giovedì 29 aprile 2010

[ZI100429] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 29 aprile 2010

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Santa Sede


Il Papa chiede ai Vescovi africani di opporsi alla "mentalità antinatalista"
E di difendere la famiglia cristiana fondata sul matrimonio
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- La difesa della famiglia cristiana e della vita contro le tendenze alla riduzione della natalità che si vogliono imporre all'Africa è stata al centro del discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questo giovedì mattina ricevendo in udienza i Vescovi di Gambia, Liberia e Sierra Leone.

I presuli, riuniti in un'unica Conferenza Episcopale, erano a Roma in occasione della loro visita quinquennale "ad limina apostolorum".

"In un ambiente segnato dal divorzio e dalla poligamia, promuovete l'unità e il benessere della famiglia cristiana basata sul sacramento del matrimonio", li ha esortati il Papa, sottolineando che le "iniziative e associazioni dedicate alla santificazione di questa comunità fondamentale" meritano "pieno sostegno".

"Continuate a sostenere la dignità delle donne nel contesto dei diritti umani e difendete il vostro popolo contro i tentativi di introdurre una mentalità antinatalista mascherata da forma di progresso culturale", ha aggiunto.

"Attraverso il vostro insegnamento, il Signore preserva i membri del vostro popolo dal male, dall'ignoranza e dalla superstizione e li trasforma in figli del suo Regno".

Attenzione a pastori e fedeli

Il Pontefice ha quindi invitato i presuli a lottare "per edificare comunità vibranti e aperte di uomini e donne saldi nella fede, contemplativi e gioiosi nella liturgia e ben istruiti sul modo di comportarsi e di piacere a Dio".

Parimenti, ha chiesto di prestare attenzione "all'adeguato discernimento e alla preparazione delle vocazioni e alla formazione permanente dei sacerdoti", che sono i più stretti collaboratori dei Vescovi nel compito dell'evangelizzazione.

"Continuate a guidarli con le parole e con l'esempio affinché siano uomini di preghiera, sani e chiari nell'insegnare, maturi e rispettosi nei loro rapporti con gli altri, fedeli ai propri impegni spirituali, forti nella compassione verso tutti i bisognosi", ha esortato.

"Nello stesso modo, non esitate a invitare missionari di altri Paesi per contribuire alla buona opera compiuta dal vostro clero, dai vostri religiosi e catechisti".

L'importanza dell'istruzione

Bendetto XVI ha poi ricordato che in Gambia, Liberia e Sierra Leone "la Chiesa è tenuta in alta considerazione perché contribuisce al bene della società, in particolare nell'educazione, nello sviluppo e nell'assistenza sanitaria, offerta a tutti senza distinzioni".

"La lotta contro la povertà deve essere condotta nel rispetto della dignità di tutti gli interessati, incoraggiandoli a essere protagonisti del proprio sviluppo integrale - ha ricordato -. Si può fare molto con impegni comunitari su piccola scala e iniziative di microeconomia al servizio delle famiglie. Nello sviluppare e sostenere queste strategie, un'educazione migliorata sarà sempre un fattore decisivo".

Per questo, ha incoraggiato "a continuare a offrire programmi scolastici che preparino e motivino le nuove generazioni a divenire cittadini responsabili e socialmente attivi per il bene della loro comunità e del loro Paese".

Un "contributo importante al bene comune" è anche "la formazione morale e spirituale alla leadership di laici, uomini e donne, attraverso corsi specializzati in Dottrina Sociale cattolica".

Il "grande dono" della pace

Il Papa ha infine lodato i Vescovi dei tre Paesi africani per l'attenzione che prestano "al grande dono della pace".

"Prego affinché il processo di riconciliazione nella giustizia e nella verità, che avete giustamente sostenuto nella regione, possa produrre un rispetto duraturo per tutti i diritti umani dati da Dio e neutralizzare le tendenze alla rappresaglia e alla vendetta", ha confessato.

Nel servire la pace, ha chiesto di continuare a promuovere "il dialogo con altre religioni, in particolare con l'islam, per sostenere i buoni rapporti esistenti e prevenire qualsiasi forma di intolleranza, ingiustizia e oppressione, dannosa per la promozione della fiducia reciproca".

"La Chiesa, segno e strumento dell'unica famiglia di Dio, deve recare una chiara testimonianza dell'amore di Gesù, nostro Signore e Salvatore, che va al di là dei confini etnici e comprende tutti gli uomini e tutte le donne", ha concluso.

I laici, risorse fondamentale

Nel suo saluto al Papa, monsignor Patrick Daniel Koroma, presidente della Conferenza Episcopale interterritoriale cattolica del Gambia e della Sierra Leone, insieme con i fratelli della Liberia, ha ricordato che grazie alle condizioni di sicurezza, stabilità e pace relative dei Paesi in questione "l'opera di evangelizzazione della Chiesa prosegue con notevole successo".

"Abbiamo ancora un numero considerevole di convertiti al cristianesimo e di battesimi di adulti - ha dichiarato come riporta "L'Osservatore Romano" -. I nostri rapporti con musulmani e con altre denominazioni cristiane sono cordiali".

Quanto alle vocazioni, ha sottolineato che resta da affrontare "una priorità urgente": "il numero di formatori di qualità".

La mancanza di personale specializzato, ha aggiunto, si fa sentire anche in altri settori. Ad esempio, non ha consentito di "istituire un tribunale che affronti i casi più difficili".

A questa carenza suppliscono in parte i laici. "Catechisti, persone che conducono la preghiera e altri agenti laici di pastorale sono divenuti la spina dorsale delle nostre comunità nelle aree remote", ha confessato, osservando che grazie a loro è possibile continuare - "anche se con difficoltà" - a gestire le scuole cattoliche nei tre Paesi.

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Benedetto XVI: l'istruzione, via per la pace in Congo
Riceve il nuovo ambasciatore del Paese presso la Santa Sede
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- La promozione dell'istruzione è la via per realizzare le aspirazioni di pace del popolo del Congo, ha affermato Benedetto XVI questo giovedì ricevendo il nuovo rappresentante del Paese presso la Santa Sede, Jean-Pierre Hamuli Mupenda, in occasione della presentazione delle sue lettere credenziali.

Riconoscendo che "dopo tanti anni di sofferenze" il Congo "ha bisogno di impegnarsi in modo risoluto sulla via della riconciliazione nazionale", il Papa ha affermato che "uno dei mezzi migliori per realizzare ciò è promuovere l'educazione delle giovani generazioni".

"Lo spirito di riconciliazione e di pace, nato nella famiglia, si afferma e si estende alla scuola e all'università".

Anche se i congolesi desiderano una buona educazione per i propri figli, ha ammesso, "il peso del finanziamento diretto da parte delle famiglie è grande e addirittura insostenibile per molti".

Il Pontefice si è detto "certo che si potrà trovare una giusta soluzione" e ha aggiunto che "aiutando economicamente i genitori e assicurando il finanziamento regolare degli educatori, lo Stato farà un investimento proficuo per tutti".

"È fondamentale che i bambini e i giovani vengano educati con pazienza e tenacia, soprattutto quelli che sono stati privati dell'istruzione e addestrati a uccidere".

"È opportuno non solo inculcare in loro un sapere che li sosterrà nella futura vita adulta e professionale, ma anche dare loro basi morali e spirituali che li aiuteranno a respingere la tentazione della violenza e del risentimento per scegliere ciò che è giusto e vero".

"Attraverso le sue strutture educative e secondo le sue possibilità, la Chiesa può aiutare e completare quelle dello Stato".

Ricostruzione

Il Papa ha riconosciuto che la presenza del diplomatico a capo dell'ambasciata, "dopo lunghi anni di sede vacante", mostra "il desiderio del Capo di Stato e di Governo di rafforzare le relazioni con la Santa Sede".

Osservando che questa decisione "si situa nell'anno del cinquantesimo anniversario dell'indipendenza della sua patria", ha auspicato che questo giubileo possa "permettere alla Nazione di ripartire su nuove basi".

Il Congo, ha infatti riconosciuto, ha vissuto in questi anni "momenti particolarmente difficili e tragici": "la violenza si è abbattuta, cieca e spietata, su una larga frangia della popolazione, piegandola sotto il suo giogo brutale e insostenibile e seminando rovine e morti".

"Penso in particolare alle donne, ai giovani e ai bambini, la cui dignità è stata schernita a oltranza attraverso la violazione dei loro diritti", ha spiegato, aggiungendo di voler assicurare loro "sollecitudine" e "preghiera".

La Chiesa cattolica, "ferita in molti suoi membri e nelle sue strutture", "desidera favorire la guarigione interiore e la fraternità", contribuendo "attraverso l'insieme delle strutture di cui dispone grazie alla sua tradizione spirituale, educativa e sanitaria".

"Sarebbe ora opportuno impiegare tutti i mezzi politici e umani per porre fine alla sofferenza. Sarebbe altresì opportuno riparare e rendere giustizia, come invitano a fare le parole giustizia e pace scritte nel motto nazionale", ha dichiarato.

A questo proposito, ha sottolineato l'importanza di ricostruire "poco a poco il tessuto sociale così gravemente leso, incoraggiando la prima società naturale, che è la famiglia, e consolidando i rapporti interpersonali tra congolesi fondati su un'educazione integrale, fonte di pace e di giustizia".

Allo stesso modo, ha invitato le autorità pubbliche "a non tralasciare nulla per porre fine alla situazione di guerra che, purtroppo, ancora persiste in alcune province del Paese, e a dedicarsi alla ricostruzione umana e sociale della nazione nel rispetto dei diritti umani fondamentali".

"La pace non significa solo assenza totale di conflitti, ma è anche un compito che impegna i cittadini e lo Stato", che non può realizzarsi se non "attraverso una risposta umana in armonia con il disegno divino".

Nel suo saluto al Pontefice, il nuovo ambasciatore ha ricordato che circa la metà dei 60 milioni di abitanti del Congo è cattolica, "per cui si può affermare che la comunità cattolica più importante in Africa si trova nella Repubblica Democratica del Congo".

"Per questo il Governo del mio Paese, il suo popolo e anche i suoi dirigenti continuano a contare sul sostegno e sulla cooperazione della Santa Sede per perpetuare le conquiste dell'opera dei missionari cattolici nel processo di civilizzazione e di evangelizzazione dei popoli d'Africa, e specialmente della Repubblica Democratica del Congo", ha aggiunto, come riporta "L'Osservatore Romano".

Il Congo, ha sottolineato, "intende partecipare al concerto delle Nazioni sulla base dei principi fondamentali derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e dall'Atto costitutivo dell'Unione Africana", quali "il buon vicinato, l'apertura al mondo senza esclusioni, la cooperazione internazionale, sotto-regionale o regionale reciprocamente vantaggiosa, la risoluzione pacifica delle controversie, la coesistenza pacifica fra le diverse nazioni, il rispetto delle frontiere ereditate dalla colonizzazione".

"La Repubblica Democratica del Congo conta di applicare senza esitazione questi principi al fine di garantire la pace nella sottoregione dei Grandi Laghi", ha concluso. "Una volta restaurata la pace, si può ora pensare allo sviluppo".

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Il Cardinal Martino interviene sulla ricerca sulle cellule staminali

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- E' lecita la ricerca sulle cellule staminali adulte? Perché il Vaticano ha dato un apporto a questa ricerca? Il presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il Cardinale Renato R. Martino, ha risposto a queste domande parlando alla "Radio Vaticana" dopo che l'Università del Maryland (Stati Uniti) ha annunciato che la Santa Sede ha deciso di donare due milioni di euro per ricerche di questo tipo.

"La Chiesa vuole contribuire al progresso della scienza e della ricerca, ma naturalmente in difesa della vita sia dei malati, sia evitando che si usino per questa ricerca le cellule staminali embrionali", ha spiegato il porporato.

Le cellule staminali hanno la capacità di trasformarsi in altri tipi di cellule, incluse quelle del cervello, del cuore, delle ossa, dei muscoli e della pelle.

Questo tipo di cellule si trova nel cordone ombelicale, nella placenta, nel midollo osseo, nell'intestino e degli embrioni. Varie cliniche con reparti maternità offrono il servizio di congelare il cordone ombelicale e la placenta del neonato per conservarne le cellule staminali, che possono servire per varie cure future, sia del bambino che, in base al caso e alla composizione genetica, dei genitori e dei fratelli.

Il problema sorge quando la ricerca si effettua sulle cellule contenute in gran quantità anche negli embrioni umani concepiti da pochi giorni. "Quando si utilizza una cellula staminale embrionale", ha segnalato il Cardinal Martino, "quello che resta dell'embrione si getta via e, quindi, si distrugge una vita".

"Con le cellule staminali adulte, invece, non si ammazza nessun essere vivente!".

"L'iniziativa propone la ricerca sulle cellule staminali adulte, prese dall'intestino del paziente, per curare differenti infermità, come l'Alzheimer ecc.", ha spiegato il Cardinale.

La riunione organizzativa si è svolta all'ospedale Bambino Gesù di Roma - che appartiene al Vaticano -, che ha messo a disposizione i propri laboratori in fase di costruzione nella zona della Basilica di San Paolo fuori le Mura.

Il porporato ha affermato che il primo contributo della Chiesa è proprio "avere il luogo dove condurre queste ricerche".

Nei giorni scorsi, il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi S.I., ha detto che la Chiesa "ha sempre riconosciuto la liceità della ricerca e dell'uso di cellule staminali prelevate da tessuti di adulti, come avviene appunto in questo caso". La distinzione tra questo tipo di cellule e quelle che provengono dagli embrioni "è fondamentale dal punto di vista etico", ha dichiarato.

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Gambia, Liberia, Sierra Leone: 5 presuli in visita "ad limina"
Le minoranze cristiane, attive e rispettate

di Anita S. Bourdin

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ricevuto questo lunedì in Vaticano un Vescovo del Gambia, un amministratore apostolico della Liberia e tre Vescovi della Sierra Leone in visita ad limina. I pastori dei tre Paesi dell'Africa occidentale sono uniti in un'unica Conferenza Episcopale.

Sono monsignor Robert Patrick Ellison, CSSp, Vescovo di Banjul (Gambia); padre Chris Brennan, SMA., amministratore apostolico di Gbarnga (Liberia); monsignor Edward Tamba Charles, Arcivescovo di Freetown e Bo (Sierra Leone); monsignor Patrick Daniel Koroma, Vescovo di Kenema (Sierra Leone); monsignor George Biguzzi, SX, Vescovo di Makeni (Sierra Leone).

In Gambia, secondo l'organizzazione caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), la maggior parte della popolazione (1,5 milioni di abitanti) è musulmana (86,9%).

Gli adepti delle religioni africane tradizionali rappresentano il 7,8%, i cristiani il 3,9%, dei quali circa due terzi sono cattolici.

In Liberia, professa le religioni africane tradizionali il 42,9% della popolazione, composta da 3,2 milioni di abitanti. I cristiani sono il 39,3% (per un quinto cattolici), i musulmani il 16%, l'1,8% professa altri credo.

In Sierra Leone, la maggior parte della popolazione (5,5 milioni di abitanti) è musulmana (45,9%), ma ci sono anche molti adepti delle religioni africane tradizionali (40,4%), cristiani (11,5%, la metà dei quali cattolici battezzati) e un 2,2% di altri credenti.

In questi Paesi i cristiani, anche se minoritari, sono molto attivi, ha ricordato il Vescovo Biguzzi ai microfoni della “Radio Vaticana”.

“La Chiesa è presente su tutto il territorio nazionale, sia del Gambia sia della Sierra Leone, attraverso scuole, opere sociali, il lavoro delle Caritas diocesane e progetti di sviluppo”, ha spiegato.

“E' una presenza rispettata, significativa e molto superiore al numero dei cristiani”, ha aggiunto.

Il Sierra Leone e il Gambia registrano anche un aumento di vocazioni al sacerdozio, e le comunità si caratterizzano per l'impegno dei laici nelle attività a favore dei poveri.

In Sierra Leone la Chiesa è inolte impegnata nel reinserimento nella società degli ex combattenti, inclusi i bambini soldato che hanno preso parte recentemente alla guerra civile.



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Portavoce della Chiesa, "siate evangelizzatori della speranza cristiana"
L'invito dal Papa ai partecipanti a un Seminario internazionale della Santa Croce

ROMA, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Siate evangelizzatori della speranza cristiana”. Con questa esortazione Benedetto XVI ha salutato mercoledì, durante la consueta Udienza generale in Piazza San Pietro, i partecipanti al VII Seminario internazionale dei portavoce della Chiesa svoltosi dal 26 al 28 aprile presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Al termine dell’Udienza – si legge in un comunicato della Santa Croce – i partecipanti sono stati ricevuti dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi nella Sala Stampa della Santa Sede.

Dopo aver offerto loro un’ampia panoramica delle funzioni e degli obiettivi del suo ufficio, Lombardi ha invitato i presenti a “cercare di avere un rapporto il più sereno, disteso e obiettivo possibile” con i giornalisti, aggiungendo che “chiudersi” e fare “polemica” rende difficile la comunicazione.

Inoltre, il direttore della Sala Stampa ha consigliato anche di garantire ai media “che quello che si dice è vero, affidabile, credibile”, riconoscendo allo stesso tempo che non sempre “si hanno risposte per tutto”.

Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, nel suo intervento conclusivo al Seminario, ha parlato della necessità di coordinamento e strategia comunicativa tra i diversi organismi della Chiesa.

Il presule ha quindi invitato i presenti “a distinguere bene tra comunicazione istituzionale ed evangelizzazione, ad ascoltare i nostri interlocutori in ciascun ambito, a dare continuità al messaggio usando i diversi ‘linguaggi’ adatti ad ogni mezzo”. E ha proposto ai comunicatori della Chiesa una serie di azioni concrete, tra cui il “saper coniugare una seria e valida professionalità e chiarezza dottrinale ad una precisa e sana visione e consapevolezza di Chiesa”.

Infine, mons. Celli ha ricordato la necessità di inserire la dimensione comunicativa “fin dall’inizio di qualsiasi nostra agenda di lavoro e di assunzione di decisioni”.

A sua volta, il Presidente del comitato organizzativo del Seminario, il rev. prof. José María La Porte, nel tracciare un bilancio conclusivo dei lavori ha affermato che “il Seminario ci ha aiutato a mettere a fuoco la centralità della persona nel messaggio che si vuole comunicare, anche perché le notizie parlano di persone e sono indirizzate a ciascuna di esse. Oltre alla velocità, l’audience vuole e merita profondità nell’informazione ed è qui che si gioca la qualità del dibattito pubblico”.

Il VII Seminario professionale sugli uffici di comunicazione della Chiesa, che ha avuto per tema Identità e dialogo, ha ospitato circa 300 comunicatori provenienti da 70 paesi, tra cui i portavoce di varie Conferenze episcopali e l’Arcivescovo di Sydney, il Cardinale George Pell.

Sono intervenuti come relatori, tra gli altri, Helen Osman e mons. Domenico Pompili, portavoce rispettivamente delle Conferenze episcopali degli Stati Uniti e d’Italia, mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo Ausiliare de L’Aquila, Marco Pogliani, direttore di Moccagatta, Pogliani & Associati, Tudgual Derville, di Alliance pour les Droits de la Vie, e Yago de la Cierva, direttore di comunicazione per la GMG Madrid 2011.

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Benedetto XVI erige il Vicariato Apostolico di Quetta (Pakistan)
Padre Victor Gnanapragasam, O.M.I., è il primo vicario apostolico
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha elevato la Prefettura Apostolica di Quetta (Pakistan) al rango di Vicariato Apostolico, con la stessa denominazione e configurazione territoriale, ha reso noto questo giovedì la Sala Stampa della Santa Sede.

Il Papa ha poi nominato primo Vicario Apostolico di Quetta padre Victor Gnanapragasam, O.M.I., attuale Prefetto Apostolico della stessa circoscrizione ecclesiastica, assegnandogli la sede titolare vescovile di Timida.

La Prefettura Apostolica di Quetta è stata eretta il 9 novembre 2001, con territorio distaccato dalla Diocesi di Hyderabad. È stata affidata ai Missionari Oblati di Maria Immacolata, con padre Gnanapragasam, O.M.I., in qualità di primo Prefetto Apostolico.

La circoscrizione comprende tutta la provincia del Balochistan, che costituisce circa il 44% del territorio del Pakistan. Si estende su un'area di 347.188 chilometri quadrati e ha una popolazione di 8.096.251 abitanti.

I cattolici sono 29.355 (lo 0,36%), distribuiti in 7 parrocchie, servite da 13 sacerdoti, di cui 12 religiosi (10 oblati e 2 salesiani).

Il nuovo Vicariato può contare anche sulla collaborazione di 26 catechisti e di 5 comunità religiose femminili, per un totale di 19 religiose, tutte pakistane. Vi sono anche 14 istituti di educazione e 19 di beneficenza. I seminaristi maggiori sono 7.

Padre Gnanapragasam, O.M.I., è nato a Jaffna, nello Sri Lanka, il 21 novembre 1940. Dopo le scuole primarie e secondarie, ha svolto il noviziato con i Missionari Oblati di Maria Immacolata a Kaluthara (1959), completando poi gli studi di Filosofia e Teologia presso l'Our Lady of Sri Lanka Seminary di Kandy (1960-1966). Ha emesso la Professione Perpetua il 31 maggio 1963 ed è stato ordinato sacerdote il 21 dicembre 1966.

Dopo l'ordinazione sacerdotale ha svolto vari incarichi in Sri Lanka e in Pakistan, tra cui quelli di Superiore della Delegazione O.M.I. in Pakistan (1977-1979 e 1979-1985), Assistente nella Casa di formazione degli Oblati a Karachi (1992-1993), Primo Consigliere della Delegazione O.M.I. in Pakistan (1991-1997), Superiore delle Delegazione O.M.I., con residenza presso la Casa di Formazione di Multan (1997-2001).

Il 9 novembre 2001 è stato nominato primo Prefetto Apostolico di Quetta.

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Notizie dal mondo


India: assassinato un sacerdote a Mumbai
Padre Peter Bombacha gestiva una casa per il recupero degli alcolisti
NUOVA DELHI, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Padre Peter Bombacha, che avrebbe presto compiuto 74 anni, è stato assassinato questa notte a Baboola, a un chilometro dalla casa del Vescovo di Vasai, un'antica città situata nel nord-ovest dell'India.

Le cause dell'omicidio sono ancora ignote. Il Vescovo di Vasai, monsignor Felix Machado, ha detto all'agenzia AsiaNews che il sacerdote era un uomo "pieno di fede, che serviva la Chiesa e la popolazione senza discriminazione di caste o di credo; si dimenticava di sé per servire i più poveri e gli abbandonati".

"Noi sacerdoti abbiamo già offerto la nostra vita nel giorno dell'ordinazione", ha detto il presule a Fides. "La nostra vita non ci appartiene, ma è di Dio. Padre Peter oggi è stato accolto dal Signore e dalla Madonna degli Abbandonati (Our Lady of Forsaken), cui era tanto devoto".

"La comunità è sotto shock", ha aggiunto monsignor Machado. Padre Peter attualmente gestiva una casa di recupero per alcolisti che egli stesso aveva creato. Contava sulla collaborazione di molti laici e sulla stima dei fedeli.

Il Vescovo ha detto di non credere che gli autori materiali di questo omicidio siano gruppi fondamentalisti indù: "Prima di tutto perché in questa zona non ve ne sono. Anzi, le relazioni con la comunità indù sul territorio sono ottime".

Molti fedeli si sono recati sul luogo per manifestare indignazione e solidarietà. Le esequie si svolgeranno questo giovedì. Si pensa che vi prenderanno parte circa 10.000 persone.

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Sudan: secondo un Vescovo, dopo le elezioni si rischia il genocidio
Lancia l'allarme per le tensioni scatenatesi dopo il voto
ROMA, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- La tensione seguita alle elezioni in Sudan ha provocato una situazione di violenza generalizzata che fa temere un vero e proprio genocidio.

Si è fatto portavoce di questo allarme il Vescovo Eduardo Hiiboro Kussala di Tombura-Yambio, nel Sud del Sudan, che ha affermato all'associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) che la frustrazione della gente è stata aumentata dalle accuse di brogli nelle prime consultazioni elettorali pluripartitiche in quasi 25 anni.

Le elezioni, svoltesi dall'11 al 15 aprile, hanno portato al trionfo del National Congress Party del Presidente Omar al Bashir, attualmente al potere, del vicepresidente Salva Kiir e del Sudan People's Liberation Movement (SPLM).

Il tutto è avvenuto tra i resoconti di intimidazioni dei votanti, brogli, confusione nelle schede elettorali e infrazioni della privacy degli elettori nelle cabine elettorali.

Ora, riporta ACS, giungono notizie di un incendio doloso a un camion che trasportava le schede elettorali nella regione del Vescovo Hiiboro, nello Stato dell'Equatore Occidentale.

"I risultati delle elezioni possono portare a serie violenze", ha commentato il presule.

"La violenza può essere paragonata nientemeno che a un genocidio, perché c'è un'animosità radicata nel cuore di molta gente di diversi gruppi etnici al Sud" del Paese.

Il Vescovo ha avvertito di un acuirsi del risentimento per le questioni irrisolte come la disputa per i confini tra il Nord e il Sud del Sudan circa la regione di Abyei, ricca di petrolio.

"Finché questa crisi autoinflitta non verrà gestita in modo costruttivo, la possibilità che un'intera Nazione precipiti nell'abisso è uno scenario verosimile", ha confessato.

Il Vescovo Hiiboro ha anche sottolineato che continuano le trattative su una possibile secessione del Sud del Sudan - questione su cui si voterà in un referendum nel gennaio 2011 -, con le richieste associate di trasporti e relazioni commerciali con il Nord, condivisione dei proventi del petrolio e diritti di cittadinanza.

Tali questioni dovevano essere risolte sull'onda dell'Accordo Comprensivo di Pace del 2005, che ha dato al Sud del Sudan una seminautonomia dopo più di vent'anni di guerra civile tra il regime islamico della capitale Khartoum e il ribelle SPLM, con sede nel Sud.

Accusando il SPLM per la mancanza di progressi dal 2005, il Vescovo Hiiboro ha dichiarato che "l'unica responsabilità di questa sconfitta è degli stessi sudanesi del sud, sia nel partito di governo che negli altri".

"La morte inutile di cittadini sudanesi del Sud sarà dovuta all'incapacità dei leader politici di creare un miglior processo di risoluzione dei conflitti".

"Spingere le disparità al punto del tracollo nazionale ed esasperare le differenze tribali e religiose solo per arrivare al potere o mantenerlo ad ogni costo non rientra nelle politiche salutari", ha denunciato.

"Nessun popolo e nessuna Nazione merita questo tipo di politica tossica".

Gli avvertimenti sulla violenza del Vescovo Hiiboro arrivano tra altri resoconti in base ai quali le elezioni si erano svolte pacificamente.

Il Vescovo ausiliare di Khartoum, Daniel Adwok Kur, aveva infatti riferito ad ACS che era improbabile uno scoppio di violenza, soprattutto nel periodo immediatamente post-elettorale, perché i principali partiti politici avevano troppe cose in gioco per permettere al processo democratico di arrivare a una fase di stallo (cfr. ZENIT, 15 aprile 2010).

Questo ottimismo non si applica necessariamente alla Diocesi del Vescovo Hiiboro, che ha subito le atrocità commesse dai ribelli dell'Esercito di Resistenza del Signore (Lord's Resistance Army, LRA).

Alla fine dell'estate scorsa, l'LRA ha eseguito omicidi con crocifissioni a Nzara, e più o meno contemporaneamente la chiesa di Nostra Signora della Pace nella vicina Ezo è stata profanata e 17 persone, per la maggior parte adolescenti e ventenni, sono state rapite.

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"Nella scuola cattolica non abbiamo saputo presentare un'alternativa"
Il Cardinal Cañizares inaugura un congresso sull'educazione cattolica a Valencia
VALENCIA, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Cardinale Antonio Cañizares, ha riconosciuto che la scuola cattolica non ha saputo presentare un'alternativa e ha sottolineato la necessità che mostri una nuova visione dell'uomo e della donna.

Lo ha fatto questo lunedì inaugurando il III Congresso Internazionale Educazione Cattolica per il XXI secolo dell'Università Cattolica di Valencia San Vicente Mártir, ha reso noto l'ateneo.

"Dobbiamo riconoscere che nella scuola cattolica non abbiamo saputo presentare un'alternativa ed è necessario farlo, perché la scuola cattolica ha una visione dell'uomo e della donna nuova, nella quale ci sono il futuro e la speranza", ha dichiarato.

A questo proposito, il porporato ha invitato a fare un "esame di coscienza" di fronte al fatto che il 30% della società spagnola è stato educato nella scuola cattolica e "non ha un'incidenza di fronte a tutto ciò che sta accadendo nella nostra società".

Questa percentuale "dovrebbe contribuire a far sì che la nostra cultura non sia la cultura della morte e la cultura relativista, ma la cultura dell'amore e della verità che ci rende liberi".

In "tempi di indigenza" e di "crisi di senso e di verità", la scuola cattolica "non può essere neutrale, deve andare controcorrente", ha osservato.

Per il prefetto della Congregazione vaticana, la scuola cattolica deve essere una "scuola rivoluzionaria e libera, perché il mondo ha bisogno di un cambiamento decisivo, senza il quale non ha futuro", di fronte alla "crisi morale e alla perdita dell'orizzonte umano, del senso della vita".

Secondo il Cardinal Cañizares, il male peggiore della società attuale è "non sapere più che cos'è moralmente buono e moralmente valido".

Difficoltà

Analizzando l'attuale momento educativo, il Cardinale ha sottolineato la difficoltà di "educare in una società che ammette l'aborto", con "leggi contro la famiglia" e "una televisione come quella che abbiamo attualmente, in cui si diffonde una visione dell'uomo del tutto contraria alla persona umana".

Si è anche riferito all'"ingiusto" sistema sociale, "con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri".

I sistemi educativi attuali, ha aggiunto, hanno fallito perché "non hanno risposto a sufficienza alla domanda o alle esigenze dell'educazione".

Quanto alla Spagna, il Cardinale Cañizares si è riferito alla legge sull'educazione definendola "uno dei fallimenti maggiori che ha avuto la società spagnola, per il predominio della ragione strumentale, perché non favorisce l'esercizio della ragione per cercare la verità e insabbia le domande fondamentali dell'essere umano".

In questo modo, ha lamentato, "si genera una società come quella che abbiamo, accompagnata da una cultura avvolgente che sta spezzando la nostra umanità".

Gesù Cristo al centro

La scuola cattolica "deve contribuire a una nuova umanità nella sintesi tra fede e ragione", ha proseguito, sottolineando che "al centro della concezione cristiana della scuola cattolica c'è Gesù Cristo, il suo messaggio di salvezza".

Secondo il porporato, nelle scuole cattoliche non deve impartirsi solo un "insegnamento di valori", ma anche l'"arte di vivere" che è alla base dell'evangelizzazione.

"Non bisogna aver paura di essere liberi, perché la scuola cattolica ha la vocazione di trasformare la società", ha detto.

Nel suo intervento, intitolato "L'educazione cattolica: futuro e speranza", il Cardinale ha poi rimarcato l'importanza della "coerenza" dei docenti.

"Non solo insegnanti, ma anche testimoni di ciò che vogliamo offrire, l'arte di vivere, l'umanità nuova", ha indicato.

In questo senso, ha ricordato l'importanza che "Gesù Cristo e la fede non siano un qualcosa di aggiunto, di complementare alla nostra esistenza professionale, ma il nostro essere sostantivo di maestri che sono nella scuola per evangelizzare, il che richiede una formazione molto concreta degli insegnanti".

Il Congresso, in svolgimento a Valencia dal 26 al 28 aprile, tratta l'infanzia come tappa particolarmente significativa del ciclo vitale e base della costruzione della persona, e allo stesso tempo come oggetto prioritario dell'attuale emergenza educativa.



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Dottrina Sociale e Bene Comune


Il lavoro un bene di tutti e per tutti
Messaggio dei Vescovi del Friuli Venezia Giulia
ROMA, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il Messaggio per il primo maggio dei Vescovi del Friuli Venezia Giulia.




* * *

Carissimi fratelli e sorelle delle Diocesi del Friuli Venezia Giulia,

Con questo Messaggio, intendiamo parteciparvi tutta la nostra preoccupazione di Pastori per la seria situazione di difficoltà in cui si trova, da un lungo periodo, il mondo del lavoro nella nostra Regione, aggravata da prospettive future che, nel contesto della crisi internazionale, non promettono gli auspicati miglioramenti che tutti attendono con speranza. Anche la nostra terra deve registrare, con ansia e sconcerto crescenti, il quotidiano avverarsi, in tutti i comparti produttivi, del licenziamento di lavoratori che entrano in disoccupazione; un corposo numero di imprese e attività produttive costrette a chiudere; una oggettiva difficoltà delle Istituzioni a trovare risposte adeguate a queste difficili situazioni. Come Vescovi siamo soprattutto preoccupati per le conseguenze che le presenti difficoltà economiche e produttive scatenano nella vita delle famiglie, costrette a confrontarsi con crescenti ristrettezze economiche che, in alcuni casi, conducono alla povertà e alimentano il disagio sociale, l’insicurezza e l’emarginazione. Anche i giovani sono vittime di questa situazione perché il loro inserimento nel mondo del lavoro è reso assai difficile e la realizzazione dei loro progetti di vita umana, familiare e professionale costantemente rimandata. Anche i numerosi immigrati sono colpiti dalla crisi attuale che rende ancor più difficile una loro condizione già gravata da altri problemi. Queste situazioni, fonte di acuta sofferenza delle persone e di diffusa sofferenza sociale, devono essere doverosamente affrontate con coraggio e lungimiranza, in un ritrovato spirito di comune responsabilità e di rinnovata e solidale fraternità. A tutte le persone, fratelli e sorelle, in difficoltà, noi, Vescovi delle Diocesi della Regione, desideriamo esprimere la nostra vicinanza cristiana e quella di tutte le comunità cristiane, che invitiamo a continuare le iniziative di carità già avviate e a essere sollecite nell’operare nel segno evangelico della solidarietà.

2 - A tutti vogliamo ricordare che il diritto al lavoro è fondamentale per la promozione delle persone e per la realizzazione della società umana. La Chiesa sa bene che i poveri «compaiono in molti casi come risultato della violazione della dignità del lavoro umano: sia perché vengono limitate le possibilità del lavoro - cioè per la piaga della disoccupazione -, sia perché vengono svalutati il lavoro ed i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia»[1]. Il lavoro va considerato come un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La «piena occupazione» deve essere un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione «non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale»[2].

3 – Questo Messaggio intende soprattutto dire una parola di incoraggiamento e di speranza in vista della realizzazione di un bene che deve stare a cuore a tutti: l’unità e la coesione sociale. Se la crisi mettesse a repentaglio questo bene, si aprirebbe una stagione carica di dolorose incognite. La crisi, che ha colpito anche la nostra Regione, deve essere affrontata e governata nella sapiente prospettiva delineata dal Santo Padre Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «La complessità e gravità dell’attuale situazione economica giustamente ci preoccupa, ma dobbiamo assumere con realismo, fiducia e speranza le nuove responsabilità a cui ci chiama lo scenario di un mondo che ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un futuro migliore. La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente» (n. 21).

4 – Noi, Vescovi delle Diocesi del Friuli Venezia Giulia, invitiamo le Istituzioni, gli imprenditori, i sindacalisti e, in genere, tutta la società civile a una generosa disponibilità nell’operare per le soluzioni che favoriscono un futuro più sereno per le persone, per le famiglie e anche per le imprese. Un invito particolare lo rivolgiamo agli Istituti di credito, sollecitandoli a sostenere con le loro risorse finanziarie quanto concorre alla rispresa economica e produttiva in un ritrovato spirito di civile solidarietà. Ci rivolgiamo ai fedeli cristiani incoraggiandoli a non rassegnarsi, a perseverare con coraggio nella fedeltà ai valori della nostra fede, a rimanere ancorati strettamente al senso etico delle comuni responsabilità, con la tenacia necessaria, di cui hanno dato prova quanti, in altri tempi duri, hanno saputo affrontare difficoltà ancora maggiori. A tutti assicuriamo la nostra preghiera, la nostra benedizione e la nostra cordiale amicizia.

1 maggio 2010

+Giampaolo Crepaldi Arcivescovo-Vescovo di Trieste

+Dino De Antoni Arcivescovo di Gorizia

+Andrea Bruno Mazzocato Arcivescovo di Udine

+Ovidio Poletto Vescovo di Concordia-Pordenone

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1) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, 8.

2) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 43: AAS 83 (1991) 848.

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Interviste


Storie di cristiani nel Caucaso
Intervista al giornalista e scrittore Michele Zanzucchi

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- E’ arrivato nelle librerie il volume “Sull'ampio confine. Storie di cristiani nel Caucaso” scritto da Michele Zanzucchi e pubblicato da “Città Nuova Editrice”.

Si tratta di un libro utilissimo per capire la storia e le vicende di una delle regioni più conflittuali del pianeta.

Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore, Caporedattore del quindicinale Città Nuova, ha raccolto in questo volume quattro anni di viaggi nella regione transcaucasica e nella regione ciscaucasica.

Un viaggio in cui l’autore racconta tante avventure, ma soprattutto incontri e visite.  Visite a luoghi meravigliosi e drammatici, incontri con gente ricca di umanità, di ogni etnia, età, estrazione sociale, cristiani soprattutto ma non solo. 

Lingue, culture e rivendicazioni inedite, drammatiche e sconvolgenti, comunque intrise di un’umanità prorompente. E poi ci sono i cristiani tutti d’un pezzo che vivono la loro fede con impegno, talvolta nella paura, in ogni caso solidali con la loro gente.

Per cercare di capire la storia antica dei cristiani e che cosa sta accadendo in quella parte del mondo ZENIT ha intervistato Michele Zanzucchi.

Quanti sono i cristiani nelle regioni del Caucaso? E quanto incidono nella vita sociale, culturale e religiosa delle varie nazioni che vanno dalla steppa russa fino al deserto iraniano?

Zanzucchi: È difficile valutare con esattezza il numero dei cristiani presenti nella regione, che come si sa è divisa dalla catena montagnosa in Ciscaucasia e Transcaucasia.

La prima è completamente in territorio russo, ed è composta da alcune province autonome (come la Cabardino-Balcaria o la Cecenia): solo l’Ossezia del Nord è a prevalenza cristiana, mentre le altre regioni sono essenzialmente musulmane; ovunque, però, si registra una forte presenza di agnostici e atei. Nella regione ciscaucasica i cristiani possono essere valutati in un milione circa, o poco più.

La Transcaucasia è invece composta da tre Stati indipendenti – Georgia, Armenia e Azerbaijan, più piccoli territori contesi –, le prime due delle quali sono essenzialmente cristiane, mentre nel terzo Paese la presenza cristiana è assolutamente minoritaria; nel complesso si può calcolare che i cristiani nella regione transcaucasica siano circa sette milioni.

Su un totale di circa 24 milioni di abitanti, i cristiani sarebbero quindi circa 8 milioni, un terzo. La loro presenza, tuttavia, è assai significativa dal punto di vista religioso, civile e culturale, soprattutto, ovviamente, nei Paesi a maggioranza cristiana. Spesso, purtroppo, i cristiani – e ancor più i cattolici – hanno comunità così esigue da riuscire a malapena a sopravvivere.

Ossezia, Cecenia, Georgia, Abcasia, Azerbaijan, Armenia, ecc. sono regioni e culture complesse, con una storia complicata. Qual è la testimonianza dei cristiani che ci vivono e che tu hai raccolto?

Zanzucchi: Le testimonianze raccolte dicono che il cristianesimo è duro a morire, seppure in condizioni spesso drammatiche: pensiamo alle minoranze nella regione ciscaucasica, talvolta, come dicevo, tutte impegnate semplicemente a sopravvivere. Le storie raccolte nel libro dicono di una fede provata ma salda, messa in difficoltà da alcune tensioni ecumeniche con i cristiani ortodossi e soprattutto da certe pressioni provenienti da fedeli di altre religioni. Ma va sottolineato come le tensioni nella regione siano essenzialmente di carattere etnico e politico, raramente di carattere religioso.

Mi preme sottolineare, inoltre, come i cristiani più di tante altre comunità sappiano fungere da collante, da fattori di coesione sociale e politica. Certamente, però, nella regione si scaricano tante e tali tensioni, anche economiche, da rendere difficile ogni forma di armonizzazione sociale e religiosa.

Quante di queste zone, una volta cristiane, sono ora di religione musulmana? E quali sono i rapporti tra cristiani e islam?

Zanzucchi: È soprattutto nella regione ciscaucasica, quindi in territorio russo, che si trovano regioni che, cristiane sotto gli zar, sono diventate musulmane negli ultimi due secoli: penso in particolare alla Cecenia e all’Inguscezia. In queste regioni la tensione politica è talmente elevata da fagocitare ogni altra tensione. Sì, i combattenti ceceni e ingusci spesso inalberano il loro simbolo religioso musulmano per combattere il simbolo religioso cristiano dei soldati russi, ma la dominante politica è indubbia.

È da notare come vi siano state infiltrazioni di fondamentalismo islamico arabo nella regione – penso ai salafiti e ai wahhabiti –, e che tali infiltrazioni si siano saldate con le tendenze terroristiche. Ma le popolazioni non hanno mai veramente assimilato il credo del radicalismo islamista. Basti notare il ruolo della donna in tutta la regione, considerato alla pari di quello dell’uomo.

In generale, comunque, i responsabili religiosi non hanno grandi problemi di convivenza, e anzi spesso operano congiuntamente, soprattutto in campo sociale.

Perchè la Chiesa d’Oriente non è riuscita a crescere, ed anzi ha perso influenza e presenza?

Zanzucchi: Va certamente distinta la situazione in Georgia e Armenia – dove anzi le rispettive chiese ortodosse hanno aumentato di molto la loro influenza dopo la caduta dell’Imperium comunista – da quella nella parte settentrionale della regione, in cui effettivamente le Chiese cristiane hanno avuto molte difficoltà a mantenere negli ultimi decenni un’influenza spesso imposta dal regime zarista con la forza.

Più in generale va detto che si nota come il comunismo abbia tramortito la gente, l’umanità della regione caucasica, come d’altronde in tante altre parti dell’ex Unione Sovietica. La gente normale fatica ad accettare le basi del pensiero e della fede quali la verità, la giustizia e la fraternità, vittime tra l’altro di un potente consumismo. Ho visto gente che abitava in case di fango e faticava a trovare il cibo, ma l’ultimo modello di cellulare ce l’avevano o il maquillage più ardito se l’erano fatto dipingere sul volto…

Perchè hai scritto questo libro?

Zanzucchi: L’ho scritto per avere incontrato nella mia attività giornalistica diverse personalità e gente comune provenienti dalla regione: tutte persone degne di rispetto e della massima attenzione. Il primo approccio alla regione, comunque, è stato provocato da un incontro sul dialogo tra le religioni promosso dall’Unesco, dal governo georgiano, dalla Chiesa ortodossa di Georgia e da varie organizzazioni cultural-religiose della regione, tra cui la galassia musulmana turca, di tradizione sufi, che fa capo a Fetullah Gülen.

Ho intuito come il Caucaso sia uno dei più importanti e pericolosi carrefour del mondo, dove si incrociano etnie (un centinaio), religioni diverse, culture antichissime, commerci… Studiare questi “incroci del mondo” è materia di grandissimo interesse per capire il presente e intuire qualcosa del futuro. Anche in campo religioso.

Debbo poi confessare di aver preso l’ultima decisione solo dopo essermi immerso nella lettura delle stupende memorie di Pavel Florenskij, la cui famiglia era un’esemplificazione della complessità della regione, tra l’altro fornita di bellezze naturali ineguagliabili. Ho lasciato un pezzo del mio cuore laggiù.

Quali sono le novità che hai colto? E quali gli insegnamenti da trarre?

Zanzucchi: Le novità? Tutto, in fondo, risulta nuovo rispetto a quanto ci è dato di conoscere qui da noi dai resoconti giornalistici, che per forza di cose sono rapidi e spesso non approfonditi. Purtroppo, la visione che noi abbiamo della regione è influenzata in modo totalizzante dalle tante situazioni di conflitto di cui si parla: Ossezia del Sud, Abcasia, Nagorno Karabakh, Inguscezia, Cecenia… La regione, invece, è ricca di quell’umanità eroica e profonda che nasce proprio dalle difficoltà. Non va certamente dimenticata la gravissima povertà che colpisce la massima parte della regione caucasica.

Insegnamenti? Uno su tutti: il messaggio del Cristo è veramente universale, ed è la risposta agognata da tanti. Quando i cristiani riescono a dare una testimonianza concreta e compiuta, ecco che nella società viene piantato il seme della pace, che prima o poi germoglia.

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Documenti


Discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Congo
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo giovedì ricevendo il nuovo ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo, Jean-Pierre Hamuli Mupenda, in occasione della presentazione delle sue lettere credenziali.



* * *

Signor ambasciatore,

Sono lieto di riceverla in occasione della presentazione delle Lettere che la accreditano come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Democratica del Congo presso la Santa Sede. La ringrazio per le sue cordiali parole, attraverso le quali mi ha trasmesso l'omaggio rispettoso del presidente della Repubblica, Sua Eccellenza il signor Joseph Kabila Kabange, e del popolo congolese. Ho avuto il piacere d'incontrare il suo presidente nel giugno 2008. Le sarei grato se volesse trasmettergli i voti che formulo per la sua persona e per lo svolgimento del suo compito al servizio della nazione. Che Dio lo guidi nei suoi sforzi per giungere alla pace, garante di un'esistenza degna e di uno sviluppo integrale! Saluto anche con cordialità i vari responsabili e tutti gli abitanti del suo paese.

La sua presenza, signor ambasciatore, a capo della sua ambasciata, dopo lunghi anni di sede vacante, mostra  il desiderio del Capo di Stato e di Governo di rafforzare le relazioni con la Santa Sede  e per questo lo ringrazio. Osservo anche che questa decisione si situa nell'anno del cinquantesimo anniversario dell'indipendenza della sua patria. Possa questo giubileo permettere alla nazione di ripartire su nuove basi.

Il suo Paese in questi stessi anni ha conosciuto momenti particolarmente difficili e tragici. La violenza si è abbattuta, cieca e spietata, su una larga frangia della popolazione, piegandola sotto il suo giogo brutale e insostenibile e seminando rovine e morti. Penso in particolare alle donne, ai giovani e ai bambini, la cui dignità è stata schernita a oltranza attraverso la violazione dei loro diritti. Desidero esprimere loro la mia sollecitudine e assicurare loro la mia preghiera. La Chiesa cattolica stessa è stata ferita in molti suoi membri e nelle sue strutture. Essa desidera favorire la guarigione interiore e la fraternità. La Conferenza episcopale ne ha ampiamente parlato nel suo Messaggio dello scorso giugno. Sarebbe dunque ora opportuno impiegare tutti i mezzi politici e umani per porre fine alla sofferenza. Sarebbe altresì opportuno riparare e rendere giustizia, come invitano a fare le parole giustizia e pace scritte nel motto nazionale. L'impegno assunto a Goma nel 2008 e l'applicazione degli accordi internazionali, in particolare del Patto sulla sicurezza, la stabilità e lo sviluppo della Regione dei Grandi Laghi, certamente sono necessari, ma è ancora più urgente lavorare alle condizioni preliminari alla loro applicazione. Questa non potrà realizzarsi se non ricostruendo poco a poco il tessuto sociale così gravemente leso, incoraggiando la prima società naturale, che è la famiglia, e consolidando i rapporti interpersonali tra congolesi fondati su un'educazione integrale, fonte di pace e di giustizia. La Chiesa cattolica, signor ambasciatore, desidera continuare a dare il suo contributo a questo nobile compito attraverso l'insieme delle strutture di cui dispone grazie alla sua tradizione spirituale, educativa e sanitaria.

Invito le autorità pubbliche a non tralasciare nulla per porre fine alla situazione di guerra che, purtroppo, ancora persiste in alcune province del Paese, e a dedicarsi alla ricostruzione umana e sociale della nazione nel rispetto dei diritti umani fondamentali. La pace non significa solo assenza totale di conflitti, ma è anche un compito che impegna i cittadini e lo Stato. La Chiesa è convinta che essa non può realizzarsi che nel «rispetto della "grammatica" scritta nel cuore dell'uomo dal divino suo Creatore», vale a dire attraverso una risposta umana in armonia con il disegno divino. Questa «"grammatica", vale a dire l'insieme di regole dell'agire individuale e del reciproco rapportarsi delle persone secondo giustizia e solidarietà, è iscritta nelle coscienze, nelle quali si rispecchia il progetto sapiente di Dio» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2007, n. 3). Invito la comunità internazionale, implicata in diverso grado nei conflitti successivi vissuti dalla sua nazione, a mobilitarsi per contribuire in modo efficace a riportare nella Repubblica Democratica del Congo la pace e la legalità.

Dopo tanti anni di sofferenze, Eccellenza, il suo Paese ha bisogno di impegnarsi in modo risoluto sulla via della riconciliazione nazionale. I vostri vescovi hanno dichiarato quest'anno di anniversario della nazione, anno di grazia, di rinnovamento e di gioia, anno di riconciliazione per costruire un Congo solidale, prospero e unito. Uno dei mezzi migliori per realizzare ciò è di promuovere l'educazione delle giovani generazioni. Lo spirito di riconciliazione e di pace, nato nella famiglia, si afferma e si estende alla scuola e all'università. I congolesi desiderano una buona educazione per i propri figli, ma il peso  del finanziamento diretto da parte delle famiglie è grande e addirittura insostenibile per molti. Sono certo che si potrà trovare una giusta soluzione. Aiutando economicamente i genitori e assicurando il finanziamento regolare degli educatori, lo Stato farà un investimento proficuo per tutti. È fondamentale che i bambini e i giovani vengano educati con pazienza e tenacia, soprattutto quelli che sono stati privati dell'istruzione e addestrati a uccidere. È opportuno non solo inculcare in loro un sapere che li sosterrà nella futura vita adulta e professionale, ma anche dare loro basi morali e spirituali che li aiuteranno a respingere la tentazione della violenza e del risentimento per scegliere ciò che è giusto e vero. Attraverso le sue strutture educative e secondo le sue possibilità, la Chiesa può aiutare e completare quelle dello Stato.

Le importanti ricchezze naturali di cui Dio ha dotato la sua terra e che purtroppo sono diventate fonte di avidità e di profitti sproporzionati per molti all'interno e al di fuori del suo Paese, permettono largamente, grazie a una giusta ripartizione dei guadagni, di aiutare la popolazione a uscire dalla povertà e di provvedere alla sua sicurezza alimentare e sanitaria. Le famiglie congolesi e l'educazione dei giovani ne saranno i primi beneficiari.  Questo dovere di giustizia promosso dallo Stato consoliderà la riconciliazione e la pace nazionale e permetterà alla popolazione di condurre una vita serena, base necessaria alla prosperità.

Attraverso lei, desidero anche esprimere voti cordiali ai membri della comunità cattolica del suo Paese, in modo particolare ai Vescovi, invitandoli a essere testimoni generosi dell'amore di Dio e a contribuire all'edificazione di una nazione unita e fraterna in cui ognuno si senta pienamente amato e rispettato.

Nel momento in cui ha inizio la sua missione, le esprimo, signor Ambasciatore, i miei migliori auguri per il nobile compito che l'attende, assicurandole che troverà sempre una accoglienza attenta e una comprensione cordiale presso i miei collaboratori.

Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia, su tutto il popolo congolese e sui suoi governanti, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni divine.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione de "L'Osservatore Romano"]

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Discorso del Papa ai Vescovi di Gambia, Liberia e Sierra Leone
In occasione della visita "ad limina"
CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 29 aprile 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo giovedì mattina da Benedetto XVI ricevendo i Vescovi di Gambia, Linberia e Sierra Leone in occasione della loro visita "ad limina apostolorum".



* * *



Cari fratelli vescovi,

sono lieto di accogliervi, vescovi della Liberia,  del Gambia e della Sierra Leone in occasione della vostra visita ad limina  sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Sono grato per i sentimenti di comunione  e di affetto  espressi dal vescovo Koroma a nome vostro e vi chiedo di trasmettere i miei affettuosi saluti e il mio incoraggiamento al vostro amato popolo che lotta per una vita degna  della sua chiamata (cfr. Ef 4, 1).

La seconda assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi è stata un'esperienza ricca di comunione e un'occasione provvidenziale per rinnovare il vostro ministero episcopale e per riflettere sul suo compito essenziale, ovvero, «aiutare il Popolo di Dio a rendere  alla parola della rivelazione l'obbedienza della fede e ad abbracciare integralmente l'insegnamento di Cristo» (Pastores gregis, n. 31). Sono lieto di appurare dai vostri resoconti quinquennali che, pur dedicandovi all'amministrazione delle vostre diocesi, vi siete anche adoperati per predicare il vangelo nelle confermazioni, nelle visite alle parrocchie, negli incontri con gruppi di sacerdoti, religiosi e laici e nelle  lettere pastorali. Attraverso il vostro insegnamento il Signore preserva i membri del vostro popolo dal male, dall'ignoranza e dalla superstizione e le trasforma in figli del suo Regno. Lottate per edificare comunità vibranti e aperte di uomini e donne saldi nella fede,  contemplativi e gioiosi nella liturgia e ben istruiti sul «modo di comportarsi e di piacere a Dio» (1 Ts 4, 1). In un ambiente segnato dal divorzio e dalla poligamia, promuovete l'unità e il benessere della famiglia cristiana  basata sul sacramento del matrimonio. Iniziative e associazioni dedicate alla santificazione di questa comunità fondamentale meritano il vostro pieno sostegno. Continuate  a sostenere la dignità delle donne nel contesto dei diritti umani e difendete il vostro popolo contro i tentativi di introdurre una mentalità antinatalista mascherata da forma di progresso culturale (cfr. Caritas in veritate, n. 28). La vostra missione richiede anche che prestiate attenzione all'adeguato discernimento e alla preparazione delle vocazioni e alla formazione permanente di sacerdoti che sono i vostri più stretti collaboratori nel compito dell'evangelizzazione. Continuate a guidarli con le parole e con l'esempio affinché siano uomini di preghiera, sani e chiari nell'insegnare, maturi e rispettosi  nei loro rapporti con gli altri, fedeli ai propri impegni spirituali, forti nella compassione verso tutti i bisognosi. Nello stesso modo, non esitate a invitare missionari di altri Paesi per contribuire alla buona opera compiuta dal vostro clero, dai vostri religiosi e catechisti.

Nei vostri Paesi, la Chiesa è tenuta in alta considerazione perché contribuisce al bene della società,  in particolare nell'educazione, nello sviluppo e nell'assistenza sanitaria, offerta a tutti senza distinzioni. Questo contributo descrive bene la vitalità della vostra carità cristiana, quell'eredità divina offerta alla Chiesa universale in maniera speciale (cfr. Caritas in veritate, n. 27). Apprezzo in modo particolare  l'assistenza prestata ai rifugiati e agli immigrati e vi esorto a cercare, quando possibile, la cooperazione pastorale dei loro Paesi d'origine. La lotta contro la povertà deve essere condotta  nel rispetto della dignità di tutti gli interessati, incoraggiandoli  a essere protagonisti del proprio sviluppo integrale. Si può fare molto  con impegni comunitari su piccola scala e iniziative  di microeconomia al servizio delle famiglie. Nello sviluppare e sostenere queste strategie, un'educazione migliorata sarà sempre un fattore decisivo. Quindi vi incoraggio a continuare a offrire programmi scolastici che preparino e motivino le nuove generazioni a divenire cittadini responsabili e socialmente attivi per il bene della loro comunità  e del loro Paese. Giustamente incoraggiate  chi occupa posizioni di autorità a lottare contro la corruzione, richiamando l'attenzione sulla gravità e sull'ingiustizia di questi peccati. A questo proposito, un contributo importante al bene comune è la formazione morale e spirituale alla leadership di laici, uomini e donne, attraverso corsi specializzati in Dottrina Sociale cattolica.

Vi lodo per l'attenzione che prestate al grande dono della pace. Prego affinché il processo di riconciliazione nella giustizia e nella verità, che avete  giustamente sostenuto nella regione, possa produrre un rispetto duraturo per tutti i diritti umani dati da Dio e neutralizzare le tendenze alla rappresaglia e alla vendetta. Nel servire la pace continuate  a promuovere  il dialogo con altre religioni, in particolare con l'Islam per sostenere i buoni rapporti esistenti e prevenire  qualsiasi forma di intolleranza, ingiustizia e oppressione, dannosa per la promozione della fiducia reciproca. Cooperare alla difesa della vita e contro la malattia e la malnutrizione non mancherà di suscitare comprensione, rispetto e accettazione. Soprattutto, un clima di dialogo e comunione deve caratterizzare la Chiesa locale. Con il vostro esempio, portate  sacerdoti, religiosi e laici ad accrescere comprensione e  cooperazione, ascolto reciproco e condivisione di iniziative. La Chiesa, segno e strumento  dell'unica famiglia di Dio, deve recare una chiara testimonianza  dell'amore  di Gesù, nostro Signore  e Salvatore, che va al di là dei confini etnici e comprende tutti gli uomini e tutte le donne.

Cari fratelli vescovi,  so che trovate ispirazione e  incoraggiamento nelle parole del Cristo risorto ai suoi apostoli: «Pace a voi. Come il padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Al vostro ritorno a casa, continuate la vostra missione di successori degli apostoli. Vi prego di trasmettere i miei affettuosi e ferventi buoni auspici  ai sacerdoti, ai religiosi, ai catechisti e a tutto il vostro amato popolo. A ognuno  di voi e a quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale imparto di cuore la mia benedizione apostolica.      

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de "L'Osservatore Romano"]

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Messaggio ai lettori


Problemi con la pagina web di ZENIT

 

Carissimi lettori e carissime lettrici,

molti di voi stanno sperimentando da ieri problemi di visualizzazione del nostro sito web www.zenit.org che alcuni browser stanno segnalando come "sito che potrebbe creare danni al computer".

I nostri tecnici hanno verificato che il problema nasce da alcuni banner pubblicitari che mercoledì erano online sul nostro sito e avevano al loro interno dei codici (a noi purtroppo inaccessibili) che risultano "sospetti" in base ad alcuni controlli di sicurezza sui siti web realizzati da "Google" al fine di evitare il rischio di scaricamento di virus.

Alcuni browser per navigare in Internet, come per esempio alcune versioni di "Firefox", utilizzano questi controlli di sicurezza "Google" e segnalano
come "a rischio" l'accesso a quei siti che per "Google" risultano "pericolosi".

Abbiamo già messo in atto con "Google" tutte le azioni volte a superare la problematica che sfortunatamente è sorta.

Desideriamo comunque rassicurare tutti i lettori che in alcun modo il nostro sito www.zenit.org è veicolo di virus che possano danneggiare i computer. Restiamo in attesa che la segnalazione di "sito a rischio" da parte di Google venga rettificata al più presto.

La Redazione di ZENIT

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