Boris Pahor | 28 agosto 1913
| Testimone al confine |
| | | | | | | | | Lo scrittore sloveno Boris Pahor nasce a Trieste il giorno 28 agosto 1913. Finite la scuole medie frequenta il seminario di Capodistria che per non termina. Con l'avvento dell'occupazione tedesca della Venezia Giulia, si unisce alle unità partigiane slovene che operavano nella zona. Catturato dai nazisti Pahor viene internato in vari campi di concentramento prima in Francia e poi in Germania (Natzweiler-Struthof, Dachau, Bergen-Belsen). Terminato il conflitto mondiale torna nella città natale, aderendo a numerose imprese culturali dell'associazionismo cattolico e non-comunista sloveno. Negli anni '50 diventa il redattore principale della rivista "Zaliv" (Golfo) che si occupa di temi letterari, ma anche di questioni di attualità. In questi anni Boris Pahor mantiene un contatto costante e stretto con Edvard Kocbek, poeta sloveno dissidente suo caro amico. Insieme allo scrittore Alojz Rebula, nel 1975 pubblicherà il libro "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca" (Edvard Kocbek: pričevalec naega časa): il testo provoca aspre reazioni da parte del governo jugoslavo. Le opere di Pahor vengono proibite nella Repubblica Socialista di Slovenia e all'autore viene proibito l'ingresso in Jugoslavia. Grazie alla sua postura morale ed estetica, Pahor diventa uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni, a cominciare da Drago Jančar, uno dei più noti scrittori sloveni contemporanei, le cui opere sono state tradotte in tutto il mondo in una ventina di lingue. L'opera più nota di Pahor si intitola "Necropoli" (1997), romanzo autobiografico sulla sua prigionia a Natzweiler-Struthof. Tra i premi e i riconoscimenti ricevuti ricordiamo il Premio Preeren nel 1992, il San Giusto d'Oro nel 2003 e la prestigiosa onorificenza francese della Legion d'onore nel 2007. Boris Pahor vive e lavora a Trieste.
| | «Siamo fortunati perchè finalmente a Trieste ci chiamano sloveni. Fino a qualche anno fa non si parlava di sloveni, ma di slavi. Ancora oggi qualcuno dice: "voi slavi". L'espressione veniva poi modificata in "schiavo" e quindi "s'ciavo", che è entrato nell'uso corrente del dialetto.» | | «Il rapporto italo-sloveno a Trieste negli ultimi anni è decisamente cambiato. Ha un altro tono, di vicendevole arricchimento. Un grande merito va attribuito, in primo luogo, alla Chiesa.» | | «La politica ha rinnegato gli sloveni e da questo ne consegue la negazione della lingua. Appena la politica comincia ad essere più "onesta", anche il resto cambia.» | | «Già adesso quello italo-sloveno è un confine semiaperto: senza le sbarre però sarà un'altra cosa.» | | | il giorno 28 agosto nell'anno 1913 |
Nessun commento:
Posta un commento