvolge il mondo intero. Noi, avremo l’occasione di incontrare sacerdoti di ogni continente e di moltissime nazioni con i quali cercheremo di scoprire la vocazione specifica del sacerdote alla evangelizzazione fornendo contemporaneamente la possibilità di usufruire di un metodo che, secondo quanto detto dal Decreto di riconoscimento del Pontificio Consiglio per i Laici, può “offrire, con l’aiuto della Grazia divina, occasione di conversione personale e comunitaria, nella consapevolezza che evangelizzare è la vocazione propria della Chiesa. Questa consapevolezza è da trasmettere ai fedeli laici che per la loro appartenenza alla chiesa radicata nel sacramento del battesimo possiedono la vocazione e la missione di essere annunciatori del vangelo, e sono quindi chiamati a rinnovare la loro appartenenza alla parrocchia in modo da farla divenire una comunità ardente di fede e proiettata all’evangelizzazione dei lontani.”

Ci saranno molti interventi durante questi giorni. Verranno a testimoniare o ad insegnare ?

Don Pigi: Ambedue le cose. Verrà presentato dettagliatamente il metodo di evangelizzazione così come ci saranno testimonianze di sacerdoti e laici la cui vita è cambiata attraverso l’esperienza delle cellule.
 
Don Pigi, da un anno il Pontificio Consiglio per i Laici ha assunto in modo definitivo questo metodo di evangelizzazione. Qual è il vostro personale sentimento di fronte a questa grande missione nel mondo attuale?

Don Pigi: Sono spaventato, perchè mi si affida un compito certamente superiore alle mie capacità. Ma confido completamente nello Spirito Santo che già dai primi tempi della mia presenza in St. Eustorgio attraverso Proverbi 16,3 mi ha suggerito: “Affida al Signore le tue attività e i tuoi progetti riusciranno”. Qui non si tratta di un mio progetto, ma del farmi carico, con l’aiuto della grazia divina, del compito che ogni battezzato deve sentire come suo e che Gesù allorché sta per lasciare la scena del mondo affida alla chiesa da allora. Questa scoperta ha cambiato radicalmente la mia vita. Ho lasciato parecchie attività e hobbies che pur nella loro legittimità indiscussa potevano erigere uno ostacolo al mio impegno di parroco come evangelizzatore.

Quando nel 1986 ho scoperto in America nella parrocchia di San Boniface in Penbroke Pines guidata da p. Michael Eivers che una parrocchia nuova, ardente di amore per Gesù e capace di una evangelizzazione corrispondente alla sua stessa natura (“La Chiesa esiste per evangelizzare” Evangelii Nuntiandi al n° 14) ho vissuto in me una iniziale conversione che man mano è diventata motivo trainante del mio sacerdozio al punto di pensare tutta l’attività della parrocchia in termini di evangelizzazione. Mai più pensavo alla possibilità di un riconoscimento pontificio di questa realtà, ma sentivo pressante l’impegno di lottare e di spendermi per il raggiungimento di questa nuova evangelizzazione, nonostante le numerose difficoltà.

Questa mia situazione, sostenuta dalla forza dello Spirito Santo e dalla Adorazione Eucaristica perpetua, ha contagiato i laici della mia comunità ai quali si sono aperti nuovi orizzonti di impegno per la promozione del Regno di Cristo tra le persone del proprio vicinato. Oggi, questo impegno affidatomi dalla Chiesa lo affido a mia volta e, con grande convinzione, all’azione discreta dello Spirito Santo ( E.N. n° 75) che certamente saprà condurre questa esperienza verso il risultato di una Nuova Evangelizzazione.



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Il Papa chiede più solidarietà e responsabilità alle imprese
Udienza all'Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 18 marzo 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha rivolto questo giovedì mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano ai membri dell'Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma.

* * *

Gentile Presidente,

illustri Signori e Signore!

Sono lieto di porgere il mio cordiale benvenuto a ciascuno di voi, in questa vigilia della festa di San Giuseppe, che è un esempio per tutti coloro che operano nel mondo del lavoro. Rivolgo il mio deferente pensiero al Dottor Aurelio Regina, Presidente dell'Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma, ringraziandolo per le cortesi espressioni che mi ha indirizzato. Con lui saluto la Giunta e il Consiglio direttivo del Sodalizio.

La realtà imprenditoriale romana, formata in gran parte da piccole e medie imprese, è una delle più importanti associazioni territoriali appartenenti alla Confindustria, che oggi opera anch'essa in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione, dagli effetti negativi della recente crisi finanziaria, dalla cosiddetta "finanziarizzazione" dell'economia e delle stesse imprese. Si tratta di una situazione complessa, perché la crisi attuale ha sottoposto a dura prova i sistemi economici e produttivi dei vari Paesi. Tuttavia, essa va vissuta con fiducia, perché può essere considerata un'opportunità dal punto di vista della revisione dei modelli di sviluppo e di una nuova organizzazione del mondo della finanza, un "tempo nuovo"
- com'è stato detto - di profondo ripensamento.

Nell'Enciclica sociale, Caritas in veritate, ho notato che veniamo da una fase di sviluppo in cui si è privilegiato ciò che è materiale e tecnico, rispetto a ciò che è etico e spirituale, ed ho incoraggiato a porre al centro dell'economia e della finanza la persona (cfr n. 25), che Cristo svela nella sua dignità più profonda. Proponendo, inoltre, che la politica non sia subordinata ai meccanismi finanziari, ho sollecitato la riforma e la creazione di ordinamenti giuridici e politici internazionali (cfr n. 67), proporzionati alle strutture globali dell'economia e della finanza, per conseguire più efficacemente il bene comune della famiglia umana. Seguendo le orme dei miei predecessori, ho ribadito che l'aumento della disoccupazione, specie giovanile, l'impoverimento economico di molti lavoratori e l'emersione di nuove forme di schiavitù, esigono come obiettivo prioritario l'accesso ad un lavoro dignitoso per tutti (cfr nn. 32 e 63). Ciò che guida la Chiesa nel farsi promotrice di un simile traguardo è il convincimento che il lavoro è un bene per l'uomo, per la famiglia e per la società, ed è fonte di libertà e di responsabilità. Nel raggiungimento di tali obiettivi sono ovviamente coinvolti, assieme ad altri soggetti sociali, gli imprenditori, che vanno particolarmente incoraggiati nel loro impegno a servizio della società e del bene comune.

Nessuno ignora quanti sacrifici occorre affrontare per aprire o tenere nel mercato la propria impresa, quale "comunità di persone" che produce beni e servizi e che, quindi, non ha come unico scopo il profitto, peraltro necessario. In particolare le piccole e medie imprese risultano sempre più bisognose di finanziamento, mentre il credito appare meno accessibile ed è molto forte la concorrenza nei mercati globalizzati, specie da parte di quei Paesi dove non vi sono - o sono minimi - i sistemi di protezione sociale per i lavoratori. Ne deriva che l'elevato costo del lavoro rende i propri prodotti e servizi meno competitivi e sono richiesti sacrifici non piccoli per non licenziare i propri lavoratori dipendenti e consentire ad essi l'aggiornamento professionale.

In tale contesto, è importante saper vincere quella mentalità individualistica e materialistica che suggerisce di distogliere gli investimenti dall'economia reale per privilegiare l'impiego dei propri capitali nei mercati finanziari, in vista di rendimenti più facili e più rapidi. Mi permetto di ricordare che invece le vie più sicure per contrastare il declino del sistema imprenditoriale del proprio territorio consistono nel mettersi in rete con altre realtà sociali, investire in ricerca ed innovazione, non praticare un'ingiusta concorrenza tra imprese, non dimenticare i propri doveri sociali ed incentivare una produttività di qualità per rispondere ai reali bisogni della gente. Esistono varie riprove che la vita di un'impresa dipende dalla sua attenzione a tutti i soggetti con cui intesse relazioni, dall'eticità del suo progetto e della sua attività. La stessa crisi finanziaria ha mostrato che entro un mercato sconvolto da fallimenti a catena, hanno resistito quei soggetti economici capaci di attenersi a comportamenti morali e attenti ai bisogni del proprio territorio. Il successo dell'imprenditoria italiana, specie in alcune regioni, è sempre stato caratterizzato dall'importanza assegnata alla rete di relazioni che essa ha saputo tessere con i lavoratori e con le altre realtà imprenditoriali, mediante rapporti di collaborazione e di fiducia reciproca. L'impresa può essere vitale e produrre "ricchezza sociale" se a guidare gli imprenditori e i manager è uno sguardo lungimirante, che preferisce l'investimento a lungo termine al profitto speculativo e che promuove l'innovazione anziché pensare ad accumulare ricchezza solo per sé.

L'imprenditore attento al bene comune è chiamato a vedere la propria attività sempre nel quadro di un tutto plurale. Tale impostazione genera, mediante la dedizione personale e la fraternità vissuta concretamente nelle scelte economiche e finanziarie, un mercato più competitivo ed insieme più civile, animato dallo spirito di servizio. E' chiaro che una simile logica di impresa presuppone certe motivazioni, una certa visione dell'uomo e della vita; un umanesimo, cioè, che nasca dalla consapevolezza di essere chiamati come singoli e comunità a far parte dell'unica famiglia di Dio, che ci ha creati a sua immagine e somiglianza e ci ha redenti in Cristo; un umanesimo che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità; un umanesimo aperto a Dio e proprio per questo aperto all'uomo e ad una vita intesa come compito solidale e gioioso (cfr n. 78). Lo sviluppo, in qualsiasi settore dell'esistenza umana, implica anche apertura al trascendente, alla dimensione spirituale della vita, alla fiducia in Dio, all'amore, alla fraternità, all'accoglienza, alla giustizia, alla pace (cfr n. 79). Mi piace sottolineare tutto questo mentre ci troviamo in Quaresima, tempo propizio per la revisione dei propri atteggiamenti profondi e per interrogarsi sulla coerenza tra i fini a cui tendiamo e i mezzi che utilizziamo.

Gentili Signori e Signore, vi lascio queste riflessioni. E, mentre vi ringrazio per la vostra visita, auguro ogni bene per l'attività economica, come pure per quella associativa, e volentieri imparto a voi e a tutti i vostri cari la mia Benedizione.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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