lunedì 25 gennaio 2010

ZI100125

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 25 gennaio 2010

Santa Sede

Notizie dal mondo

Italia

Segnalazioni

Interviste

Forum

Documenti

Documenti sulla web di ZENIT


Santa Sede


Il Papa invita tutti i cristiani a dare già ora una testimonianza comune
In questioni chiave come la bioetica, l'ecologia o la lotta alla povertà

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Papa Benedetto XVI ha chiesto questo lunedì a tutti i cristiani, durante la sua omelia nei Vespri solenni celebrati nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, di non attendere la piena unità per dare una testimonianza comune, ma di farlo già ora per quanto possibile.

Nella celebrazione che conclude gli atti della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani e che ha riunito i rappresentanti delle confessioni cristiane presenti a Roma, il Pontefice ha chiesto a ciascuno di "dare il suo apporto per compiere quei passi che portino verso la comunione piena".

Anche se "non mancano, purtroppo, questioni che ci separano gli uni dagli altri e che speriamo possano essere superate attraverso la preghiera e il dialogo", ha ammesso, "c'è un contenuto centrale del messaggio di Cristo che possiamo annunciare tutti assieme".

Questo messaggio, ha spiegato, è "la paternità di Dio, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte con la sua croce e risurrezione, la fiducia nell'azione trasformatrice dello Spirito".

"Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del nostro tempo".

Tra queste sfide, ha segnalato "la secolarizzazione e l'indifferenza, il relativismo e l'edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita, i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni religiose".

Allo stesso modo, ha aggiunto, ci sono nuovi campi "nei quali dobbiamo sin da ora dare una comune testimonianza": "la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l'impegno per sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l'indigenza, l'analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni".

Edimburgo

In questo senso, ha ricordato l'intuizione fondamentale della Conferenza missionaria del 1910 di Edimburgo - della quale quest'anno si celebra il centenario - per cui i cristiani non possono annunciare il Vangelo in modo credibile se sono divisi.

La Conferenza, ha affermato il Papa, è stata "un evento determinante per la nascita del movimento ecumenico moderno".

E' proprio "il desiderio di annunciare agli altri il Cristo e di portare al mondo il suo messaggio di riconciliazione che fa sperimentare la contraddizione della divisione dei cristiani", ha spiegato.

"Come potranno, infatti, gli increduli accogliere l'annuncio del Vangelo se i cristiani, sebbene si richiamino tutti al medesimo Cristo, sono in disaccordo tra loro?".

"Ad un secolo di distanza dall'evento di Edimburgo, l'intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima", ha riconosciuto il Pontefice.

"In un mondo segnato dall'indifferenza religiosa, e persino da una crescente avversione nei confronti della fede cristiana, è necessaria una nuova, intensa, attività di evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo, ma anche in quelli in cui il Cristianesimo si è diffuso e fa parte della loro storia".

Ricordando l'Anno Paolino, Benedetto XVI ha sottolineato che la testimonianza comune della fede, "allora come oggi, nasce dall'incontro col Risorto, si nutre del rapporto costante con Lui, è animata dall'amore profondo verso di Lui".

"La forza che promuove l'unità e la missione sgorga dall'incontro fecondo e appassionante col Risorto, come avvenne per San Paolo sulla via di Damasco", ha concluso.

All'inizio dei Vespri, il Cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio epr la Promozione dell'Unità dei Cristiani, ha sottolineato in questo senso che "ecumenismo e missione sono inseparabili, sono per così dire gemelli".

"Come possiamo assolvere in maniera credibile il compito lasciatoci da nostro Signore che è quello di annunciare l'unità, la riconciliazione e la pace se noi stessi cristiani non siamo uniti e riconciliati tra noi?", si è chiesto.

"Missione ed ecumenismo sono gli impegni più importanti che il mondo odierno e la cristianità devono riuscire a portare avanti", ha risposto.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


La Chiesa lancia il più grande sondaggio mai realizzato in Medio Oriente
In preparazione al Sinodo dei Vescovi
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La preparazione del Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente, che si svolgerà dal 10 al 24 ottobre a Roma, sta permettendo alla Chiesa di realizzare il più grande sondaggio socio-religioso svolto in questa regione.

La Segreteria Generale del Sinodo ha inviato a tutte le Diocesi i "Lineamenta" (Orientamenti), redatti dai membri del Consiglio Presinodale (8 Patriarchi, 4 Capi dei Dicasteri della Curia Romana e i Presidenti delle Conferenze Episcopali della Turchia e dell'Iran) per specificare i temi che costituiranno le argomentazioni per il vertice episcopale, che sarà presieduto da Benedetto XVI.

Accanto ai temi, che ruotano intorno all'argomento "La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un?anima sola' (At 4, 32)", si presentano, come in ogni sondaggio, domande concrete, le cui risposte serviranno per redigere il Documento di lavoro ("Instrumentum laboris") che caratterizzerà l'agenda del Sinodo.

A differenza di un classico sondaggio, le domande inviate in 4 lingue (arabo, francese, inglese e italiano) dall'organismo che prepara il Sinodo non suggeriscono le risposte, lasciandole aperte.

Ad esempio, il capitolo dedicato a "La Chiesa cattolica in Medio Oriente" chiede, tra le altre cose: "Come far crescere il rispetto della libertà di religione e della libertà di coscienza?".

Una delle sfide più gravi che affrontano i cattolici viene presentata dal documento con questa domanda: "Cosa si può fare per arrestare o rallentare l'emigrazione dei cristiani del Medio Oriente?".

Dopo aver analizzato la difficile realtà politica mediorientale, il testo chiede: "Le nostre Chiese si adoperano per formare 'quadri' cristiani che possano contribuire alla vita sociale e politica dei nostri Paesi? Cosa potrebbero fare?".

Anche il capitolo "La comunione ecclesiale" pone alcune domande precise, come: "L'atteggiamento della 'gente di Chiesa' nei confronti del denaro vi pone problemi?".

La parte dedicata a "La testimonianza cristiana" presenta domande di base ma decisive per il futuro della Chiesa in Medio Oriente, come "La catechesi prepara i nostri giovani a comprendere e a vivere la fede?" o "Ritenete che la Liturgia avrebbe bisogno di essere riformulata?".

In un Sinodo sul Medio Oriente non possono mancare le domande sulle relazioni con l'islam e l'ebraismo, che i "Lineamenta" presentano in questi termini: "Come interpretare i rapporti con l'ebraismo come religione, e come promuovere la pace e la fine del conflitto politico?", "Quali sono gli ambiti in cui può avvenire la collaborazione con i musulmani?".

La conclusione del documento pone poi una delle domande più difficili per i cattolici: "Perché abbiamo paura dell'avvenire?". Il testo riconosce che tra la minoranza cristiana "i nostri atteggiamenti vanno dalla paura allo sconforto, perfino tra alcuni pastori".

Il Sinodo, tuttavia, cerca di dare una speranza ai discepoli di Cristo nella loro terra, motivo per il quale chiede loro: "Come incarniamo la nostra fede nella politica, nella società?" e "Crediamo di avere una vocazione specifica in Medio Oriente?".

Anche se i primi e autorevoli destinatari dei "Lineamenta" sono ovviamente i Vescovi e le Conferenze Episcopali, essi hanno piena libertà di allargare la loro base di consultazione. Dopo aver riunito ed elencato suggerimenti, reazioni e risposte ai vari aspetti dell'argomento dei "Lineamenta", i presuli prepareranno una relazione che invieranno poi alla Segreteria Generale.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Un anno decisivo per lo sbarco della Santa Sede nel mondo digitale
Negli ultimi dodici mesi, la partecipazione a Youtube e a Facebook
di Jesús Colina

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- L'ultimo anno della comunicazione della Santa Sede non è stato caratterizzato solo da crisi comunicative, ma anche da passi ambiziosi perché la sua voce possa essere ascoltata nel mondo digitale.

Questi dodici mesi, in cui i mezzi di comunicazione mondiali hanno dato ampio spazio a questioni come il caso Williamson o il dibattito sul preservativo durante la visita di Benedetto XVI in Africa, sono stati testimoni dello sbarco della Santa Sede su Youtube.

Il canale ufficiale vaticano in questa rete sociale per video (http://www.youtube.com/vatican) è stato presentato in 4 lingue il 23 febbraio 2009. Si è potuto compiere questo passo dopo l'approvazione da parte di Benedetto XVI di una proposta del direttore del Centro Televisivo Vaticano (CTV), padre Federico Lombardi S.I.

Quasi 2,5 milioni di video sulla vita e l'attività del Papa sono stati riprodotti totalmente su questo canale, come si può constatare sulle statistiche del sito, che ora presenta anche trasmissioni in diretta di incontri con il Santo Padre.

Per i giovani

Il 2009 è stato anche l'anno in cui il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha lanciato il sito "Pope2you" (http://www.pope2you.net), uno strumento che utilizzando Facebook, l'Iphone o altre applicazioni, come ha spiegato il presidente del dicastero, l'Arcivescovo Claudio Maria Celli, è pensato "perché i giovani abbiano un rapporto con il Papa e il Papa con i giovani".

A Natale, ad esempio, il sito ha ricevuto due milioni di accessi, un dato "molto positivo" secondo il presule. I giovani hanno potuto porgere al Papa gli auguri natalizi e si sono scambiati 70.000 cartoline con immagini e messaggi del Pontefice.

Grazie al sito, i giovani stanno ora promuovendo il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace, e, come ha annunciato l'Arcivescovo Celli, lo strumento presto "inviterà i giovani a farsi interpreti presso i loro sacerdoti del messaggio che il Papa ha rivolto in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali".

Altre iniziative

L'importanza che la Santa Sede dà alla comunicazione nel mondo digitale ha potuto constatarsi quest'anno anche con il primo seminario per i Vescovi responsabili delle Comunicazioni Sociali nelle Conferenze Episcopali, organizzato dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali dal 9 al 13 marzo.

Alla fine di ottobre, dall'altro lato, il dicastero ha intrapreso un processo di redazione di un documento che permetterà di aggiornare la pastorale della Chiesa nel settore della comunicazione, visto che l'istruzione pastorale "Aetatis Novae" attualmente vigente è stata pubblicata il 22 febbraio 1992, quando poche persone al mondo conoscevano il significato della parola Internet.

Un altro evento inedito è stata l'accoglienza in Vaticano dei rappresentanti di Facebook, Wikipedia, YouTube o Identi.ca in occasione dell'assemblea della Commissione Episcopale Europea per i Media, dal 12 al 15 novembre, per discutere sul tema "La cultura di Internet e la comunicazione della Chiesa".

Una presenza già consolidata

Questi nuovi passi della Santa Sede per essere presente nel mondo digitale non devono far dimenticare le sua presenza nei mezzi "classici" di comunicazione, attraverso la pagina ufficiale www.vatican.va (tra i 12.000 siti più visitati del pianeta, secondo www.alexa.com), in cui si può consultare la Sala Stampa, il quotidiano "L'Osservatore Romano", il servizio di notizie Vatican Information Service (VIS) e le trasmissioni del Centro Televisivo Vaticano.

La Santa Sede è presente in Internet anche attraverso la "Radio Vaticana" (http://www.radiovaticana.org/), l'agenzia missionaria Fides (www.fides.org), la sua pagina per i sacerdoti (www.clerus.org), affiancata quest'anno da una pagina dedicata all'Anno Sacerdotale (www.annussacerdotalis.org), la pagina del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (http://www.justpax.it) o quelle del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (www.pccs.va e www.intermirifica.net).

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Mons. Piero Pioppo, Nunzio apostolico in Camerun e Guinea Equatoriale
Era Prelato dell

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha nominato Nunzio apostolico in Camerun e in Guinea Equatoriale mons. Piero Pioppo, finora Consigliere di Nunziatura e Prelato dell'Istituto per le Opere di Religione, elevandolo allo stesso tempo alla sede titolare di Torcello, con dignità di Arcivescovo.

Mons. Piero Pioppo è nato a Savona il 29 settembre 1960. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1985. Si è incardinato ad Acqui Terme. È laureato in Teologia Dogmatica.

Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede il 1° luglio 1993, ha prestato la propria opera presso le Rappresentanze pontificie in Corea, Cile e presso la sezione per gli affari generali della Segreteria di Stato. È stato segretario particolare dell’allora Segretario di Stato Angelo Sodano

È stato nominato Prelato dell'Istituto per le Opere di Religione, il 7 luglio 2006. Conosce il francese, l’inglese e lo spagnolo.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Notizie dal mondo


Pakistan: una bambina cattolica torturata, violentata e uccisa
Dal suo datore di lavoro, un ricco avvocato musulmano

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La violenza contro i cristiani in Pakistan non risparmia neanche i bambini. Shazia Bashir, di 12 anni, è stata infatti torturata, violentata e uccisa dal suo datore di lavoro, un ricco avvocato musulmano di Lahore.

La ragazzina, riferisce l'agenzia Fides, era nata in una famiglia cattolica molto povera e lavorava da otto mesi come domestica in casa dell'avvocato Chaudry Muhammad Neem. Il 22 gennaio è stata picchiata, violentata e assassinata.

Al suo funerale, svoltosi questo lunedì a Lahore, hanno partecipato migliaia di persone, tra cui i Vescovi cristiani di tutte le confessioni. Anche molti musulmani hanno espresso solidarietà per l'accaduto.

Quello di cui è stata vittima Shazia è solo “uno dei tanti episodi di maltrattamenti e sevizie che i cristiani subiscono – specie quelli più poveri – quando sono impiegati come lavoratori (per servizi spesso molto umili) nelle case di musulmani”, ricorda Fides.

La ragazzina riceveva 1.000 rupie al mese (circa 12 dollari statunitensi) per aiutare la famiglia, composta dai genitori, due sorelle sposate e un fratellino di otto anni.

I genitori hanno raccontato che da giorni non era loro permesso di vedere la figlia. Dopo molte richieste, è stata restituita con segni evidenti di violenze e torture. E' stata immediatamente portata all’ospedale Jinnah di Lahore, ma i medici non hanno potuto fare nulla per salvarla.

L’avvocato ha cercato di comprare il silenzio dei genitori, offrendo 20.000 rupie (circa 250 dollari), ma loro hanno denunciato la vicenda.

In un primo momento la polizia non voleva registrare l’accaduto, ma le proteste dei cristiani hanno portato il caso all’attenzione dell’opinione pubblica.

Il Presidente del Pakistan, Ali Zardari, ha stanziato un risarcimento di 500.000 rupie (circa 6.000 dollari) per la famiglia di Shazia, mentre il Ministro per gli Affari delle Minoranze, Shahbaz Batti, ha assicurato che “i colpevoli saranno condotti dinanzi alla giustizia”.

Situazione insostenibile”

Francis Mehboob Sada, cattolico, Direttore del Christian Study Center di Rawalpindi, ha dichiarato a Fides che “il tragico caso di Shazia non sarà l’ultimo. E’ molto triste. La ragazza è stata torturata e uccisa senza alcun motivo”.

“Era giovane, debole, e cristiana, dunque una vittima perfetta. Proviamo sdegno per una situazione che è insostenibile”, ha aggiunto.

Il Christian Study Center è un luogo ecumenico di documentazione, studio e riflessione, molto apprezzato per la sua opera di monitoraggio e informazione sulla condizione dei cristiani in Pakistan.

“I cristiani sono perseguitati e non sono trattati come gli altri cittadini. Siamo discriminati. Nella società i cristiani, specialmente delle famiglie povere, subiscono ogni forma di violenza e vessazioni. Abbiamo documentato una sequela di casi che lo testimoniano. La polizia e il Governo non fanno molto per proteggerci e spesso molti casi finiscono con l’impunità”, ha denunciato.

Secondo Mehboob Sada, ultimamente “i cristiani hanno rischiato la pulizia etnica” e vivono “tempi di insicurezza e precarietà”.

“I colpevoli si conoscono – ammette –: sono i militanti di un’organizzazione estremista già bandita dal Governo”.

La vicenda di Shazia è stata condannata anche dalla Commissione Nazionale per i Diritti umani e da altre organizzazioni attive nella società civile, mentre alcune associazioni di avvocati hanno difeso Chaudry Muhammad Neem.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


La Caritas e l'Anno europeo contro la povertà
Il 27 gennaio verrà lanciata a Bruxelles la campagna "Zero Poverty"
di Chiara Santomiero

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Verrà lanciata il prossimo 27 gennaio, presso il Parlamento europeo di Bruxelles, la campagna “Zero Poverty” promossa da Caritas Europa per l’anno 2010 designato dalle istituzioni europee “anno della lotta alla povertà e all’esclusione sociale”. Alcuni dei contenuti della campagna sono stati illustrati ad un incontro degli operatori diocesani per la comunicazione di Caritas italiana tenutosi a Roma nello scorso fine settimana.

“E’ la prima volta – ha spiegato don Livio Corazza, responsabile del Servizio Europa di Caritas italiana - che si realizza una campagna promossa da Caritas Europa con il coinvolgimento di tutte le 48 Caritas presenti in 44 paesi d’Europa, al di là quindi dell’appartenenza all’Unione europea. E’ il segno della comune azione a favore degli ultimi che fa della Caritas la rete di solidarietà diffusa più capillarmente sul territorio europeo, anche se non sempre adeguatamente valorizzata”.

“Zero Poverty” cioè l’obiettivo di una povertà azzerata, si inserisce nella strategia dell’Anno europeo contro la povertà e l’esclusione sociale che consiste essenzialmente in una campagna di sensibilizzazione a tutti i livelli, dalle istituzioni locali a quelle sovranazionali, ma soprattutto dell’opinione pubblica europea. “Perché impiegare delle risorse economiche in una campagna di sensibilizzazione - ha chiesto in maniera provocatoria Corazza – invece di destinarle direttamente all’abbattimento della povertà?”.

A dieci anni dal varo della strategia di Lisbona che aveva l’obiettivo di “imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà in Europa entro il 2010”, i dati affermano che il 17% della popolazione dei cittadini dell’Unione è a rischio povertà: si tratta di 84 milioni di persone, delle quali 19 milioni sono minorenni.

Nel 2003 il rischio povertà interessava 56 milioni di persone: è quindi aumentato, invece di diminuire, sebbene nelle cifre vadano considerati i cittadini dei paesi che sono entrati nell’Unione in questo arco di tempo. Essere a rischio povertà significa, convenzionalmente, avere un reddito che non raggiunge il 60% del reddito nazionale medio del proprio paese.

“Proprio l’aumento delle cifre relative alla povertà – ha sottolineato Corazza – rende importante la campagna di sensibilizzazione; come possono impegnarsi i governi se i cittadini non capiscono l'entità del fenomeno e non condividono gli obiettivi a cui si punta, ritenendo magari i soldi spesi in questo settore come 'persi'?”.

Infatti “secondo i sondaggi, l’80% dei cittadini dell’Unione ritiene importante la lotta alla povertà, ma 9 cittadini su 10 pensano che intervenire sia compito dei governi e delle istituzioni europee. In questi anni, inoltre, si è verificato spesso che i progetti delle istituzioni verso i più poveri siano stati contrastati dai cittadini che si sentivano derubati delle risorse destinate a questo scopo”.

L’Anno europeo contro la povertà è, quindi, “uno strumento per approfondire la conoscenza di un fenomeno che mette a rischio di vulnerabilità sociale strati sempre più ampi di popolazione e per impegnare l'agenda politica europea e nazionale su questi temi oltre il 2010”.

Proprio nell’ottica della ricerca e dello studio sulla povertà, in occasione del lancio della campagna mercoledì prossimo a Bruxelles, verrà presentato il “Poverty Paper” (“In mezzo a noi”, nella versione italiana), un documento che offre un’analisi sul fenomeno della povertà in Europa corredato da testimonianze, realizzato dalla Commissione politiche sociali di Caritas Europa.

Numerosi gli eventi che segneranno lo svolgimento della campagna “Zero Poverty” - accompagnata dallo slogan “Agisci ora” -, a partire dal prossimo 14 febbraio quando il Santo Padre Benedetto XVI darà il suo contributo all’iniziativa visitando l’ostello per i poveri “Don Luigi Di Liegro” della Caritas di Roma. Con questa visita, il Santo Padre “intende incontrare idealmente tutti i poveri d’Europa, inginocchiandosi davanti a loro e dando l’esempio a tutti”. Per l’occasione, i vescovi europei sono stati invitati ad unirsi al gesto del Papa, visitando un’opera caritativa della propria diocesi.

“L’attenzione alla povertà e all’esclusione – ha affermato il direttore di Caritas italiana, don Vittorio Nozza – fa parte del dna dei cristiani e delle chiese. L’anno europeo contro la povertà dovrebbe provocare la capacità di discernere le sfide che ci stanno di fronte e alcune attenzioni da far crescere, tra le quali quella educativa e l’agire per il bene comune”. Alla società civile, in particolare, occorre chiedere “la presa di coscienza di un rischio povertà che riguarda tutti e che sollecita alla ridefinizione di alcuni stili di vita collettiva insieme alla consapevolezza del proprio ruolo di cittadini in questa strategia a più livelli”.

Una iniziativa concreta in questo senso è la sottoscrizione della petizione popolare per il raggiungimento di quattro obiettivi entro il 2015 – dimezzare il numero di minori che vivono in famiglie il cui reddito è al di sotto della soglia di povertà; garantire a tutti un livello minimo di protezione sociale; aumentare la fornitura di servizi sociali e sanitari; far scendere la disoccupazione sotto il 5%, garantendo a tutti un lavoro decoroso – che può essere firmata sul sito www.zeropoverty.org e che Caritas Europa presenterà alle istituzioni europee dopo aver raccolto un milione di firme.

 

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Per la maggior parte degli statunitensi, l'aborto è "moralmente scorretto"
Risultati di una recente inchiesta dei Cavalieri di Colombo

NEW HAVEN, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Alla vigilia del 37° anniversario della sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso Roe versus Wade, che ha legalizzato l'aborto in tutto il Paese, un'inchiesta recente mostra che la maggior parte degli statunitensi pensa che l'aborto sia “moralmente scorretto”.

La generazione del millennio (coloro che hanno tra i 18 e i 29 anni) considera l'aborto “moralmente scorretto” anche più (58%) della generazione del boom (chi ha tra i 45 e i 64 anni), con il 51%. Il risultato della generazione X (tra i 30 e i 44 anni) è simile a quello della generazione del millennio (il 60%). Nella generazione più anziana (oltre i 65 anni), più di 6 intervistati su 10 pensano la stessa cosa.

Il sondaggio, svolto a fine dicembre e agli inizi di gennaio, è l'ultimo di una serie di inchieste commissionate dai Cavalieri di Colombo e realizzate dall'Istituto Marista per l'Opinione Pubblica.

Nell'ottobre 2008 e nel luglio 2009, l'indagine ha seguito una tendenza crescente verso la posizione pro-vita, confermata dalla Gallup e dallo studio del Centro Pew a metà del 2009.

L'inchiesta dei Cavalieri di Colombo-Maristi è disponibile on-line su www.kofc.org/moralcompass.

“Gli statunitensi di tutte le età – e i giovani in proporzione ancor superiore rispetto ai loro genitori – vedono l'aborto come qualcosa di moralmente sbagliato”, ha detto il Cavaliere Supremo, Carl Anderson.

“Gli Stati Uniti hanno compiuto una virata e stanno abbracciando la vita, e facendolo stanno abbracciando un futuro di cui loro – e tutti noi – possiamo essere orgogliosi”.

“I progressi della tecnologia mostrano chiaramente che un bambino non nato è in tutto un essere umano – ha aggiunto –. Questo, insieme al gran numero di statunitensi che conoscono una delle tante persone che si sono viste coinvolte negativamente dall'aborto, è certamente una ragione per cui gli americani sono sempre più insoddisfatti dell'eredità dell'aborto di Roe v. Wade, e dell'aborto in generale. La maggior parte della popolazione capisce che l'aborto ha conseguenze e che queste non sono positive”.

Quella relativa all'aborto è parte di un'inchiesta più ampia che verrà resa nota nei prossimi giorni.

Il rapporto presenta i risultati di un sondaggio su 2.243 statunitensi – incluso un campione supplementare di 1.006 membri della generazione del millennio. I risultati per gli statunitensi hanno un margine di errore del +/-2%, per la generazione del millennio del +/-3%.

I dati sono stati raccolti dal 23 dicembre 2009 al 4 gennaio 2010, usando un sistema on-line basato sulle probabilità della Knowledge Networks, Inc.

Per ulteriori informazioni, www.kofc.org.



[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Italia


Sacerdoti esemplari e difesa di vita e famiglia
Il sogno del Cardinale Angelo Bagnasco
di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Sacerdoti esemplari e una nuova generazione di italiani in difesa della vita della famiglia e della civiltà. Questo il sogno confessato dal Cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), a Roma questo lunedì pomeriggio.

Il presidente della CEI ha confidato di avere "un sogno" di quelli "che si fanno ad occhi aperti", e cioè che "questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni".

"Ci vuole una comunità cristiana in cui i fedeli laici imparino a vivere con intensità il mistero di Dio nella vita, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verità, della coscienza", ha precisato il porporato, perché "cresce l'urgenza di uomini e donne capaci, con l'aiuto dello Spirito, di incarnare questi ideali e di tradurli nella storia non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera, che dispiega meglio il progetto di Dio sull'umanità, e perciò capaci di suscitare nel tempo l'ammirazione degli altri, anche di chi è mosso da logiche diverse".

In merito ai valori che devono costituire "il fondamento della civiltà", l'Arcivescovo di Genova ha indicato "la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta".

Il presidente della CEI si è mostrato particolarmente sensibile all'Anno Sacerdotale in corso, e ha detto ai confratelli che "sarà importante, in questo tempo, tornare ad interrogarsi sui fondamentali della nostra esperienza sacerdotale, e domandarsi se la nostra vita è strutturata sulla preghiera, e in modo particolare sulla santa Messa e la Liturgia delle Ore, sulla regolare e frequente confessione sacramentale; se siamo pervasi dalla Parola di Dio, ed essa è - più del cibo e delle cose di questo mondo - il nutrimento delle nostre esistenze, impronta del nostro agire e forma del nostro pensare"

"Se aderiamo - ha continuato - senza riserve al nuovo stile di vita proprio del consacrato a Dio; se sappiamo immedesimarci a Cristo, cercando di aderire affettivamente a Lui con i nostri pensieri, la nostra volontà, i sentimenti; se sappiamo trascorrere del tempo e del tempo privilegiato in adorazione dell'Eucaristia; se siamo fedeli agli esercizi spirituali; se accettiamo un'amorosa sottomissione alla volontà di Dio che è adesione anche alle esigenze del ministero, quale che sia, nell'obbedienza pronta e generosa alla Chiesa".

E ancora "se ci dedichiamo agli altri e alla loro salvezza senza rifiutare di partecipare personalmente al caro prezzo della redenzione; se diamo al nostro ministero una radicale forma comunitaria, se è cioè vissuto nella comunione dei presbiteri con il Vescovo; se la passione per gli altri include lo sguardo che avrebbe Gesù al nostro posto e nella promozione del loro disegno di vita, della loro personale vocazione; se per ciò in cui crediamo siamo disposti ad affrontare anche incomprensioni e, quando ci sono, prove e sofferenze".

"In fondo - ha concluso - c'è, per i nostri altri, una prova che noi siamo come il Signore ci vuole: è la gioia di essere preti, gioia mite ma intrattenibile, che dagli occhi traspare e solitamente colpisce chi ci incontra, ed è contagiosa tra i confratelli".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Torniamo a Dio e tutti ne beneficeranno, anche l'ambiente
Il Cardinale Angelo Bagnasco in apertura del Consiglio Episcopale Permanente

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Torniamo a Dio e tutti ne beneficeranno, anche l’ambiente. E' quanto ha detto il Cardinale Angelo Bagnasco nell'aprire questo lunedì pomeriggio, a Roma, i lavori del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che si protrarranno fino 27 gennaio.

Nel corso della prolusione il Presidente della CEI ha fatto riferimento all’evento su “Dio oggi” promosso dal Comitato per il Progetto Culturale, la cui finalità era quella di far sì che “i contemporanei accettino per se stessi tale questione, la riconoscano come un fatto importante della loro esistenza, ne diano conto senza complessi”.

“Ciascuno – ha precisato il porporato – è chiamato a respingere le intimidazioni del secolarismo, le spinte cioè all’interpretazione più privatistica del fatto religioso, quasi si trattasse di una debolezza dell’intelligenza e un cedimento all’irrazionalità”.

Il Cardinale Bagnasco ha spiegato che “c’è tutta una cultura pubblica che, convalidata dall’apparato pubblicitario e in un gioco di rimandi ossessivi, punta all’estraneazione, alla sottovalutazione, quando non all’irrisione del fenomeno religioso”.

Secondo questa mentalità, ha aggiunto, “l’individuo che crede dovrebbe vergognarsene, o almeno dissimulare la propria fede. Ne è segno la nota e inaccettabile vicenda della sentenza di Strasburgo circa l’esposizione del Crocifisso”.

Eppure, per l’Arcivescovo di Genova, “in ognuno è all’opera, in modo aperto o nascosto, il desiderio che Dio si riveli. È il tema inesauribile della ricerca di Dio, su cui per secoli ha indagato la cultura occidentale”.

A questo proposito il Cardinale Bagnasco ha ripreso l’appello del Pontefice Benedetto XVI secondo cui “la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di 'cortile dei gentili' dove gli uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa”.

In questa direzione vanno le iniziative come quelle del Progetto Culturale o la ‘Lettera ai cercatori di Dio’ che “all’apparenza potrebbero sembrare cose scarsamente pertinenti all’attività pastorale ordinaria, e invece creano clima, lasciano affiorare stimoli che vengono ripresi e magari sviluppati, in ogni caso possono dare preziosi contributi per orientare il movimento della cultura in una direzione più aperta alle piene dimensioni dell’intelligenza e della libertà dell’uomo”.

Il Presidente della CEI ha quindi invitato la stessa filosofia “a recuperare la propria rilevanza civile, fuori dalle secche della retorica per restare fedele invece alla propria connotazione teoretica, quale forma della ricerca del vero”.

Con lo stesso approccio di ricerca di Dio Creatore, il Cardinale Bagnasco ha affrontato la problematica di tipo ambientale riprendendo le parole di Benedetto XVI secondo cui “la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni”.

Da qui la conclusione contenuta nella Caritas in veritate che “quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.

Nel rapporto tra l’ecologia umana e la bioetica, il Presidente della CEI ha auspicato che i pubblici poteri, Parlamento, Ministero della salute e Regioni, intervengano per “circoscrivere quanto è più possibile” l’uso e la diffusione della pillola RU 486.

Quanto poi al tema del fine vita, il Cardinale Bagnasco ha sottolineato: “non possiamo non avanzare riserve sulla discutibile 'iniziativa dei registri' che si vanno qua e là aprendo, e che, oltre a rappresentare una fuga irresponsabile in avanti, tendono a precostituire degli esiti al ribasso circa la legge in allestimento, sulla quale invece le forze politiche sono chiamate a dar prova della massima saggezza”.

Il porporato ha infine concluso riaffermando l’urgenza della sfida educativa che non può essere vinta “se si pretende di prescindere da Dio quasi a volerlo confinare nel perimetro del privato individuale” perchè così “viene meno il fondamento ultimo dei contenuti sui quali l’educazione poggia, dalla libertà all’amore, alla ricerca del vero”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Entusiasmo delle associazioni per la prolusione del Cardinal Bagnasco
ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco, tenuta questo lunedì in occasione dell'apertura dei lavori del Consiglio Episcopale Permanente, ha suscitato reazioni di entusiasmo tra i movimenti cattolici.

Il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez, ha dichiarato che "il cardinale Bagnasco invoca sul Paese la necessità di una ‘politica di Pentecoste', cioè la riconciliazione delle spinte contrapposte e mortifere che stanno lacerando il Paese e il ridestarsi di una coscienza sociale sopita e mancante di idealismo".

"Il presidente della CEI - ha continuato Martinez - si appella agli italiani in nome del comune destino umano, con una cifra laica e spirituale insieme che da sempre contraddistingue la nostra tradizione democratica".

Secondo il presidente del RnS, "solo un nuovo sussulto di responsabilità personale, improntata alla ‘cultura della Pentecoste', potrà finalmente rendere manifeste virtù e carismi di cui l'Italia ancora ampiamente dispone; nuove forze di rinnovamento capaci di ridare ordine e decoro sociale al futuro del Paese".

Si tratta di "un appello che, per noi, si traduce in un maggiore impegno educativo, per continuare a sostenere quella nuova generazione evangelicamente formata nella difesa della vita, della famiglia, degli ideali sociali cristiani, uomini e donne che vediamo gioiosamente avanzare nei nostri Gruppi e Comunità".

Per Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, l'intervento del Cardinal Bagnasco contiene una ricca messe di spunti di riflessione che toccano temi particolarmente cari alle famiglie italiane, perché, come afferma lo stesso Cardinale, "la vicenda sociale è oggi, a giudizio della Chiesa, radicalmente antropologica".

"Ma quello per il quale sentiamo di dover ringraziare in modo tutto particolare il presidente della CEI", ha aggiunto Belletti, è l'invito a "ricentrare la politica, anche quella fiscale, sul perno delle famiglie, in particolare quelle con figli, perché da elemento di risulta, che attenua i contraccolpi negativi, diventino soggetto propulsivo di sviluppo".

"Quello che avvertiamo ancora più urgente - ha spiegato il presidente del Forum - è l'apparente incapacità della società di ragionare della famiglia per ciò che realisticamente essa è, ossia la più grande risorsa sociale e culturale del nostro Paese. Non applicarsi ad essa, non darle forza e vigore, non riconoscerle la soggettività di cui è capace è come pretendere di volare continuando tuttavia ad appesantirsi le ali. Bisogna invertire questa tendenza e farlo con la nostra tenacia migliore".

"Famiglia non ‘problema' ma ‘risorsa' per l'intera ‘cosa pubblica'. Sembrerebbe dover essere scontato, eppure è diventata una vera e propria rivoluzione epocale", ha concluso Belletti.

Il professor Lucio Romano, copresidente dell'Associazione Scienza & Vita, si è rivolto al presidente della CEI con gratitudine "per aver dato pubblico riconoscimento al nostro impegno in questo percorso, per averci ulteriormente incoraggiati ed per averci inserito a pieno titolo in quei gruppi che, grazie alla loro creatività culturale, possono dare preziosi contributi per orientare il movimento della cultura in una direzione più aperta alle piene dimensioni dell'intelligenza e della libertà dell'uomo".

"In questi anni - ha sostenuto il prof. Romano - abbiamo perseguito con costanza e responsabilità il nostro ruolo di animatori del dibattito pubblico, portando sempre in primo piano i valori fondanti della nostra antropologia: la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli".

"La prolusione svolta dal Cardinale presidente - ha concluso il copresidente di Scienza & Vita - evidenzia le criticità del nostro tempo, anche e soprattutto per quei temi che ci interpellano più da vicino, spronandoci a vigilare e ad intervenire sul piano culturale per evitare derive e banalizzazioni di ogni specie".

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Segnalazioni


Un DVD per i 100 anni di Madre Teresa di Calcutta
Con immagini inedite risalenti alla sua infanzia, disponibile on line
ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- A 100 anni esatti dalla nascita di Madre Teresa (al secolo Anjeza Gonxhe Bojaxhiu, Skopje, 26 agosto 1910 – Calcutta, 5 settembre 1997), un DVD e un libro, disponibili già on line, presentano l'attualità del suo esempio di carità.

Il documentario "Madre Teresa. Una Bambina di nome Gonxhe", accreditato dell'alto patrocinio della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, racconta il segreto della nascita della vocazione di Madre Teresa, documentando con immagini inedite la sua infanzia, la storia della sua famiglia, il contesto sociale ed economico in cui maturò la sua esistenza esemplare.

Al DVD è allegato un libro con la sua biografia e le testimonianze di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e altri che la conobbero.

Il DVD è disponibile sul sito di HDH Communications, distributore esclusivo dei documentari del Centro Televisivo Vaticano (www.hdhcommunications.com).

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Interviste


In un libro i 50 anni della Filmoteca vaticana
Intervista all'autrice Antonia Pillosio

di Marialuisa Viglione

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Ci sono le pellicole originali di alcuni film premi oscar come “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick, la trilogia del “Signore degli Anelli” del neozelandese Peter Jackson, “Schindler list” di Spielberg, “la Vita è bella” di Benigni, insieme a pellicole di fine Ottocento e di tutto il ‘900, anche un “Inferno” di Dante del 1910 che si pensava perduto, film biblici, i film sui santi, i primi film d’autore e documentari religiosi, documentari unici di popolazioni della Papa Guinea fatto dai missionari.

Tutto questo nella vastissima Filmoteca vaticana, arrivata a 50 anni. Ottomila titoli tra film, documentari e documenti dei pontefici da Leone XIII a Benedetto XVI. Un repertorio accessibile a tutti.

Antonia Pillosio, regista e autrice Rai, che più volte ha utilizzato i filmati del Vaticano per i suoi reportage, per le biografie dei Papi per la tv, ha raccontato tutto questo in un libro “La Filmoteca vaticana a 50 anni dalla sua nascita. Incontri e curiosità”.

La casa editrice è la “Viverein”, cattolica, pugliese, fondata nel 1978.

E così ha pensato per il 50° anniversario di rendere omaggio alla Filmoteca da cui ha tratto tanto materiale, ancora troppo poco conosciuta nonostante la vastità, l’originalità e i pezzi unici.

Intervistata da ZENIT la Pillosio ha spiegato che nella Filmoteca “c’è tutta la documentazione sulla vita dei Papi dell’ultimo secolo. Oltre 150 pellicole del Concilio Vaticano II, i film che produttori e registi hanno donato al Papa e che esaminati dalla commissione Pontificia non sono anticlericali, come invece molto spesso succede nel cinema. Che hanno un respiro universale e che mettono al centro l‘uomo e la sua ricerca di Dio”.

A chi è rivolto il suo libro sulla Filmoteca?

Pillosio: A tutti, soprattutto ai giovani, alle scuole e alle università. E’ una struttura che ha una funzione educativa. Tutti possono usufruire dei filmati. Anche una scuola in Cina, piuttosto che a Londra o negli Stati Uniti si può mettere in contatto con la Filmoteca e richiedere filmati. Sono tutti digitalizzati.

Ma la Chiesa che rapporti ha e ha avuto con il cinema?

Pillosio: Sin dalla nascita del cinema la Chiesa ha visto positivamente questo nuovo traguardo della scienza. Se nel 1895 nasceva il cinema, l’anno dopo, nel 1896, Papa Leone XIII, che tutti ricordiamo per la Rerum Novarum, faceva entrare la cinepresa nei giardini vaticani. E la benediceva insieme a tutti gli uomini che lo avrebbero visto. Sono immagini commoventi.

In Rai ho visto un filmato di Leone XIII e anche altri dei vari Papi, arrivano tutti dalla Filmoteca?

Pillosio: Sì. C’è una collaborazione tra Rai e Filmoteca. Soprattutto ai tempi della presidenza Rai di Ettore Bernabei, grande amico di Paolo VI. Si figuri che quando Paolo VI parlò all’Onu (e fu il primo Papa a farlo), le immagini arrivarono in tutto il mondo grazie ai segnali Rai. Ora il documento, le riprese di quell’avvenimento epocale sono conservate nella Filmoteca.

E i viaggi dei Papi?

Pillosio: Il primo a viaggiare fu Paolo VI. E i suoi viaggi sono tutti documentati nella filmoteca. Per esempio il suo viaggio in Israele è stato ripreso grazie alla Rai.

C’è anche la documentazione di quello che fece Pio XII per i rifugiati?

Pillosio: C’è anche tutto questo. Il documento “Guerra alla guerra” è di propaganda antibellica e dimostra quanto ha fatto il Papa per assistere i rifugiati mettendo a disposizione Castelgandolfo e San Pietro.

I Papi sono sempre stati interessati a tutto ciò che riguarda l’uomo, in particolare i progressi nella comunicazione. Nel suo libro lei dimostra come i Papi hanno creduto all’apostolato attraverso il cinema, sin dalla sua nascita. Il Papa più mediatico è stato comunque Giovanni Paolo II...

Pillosio: E’ quello che più ha avuto un rapporto con i media. Il Cardinale Deskur, suo compagno di seminario in Polonia, è stato l’artefice della sala stampa e progettò la Filmoteca. Quando elessero il suo grande amico Wojtyla lui ebbe un ictus. E la prima uscita del Papa fu all’ospedale a visitarlo.

E il rapporto dei Pontefici con il mondo dello spettacolo?

Pillosio: Giovanni Paolo II era più spontaneo nei confronti degli attori, essendo anche lui stato attore. Pio XII fu il Papa che ebbe più udienze con gli operatori del cinema, 60 in tutto. Era l’epoca del grande cinema in Italia, del neorealismo. E Pio XII, come poi tutti gli altri Papi, raccomandava agli autori attenzione all’uomo e a Dio e alla verità.

Lei descrive con rapidità la storia della Chiesa, l’apertura continua dei Pontefici nei confronti dei media. Qual è il suo messaggio?

Pillosio: Vorrei spronare il mondo imprenditoriale cattolico a produrre film che siano portavoce dei messaggi del Vangelo, dell’allegria tipica di chi è vero cristiano.

Un po’ come ha fatto Bernabei con la sua casa cinematografica Lux Vide?

Pillosio: Sì, lui è stato coraggioso e ha investito tutto in questo, nel trasmettere attraverso i film i valori cristiani. Ed è stato premiato, anche con la produzione dei film biblici.

Lei riporta alcuni documenti in cui i Papi riconoscono ai mass media e in particolare al cinema il ruolo di protagonisti. Ma hanno anche vietato in un certo momento storico che i preti frequentassero le sale cinematografiche.

Pillosio: Sì, perché alcuni film, pur essendo di carattere religioso fuorviavano le menti, discostandosi dagli insegnamenti della Chiesa. Monsignor Claudio Celli, presidente della Pontificia Commissione delle Comunicazioni Sociali, ha detto che anche in Seminario il computer va bene, è un mezzo, ma non un fine. Ci deve essere tempo per il silenzio, la meditazione, l‘orazione. Sì, il web è un buon strumento per arrivare a tutti, per capire il mondo, ma ci vogliono anche spazi per rapportarsi a Dio. Sì ai mezzi di comunicazione ma con moderazione.

Lei è d’accordo con l’apertura della Chiesa al cinema?

Pillosio: Sì, è un’espressione dell’amore che la Chiesa ha per l’uomo. E rivela che è aperta alla novità e al mondo della comunicazione. E viceversa. Quanti film parlano della Chiesa, anche ferendola, con falsità e pregiudizi fuorvianti purtroppo, influenzando negativamente le coscienze. E’ invece importante diffondere i film che elevano l'uomo e ne difendono la dignità, la libertà.

Come mai c’è Kubrick, uomo tormentato e drammatico?

Pillosio: In “2001 Odissea nello spazio” si intuisce la ricerca di Dio, ci sono riflessioni sulla creazione. La vedova volle che dopo il festival di Berlino il film fosse proiettato in Vaticano. E così avvenne alla presenza di Giovanni Paolo II.

E film sull’Olocausto come La vita è bella” e “Schindler's list”?

Pillosio: Sono premi oscar, film importanti, e attualissimi se pensiamo all’attenzione del Papa al mondo ebraico e alla Shoah.

Il film fantastico del “Signore degli Anelli”?

Pillosio: E’ una bellissima fiaba che mette in luce il bene e il male. E la Filmoteca, oltre ai film religiosi, inserisce nel suo ambito quelli che mettono a fuoco il desiderio di bene che è nell‘uomo. I suoi limiti. E la vittoria finale del bene. E’ universale la Chiesa, per tutti.

Mi piacerebbe vedere un film su sant'Anselmo d’Aosta, che fu monaco benedettino nel Medioevo e che viaggiava moltissimo, tanto da diventare Vescovo di Canterbury. Lei si è occupata del cattolicesimo in Gran Bretagna?

Pillosio: Sto scrivendo un libro sui cattolici in Inghilterra a partire dalla conversione al cattolicesimo di Tony Blair. Il suo lavoro in politica gli impediva la conversione. In Inghilterra è impossibile professare una religione se si hanno incarichi in politica.

Antonia Pillosio arriva a Roma da Udine dopo essersi laureata in filmologia. Negli anni 80 collabora con la Rai e la tv giapponese per sperimentare l’alta definizione in tv, in particolare con Vittorio Storaro, il grande direttore della fotografia Rai che impose le maestranze italiane a Hollywood. Ora è autrice e regista a “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli.

Ultimamente ha realizzato un lavoro sulla Croce Rossa, approfondendo la storia del suo fondatore, Henry Dunant , uomo d'affari ginevrino calvinista che - venuto in Italia per parlare con l'Imperatore Napoleone - dopo un'esperienza traumatica sul campo di battaglia di Solferino, ha lasciato gli affari per dedicare la sua vita alla fondazione della Croce Rossa, il più grande movimento internazionale di soccorso umanitario di ispirazione profondamente cristiana. Filmato che donerà alla Filmoteca.

Per consultare la filmoteca si può contattare la delegata, dottoressa Claudia di Giovanni email: fv@pccs.va.


Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Forum


Le ragioni del sottosviluppo di Haiti
di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- In seguito alla trasmissione su Radio Maria (ore 21-22,30) che ho fatto il 18 gennaio su Haiti (vedi il testo sul mio sito: www.gheddopiero.it), ho ricevuto alcune telefonate e messaggi che chiedono perchè la grande differenza fra i due stati in cui è divisa l'isola di Hispaniola, Haiti e Santo Domingo.

Oggi Haiti è distrutto dal terremoto ma l'abisso che separa i due paesi era evidente già prima di questo tragico avvenimento.

Alcuni dati dell'Onu degli ultimi anni.

- Haiti è al 149° posto su 182 nazioni nell'Indice di sviluppo umano, Santo Domingo al 92° posto.

- Prodotto nazionale lordo (Pil) pro capite 698 e 3.772 dollari.

- Il 72% degli haitiani vive con meno di due dollari al giorno, contro il 15% dei cittadini di Santo Domingo.

- La speranza di vita alla nascita è di 55 anni ad Haiti, 65 anni a Santo Domingo.

- Analfabetismo: 53% ad Haiti, 13% a Santo Domingo.

Per capire le diverse situazioni di due paesi in un'unica isola, bisogna conoscere la storia. L'isola di Hispaniola, scoperta da Cristoforo Colombo nel 1492, era colonia spagnola ma trascurata dagli spagnoli che avevano occupato tutta l'attuale America Latina (eccetto il Brasile), dal Messico al Cile fino all'Argentina.

Nel 1625 la Francia incomincia a colonizzare la parte orientale dell'isola e nel 1664 la Spagna riconosce la sua proprietà sull'attuale Haiti. La Francia si impegna a colonizzare la sua parte dell'isola con numerosi coloni francesi, importando molti schiavi dall'Africa e coltivando canna da zucchero, caffè, cacao, banane e altra frutta tropicale.

Nel 1700 Haiti era la più ricca delle colonie dell'emisfero occidentale (allora chiamata "La perla dei Caraibi"), grazie, soprattutto, alle notevoli esportazioni di zucchero e cacao, mentre Santo Domingo, rimasto spagnolo, era povero, poco abitato e quasi abbandonato.

Durante e dopo la Rivoluzione francese del 1789, le nuove idee sui diritti dei popoli si diffondono nelle colonia francesi e anche ad Haiti si verifica una rivolta di popolo, non più come a Parigi contro i re e i nobili, ma la rivolta dei neri contro i francesi.

Dopo varie vicende di guerra civile, nel 1804 Haiti dichiara la sua indipendenza, il secondo paese indipendente del continente americano dopo gli Stati Uniti.

Ma mentre gli Stati Uniti (la cui nascita ufficiale è del 1798) conobbero un rapido sviluppo politico-economico, per Haiti l'indipendenza formale dalla Francia segna l'inizio di due secoli di guerre civili e dittature.

Nel 1800 Haiti è guidata da una serie di presidenti, la maggioranza dei quali rimane in carica solo per pochi anni o mesi. E anche in seguito non ha più avuto stabilità politica, eccetto nel breve periodo di occupazione da parte dell'esercito americano (1915-1934) per mettere fine al caos in cui il paese era precipitato.

Al contrario, Santo Domingo ottiene l'indipendenza dalla Spagna in modo abbastanza pacifico nel 1844 con un popolo unito e, anche se nella sua storia vi sono stati periodi turbolenti e di dittature, da tempo gode di una discreta stabilità politica.

Oggi a Santo Domingo i bianchi e mulatti sono l'88% dei 9 milioni di abitanti, ad Haiti i neri sono il 94% e i mulatti il 5% degli otto milioni di haitiani. Ma la maggioranza nera di Haiti è divisa in tante etnie e fazioni, secondo il luogo e la lingua d'origine degli antenati schiavi. Fino ad oggi in Haiti l'unità di popolo e la stabilità politica, condizioni indispensabili per lo sviluppo economico, sono sconosciute.

Questa è la radice etnico-storica che spiega la differenza fra due paesi vicini. La storia dimostra che anche quando un popolo ha diritto all'indipendenza, se questa viene concessa quando quel popolo non è unito e preparato a governarsi, si rivela dannosa per il popolo stesso.

Cioè, le guerre o guerriglie di liberazione africane del secolo scorso (e anche quella di Haiti di due secoli fa) falliscono sempre o quasi sempre, perché violenza chiama violenza e nelle guerre o guerriglie civili le ideologie e gli uomini più violenti inevitabilmente prevalgono.

--------

* Padre Piero Gheddo, già direttore di "Mondo e Missione" e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell'Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E' autore di oltre 70 libri.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Documenti


Omelia del Papa alla Basilica di San Paolo fuori le Mura
Per la chiusura della Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo lunedì pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, la celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24, 48).



* * *

Cari fratelli e sorelle,

riuniti in fraterna assemblea liturgica, nella festa della conversione dell’apostolo Paolo, concludiamo oggi l’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Vorrei salutare voi tutti con affetto e, in particolare, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e l’Arciprete di questa Basilica, Mons. Francesco Monterisi, con l’Abate e la Comunità dei monaci, che ci ospitano. Rivolgo, altresì, il mio cordiale pensiero ai Signori Cardinali presenti, ai Vescovi ed a tutti i rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali della Città, qui convenuti.

Non sono passati molti mesi da quando si è concluso l’Anno dedicato a San Paolo, che ci ha offerto la possibilità di approfondire la sua straordinaria opera di predicatore del Vangelo, e, come ci ha ricordato il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - "Di questo voi siete testimoni" (Lc 24, 48) -, la nostra chiamata ad essere missionari del Vangelo. Paolo, pur serbando viva ed intensa memoria del proprio passato di persecutore dei cristiani, non esita a chiamarsi Apostolo. A fondamento di tale titolo, vi è per lui l’incontro con il Risorto sulla via di Damasco, che diventa anche l’inizio di una instancabile attività missionaria, in cui spenderà ogni sua energia per annunciare a tutte le genti quel Cristo che aveva personalmente incontrato. Così Paolo, da persecutore della Chiesa, diventerà egli stesso vittima di persecuzione a causa del Vangelo a cui dava testimonianza. Scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: "Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato... Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. Oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese" (2 Cor 11,24-25.26-28). La testimonianza di Paolo raggiungerà il culmine nel suo martirio quando, proprio non lontano da qui, darà prova della sua fede nel Cristo che vince la morte.

La dinamica presente nell’esperienza di Paolo è la stessa che troviamo nella pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato. I discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore risorto, tornano a Gerusalemme e trovano gli Undici riuniti insieme con gli altri. Il Cristo risorto appare loro, li conforta, vince il loro timore, i loro dubbi, si fa loro commensale e apre il loro cuore all’intelligenza delle Scritture, ricordando quanto doveva accadere e che costituirà il nucleo centrale dell’annuncio cristiano. Gesù afferma: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme" (Lc 24,46-47). Questi sono gli eventi dei quali renderanno testimonianza innanzitutto i discepoli della prima ora e, in seguito, i credenti in Cristo di ogni tempo e di ogni luogo. E’ importante, però, sottolineare che questa testimonianza, allora come oggi, nasce dall’incontro col Risorto, si nutre del rapporto costante con Lui, è animata dall’amore profondo verso di Lui. Solo chi ha fatto esperienza di sentire il Cristo presente e vivo – "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!" (Lc 24,39) -, di sedersi a mensa con Lui, di ascoltarlo perché faccia ardere il cuore, può essere Suo testimone! Per questo, Gesù promette ai discepoli e a ciascuno di noi una potente assistenza dall’alto, una nuova presenza, quella dello Spirito Santo, dono del Cristo risorto, che ci guida alla verità tutta intera: "Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso" (Lc 24,49), dice agli Undici e a noi. Gli Undici spenderanno tutta la vita per annunciare la buona notizia della morte e risurrezione del Signore e quasi tutti sigilleranno la loro testimonianza con il sangue del martirio, seme fecondo che ha prodotto un raccolto abbondante.

La scelta del tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno, l’invito, cioè, ad una testimonianza comune del Cristo risorto secondo il mandato che Egli ha affidato ai discepoli, è legata al ricordo del centesimo anniversario della Conferenza missionaria di Edimburgo in Scozia, che viene considerato da molti come un evento determinante per la nascita del movimento ecumenico moderno. Nell’estate del 1910, nella capitale scozzese si incontrarono oltre mille missionari, appartenenti a diversi rami del Protestantesimo e dell’Anglicanesimo, a cui si unì un ospite ortodosso, per riflettere insieme sulla necessità di giungere all’unità per annunciare credibilmente il Vangelo di Gesù Cristo. Infatti, è proprio il desiderio di annunciare agli altri il Cristo e di portare al mondo il suo messaggio di riconciliazione che fa sperimentare la contraddizione della divisione dei cristiani. Come potranno, infatti, gli increduli accogliere l’annuncio del Vangelo se i cristiani, sebbene si richiamino tutti al medesimo Cristo, sono in disaccordo tra loro? Del resto, come sappiamo, lo stesso Maestro, al termine dell’Ultima Cena, aveva pregato il Padre per i suoi discepoli: "Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda" (Gv 17,21). La comunione e l’unità dei discepoli di Cristo è, dunque, condizione particolarmente importante per una maggiore credibilità ed efficacia della loro testimonianza.

Ad un secolo di distanza dall’evento di Edimburgo, l’intuizione di quei coraggiosi precursori è ancora attualissima. In un mondo segnato dall’indifferenza religiosa, e persino da una crescente avversione nei confronti della fede cristiana, è necessaria una nuova, intensa, attività di evangelizzazione, non solo tra i popoli che non hanno mai conosciuto il Vangelo, ma anche in quelli in cui il Cristianesimo si è diffuso e fa parte della loro storia. Non mancano, purtroppo, questioni che ci separano gli uni dagli altri e che speriamo possano essere superate attraverso la preghiera e il dialogo, ma c’è un contenuto centrale del messaggio di Cristo che possiamo annunciare tutti assieme: la paternità di Dio, la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte con la sua croce e risurrezione, la fiducia nell’azione trasformatrice dello Spirito. Mentre siamo in cammino verso la piena comunione, siamo chiamati ad offrire una testimonianza comune di fronte alle sfide sempre più complesse del nostro tempo, quali la secolarizzazione e l’indifferenza, il relativismo e l’edonismo, i delicati temi etici riguardanti il principio e la fine della vita, i limiti della scienza e della tecnologia, il dialogo con le altre tradizioni religiose. Vi sono poi ulteriori campi nei quali dobbiamo sin da ora dare una comune testimonianza: la salvaguardia del Creato, la promozione del bene comune e della pace, la difesa della centralità della persona umana, l’impegno per sconfiggere le miserie del nostro tempo, quali la fame, l’indigenza, l’analfabetismo, la non equa distribuzione dei beni.

L’impegno per l’unità dei cristiani non è compito solo di alcuni, né attività accessoria per la vita della Chiesa. Ciascuno è chiamato a dare il suo apporto per compiere quei passi che portino verso la comunione piena tra tutti i discepoli di Cristo, senza mai dimenticare che essa è innanzitutto dono di Dio da invocare costantemente. Infatti, la forza che promuove l’unità e la missione sgorga dall’incontro fecondo e appassionante col Risorto, come avvenne per San Paolo sulla via di Damasco e per gli Undici e gli altri discepoli riuniti a Gerusalemme. La Vergine Maria, Madre della Chiesa, faccia sì che quanto prima possa realizzarsi il desiderio del Suo Figlio: "Che tutti siano una sola cosa… perché il mondo creda" (Gv 17,21). Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana. Con brevi aggiunte a braccio a cura di ZENIT]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Paolo e le radici cristiane d'Europa
ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il contributo del dr. Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, contenuto nel "Codex Pauli", un'opera unica dedicata a Benedetto XVI al termine dell'Anno Paolino.

 

 

* * *

Se penso alle radici cristiane d'Europa mi viene in mente la notte di Pasqua dell'anno di Cristo 387 quando, a Milano, Agostino riceve il battesimo da Ambrogio.

Agostino, africano-latino con qualche percentuale di sangue berbero nelle vene, viene battezzato e diventa cristiano per mano di Ambrogio, un germanico-latino originario di Treviri, già funzionario imperiale nell'Illirico e in Val Padana, che gli abitanti di Milano avevano fatto vescovo a furor di popolo.

L'Europa cristiana nasce quella notte di Pasqua dell'anno 387 e nasce sotto il segno del meticciato, della mescolanza di stirpi e di patrie.

Dietro quell'episodio che stringe in emblema il destino ecumenico del Cristianesimo, c'è il diritto romano che affermava l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge ma c'è anche Paolo di Tarso, il quale aveva detto non esserci più né greci né latini, né servi né padroni, ma solo uomini resi liberi dal Vangelo.

Paolo di Tarso, l'uomo di tre culture, il giudeo di legge e di sinagoga che parlava, scriveva e in parte pensava in greco ed era orgoglioso della sua cittadinanza romana, ha vissuto sulla sua pelle le contraddizioni ma anche la meravigliosa ricchezza della contaminazione e della pluralità e ha tradotto tutto questo in messaggio universale.

Io non sono un teologo, né un filologo scritturista, né uno storico delle religioni. Per me, storico dell'arte, san Paolo è come me lo hanno consegnato Michelangelo e Caravaggio, Rubens e Rembrandt: folgorato sulla via di Damasco, decollato sulla via Ostiense, armato di spada e di libro. Di spada perché ha combattuto la buona battaglia, di libro perché i suoi scritti hanno incendiato il mondo. Ma quando, da cristiano, penso all'Europa nostra patria comune, mi vengono in mente il Corpus iuris e le Epistole del giudeo di Tarso.

L'uno e le altre fanno un dittico laico e religioso insieme che basta, da solo, a giustificare la storia e il destino del nostro continente. La certezza del diritto, il primato della legge da una parte e dall'altra l'immensa libertà che Cristo, per il tramite di san Paolo, ha consegnato ad ognuno.

Credo sia indubbio, anche alla luce di recenti studi, che all'origine dell'Europa cristiana vi siano proprio la persona e il pensiero di Paolo. Ma è soprattutto a partire da una rilettura spassionata degli Atti degli Apostoli che è possibile rinvenire la matrice originaria. L'evangelista Luca, autore degli Atti degli Apostoli, scorge in Paolo il prolungamento del ministero di Gesù e il primo adempimento di quanto inaugurato proprio con la venuta del Messia. Luca ravvisa, nella proclamazione paolina del Vangelo, un nuovo inizio della storia dell'umanità. Centro propulsore e meta è il continente europeo e naturalmente Roma, capitale dell'Impero.

Certamente né Luca né Paolo potevano aver razionalizzato l'idea di Europa, così come oggi la si intende, perché questo concetto nasce molto tardivamente rispetto all'epoca apostolica. Pur tuttavia, la realtà geografica così denominata aveva una certa delineazione. Così come era definita l'intenzione di Luca di scorgere il cammino di Cristo da Gerusalemme a Roma, centro e cuore dell'Europa pagana. Nell'opera di propagazione del Vangelo, è sempre il Cristo ad essere protagonista nel suo apostolo, che ripresenta fedelmente nel concreto della propria esistenza la vita, la morte e la risurrezione del Signore. Quindi l'Europa diviene la terra del "nuovo inizio" universale, dal significato non solo antropologico e teologico, bensì cristologico - ecclesiologico.

Alle origini del Cristianesimo europeo vi è allora un disegno salvifico che inizia con la sortita strategica di At 16 e, attraverso il mistero di sofferenza e di morte, di At 27 - 28 si perfeziona e si compie. Alle radici di valore dell'Europa, permane il mistero di morte e risurrezione di Gesù rivissuta nelle concrete vicende degli Apostoli. E' questa l'arma di "conquista" dell'Impero e la volontà di dare anima al Vecchio Continente.

La successiva testimonianza resa dai martiri espliciterà maggiormente questa realtà teologica: il mistero pasquale si evidenzia quale nucleo più autentico e verace delle radici spirituali di questa porzione geografica, la fonte sorgiva di ogni conquista per la pace, l'uguaglianza, la solidarietà e la libertà che proprio attraverso il Vangelo diventano patrimonio europeo.

Dr. Antonio Paolucci

Direttore dei Musei Vaticani

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Documenti sulla web di ZENIT


Il Cardinal Bagnasco inaugura i lavori del Consiglio Permanente CEI

ROMA, lunedì, 25 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Avvertiamo i lettori che su ZENIT è possibile leggere il testo della prolusione pronunciata questo lunedì dal Cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, inaugurando i lavori del Consiglio Permanente, che rimarrà riunito a Roma fino al 27 gennaio prossimo.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su



Nessun commento:

Related Posts with Thumbnails