mercoledì 28 aprile 2010

[ZI100428] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 28 aprile 2010

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Il Papa: Murialdo e Cottolengo, modelli di carità verso il prossimo
Catechesi all'Udienza generale su due grandi sacerdoti dell'Ottocento

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- A “due santi sacerdoti esemplari nella loro donazione a Dio e nella testimonianza della carità”, san Leonardo Murialdo e san Giuseppe Benedetto Cottolengo, Benedetto XVI ha dedicato la catechesi dell'Udienza generale di questo mercoledì in piazza San Pietro.

Del Cottolengo ricorrono quest'anno i duecento anni dall'ordinazione sacerdotale, mentre del Murialdo si celebrano il 110° anniversario della morte e il 40° della canonizzazione da parte di Paolo VI.

Parlando di fronte ai circa 16.000 fedeli presenti, il Papa ha voluto ricordare l'impegno in favore dei poveri e la coerenza al ministero sacerdotale di questi due santi di origini piemontesi.

Della spiritualità del Murialdo, che nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe dedita all’assistenza dell’infanzia abbandonata, il Pontefice ha evidenziato “la convinzione dell’amore misericordioso di Dio: un Padre sempre buono, paziente e generoso, che rivela la grandezza e l’immensità della sua misericordia con il perdono”.

“San Leonardo – ha aggiunto il Papa – ricordava sempre a se stesso e ai confratelli la responsabilità di una vita coerente con il sacramento ricevuto. Amore di Dio e amore a Dio: fu questa la sua forza, la forza del suo cammino di santità, la legge del suo sacerdozio, il significato più profondo del suo apostolato tra i giovani poveri e la fonte della sua preghiera”.

Giuseppe Benedetto Cottolengo, invece, “fu sempre pronto a seguire e a servire la Divina Provvidenza, mai ad interrogarla”.

“Diceva – ha ricordato il Pontefice –: ‘Io sono un buono a nulla e non so neppure cosa mi faccio. La Divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole. A me tocca solo assecondarla. Avanti in Domino’. Per i suoi poveri e i più bisognosi, si definirà sempre ‘il manovale della Divina Provvidenza’”.

Domenica prossima, durante la sua visita pastorale a Torino in occasione dell’Ostensione della Sindone, Benedetto XVI potrà incontrare alcuni ospiti della “Piccola Casa” della Divina Provvidenza, fondata nel 1832 da san Giuseppe Cottolengo.

“Volontari e volontarie, uomini e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare e superare insieme le difficoltà che si presentavano – ha continuato il Santo Padre –. Ognuno in quella Piccola Casa della Divina Provvidenza aveva un compito preciso: chi lavorava, chi pregava, chi serviva, chi istruiva, chi amministrava. Sani e ammalati condividevano tutti lo stesso peso del quotidiano”.

Entrambi i sacerdoti, ha spiegato infine il Papa, traevano “sempre la radice profonda, la fonte inesauribile della loro azione nel rapporto con Dio, attingendo dal suo amore”.

Infatti, ha osservato, “non è possibile esercitare la carità senza vivere in Cristo e nella Chiesa”.

“La loro intercessione e il loro esempio – ha poi concluso – continuino ad illuminare il ministero di tanti sacerdoti che si spendono con generosità per Dio e per il gregge loro affidato, e aiutino ciascuno a donarsi con gioia e generosità a Dio e al prossimo”.

Tra i tanti saluti al termine dell’Udienza generale, Benedetto XVI ne ha rivolto uno particolare in inglese alle delegazioni della Chiesa luterana norvegese e della Chiesa anglicana e a un gruppo di rabbini e leader ebrei - guidato da Gary L. Krupp, fondatore e presidente della Pave the Way Foundation - che ha manifestato sostegno al Papa e alla Chiesa cattolica al centro di duri attacchi mediatici in seguito agli scandali per gli abusi sessuali commessi da alcuni sacerdoti.

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Il Papa: più iniziative di attenzione pastorale agli immigrati
In un messaggio in occasione dell'VIII Congresso Europeo sulle Migrazioni
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha esortato quanti lavorano nell'assistenza pastorale alle persone uscite dal proprio Paese a continuare a sforzarsi e a coordinare le varie iniziative e i programmi esistenti in questo ambito.

Lo ha fatto in un messaggio che ha inviato - attraverso il suo Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone, al presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, monsignor Antonio Maria Vegliò - in occasione dell'VIII Congresso Europeo sulle Migrazioni, in svolgimento a Malaga (Spagna) dal 27 aprile al 1° maggio.

"Sua Santità Benedetto XVI saluta cordialmente gli organizzatori e i partecipanti all'VIII Congresso Europeo sulle Migrazioni, che ha luogo a Malaga sul tema 'Superare le paure. Tracciare prospettive'", indica il telegramma.

"Li incoraggia a proseguire nei loro sforzi per raggiungere un'assistenza pastorale adeguata a tutti coloro che soffrono le conseguenze di aver abbandonato la patria o di sentirsi senza una terra di riferimento", continua il testo.

"Allo stesso modo, li esorta a coordinare iniziative e programmi perché possa giungere a tutti la luce del Vangelo e, con questa, una ferma speranza di veder riconosciuti i propri diritti e favorite le possibilità di una vita degna in tutti gli aspetti".

Il Congresso che si sta celebrando nella città spagnola è promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE).

Un centinaio di delegati delle Conferenze Episcopali europee in rappresentanza di Vescovi, direttori nazionali della pastorale dei migranti, operatori pastorali, rappresentanti della società civile e del mondo politico sta partecipando all'incontro.

Il Congresso ha l'obiettivo di analizzare le molteplici cause e le conseguenze, per il lavoro della Chiesa, dei flussi migratori in Europa.

I partecipanti stanno studiando le sfide che il fenomeno migratorio lancia alla famiglia, alle parrocchie e alla società in generale, ha reso noto l'ufficio stampa della Conferenza Episcopale Spagnola SIC.

Si soffermano anche su ciò che la Chiesa e gli Stati stanno facendo di fronte all'immigrazione, così come sul determinare le paure che bisogna superare e le prospettive da disegnare per la nuova evangelizzazione del continente.

In un messaggio inviato al Cardinal Bertone e firmato da monsignor Antonio Maria Vegliò, dal Cardinale Josip Bozanić, vicepresidente del CCEE, e da monsignor José Sanchez Gonzalez, presidente della Commissione per le Migrazioni del CCEE, i partecipanti al Congresso di Malaga ricordano che il messaggio del Segretario di Stato "è stato letto nella sessione inaugurale del Congresso, suscitando corale gioia e commozione".

"Desideriamo raccogliere la sfida di considerare le migrazioni moderne in luce positiva, come evento che interpella in modo particolare la responsabilità dei cristiani a svolgere un ruolo attivo nei progetti di accoglienza e di integrazione, promuovendo la cooperazione di tutti negli ambiti della politica e dell'economia, nelle strutture di formazione e di assistenza, negli organismi che tutelano la centralità e la dignità del migrante, del rifugiato e di chiunque si trovi a vivere in condizioni di mobilità", ricordano.

"Vogliamo ribadire che donne e uomini in emigrazione rappresentano una preziosa risorsa per lo sviluppo dell'intera famiglia dei popoli, grazie alle potenzialità, umano-spirituali e culturali, di cui ciascuno è depositario".

Perché questa visione "diventi sempre più condivisa" e "incoraggi la collaborazione di tutti i Paesi, in dimensione mondiale", i partecipanti al sottolineano quindi l'"importanza di puntare su strategie di integrazione, rispettando adeguati itinerari di intercultura e di dialogo e salvaguardando le legittime aspirazioni di tutti alla sicurezza e alla legalità".

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A Fatima, il Papa alloggerà nella stessa stanza che accolse Giovanni Paolo II
Il Pontefice sarà ospitato nella Casa per Ritiri di Nossa Senhora do Carmo
FATIMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Casa di Nossa Senhora do Carmo, appartenente al Santuario di Fatima, accoglierà Benedetto XVI nel suo pellegrinaggio al santuario mariano portoghese, dove presiederà il Pellegrinaggio Internazionale d'Anniversario del Maggio 2010, il 12 e il 13 del mese.

Secondo quanto ha reso noto l'ufficio stampa del Santuario, Benedetto XVI alloggerà al secondo piano, negli stessi locali che accolsero il suo predecessore Giovanni Paolo II nel 2000. Si tratta di un appartamento semplice, composto da una camera da letto, un bagno, un piccolo studio e un salottino.

Rivolto verso un cortile interno, è uno spazio del tutto simile agli altri di questa Casa, dove risiedono alcuni dei sacerdoti cappellani del Santuario o che vi prestano servizio temporaneo e vengono ospitati gruppi di pellegrini in ritiro o che si trovano a Fatima per riunioni e incontri organizzati da movimenti e istituzioni della Chiesa.

I servizi del Vaticano responsabili dell'organizzazione delle visite papali non hanno imposto alcuna condizione speciale, in termini sia di alloggio che di pasti.

Il Santo Padre arriverà a Fatima in elicottero, atterrando nel nuovo Stadio Municipale, nella località di Eira da Pedra, alle 17.10 del 12 maggio. Si dirigerà poi al Santuario di Fatima, dove resterà nella Casa di Nossa Senhora do Carmo fino alle 8.00 del 14 maggio, quando si congederà dalla città.

Nel Salone della Casa, alle 18.45 del 13 maggio, Benedetto XVI incontrerà i Vescovi del Portogallo, ai quali rivolgerà un un discorso.

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Gioia di Benedetto XVI per la traduzione inglese del Messale Romano
Verrà pubblicata prossimamente, ricorda nell'udienza ai membri di Vox Clara
CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha espresso questo mercoledì la propria soddisfazione per la prossima pubblicazione della traduzione inglese del Messale Romano.

Lo ha fatto pranzando nella Casina Pio IV con i membri e i consultori di "Vox Clara", Comitato di consulenza su questioni circa la celebrazione del Rito Romano in lingua inglese, annesso alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

"Sant'Agostino ha parlato in modo molto bello del rapporto fra Giovanni Battista, la vox clara che risuonava sulle sponde del Giordano, e la Parola che annunciava - ha ricordato -. Una voce, diceva, serve a condividere con chi ascolta il messaggio che è già nel cuore di chi parla".

"Una volta pronunciata la parola, essa è presente nel cuore di entrambi e quindi la voce, dopo aver svolto il suo compito, può svanire", ha aggiunto.

Il Pontefice ha quindi confessato di accogliere con gioia "la notizia che la traduzione inglese del Messale Romano sarà presto pronta per la pubblicazione, cosicché i testi che avete faticato tanto a preparare possano essere proclamati nella liturgia che si celebra nel mondo anglofono".

"Attraverso questi testi sacri e le azioni che li accompagnano, Cristo sarà reso presente e attivo fra la sua gente. La voce che ha contribuito a far scaturire queste parole avrà completato il suo compito".

Il Papa ha ricordato che l'operato di "Vox Clara" è stato "un'impresa veramente collegiale": "non solo fra i membri del Comitato sono rappresentati tutti i cinque continenti, ma siete stati assidui nel trarre contributi dalle Conferenze episcopali nei territori anglofoni in tutto il mondo".

Dopo la pubblicazione della traduzione del Messale, ha riconosciuto, "si presenterà un nuovo compito, che non rientra nelle competenze dirette di 'Vox Clara'", ma che, "in un modo o nell'altro", coinvolgerà tutti i suoi membri: "preparare la ricezione della nuova traduzione da parte del clero e dei fedeli laici".

"Molti troveranno difficile adattarsi a testi insoliti dopo quasi quarant'anni di uso costante della traduzione precedente", ha ammesso, sottolineando che il cambiamento dovrà quindi essere introdotto "con la dovuta sensibilità", e che "l'opportunità di catechesi che esso presenta dovrà essere colta con fermezza".

"Prego affinché in questo modo venga evitato qualsiasi rischio di confusione o disorientamento e il cambiamento serva invece come trampolino per un rinnovamento e per un approfondimento della devozione eucaristica in tutto il mondo anglofono", ha concluso il Papa.

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Portavoce vaticano: trasparenza senza alcuna "cultura del segreto"
Intervento di padre Lombardi al Seminario dei portavoce della Chiesa

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Una porta aperta tra il Vaticano e il mondo delle comunicazioni sociali: così padre Federico Lombardi ha definito la Sala Stampa della Santa Sede, intervenendo questo mercoledì al convegno dal titolo “Comunicazione della Chiesa: identità e dialogo” ospitato per tre giorni dalla Pontificia Università della Santa Croce.

Secondo quanto riferito dalla Radio Vaticana, il portavoce vaticano ha spiegato che la comunicazione della Santa Sede va in due sensi: “comunichiamo testi, informazioni, documenti della Santa Sede al mondo delle comunicazioni, ma riceviamo anche domande, cerchiamo di capire problemi e interrogativi, per proporre ai nostri superiori nella Santa Sede questioni da affrontare, risposte da dare alle domande”.

Il sacerdote gesuita si è poi soffermato sull’importanza di un rapporto sereno, obiettivo, disteso con i giornalisti: “Io non posso mai dire che i media sono cattivi. Mi sembra un grave errore. Io so che i media rispecchiano tante posizioni e tanti atteggiamenti diversi e anche tante capacità professionali che entrano in dialogo con me, che per me interpretano le attese di un ampio pubblico”.

Ribadendo quindi il valore di una fonte affidabile, padre Lombardi ha ricordato la necessità di una maggiore trasparenza nella comunicazione della Chiesa: “Dare sempre di più l’informazione che noi possiamo e sappiamo dare, in modo tale che si riduca l’impressione che molti hanno, che noi abbiamo una cultura del segreto o delle cose da nascondere”.

Quindi, sulla questione degli abusi sui minori commessi da alcuni religiosi, il direttore della Sala Stampa ha detto: “Credo che sia un argomento che non è affatto da chiudere o da dimenticare, anzi credo che sia nostro compito riuscire a far evolvere la comunicazione nella Chiesa e nella società attorno a noi in una direzione più positiva”.

Padre Lombardi ha infine ricordato gli appuntamenti più rilevanti dell’attività pontificia nei prossimi mesi, tra cui il viaggio di Benedetto XVI in Inghilterra, previsto per settembre, durante il quale il Papa assisterà personalmente alla beatificazione del cardinale John Henry Newman.

“È molto interessante – ha detto –. Questo evidentemente significa che la figura di Newman ha un particolare interesse per il Santo Padre, anche perché è l’evento fondamentale nel corso di questo viaggio, che evidentemente desiderava fare e riteneva opportuno fare”.

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Notizie dal mondo


Mons. Vegliò: non escludere gli immigrati e non assorbirne l'identità
Interviene all'VII Congresso sulle migrazioni degli episcopati europei
di Patricia Navas

MALAGA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, ha sottolineato l'importanza di non escludere gli immigrati dalla società né assorbirne l'identità.

Il presule è intervenuto questo mercoledì all'VIII Congresso sulle migrazioni organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE), in svolgimento a Malaga (Spagna) dal 27 aprile al 1° maggio.

"Due sono gli estremi da evitare: quello dell'assorbimento, della completa assimilazione nella società dominante con pregiudizio della identità del migrante, e quello dell'esclusione, che comporta il pericolo dell'emarginazione", ha dichiarato.

Monsignor Vegliò ha constatato che le migrazioni "hanno raggiunto oggi dimensioni considerevoli e, anche soltanto per tale peso quantitativo, non possono essere trascurate".

Allo stesso tempo, ha denunciato che "è sempre più chiaro il volto ferito dei migranti".

Il rappresentante del Papa per l'assistenza ai migranti ha spiegato che nei 27 Paesi dell'Unione Europea si calcola che ci siano oggi 24 milioni di immigrati, soprattutto provenienti da Paesi della stessa Unione.

Ha anche sottolineato la difficoltà di contare su cifre precise per gli immigrati illegali, ma "secondo valutazioni recenti sarebbero fra i 4,5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 mila e i 500 mila all'anno".

Difensiva

In Europa, ha constatato, i flussi della mobilità umana sono "percepiti in maniera negativa dalla popolazione" e si "affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità".

"Si va diffondendo un atteggiamento politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l'assunzione".

Il presule ha anche denunciato la "tendenza di molti Paesi a trincerarsi, a chiudersi, ad assicurare il livello di benessere raggiunto dentro le proprie mura, senza prestare sufficiente attenzione alle necessità di chi si trova fuori le mura con grave omissione del principio di solidarietà".

"Si è di fronte ad una specie di 'deriva etnica' istituzionalizzata, che certamente non favorisce né l'approccio sereno degli autoctoni verso gli immigrati e neppure il processo di integrazione degli immigrati nel tessuto delle società di arrivo".

Negli ultimi tempi, ha aggiunto, "sono andate aumentando le cosiddette 'comunità blindate' e, forse, stiamo addirittura per assistere alla nascita di 'continenti blindati', con Europa e Nord America in prima linea".

"Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste".

Errore di analisi

Monsignor Vegliò ha quindi criticato l'"la trilogia inaccettabile "immigrazione - criminalità e terrorismo - insicurezza", riferendosi ad altri fattori come causa dei problemi di insicurezza, ad esempio gli "inevitabili cambiamenti generazionali" e "una globalizzazione economica senza regole".

"Pertanto, scaricare la causa dell'instabilità sui migranti, più che affrontare in modo realistico le problematiche che hanno radici altrove, appare funzionale a creare nell'opinione pubblica l'immagine di uno Stato vigile e preoccupato della sicurezza dei suoi cittadini, alimentando le paure dell'altro e dei migranti in particolare".

Come alternativa a questa visione, il Vescovo ha sottolineato che "concepire la diversità come un valore significa sviluppare una visione pluralistica della realtà, dove è possibile e auspicabile il riconoscimento, il rispetto e la promozione della diversità".

Se gli aspetti problematici "balzano in primo piano con relativa facilità", non si devono infatti sottovalutare "gli elementi di positività, anche soltanto dal punto di vista dell'economia legata allo sviluppo".

Lettura di fede e speranza

La Chiesa, ha osservato monsignor Vegliò, propone "una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano la storia dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia della salvezza e della teologia dei 'segni dei tempi'".

"Pure i migranti sono provvidenziale risorsa da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità nuova e nell'annuncio del Vangelo".

Il presule si è anche riferito alla "sollecitudine pastorale ecclesiale" in questo ambito, che si basa sulla "pari dignità delle persone umane" e si estende alla promozione del "principio della solidarietà dei popoli e quello della sussidiarietà".

"La presenza di migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne è privo".

Cultura dell'accoglienza

Monsignor Vegliò ha infine sottolineato l'importanza del dialogo tra culture e religioni, una "priorità" per l'Europa, secondo Benedetto XVI.

Allo stesso modo, ha chiesto "l'elaborazione di una 'cultura' e di un''etica dell'accoglienza' nelle condizioni di vita attuali".

In questo senso, ha citato il Cardinale Renato Raffaele Martino, che nel 2008 ha affermato che "l'accoglienza dello straniero è il cuore dell'identità europea".

"La Chiesa intende affermare la cultura del rispetto, dell'uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse", ha detto monsignor Vegliò.

"Per queste motivazioni essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali, come quello del ricongiungimento familiare, dell'accesso alla cittadinanza, della stabilità del proprio progetto migratorio".

"Esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello status di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all'espulsione dei migranti", ha concluso.

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I migranti, sottoposti a uno "sfruttamento intollerabile"
Affermano i Vescovi dei Paesi del Nordafrica
RABAT, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi dell'Africa del Nord, riuniti a Rabat (Marocco), denunciano lo "sfruttamento intollerabile" al quale sono sottoposti i migranti.

La riunione della Conferenza Episcopale Regionale del Nordafrica (CERNA), svoltasi a Rabat dal 20 al 24 aprile, ha permesso un fruttuoso scambio di opinioni sulla situazione dei Paesi e delle Chiese nella regione, afferma un comunicato inviato all'agenzia Fides.

Pur nella diversità di situazioni in cui vive e agisce ogni Paese, si è potuto constatare come i partecipanti all'incontro fossero uniti dal desiderio di mettersi al servizio delle comunità cattoliche che sono state affidate loro in base alla libertà religiosa riconosciuta dagli Stati.

I Vescovi del Nordafrica hanno cercato di operare in collaborazione ecumenica con le altre Chiese cristiane riconosciute, vivendo e lavorando - al di fuori di qualsiasi spirito di proselitismo - con le popolazioni, per la maggior parte musulmane, che li accolgono e con cui si sono stabiliti legami di amicizia.

I presuli hanno sottolineato la solidarietà vissuta come esperienza al servizio dei meno fortunati, in collaborazione con le associazioni della società civile nei Paesi del Maghreb.

La riunione della CERNA ha affrontato in particolare la questione degli immigrati "in situazione irregolare", soprattutto delle donne e dei bambini, particolarmente vulnerabili, al punto che molti di loro sono sottoposti ad uno "sfruttamento intollerabile".

"Di fronte a questo problema, che richiede molta più attenzione da parte della comunità delle nazioni, i membri della CERNA si sono scambiati opinioni sull'assistenza umanitaria e pastorale, un aiuto modesto ma molto concreto, secondo lo spirito del Vangelo e in conformità all'insegnamento della Chiesa".

Si è poi riflettuto sul ruolo delle biblioteche messe a disposizione degli studenti di tutte le Diocesi, come luogo di incontro e di dialogo culturale, e sono state date disposizioni perché questo lavoro continui.

I quattro delegati della CERNA alla seconda Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi hanno esposto le conclusioni del Sinodo e hanno evidenziato l'attenzione dei padri sinodali per le relazioni tra il Maghreb e il resto del continente africano.

I membri della CERNA che hanno partecipato ai lavori preparatori del Sinodo per il Medio Oriente, che si svolgerà a ottobre, hanno esaminato le modalità per facilitare l'arrivo di personale religioso mediorientale per poter partecipare all'animazione delle comunità cristiane nordafricane.

Hanno inoltre espresso il desiderio che il Sinodo sia un sostegno per le Chiese del Medio Oriente e un invito ai Governi locali a garantire il rispetto dei diritti di tutti i cittadini.

La prossima riunione del CERNA si svolgerà in Algeria dal 29 gennaio al 3 febbraio 2011, e in questa occasione verrà approvato un documento teologico sulla presenza della Chiesa nei Paesi nordafricani.

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I Vescovi statunitensi esortano a ratificare il nuovo Trattato START
Lodano il cambio di atteggiamento nei confronti del nucleare

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi degli Stati Uniti esortano i membri del Senato USA a unirsi, al di là delle divisioni di partito, per ratificare il New Strategic Arms Reduction Treaty (START) e lodano la Revisione dell'Atteggiamento Nucleare definendola un “cambiamento significativo, seppur modesto, verso un mondo libero dalle armi nucleari”, ha ricordato l'Arcivescovo Edwin F. O’Brien di Baltimora.

Il presule è intervenuto questo lunedì sul tema “Riflessioni morali sulla politica nucleare degli Stati Uniti” durante un simposio sull'etica della politica nucleare dell'amministrazione Obama, svoltosi alla Catholic University of America (CUA).

L'Arcivescovo O’Brien ha definito il nuovo Trattato START, che riduce gli arsenali nucleari di Russia e Stati Uniti, un “passo nella giusta direzione”, che “prepara riduzioni future”.

La Revisione dell'Atteggiamento Nucleare, ha aggiunto, “non va lontano tanto quanto i Vescovi avevano esortato e non dichiara che l'unico obiettivo dell'arsenale nucleare degli Stati Uniti è dissuadere da un attacco nucleare contro di noi o contro i nostri alleati”, ma “abbraccia lo scopo di un mondo senza armi nucleari, riconosce il pericolo del terrorismo nucleare e restringe l'uso delle armi nucleari” contro minacce e Stati non nucleari.

“Queste direzioni sono moralmente giuste”, ha dichiarato il presule, “ma serve un progresso maggiore per far fronte alle nostre responsabilità morali per liberare il mondo da questa minaccia sproporzionata e indiscriminata alla vita umana”.

L'Arcivescovo ha quindi citato l'insegnamento cattolico contro la guerra nucleare, richiamando documenti del Concilio Vaticano II e la dichiarazione dei Vescovi USA al Papa nel 2006: “In una guerra nucleare non ci sarebbero vincitori, solo vittime”.

Ogni arma e ogni politica deve essere giudicata in base al fine ultimo di un mondo libero dalla minaccia delle armi nucleari, ha osservato.

“Anche se dobbiamo tenere sempre gli occhi fissi sull'orizzonte di un mondo senza armi nucleari”, ha aggiunto, “è ugualmente importante concentrarci sui nostri prossimi passi, perché il viaggio è lungo e pericoloso e dobbiamo compiere un passo alla volta se vogliamo avere successo”.

Al simposio “L'etica nella politica nucleare dell'amministrazione Obama: prospettive cattoliche” hanno partecipato, tra gli altri, la docente della Catholic University of America Maryann Cusimano-Love e il generale William Burns, entrambi consulenti del Comitato dei Vescovi USA per la Giustizia e la Pace Internazionali. L'Arcivescovo O'Brien è membro del Comitato ed è stato Arcivescovo Militare per un decennio fino a che non è stato nominato per la sede di Baltimora, nel 2007.

Era presente all'incontro anche Rose Gottemoeller, assistente Segretario di Stato per la Verifica, la Conformità e l'Implementazione, che è stata la principale negoziatrice del nuovo Trattato START.



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La Gran Bretagna chiede scusa al Vaticano per il documento offensivo
Per la Santa Sede la questione è chiusa
ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Santa Sede considera "chiusa la vicenda", ha affermato il portavoce della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dopo la pubblicazione - sabato 24 aprile - di un documento del Foreign Office offensivo contro il Papa e l'immediata presentazione di scuse da parte del Governo britannico.

Il documento in questione, relativo alla prossima visita apostolica di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna, è stato scritto da un funzionario del Foreign Office ed è filtrato alla stampa.

Dal titolo "La visita ideale", ridicolizzava il Papa e la dottrina cattolica, suggerendo, tra le altre cose, di lanciare una marca di preservativi con il nome del Pontefice e di inaugurare una clinica abortista.

Lo stesso sabato 24, l'ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Francis Campbell, si è rivolto personalmente alla Santa Sede per spiegare il caso e presentare le scuse a nome del Governo britannico.

Il Foreign Office ha affermato in un comunicato successivo che si tratta di un "documento stupido" che "non rappresenta in alcun modo la posizione del Foreign Office né quella del Governo britannico". Scuse sono giunte anche da Downing Street.

Il portavoce della Santa Sede ha dichiarato che l'incidente "non avrà alcuna ripercussione sul viaggio del Papa in Gran Bretagna a settembre".

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La recessione globale produce altri 53 milioni di poveri
Provocherà la morte di un milione di bambini, secondo la Banca Mondiale
di Nieves San Martín

WASHINGTON, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- La crisi economica globale porterà all'estrema povertà altri 53 milioni di persone e provocherà nei prossimi cinque anni la morte di oltre un milione di bambini, secondo un rapporto congiunto del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale

Un'inchiesta sulla realizzazione degli Obiettivi del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite nel 2000, della quale si fa eco il quotidiano vaticano "L'Osservatore Romano", afferma che la crisi economica globale avrà effetti gravissimi.

Ad ogni modo, per il 2015 il numero dei poveri del mondo, cioè di coloro che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno, si ridurrà della metà rispetto alle stime del 1990.

La crisi economica del 2008-2009 e l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che l'ha preceduta hanno e avranno conseguenze devastanti per la popolazione mondiale.

Quasi mille milioni di persone devono ancora affrontare gravi difficoltà per procurarsi il cibo, e spesso le fasce più deboli, come i bambini e le donne in gravidanza, corrono il rischio di morire.

Secondo la maggior parte degli esperti, gli otto Obiettivi del Millennio non potranno essere raggiunti nei limiti temporali prestabiliti. In particolare, l'obiettivo di ridurre nei Paesi in via di sviluppo la mortalità infantile a 34 bambini ogni mille sembra piuttosto improbabile. Questo tasso, secondo gli analisti, arriverà nel 2015 a 68 bambini ogni mille.

A Washington è stato presentato anche il rapporto del FMI sulla situazione economica nell'Africa subsahariana. La crescita economica nella zona dovrebbe essere nel 2010 del 4,75%, per poi accelerare nel 2011 al 5,75 contro il 2% del 2009.

"Il relativamente contenuto rallentamento economico nella Regione si deve alla complessiva salute delle economie locali nell'anno precedente la crisi e dalle politiche macroeconomiche già in atto in molti di questi Paesi", afferma l'analisi. Accanto a questo, "i Governi di circa due terzi delle Nazioni dell'area sono riusciti a aumentare il sostegno pubblico per sostenere l'attività economica".

La situazione della fame continua però a restare a livelli allarmanti. Circa dieci milioni di persone sono colpite da una grave crisi alimentare che ha investito vari Paesi della regione nordafricana del Sahel. In particolare, affermano i dati ONU, in Niger 7,8 milioni di abitanti sono "in stato d'insicurezza alimentare".

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



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Ungheria: un sito web mostra i sacerdoti valorosi
In un momento difficile per la Chiesa ricorda i tanti esempi positivi
ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- In un momento in cui sulla stampa e nei mezzi di informazione sembrano dilagare notizie relative solo a sacerdoti che hanno infranto gli impegni che avevano assunto con il loro ministero, un sito web vuole mostrare i tanti esempi di presbiteri valorosi.

Un famoso francescano ungherese, Csaba Böjte, che insieme a un crescente gruppo di volontari si occupa di migliaia di bambini orfani e bambini che vivono per le strade della Romania, ha pubblicato a Pasqua una lettera aperta indirizzata a tutti quelli che nella loro vita erano in contatto con la Chiesa e con i sacerdoti.

"Svegliatevi voi tutti che un tempo siete stati membri di gruppi di catechismo o alunni di istituzioni ecclesiali!", ha scritto. "Voi conoscete tanti preti, monaci meravigliosi, uomini di coscienza e di vita santa, e allora perché tacete?".

"Sì - ammette -, bisogna parlare anche di quelli che fanno parte dell'uno per cento che senza scrupoli ha sporcato i bambini che si fidavano di loro, ma bisogna parlare anche degli altri, di quei pastori che si chinavano sopra di noi con incredibile bontà e amore".

Il religioso riferisce quindi la sua esperienza: "Conosco molti preti, ma nessuno di loro si è avvicinato a me bambino con peccaminoso desiderio. La maggior parte di tutto quello che ha valore in me viene da preti di animo nobile".

"In sei anni di studi teologici nessuno si è avvicinato a me e ai miei compagni con istinti perversi. I nostri professori preti non hanno mai avuto alcun riconoscimento dal regime comunista per i loro studi, per il loro lavoro generoso, eppure sono rimasti sulla breccia con grande onestà, impegnandosi nel difficile compito istruttivo e educativo".

"Erano dei veri esempi di vita per me e penso anche per i miei compagni chierici", dichiara.

Il francescano vuole risvegliare i cristiani perché "il nostro silenzio mette in ombra anche noi stessi, perché gli estranei non vedono altro che la sporcizia, la generalizzano e credono che le istituzioni ecclesiali sono case del peccato e della sporcizia".

"Noi abbiamo conosciuto, sperimentato la verità e questa conoscienza ci obbliga", dichiara. Per questo, incoraggia a "svelare la vita dei nostri cari professori preti, educatori monaci".

"Scriviamo in una lettera, in una relazione tutte quelle cose belle e buone che attraverso loro abbiamo avuto da Dio. Riempiamo la stampa, il circuito internazionale della biografia, dei fatti di persone che si sono date a Dio, persone di cui siamo orgogliosi".

Il sito internet ilyenazenpapom.com ha preso il via il 7 aprile grazie al lavoro di alcuni volontari. A chiunque è offerta la possibilità di condividere le sue esperienze positive con preti, monaci e pastori senza obbligo di registrazione.

In breve tempo sono arrivate sul sito decine di testimonianze, leggibili anche in inglese (www.thisismypriest.com).

Gli autori del sito chiedono ai visitatori di "accendere una candela in modo simbolico e di pregare per un servo di Dio di cui sanno che compie in silenzio la sua vocazione nella vigna del Signore".


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Da Gerusalemme un invito a recitare il Rosario in famiglia
Iniziativa dell'Apostolato "Giovani per la Vita"

GERUSALEMME, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- L’Apostolato “Giovani per la Vita” propone per il mese di maggio, tradizionalmente dedicato alla Beata Vergine Maria, di costituire focolari di preghiera che si riuniscano per recitare insieme il Santo Rosario.

L'intenzione è quella di riunire la propria famiglia, amici, parenti, vicini per recitare il Santo Rosario, un giorno, una volta a settimana oppure tutti i giorni. Ognuno sarà libero di trovare tempi e modi per coinvolgere anche altre persone per pregare in difesa della vita e per diffondere la preghiera dell’Adozione spirituale (www.youthfl.org).

In questo mese di maggio giorni particolarmente significativi per l’Apostolato sono: il 6 maggio, Festa di San Domenico Savio, patrono della Comunità Italiana dell’Apostolato; il 24 maggio, Solennità di Maria Aiuto dei Cristiani.

Inoltre il 31 maggio, festa della Visitazione di Maria ad Elisabetta, l’Apostolato “Giovani per la Vita” con tutti i suoi membri e amici dedicherà una Giornata di preghiera per il Santo Padre Benedetto XVI.

Come Maria visitò la cugina Elisabetta e la aiutò nei giorni immediatamente prima del parto, anche l’Apostolato “Giovani per la Vita” intende simbolicamente visitare il Papa e farsi vicino a lui con la preghiera, sostenendolo nel suo delicato e prezioso servizio di guida e Pastore della Chiesa Universale.

Tanti sono i modi in cui sarà possibile fare questo: far celebrare la Messa del giorno con questa intenzione, pregare insieme il Rosario, organizzare incontri di preghiera e adorazione.

In un messaggio inviato per il 25 marzo scorso, festa dell'apostolato “Giovani per la Vita”, il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha scritto: “L’idea dell’adozione spirituale che la vostra associazione promuove è un atto d’amore e una risposta significativa all’emergenza grave che vede oggi milioni di bambini non voluti, non accolti, e ai quali si impedisce la possibilità stessa di nascere”.

“Auspico – ha aggiunto il porporato – che questa intuizione della adozione spirituale sia ancora più conosciuta, apprezzata e diffusa, come contributo orante dei credenti a sostegno della cultura della vita”.

[Per ulteriori informazioni: www.youthfl.org, savio@youthfl.org]

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Italia


Mons. Paglia e la sua Italia "In cerca dell'anima"
Contro le divisioni del Paese, Wojtyla inventò la preghiera per l'unità

di Mariaelena Finessi


ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nel suo nuovo libro, In cerca dell’anima. Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa (ediz. Piemme), monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, affronta un lungo colloquio con Franco Scaglia, scrittore e presidente di RaiCinema.

Alla presentazione del volume a Roma, il 27 aprile, nella parrocchia di Sant'Agnese fuori le Mura, monsignor Paglia incalzato da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, ha spiegato perché – a suo avviso – in Italia esista una crisi morale. «I comportamenti distorti sono la punta di un malessere più generalizzato e profondo. E il vero segno della crisi è che gli scandali — che pure non sono mai mancati — oggi non riescono a provocare una corrente di sdegno. C'è invece rassegnazione, quello cioè che io e Franco Scaglia chiamiamo “inerzia”. Ciò nonostante, la vitalità di tante esperienze ecclesiali mi fa dire “andiamo alla ricerca dell'anima”».

Un affresco eloquente su una politica caratterizzata da scarso respiro internazionale e che ha smesso di inventare il futuro. E tuttavia «il problema non è solo nella politica». «Ci meritiamo la classe dirigente che abbiamo – lamenta il vescovo –, ci lamentiamo ma poi torniamo a votarli». Come a dire che «tutti ne siamo coinvolti e tutti dobbiamo reagire, dalla politica certamente – spesso occupata a discutere di riforme elettorali piuttosto che spiegare a vantaggio di chi farle – fino alla Chiesa, anch'essa chiamata ad interrogarsi su ciò che accade». Monsignor Paglia non nasconde che vorrebbe una Chiesa più viva e coinvolta, tanto dalle preoccupazioni per una migliore qualità di vita di questo Paese quanto da una ancora più urgente rinascita, sia spirituale che culturale».

Innamorato dell'Italia, monsignor Paglia ha temuto una divisione nazionale «quando un gruppo», e il riferimento, qui, è alla Lega Nord, «andò al Po con le ampolle. In quell'occasione – ricorda – ci fu un solo uomo che inventò la preghiera per l'Italia: Giovanni Paolo II che chiamò i vescovi alla tomba di Pietro, in Vaticano, invitandoli a pregare per l'unità d'Italia e la sua salvezza». Quanto al rapporto buono che oggi la Chiesa sembra avere con i leghisti, il vescovo è netto: «Il rischio è la strumentalizzazione della religione per il proprio bisogno». D'altronde, «se pongono in secondo piano l'accoglienza, ho i miei dubbi quando dal druidismo si passa a brandire il crocifisso», anche perché «un vero cambiamento richiede innanzitutto cambiamento del cuore e di mentalità».

Ecco perché, dinanzi all'attuale clima culturale «e al rischio che anche la Chiesa si ripieghi su se stessa», occorre fare uno sforzo maggiore: «O siamo straordinari – spiega il vescovo - o non siamo affatto anche perché non si può rispondere al tumore con un'aspirina». Occorre ritrovare una forza creativa evangelica e rischiare la storia: il catechismo non può bastare. D'altra parte «conoscere il catechismo alla lettera non vuol dire essere bravi cristiani. Il bravo cristiano ha una forza interiore che cambia se stesso e gli altri e le battaglie sulla frontiera ideale valgono solo se si sta su quella reale». «A che serve parlare di testamento biologico se non si affronta il nodo dell'anzianità, della malattia e della solitudine?».

Nel caso di Eluana Englaro, che ha lacerato la coscienza degli italiani, laici e cattolici, «la Chiesa ha dato testimonianza di poca grandezza perché si è presentata solo con i “no”, senza mostrare lo straordinario “si” di cui è capace nelle tante lotte per la vita e per i diseredati, ovunque nel mondo». E il pensiero va alle suore che per anni hanno accudito la ragazza, morta nel 2009 alla fine di una controversa battaglia giudiziaria conclusasi con la sentenza che autorizzava l'interruzione della nutrizione artificiale. E parlando dell'assenza delle donne nella struttura gerarchica della Chiesa, il vescovo sintetizza: «Madre Teresa vale almeno 50 cardinali».

Assistente spirituale della Comunità di Sant'Egidio, monsignor Paglia ricorda il tempo in cui quel progetto – nato dagli incontri con i baraccati sul greto del Tevere – non sembrò un'utopia: «Negli anni settanta, in certi quartieri di Roma come Primavalle o Garbatella, c’eravamo solo noi e le Brigate Rosse. E noi, che sognavamo un mondo nuovo da costruire, iniziammo a percorrere le periferie della città. A Trastevere trovammo questo convento, rimasto senza monache, e lo “occupammo” come si faceva allora. Era il 1973 e volevano mandarci via per farne diciassette appartamenti. Intervenendo personalmente, Aldo Moro permise di farci restare».

Una riflessione sull'argomento, spinoso, della pedofilia nel clero: «La chiesa l'ha sottovalutata affrontandola in passato con non poca leggerezza. L'unico ad aver voluto che questo peccato e delitto emergesse è Benedetto XVI che oggi, per ironia della storia, paga le colpe di altri». Quindi monsignor Paglia richiama l'attenzione dei sacerdoti e delle suore su un punto che ritiene nevralgico: «Qualora si inficiasse l'autorevolezza educativa della Chiesa, colpiremmo uno dei pilastri fondamentali della formazione dei nostri ragazzi». Infine un appello: «Sulla pedofilia chiedo a tutti i responsabili istituzionali, a livello locale, italiano, europeo e mondiale, lo stesso livello di attenzione del Papa».

Un uomo, Ratzinger, che il vescovo giudica «straordinario perché riporta al centro la prospettiva evangelica della Chiesa e non l'organizzazione». Attaccato da certi media, specie stranieri, Benedetto XVI è attaccato anche dall'interno per mezzo del «tradimento». «Lasciare Gesù in pasto a chi vuole ucciderlo - spiega - è di fatto un attacco». Di più, «la Chiesa si può attaccare anche indebolendo la propria fede, la propria testimonianza come quando a minare il corpo è anche solo il mignolo che si ammala».

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Interviste


"Spero che i miei lettori sentano il bisogno di leggere Newman"
Pubblicato un libro di monsignor De Berranger

di Anita S. Bourdin

LIONE, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Mi auguro che, leggendo il mio libro, i lettori sentano il bisogno di leggere gli scritti dello stesso Newman”, dichiara il Vescovo emerito della diocesi francese di Saint Denis, monsignor Olivier de Berranger, in questa intervista rilasciata a ZENIT.

Il presule sottolinea il carattere “mariano” del “processo” di Newman: Maria “è per noi simbolo, non solo della fede dei più semplici, ma anche di quella dei dottori della Chiesa”.

Buckingham Palace ha annunciato che Benedetto XVI si recherà in visita nel Regno Unito dal 16 al 19 settembre 2010 e che presiederà, a Coventry, la Messa di beatificazione del cardinale John Henry Newman.

In vista di questa beatificazione, la casa editrice Ad Solem ha recentemente pubblicato un libro atipico: “Par l'amour de l'invisible, itinéraires croisés de John Henry Newman et Henri de Lubac” [Per amore all’invisibile, itinerari incrociati di John Henry Newman e Henri de Lubac, n.d.r.].

In questa opera, monsignor De Berranger propone un approccio originale al pensiero del cardinale Newman e alla sua attualità.

Come ha pensato all’idea di abbinare le figure di Newman e di de Lubac?

Monsignor De Berranger: È l’editore che avvicina le figure di questi teologi nella copertina del libro, attraverso due foto che li ritraggono intorno ai loro 70 anni di età.

Newman (1801-1890) e de Lubac (1896-1991) non appartengono allo stesso secolo, né allo stesso Paese. Uno è oratoriano, l’altro è gesuita.

Ma il pensiero del primo ha esercitato un’influenza che anticipa il Concilio Vaticano II (1961-1965).

Il secondo, che ha partecipato al Concilio come esperto, non ha esitato ad apportarvi ciò che è stato “l’evento spirituale” del Movimento di Oxford, del quale Newman è stato uno dei principali esponenti, nella speranza di rinnovare la Chiesa in Inghilterra tra il 1833 e il 1843, quando vedeva in essa una “via mediana” tra il Protestantesimo e ciò che egli considerava una tendenza alle esagerazioni superstiziose del “romanismo”.

Approfondendo, a partire dallo studio dei Padri della Chiesa, la questione dello “sviluppo della dottrina cristiana”, si è reso conto che la verità nella sua pienezza si trovava nella Chiesa cattolica e ha deciso di “arrendersi” e di aderire alla Chiesa romana il 9 ottobre 1845.

Perché padre de Lubac aveva letto l’opera del cardinale Newman con tanta attenzione?

Monsignor De Berranger: Perché vedeva in lui un teologo, il cui pensiero – al pari dei tedeschi Johannes Adam Möhler (1796-1838) e Matthias Joseph Scheeben (1835-1888) – avrebbe potuto contribuire a rinnovare la vita della Chiesa.

E ciò attraverso influenze contrarie al modernismo, condannato da San Pio X nel 1910 e attraverso il neotomismo, che troppo spesso gli sembrava una cattiva risposta alle domande rivolte alla fede cristiana dai nostri contemporanei, perché prigioniero di formulazioni astratte e lontane dalla tradizione patristica ... e dallo stesso San Tommaso d’Aquino.

Ciò che de Lubac apprezzava in Newman era la purezza della fede, unita a un’acuta comprensione delle esigenze della cultura scientifica.

Inoltre, esisteva tra Newman e de Lubac un’altra affinità, oltre al fatto di essere stati nominati cardinali verso la fine della loro vita, il primo da Leone XIII, l’altro da Giovanni Paolo II (come Journet, Daniélou, Congar, Grillmeier,...): un’affinità di tipo spirituale.

Entrambi hanno cercato di essere umili interpreti della fede più radicata nella Tradizione.

Lei parla della loro “passione volta a far amare la Rivelazione cristiana ai suoi contemporanei”. Cosa hanno, in definitiva, in comune?

Monsignor De Berranger: Appunto, la stessa sensibilità verso la Rivelazione, quella che la costituzione conciliare Dei Verbum metterà in rilievo, completando in qualche modo la costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I (1870).

Entrambi hanno una conoscenza molto profonda della Scrittura nella storia, in cui il Verbo incarnato costituisce la chiave interpretativa.

Ma non si tratta di una pura dichiarazione di principi. È, sia per l’uno che per l’altro, una fonte di santità, perché secondo il motto del cardinale Newman, “cor ad cor loquitur” (il cuore parla al cuore).

Questo è il vero rapporto tra il credente e Cristo, che deve diventare il rapporto del credente con tutti, con il proprio fratello, che egli desidera portare all’amore verso Colui che si rivela per mezzo della Chiesa.

Come sottolineato da Newman, senza certezza non esiste possibilità di santità. Ciò non vuol dire che la fede non venga mai messa alla prova dal dubbio, come un cammino spirituale attraverso l’aridità, ma che l’intelligenza deve potersi fondare su un assenso molto fermo a Cristo, secondo la confessione di Pietro, roccia della Chiesa.

Perché Benedetto XVI ha tanto interesse a far conoscere Newman a tutta la Chiesa? Il Papa non solo ne promuove la beatificazione, ma presiederà egli steso la cerimonia, che non si svolgerà a Roma!

Monsignor De Berranger: Tutti sono d’accordo nel riconoscere in Benedetto XVI un grande teologo.

Non so quante volte egli abbia citato Newman nelle sue numerose opere. Ma poiché egli si è abbeverato alle stesse fonti della grande Tradizione e poiché come de Lubac, suo contemporaneo, ha letto l’opera di Newman, ha riconosciuto la sua santità nella ricerca della verità a qualunque costo.

Penso di poter dire che Newman rappresenti per Benedetto XVI una testimonianza della stessa levatura di una Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) per Giovanni Paolo II.

E, insieme a molti altri, spero che l’uno e l’altra siano dichiarati dottori della Chiesa.

A lei, personalmente, cosa le piace di più di Newman? Cosa ha voluto comunicare ai suoi lettori?

Monsignor De Berranger: Mi piace l’uomo e l’opera nella sua integrità. Mi consenta di citare un passaggio celebre del suo quindicesimo sermone universitario pronunciato a St. Mary di Oxford, quando era ancora un chierico anglicano.

Meditando sul versetto di Luca 2,19 (Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore), dice: “Maria è il nostro modello nella Fede, non solo nella ricezione, ma anche nello studio della Verità divina. Ella non si accontenta di accettarla, vive in essa; non le basta possederla, si serve di essa; sottomette la propria ragione, ma ragiona sulla fede, certamente non razionalizza prima, per poi credere, come Zaccaria, ma prima crede senza ragione e poi, con amore e rispetto, ragiona su ciò che crede. Pertanto, ella è per noi simbolo, non solo della fede dei più semplici, ma anche di quella dei dottori della Chiesa, che devono cercare, soppesare, definire, oltre che professare il Vangelo; per tracciare una linea tra la verità e l’eresia; per anticipare o rimediare alle aberrazioni di una falsa ragione, per combattere con le armi giuste (quelle della fede) l’orgoglio e la temerarietà e per trionfare sul sofista e l’innovatore” (2 febbraio 1843).

Mi auguro che, leggendo il mio libro, i lettori sentano il bisogno di leggere gli scritti dello stesso Newman, per rafforzarsi in questo processo “mariano”, ecclesiale, perché radicato nelle origini del Cristianesimo.

Sarà presente alla beatificazione?

Monsignor de Berranger: Rispondo come i romani: “Se Dio vuole, certo”.

I suoi studi sul cardinale Newman e sul cardinale de Lubac l’hanno aiutata nel suo ministero?

Monsignor De Berranger: Vorrei citare in particolare due opere che mi hanno particolarmente ispirato. Una mentre ero in Corea, l’altra mentre ero Vescovo di Saint-Denis in Francia.

In Corea, è stata la “Grammatica dell’assenso” che mi ha aiutato a inculturarmi in un’area così diversa dall’Europa.

Newman non si mostra solo preoccupato per “la fede dei più semplici”, per dimostrare coerenza profonda, ma dispiega una straordinaria sensibilità per l’influenza delle culture nell’espressione di una medesima fede.

E proprio nel momento in cui monsignor Tagliaferri, allora nunzio in quel Paese, mi ha detto che ero stato nominato alla sede di Saint-Denis, dovevo preparare una conferenza su un’opera apparentemente minore, del padre de Lubac: “Il fondamento teologico delle missioni”.

Ha dimostrato l’unità del genere umano di fronte alla sua fonte originale, creatrice, e si è opposto con vigore, nel gennaio del 1941, alle tesi razziste divulgate dal nazismo.

Questa coincidenza mi ha confortato in un ministero planetario.


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Nei casi di abuso sui minori, priorità alle vittime
Intervista a Marta Brancatisano, esperta in questioni familiari

di Carmen Elena Villa

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Di fronte all'ondata di notizie diffuse dai media sui casi di pedofilia da parte di alcuni sacerdoti cattolici, l'antropologa Marta Barancatisano ha affermato che la cosa più importante è guardare alla radice del problema, al dolore delle vittime e alle possibili soluzioni.

La prof.ssa Brancatisano è intervenuta il 27 aprile al convegno dal titolo “Comunicazione della Chiesa: identità e dialogo”, tenutosi presso la Pontificia Università della Santa Croce, denunciando l'esistenza in Italia di circa una quindicina di reti di pedofili. Per questa ragione ha sottolineato l'urgenza di “rivolgere l'attenzione alla sessualità con una comprensione antropologica”.

Marta Brancatisano si è laureata con lode in Giurisprudenza all'Università “La Sapienza” di Roma nel 1968. Sposata e madre di sette figli, si occupa da sempre di pedagogia e sostegno della donna nell'ambito professionale e familiare. Al tema ha anche dedicato diversi libri. ZENIT l'ha intervistata.

Nella sua conferenza ha fatto riferimento agli ultimi scandali di pedofilia come a una “situazione orribile che mai avremmo voluto ascoltare”, tuttavia afferma anche che tutto questo potrà sicuramente produrre un risultato positivo. Quale potrebbe essere?

Brancatisano: C'è un aspetto positivo in questa tragedia che ha colpito la Chiesa, e cioè il fatto che ha messo in evidenza, violentemente, l'esistenza del problema e che il problema è globale. Ci sono due obiettivi in questa vicenda di scandalo e di comunicazione: vogliamo salvare la credibilità della Chiesa cattolica o vogliamo salvare i bambini? Personalmente non vedo i due obiettivi come contrapposti. Ma mentre il primo obiettivo è molto parziale, il secondo, e lo dico con molta forza, non può essere parziale. Deve essere l’obiettivo di tutto il mondo, di tutte le istituzioni e di tutti gli Stati.

Qual è, secondo lei, la radice del problema della pedofilia?

Brancatisano: Penso che a livello di male individuale, di debolezza e di perversione, la pedofilia sia sempre esistita e non mi riferisco alla esperienza culturale del mondo greco ma al comportamento deviato che si può rintracciare in tutta la storia della umanità. E' questa la differenza rispetto ad oggi: che una volta era un comportamento comunemente vantato come distruttivo mentre oggi ci sono spinte culturali perché possa essere considerato come espressione libera dell'essere e questo fa parte – la pedofilia è l’ultimo anello - di una concezione della sessualità come espressione e non come modo per entrare in una relazione alla pari con l'altro che è la caratteristica della nostra cultura.

Nella sua conferenza lei ha presentato anche altri fenomeni che dimostrano come la cultura della morte colpisca fortemente i bambini.

Brancatisano: Abbiamo per esempio i bambini soldato che sono ormai delle realtà conosciute. Abbiamo bambini uccisi per essere usati come donatori di organi. Abbiamo bambini che vengono assemblati ponendo insiemi i vari caratteri strutturali dal punto di vista biologico: seme dell'uomo, utero, per delle donne che si illudono di vivere la maternità in modo consumistico. Peggio di queste cose non può succedere niente nel mondo e credo che sia una ultima chiamata alla quale vale la pena rispondere tutti al di là di qualunque particolarità religiosa e ideologica.

Un qualcosa che lascia profonde ferite nei bambini...

Brancatisano: Come madre di famiglia posso dire che anche una famiglia di genitori sani provoca delle sofferenze nei figli. Si immagini cosa può succedere con queste violenze. L’essere umano è fatto degli stessi pezzi: corpo, anima, psiche, sentimento, istinto. Però in mezzo a tutto questo c’è la libertà per cui noi non siamo predeterminabili. In questo senso penso che la chiamata di Benedetto XVI ad entrare dentro di sé e a chiedere perdono per pregare sia veramente una struttura importante della soluzione di questo problema.

In mezzo a tutte queste notizie sugli abusi, come è possibile distogliere per un attimo l'attenzione dagli scandali per orientarla verso il benessere dei bambini?

Brancatisano: E' la mia proposta! La comunicazione è sempre comunicazione emotiva. Il senso di orrore legato allo scandalo provoca sempre una emozione di paura. L'invito è a tutti, compresi i media: dobbiamo provocare una emozione di speranza, se vogliamo rispettare le vittime. Non solo punendo i colpevoli ma anche donando alle vittime la speranza che ciò che hanno sofferto non accadrà più perché sono state applicate delle soluzioni razionali. Il resto mi sembra che sia solo un far girare a vuoto le emozioni.

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Udienza del mercoledì


Il Papa sulla vita di San Leonardo Murialdo e San Giuseppe Cottolengo

CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale in piazza San Pietro, dove ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa, avvicinandosi la conclusione dell’Anno Sacerdotale, ha incentrato la sua meditazione sulla vita e sulle opere di due santi sacerdoti torinesi, San Leonardo Murialdo e San Giuseppe Cottolengo.

 




* * *

Cari fratelli e sorelle,

ci stiamo avviando verso la conclusione dell’Anno Sacerdotale e, in questo ultimo mercoledì di aprile, vorrei parlare di due santi Sacerdoti esemplari nella loro donazione a Dio e nella testimonianza di carità, vissuta nella Chiesa e per la Chiesa, verso i fratelli più bisognosi: san Leonardo Murialdo e san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Del primo ricordiamo i 110 anni dalla morte e i 40 anni dalla canonizzazione; del secondo sono iniziate le celebrazioni per il 2° centenario di Ordinazione sacerdotale.

Il Murialdo nacque a Torino il 26 ottobre 1828: è la Torino di san Giovanni Bosco, dello stesso san Giuseppe Cottolengo, terra fecondata da tanti esempi di santità di fedeli laici e di sacerdoti. Leonardo è l’ottavo figlio di una famiglia semplice. Da bambino, insieme con il fratello, entrò nel collegio dei Padri Scolopi di Savona per il corso elementare, le scuole medie e il corso superiore; vi trovò educatori preparati, in un clima di religiosità fondato su una seria catechesi, con pratiche di pietà regolari. Durante l’adolescenza visse, però, una profonda crisi esistenziale e spirituale che lo portò ad anticipare il ritorno in famiglia e a concludere gli studi a Torino, iscrivendosi al biennio di filosofia. Il "ritorno alla luce" avvenne - come egli racconta - dopo qualche mese, con la grazia di una confessione generale, nella quale riscoprì l’immensa misericordia di Dio; maturò, allora, a 17 anni, la decisione di farsi sacerdote, come riposta d’amore a Dio che lo aveva afferrato con il suo amore. Venne ordinato il 20 settembre 1851. Proprio in quel periodo, come catechista dell’Oratorio dell’Angelo Custode, fu conosciuto ed apprezzato da Don Bosco, il quale lo convinse ad accettare la direzione del nuovo Oratorio di San Luigi a Porta Nuova che tenne fino al 1865. Lì venne in contatto anche con i gravi problemi dei ceti più poveri, ne visitò le case, maturando una profonda sensibilità sociale, educativa ed apostolica che lo portò poi a dedicarsi autonomamente a molteplici iniziative in favore della gioventù. Catechesi, scuola, attività ricreative furono i fondamenti del suo metodo educativo in Oratorio. Sempre Don Bosco lo volle con sé in occasione dell’Udienza concessagli dal beato Pio IX nel 1858.

Nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe, il cui fine apostolico fu, fin dall’inizio, la formazione della gioventù, specialmente quella più povera e abbandonata. L’ambiente torinese del tempo fu segnato dall’intenso fiorire di opere e di attività caritative promosse dal Murialdo fino alla sua morte, avvenuta il 30 marzo del 1900.

Mi piace sottolineare che il nucleo centrale della spiritualità del Murialdo è la convinzione dell’amore misericordioso di Dio: un Padre sempre buono, paziente e generoso, che rivela la grandezza e l’immensità della sua misericordia con il perdono. Questa realtà san Leonardo la sperimentò a livello non intellettuale, ma esistenziale, mediante l’incontro vivo con il Signore. Egli si considerò sempre un uomo graziato da Dio misericordioso: per questo visse il senso gioioso della gratitudine al Signore, la serena consapevolezza del proprio limite, il desiderio ardente di penitenza, l’impegno costante e generoso di conversione. Egli vedeva tutta la sua esistenza non solo illuminata, guidata, sorretta da questo amore, ma continuamente immersa nell’infinita misericordia di Dio. Scrisse nel suo Testamento spirituale: "La tua misericordia mi circonda, o Signore… Come Dio è sempre ed ovunque, così è sempre ed ovunque amore, è sempre ed ovunque misericordia". Ricordando il momento di crisi avuto in giovinezza, annotava: "Ecco che il buon Dio voleva far risplendere ancora la sua bontà e generosità in modo del tutto singolare. Non soltanto egli mi ammise di nuovo alla sua amicizia, ma mi chiamò ad una scelta di predilezione: mi chiamò al sacerdozio, e questo solo pochi mesi dopo il mio ritorno a lui". San Leonardo visse perciò la vocazione sacerdotale come dono gratuito della misericordia di Dio con senso di riconoscenza, gioia e amore. Scrisse ancora: "Dio ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all’onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere «un altro Cristo» … E dove stavo io quando mi hai cercato, mio Dio? Nel fondo dell’abisso! Io ero là, e là Dio venne a cercarmi; là egli mi fece intendere la sua voce…".

Sottolineando la grandezza della missione del sacerdote che deve "continuare l’opera della redenzione, la grande opera di Gesù Cristo, l’opera del Salvatore del mondo", cioè quella di "salvare le anime", san Leonardo ricordava sempre a se stesso e ai confratelli la responsabilità di una vita coerente con il sacramento ricevuto. Amore di Dio e amore a Dio: fu questa la forza del suo cammino di santità, la legge del suo sacerdozio, il significato più profondo del suo apostolato tra i giovani poveri e la fonte della sua preghiera. San Leonardo Murialdo si è abbandonato con fiducia alla Provvidenza, compiendo generosamente la volontà divina, nel contatto con Dio e dedicandosi ai giovani poveri. In questo modo egli ha unito il silenzio contemplativo con l’ardore instancabile dell’azione, la fedeltà ai doveri di ogni giorno con la genialità delle iniziative, la forza nelle difficoltà con la serenità dello spirito. Questa è la sua strada di santità per vivere il comandamento dell’amore, verso Dio e verso il prossimo.

Con lo stesso spirito di carità è vissuto, quarant’anni prima del Murialdo, san Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore dell’opera da lui stesso denominata "Piccola Casa della Divina Provvidenza" e chiamata oggi anche "Cottolengo". Domenica prossima, nella mia Visita pastorale a Torino, avrò modo di venerare le spoglie di questo Santo e di incontrare gli ospiti della "Piccola Casa".

Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra, cittadina della provincia di Cuneo, il 3 maggio 1786. Primogenito di 12 figli, di cui 6 morirono in tenera età, mostrò fin da fanciullo grande sensibilità verso i poveri. Abbracciò la via del sacerdozio, imitato anche da due fratelli. Gli anni della sua giovinezza furono quelli dell’avventura napoleonica e dei conseguenti disagi in campo religioso e sociale. Il Cottolengo divenne un buon sacerdote, ricercato da molti penitenti e, nella Torino di quel tempo, predicatore di esercizi spirituali e conferenze presso gli studenti universitari, dove riscuoteva sempre un notevole successo. All’età di 32 anni, venne nominato canonico della Santissima Trinità, una congregazione di sacerdoti che aveva il compito di officiare nella Chiesa del Corpus Domini e di dare decoro alle cerimonie religiose della città, ma in quella sistemazione egli si sentiva inquieto. Dio lo stava preparando ad una missione particolare, e, proprio con un incontro inaspettato e decisivo, gli fece capire quale sarebbe stato il suo futuro destino nell’esercizio del ministero.

Il Signore pone sempre dei segni sul nostro cammino per guidarci secondo la sua volontà al nostro vero bene. Per il Cottolengo questo avvenne, in modo drammatico, la domenica mattina del 2 settembre 1827. Proveniente da Milano giunse a Torino la diligenza, affollata come non mai, dove si trovava stipata un’intera famiglia francese in cui la moglie, con cinque bambini, era in stato di gravidanza avanzata e con la febbre alta. Dopo aver vagato per vari ospedali, quella famiglia trovò alloggio in un dormitorio pubblico, ma la situazione per la donna andò aggravandosi e alcuni si misero alla ricerca di un prete. Per un misterioso disegno incrociarono il Cottolengo, e fu proprio lui, con il cuore pesante e oppresso, ad accompagnare alla morte questa giovane madre, fra lo strazio dell’intera famiglia. Dopo aver assolto questo doloroso compito, con la sofferenza nel cuore, si recò davanti al Santissimo Sacramento e pregò: "Mio Dio, perchè? Perchè mi hai voluto testimone? Cosa vuoi da me? Bisogna fare qualcosa!". Rialzatosi, fece suonare tutte le campane, accendere le candele, e accogliendo i curiosi in chiesa disse: "La grazia è fatta! La grazia è fatta!". Da quel momento il Cottolengo fu trasformato: tutte le sue capacità, specialmente la sua abilità economica e organizzativa, furono utilizzate per dare vita ad iniziative a sostegno dei più bisognosi.

Egli seppe coinvolgere nella sua impresa decine e decine di collaboratori e volontari. Spostandosi verso la periferia di Torino per espandere la sua opera, creò una sorta di villaggio, nel quale ad ogni edificio che riuscì a costruire assegnò un nome significativo: "casa della fede", "casa della speranza", "casa della carità". Mise in atto lo stile delle "famiglie", costituendo delle vere e proprie comunità di persone, volontari e volontarie, uomini e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare e superare insieme le difficoltà che si presentavano. Ognuno in quella Piccola Casa della Divina Provvidenza aveva un compito preciso: chi lavorava, chi pregava, chi serviva, chi istruiva, chi amministrava. Sani e ammalati condividevano tutti lo stesso peso del quotidiano. Anche la vita religiosa si specificò nel tempo, secondo i bisogni e le esigenze particolari. Pensò anche ad un proprio seminario, per una formazione specifica dei sacerdoti dell’Opera. Fu sempre pronto a seguire e a servire la Divina Provvidenza, mai ad interrogarla. Diceva: "Io sono un buono a nulla e non so neppure cosa mi faccio. La Divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole. A me tocca solo assecondarla. Avanti in Domino". Per i suoi poveri e i più bisognosi, si definirà sempre "il manovale della Divina Provvidenza".

Accanto alle piccole cittadelle volle fondare anche cinque monasteri di suore contemplative e uno di eremiti, e li considerò tra le realizzazioni più importanti: una sorta di "cuore" che doveva battere per tutta l’Opera. Morì il 30 aprile 1842, pronunciando queste parole: "Misericordia, Domine; Misericordia, Domine. Buona e Santa Provvidenza… Vergine Santa, ora tocca a Voi". La sua vita, come scrisse un giornale del tempo, era stata tutta "un’intensa giornata d’amore".

Cari amici, questi due santi Sacerdoti, dei quali ho presentato qualche tratto, hanno vissuto il loro ministero nel dono totale della vita ai più poveri, ai più bisognosi, agli ultimi, trovando sempre la radice profonda, la fonte inesauribile della loro azione nel rapporto con Dio, attingendo dal suo amore, nella profonda convinzione che non è possibile esercitare la carità senza vivere in Cristo e nella Chiesa. La loro intercessione e il loro esempio continuino ad illuminare il ministero di tanti sacerdoti che si spendono con generosità per Dio e per il gregge loro affidato, e aiutino ciascuno a donarsi con gioia e generosità a Dio e al prossimo.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al pellegrinaggio promosso nel 110° anniversario della morte di san Leonardo Murialdo, e formulo cordiali voti affinché questa ricorrenza susciti un rinnovato impegno a testimoniare il carisma donato dallo Spirito a questo grande maestro della carità. Saluto i seminaristi di Bologna e di Macerata, come pure quelli dell’Istituto Missionari Oblati di Maria Immacolata; cari amici, preparatevi con serietà e impegno per essere apostoli di Cristo al servizio del Vangelo. Saluto i fedeli della parrocchia Cuore Immacolato di Maria, in Vigevano ed auspico che la loro comunità parrocchiale sia sempre più un luogo privilegiato di profonda formazione spirituale. Saluto i partecipanti al convegno sul tema della comunicazione, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, e i rappresentanti della scuola Santa Dorotea, di Forlì. Tutti incoraggio a continuare con generoso sforzo il cammino di essere testimoni della Risurrezione ed evangelizzatori della speranza cristiana.

Con grande cordialità mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Il Signore risorto riempia del suo amore il cuore di ciascuno di voi, cari giovani, perché siate pronti a seguirlo con l'entusiasmo e la freschezza della vostra età; sostenga voi, cari malati, nell'accettare con serenità il peso quotidiano della sofferenza e della croce; e guidi voi, cari sposi novelli, a fondare nella fedele donazione reciproca famiglie impregnate del profumo della santità evangelica.




[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Discorso del Papa in occasione del pranzo con i membri di "Vox Clara"
Presto pronta la nuova traduzione inglese dei testi liturgici

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo mercoledì da Benedetto XVI incontrando i membri del Comitato “Vox Clara” - che dal 2001 svolge un'opera di consulenza alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti in materia di celebrazione del Rito romano in lingua inglese - con i quali ha pranzato, al termine dell'Udienza generale.





* * *

Cari Fratelli Vescovi,

Membri e Consiglieri

del Comitato Vox Clara,

Reverendi Padri,

vi ringrazio per l'opera che Vox Clara ha compiuto negli ultimi otto anni, assistendo e consigliando la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti nell'adempimento delle sue responsabilità relativamente alle traduzioni in inglese di testi liturgici. Si è trattato di un'impresa veramente collegiale. Non solo fra i membri del Comitato sono rappresentati tutti i cinque continenti, ma siete stati assidui nel trarre contributi dalle Conferenze episcopali nei territori anglofoni in tutto il mondo. Vi ringrazio per il grande impegno profuso nel vostro studio delle traduzioni e nell'elaborazione dei risultati delle numerose consultazioni fatte. Ringrazio gli esperti per aver offerto i frutti del loro studio al fine di rendere un servizio alla Chiesa universale. Ringrazio i Superiori e i Funzionari della Congregazione per la loro faticosa opera quotidiana di supervisione della redazione e della traduzione di testi che proclamano la verità della nostra redenzione in Cristo, il Verbo Incarnato di Dio.

Sant'Agostino ha parlato in modo molto bello del rapporto fra Giovanni Battista, la vox clara che risuonava sulle sponde del Giordano, e la Parola che annunciava. Una voce, diceva, serve a condividere con chi ascolta il messaggio che è già nel cuore di chi parla. Una volta pronunciata la parola, essa è presente nel cuore di entrambi e quindi la voce, dopo aver svolto il suo compito, può svanire (cfr Sermone 293). Accolgo con favore la notizia che la traduzione inglese del Messale Romano sarà presto pronta per la pubblicazione cosicché i testi che avete faticato tanto a preparare possano essere proclamati nella liturgia che si celebra nel mondo anglofono. Attraverso questi testi sacri e le azioni che li accompagnano, Cristo sarà reso presente e attivo fra la sua gente. La voce che ha contribuito a far scaturire queste parole avrà completato il suo compito.

Poi si presenterà un nuovo compito, che non rientra nelle competenze dirette di Vox Clara, ma che, in un modo o nell'altro, coinvolgerà tutti voi, il compito di preparare la ricezione della nuova traduzione da parte del clero e dei fedeli laici. Molti troveranno difficile adattarsi a testi insoliti dopo quasi quarant'anni di uso costante della traduzione precedente. Il cambiamento dovrà essere introdotto con la dovuta sensibilità e l'opportunità di catechesi che esso presenta dovrà essere colta con fermezza. Prego affinché in questo modo venga evitato qualsiasi rischio di confusione o disorientamento e il cambiamento serva invece come trampolino per un rinnovamento e per un approfondimento della devozione eucaristica in tutto il mondo anglofono.

Cari Fratelli Vescovi, Reverendi Padri, Amici, voglio che sappiate quanto apprezzo il grande sforzo collaborativo al quale avete contribuito. Presto i frutti delle vostre fatiche saranno resi disponibili alle congregazioni anglofone ovunque. Come le preghiere del popolo di Dio stanno davanti a Lui come incenso (cfr Sal 140, 2), che la benedizione del Signore discenda su tutti coloro che hanno impiegato il proprio tempo e la propria esperienza per la redazione dei testi in cui quelle preghiere sono espresse. Grazie, e che possiate essere abbondantemente ripagati per il vostro servizio generoso al popolo di Dio.

[Traduzione dal testo originale in inglese a cura de “L'Osservatore Romano”]

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