martedì 12 gennaio 2010

ZI100112

ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 12 gennaio 2010

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Dolore del Papa per la morte del Cardinale del Madagascar
Armand Gaétan Razafindratandra, Arcivescovo emerito di Antananarivo

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha espresso il proprio dolore per la morte, a 84 anni di età, del Cardinale Armand Gaétan Razafindratandra, Arcivescovo emerito di Antananarivo, avvenuta il 9 gennaio nell'ospedale di Mahajanga.

In un telegramma inviato al suo successore, monsignor Odon Marie Arsène Razanakolona, il Pontefice esprime la sua “profonda unione di preghiera con l'Arcidiocesi di Antananarivo, con la famiglia del defunto e con tutte le persone colpite da questo lutto”.

“Affidandolo alla misericordia del Signore, rendo grazie a Dio per il ministero di questo pastore ardente che si è prodigato per tutta la sua vita a favore dei malgasci, prima come sacerdote diocesano poi come Arcivescovo di Antananarivo, dando il meglio di sé affinché Cristo fosse annunciato”, spiega il Papa.

“Che, per intercessione materna della Vergine Maria, Regina dell'Africa, il Signore accolga il suo fedele servitore nel suo Regno di pace e di luce!”, auspica.

Ordinato sacerdote nel 1954, il Cardinale Razafindratandra aveva studiato all'Istituto Cattolico di Parigi prima di diventare direttore della catechesi e tornare nel suo Paese nel 1956.

Nel 1978 era stato nominato Vescovo di Mahajanga, città portuale del nord-est, intraprendendo un'opera di evangelizzazione di tutto il territorio della Diocesi e visitando a piedi zone che non erano mai state raggiunte da un rappresentante della Chiesa cattolica.

Era stato anche uno dei fondatori della Commissione Ecumenica di Teologia, incaricata dell'elaborazione dello statuto del Consiglio delle Chiese Cristiane, movimento che dal 1989 ha svolto un ruolo decisivo nell'evoluzione democratica del Madagascar.

Nominato Arcivescovo di Antananarivo nel 1994, era stato creato Cardinale da Giovanni Paolo II nello stesso anno. E' stato anche presidente della Conferenza Episcopale del Madagascar dal 1997 al 2002.

Dopo la morte del Cardinale Razafindratandra, il collegio cardinalizio ha 182 porporati, 112 dei quali elettori.

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Un concorso per sacerdoti nell'Anno a loro dedicato
Il premio è un viaggio a Roma

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Per diffondere la bellezza del sacerdozio cattolico, il portale Catholic.net (http://www.es.catholic.net) in spagnolo lancia nell'Anno Sacerdotale un concorso in cui i presbiteri sono invitati a raccontare il fatto più bello del proprio ministero.

Il premio per il miglior racconto è un viaggio a Roma per la chiusura dell'Anno Sacerdotale, nel giugno 2010. Nel caso in cui il vincitore risieda a Roma, il premio sarà un pellegrinaggio in Terra Santa.

Secondo gli organizzatori, l'obiettivo è duplice: è innanzitutto un dono per i sacerdoti nell'Anno loro dedicato, perché il fatto di riflettere sull'azione di Dio nella propria vita in momenti particolarmente significativi dà rinnovamento e speranza.

Dall'altro lato è anche un dono dei sacerdoti alla Chiesa, perché alla fine del concorso verrà pubblicato un libro con i migliori racconti per condividere con tutti i fedeli queste esperienze.

In base alle regole del concorso (http://www.es.catholic.net/concurso-sacerdotes), la lunghezza massima del racconto è di 700 parole. Possono partecipare solo i sacerdoti e non c'è alcun costo. Saranno accettate le proposte pervenute entro il 19 marzo 2010.

Catholic.net ha già organizzato un primo concorso in cui i laici hanno raccontato esperienze che riflettevano la testimonianza di qualche sacerdote che ha arricchito la loro vita. Il premio per il vincitore era un pellegrinaggio ad Ars, in Francia, dove svolgeva il suo ministero San Giovanni Maria Vianney.

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Malaysia: i cristiani denunciano l'uso politico della religione
Tra l'8 e l'11 gennaio attaccate nove chiese nel Paese

ROMA, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Secondo i cristiani della Malaysia, la disputa sul loro utilizzo del nome “Allah” per indicare Dio (cfr. ZENIT, 6 gennaio 2010) nasconde ragioni politiche più che teologiche.

Come riferisce l'agenzia Fides, per i fedeli si tratta del tentativo del partito al governo, la United Malays National Organization (UMNO), di riguadagnare i consensi che è andato perdendo.

Questa opinione è condivisa anche dai partiti dell'opposizione, molti dei quali musulmani, che hanno condannato “il tentativo di polarizzare la società malaysiana su base religiosa”.

Dopo i primi attentati alle chiese (cfr. ZENIT, 8 gernnaio 2010), il Parti Islam Se-Malaysia (PAS), un influente partito islamico all’opposizione, si è dichiarato favorevole all’uso del temine “Allah” da parte dei cristiani.

Dal canto suo, il capo dell’opposizione, Anwar Ibrahim, leader del People Justice Party, ha condannato duramente gli attacchi alle chiese, dichiarando che bisogna “lottare per mantenere lo spirito di unità dei padri fondatori e per difendere l’articolo 11 della Costituzione federale, che garantisce la libertà di religione”, e invitando a isolare “quanti incitano all’odio religioso per motivi politici”.

Anwar ha anche ricordato che “il temine Allah viene usato normalmente da musulmani, ebrei e cristiani di lingua araba da 14 secoli” e che per risolvere la questione serve “l’impegno nel dialogo interreligioso”.

Allo stesso modo, ha denunciato “l’incessante propaganda e la retorica incendiaria dei mass-media con trollati dal governo”, assicurando che la Pakatan Rakyat, coalizione di opposizione, farà di tutto perché “i nostri fratelli cristiani si sentano salvi e sicuri nel loro Paese”.

La controversia giuridica sull’uso del nome “Allah” nelle pubblicazioni cristiane, ricorda Fides, è iniziata tre anni fa ed è esplosa all’inizio di quest'anno.

Tutto ha avuto inizio nel 1995, quando il settimanale dell'Arcidiocesi di Kuala Lumpur, The Herald (http://www.heraldmalaysia.com), ha inaugurato le sue pubblicazioni in “Bahasa Malaysia”, la lingua maggioritaria del Paese, traducendo il nome “Dio” con “Allah”, come accade nella Bibbia in lingua araba.

Nel 2006, il Governo malaysiano del Fronte Nazionale (Barisan National) – coalizione guidata dall’UMNO, espressione della comunità malay, di religione musulmana – ha dichiarato pubblicamente di voler impedire alle pubblicazioni cristiane in lingua malay di utilizzare il termine “Allah” per indicare Dio.

Dopo alterne vicende, nel marzo 2009 il Governo ha revocato l'autorizzazione che aveva concesso solo pochi giorni prima e che consentiva ai cristiani di utilizzare il termine “Allah” per riferirsi al proprio Dio quando compare su pubblicazioni “espressamente destinate ai fedeli cristiani”.

Il 31 dicembre 2009, l'Alta Corte di Giustizia della Malaysia ha emesso un verdetto favorevole alla Chiesa, affermando il diritto del settimanale cattolico Herald di usare il termine “Allah” per riferirsi al proprio Dio.

Il 4 gennaio 2010 hanno iniziato a diffondersi sul social network Facebook gruppi che invitano i fedeli musulmani alla protesta per difendere il nome di “Allah”. Il 6 gennaio il Governo ha annunciato che ricorrerà in appello contro il verdetto della Corte. La Chiesa cattolica ha accettato di non utilizzare il termine “Allah” nelle pubblicazioni finchè la vicenda sarà in discussione.

L'8 gennaio, alcuni hacker hanno attaccato i siti Internet di diverse Chiese cristiane in Malaysia con scritte che dicevano “Allah è riservato ai musulmani”. Nelle prime ore del mattino sono poi iniziati gli attacchi alle chiese, mentre davanti alle due moschee principali di Kuala Lumpur, in occasione della preghiera del venerdì, si sono verificati degli assembramenti con slogan di protesta contro i cristiani.

Tra l'8 e l'11 gennaio sono state nove le chiese attaccate in Malaysia, otto delle quali con bottiglie incendiarie. Quelle cattoliche sono tre: quella dell'Assunzione a Petaling Jaya (8 gennaio), quella di St. Louis a Taiping e quella del “Buon Pastore” a Miri (entrambe il 10 gennaio).

Le altre chiese cristiane bersaglio degli attacchi sono una battista, una luterana, una anglicana, una pentecostale e due evangeliche.

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Occorre superare l'estremismo in Egitto
Il Vescovo di Guizeh commenta l'attentato contro una chiesa copta
IL CAIRO, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Monsignor Antonios Aziz Mina, Vescovo cattolico di Guizeh (Egitto), ripresosi dallo shock dell'attentato contro una chiesa copta ortodossa che ha provocato sette morti il 6 gennaio (cfr. ZENIT, 7 gennaio 2010), ha detto che affrontare la disoccupazione e la carente educazione è fondamentale nella lotta contro la crescente intolleranza religiosa. 

Monsignor Aziz ha sottolineato lo sconcerto dei fedeli dopo l'episodio violento avvenuto fuori dalla chiesa di Nagaa Hamadi, a 65 chilometri da Luxor, provocato a quanto si dice dalla violenza di un cristiano su una bambina musulmana a novembre.

Le organizzazioni che vigilano sui diritti umani affermano che in Egitto si sta verificando un'escalation di atteggiamenti anticristiani.

In “Perseguitati o dimenticati?”, il suo rapporto sulla Chiesa perseguitata e oppressa, l'organizzazione caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) spiega che nel Paese l'estremismo sta aumentando e guadagnando influenza nella società.

Parlando dell'Egitto in un'intervista ad ACS, il Vescovo Aziz ha sottolineato che la disoccupazione e l'ignoranza stanno alimentando l'estremismo.

Il presule, la cui diocesi cattolica copta di Guizeh è situata a sud della capitale, Il Cairo, ha infatti affermato che “è molto chiaro che l'estremismo viene dall'ignoranza e anche dalla mancanza di lavoro” e ha aggiunto: “Dobbiamo educare la nostra gente”.

“Dobbiamo aiutarla a comprendere come vivere e come collaborare con gli altri, e a non guardare solo alla religione e alla razza”. “Se vogliamo crescere, dobbiamo lavorare insieme”.

L'Occidente, ha detto, deve fornire assistenza per migliorare le scuole e altre istituzioni educative del Paese.

I rapporti indicano che un quinto degli 80 milioni di abitanti dell'Egitto vive con meno di un dollaro al giorno.

Il Vescovo ha quindi sottolineato la necessità di rispettare il posto della Chiesa nella società. “Chiediamo più tolleranza e più comprensione delle differenze nella società”, ha commentato.

“Noi cristiani siamo parte dell'Egitto. Viviamo in questo Paese e siamo egiziani come chiunque altro”; “il fatto che siamo cristiani non rappresenta alcuna differenza”.

Secondo alcune stime, i cristiani in Egitto sono tra gli otto e i dieci milioni. Per il Vescovo Aziz, a volte sono costretti a sentirsi stranieri nel proprio Paese.

I fondamentalisti, ha sottolineato, sono una minaccia per la maggior parte dei musulmani moderati e per i cristiani. “Azioni estremiste di questo tipo colpiscono anche i musulmani – ha affermato –. Anche loro sono pregiudicati da queste persone”.

Il Vescovo ha espresso la speranza in un miglioramento delle relazioni interreligiose. “Quando avvengono incidenti come questo ovviamente ci preoccupiamo”, ha ammesso.

“Dobbiamo però ricordare che per secoli abbiamo vissuto accanto ai musulmani. Guardare alla nostra storia ci dà fiducia per superare questi problemi”.

Interpellato sui fondamentalisti e sulle loro motivazioni, ha detto: “Non sappiamo esattamente da dove venga il sostegno a questi estremisti. Anche se ci sono estremisti nel Paese, possono ricevere sostegno dall'esterno”.




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La tomba del sudario scoperta a Gerusalemme conferma la Sacra Sindone
Afferma il fisico del Centro Spagnolo di Sindolologia César Barta

di Nieves San Martín

MADRID, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La “tomba del sudario” scoperta recentemente a Gerusalemme conferma la Sacra Sindone. Lo afferma il fisico del Centro Spagnolo di Sindolologia César Barta Gil, per il quale un'altra interpretazione sarebbe tendenziosa e parziale.

Gli archeologi dell'Università Ebraica hanno trovato recentemente dei frammenti di sudario in una tomba della prima metà del I secolo nel cimitero di Haceldama, il “Campo di Sangue” comprato con le 30 monete di Giuda per seppellire gli stranieri. La tomba, situata nella parte bassa della Valle dell'Hinnon, al lato della tomba di Anna, suocero di Caifa, sembra indicare che si trattava di una persona di famiglia sacerdotale o aristocratica.

Secondo lo storico tessile Orit Shamir, i tessuti usati per avvolgere il cadavere sono di buona qualità, di una persona benestante, ma di tessuto molto più semplice rispetto alla Sacra Sindone di Torino.

La notizia della scoperta archeologica in una tomba di Gerusalemme di un sudario dell'epoca di Gesù Cristo, diffusa dalla pubblicazione “PloS ONE Journal”, è stata presentata come un'argomentazione che mette in dubbio l'autenticità della Sacra Sindone di Torino. Si è arrivati a dire che “gli autori dello studio concludono che quest'ultima non risale a quegli anni”.

“Solo un'interpretazione molto tendenziosa e parziale può arrivare a diffondere questa idea – ha spiegato a ZENIT César Barta Gil –. Se si presentano i dati oggettivi, la realtà è piuttosto il contrario, visto che conferma l'autenticità della Sacra Sindone anziché metterla in discussione”.

Gli autori dell'articolo intitolato “Molecular Exploration of the First-Century Tomb of the Shroud in Akeldama, Jerusalem” sono di Canada, Israele, Australia, Inghilterra e Stati Uniti, e non menzionano mai la Sindone di Torino.

L'obiettivo principale dell'articolo è far conoscere il successo nella dimostrazione con mezzi sperimentali che tre dei defunti della tomba familiare avevano la tubercolosi e uno di loro, inoltre, era lebbroso. Il merito aumenta considerando il deterioramento dei resti archeologici rinvenuti.

“Si può solo immaginare la sorpresa che susciterà negli autori il fatto di vedere che il loro articolo è servito a far sì che la gente parli di ciò che non hanno scoperto anziché del progresso ottenuto con l'analisi di DNA antico e processi molecolari”, ha sottolineato César Barta.

Se la notizia si è prestata a questo fraintendimento, spiega il fisico, è perché gli scavi sono stati soprannominati “la tomba del sudario” (the tomb of the shroud). Il nome deriva dall'eccezionalità dell'aver trovato un tessuto che aveva avvolto un cadavere in una tomba ebraica.

Il costume ebraico era andare al sepolcro circa un anno dopo aver seppellito il defunto, quando le parti molli erano già scomparse e rimanevano solo le ossa, che venivano poste in casse di pietra o ossari e lasciate di nuovo nella tomba. Per questo motivo gli archeologi hanno trovato centinaia di tombe in cui non c'era alcun tessuto.

L'idea che Gesù Cristo sia stato avvolto in un lenzuolo come parte di un costume ebraico non era stata corroborata da alcuna scoperta. Ad ogni modo, nella “tomba del sudario” l'individuo lebbroso venne collocato in una camera del sepolcro che fu sigillata per evitare il contagio del resto dei defunti della famiglia. Questo ha fatto sì che nel tempo non venisse modificata, e che sia arrivata ai giorni nostri con i resti della prima deposizione del seppellimento.

La scoperta permette quindi di confermare l'utilizzo di lenzuoli nelle pratiche funerarie ebraiche, rafforzando l'idea dell'uso della Sacra Sindone.

Oltre a ciò gli autori, nelle poche righe che dedicano al tessuto, informano di averne trovate delle porzioni in tutta la lastra con resti organici, deducendo che copriva tutto il corpo. In particolare, hanno rinvenuto resti di capelli, e quindi il lenzuolo copriva la testa. E' una conferma specifica del modo in cui è stata utilizzata la Sacra Sindone per avvolgere il crocifisso, visto che effettivamente gli copriva la testa.

“Un'interpretazione unanime di questi dati sosterrebbe piuttosto l'autenticità della reliquia di Torino – afferma César Barta –. Ad ogni modo, il professor Shimon Gibson, uno degli autori, ha dichiarato al National Geographic che a suo avviso il tessuto rinvenuto nella tomba indica la falsità della Sindone di Torino perché presenta un altro tipo di confezione. In effetti, quello di Torino è in sargia di grande valore, mentre quello della tomba è in taffetà”.

“Questa argomentazione, tuttavia, manca di consistenza visto che non ci si doveva aspettare di trovare una sargia come quella della Sacra Sindone in ogni tomba ebraica – conclude il fisico –. E non bisognava aspettarselo perché un tessuto come quello di Torino in sargia da 1 a 3 in lino è un esemplare unico e non se ne conosce un altro, né dell'epoca di Cristo né del Medioevo”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]



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Atti di vandalismo contro il Santuario di Fatima

FATIMA, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- La chiesa della Santissima Trinità e quattro statue, nel Santuario di Fatima (Portogallo), sono state oggetto di vandalismo durante questo fine settimana.

In un comunicato stampa divulgato questo lunedì, il Santuario diffonde la notizia “di un abuso realizzato nel fine settimana, all'alba di domenica 10 gennaio”.

Quattro statue poste ai lati della chiesa della Santissima Trinità (nella Piazza Giovanni Paolo II le statue dei Papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, nella Piazza Pio XII quella di Papa Pio XII e quella del Vescovo monsignor José Alves Correia da Silva) e l'esterno della chiesa sono stati imbrattati con scritte tipo graffiti con le parole “Islam”, “Luna”, “Sole”, “Musulmano” e “Moschea”.

Secondo il Santuario, già questo lunedì “sono in svolgimento i difficili lavori di rimozione delle scritte”.

“Dando notizia dell'accaduto, e non conoscendo gli autori di questo atto, il Santuario rende pubblica la sua tristezza e informa che la questione è stata affidata alle autorità di polizia”, sottolinea il comunicato.

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Anche dopo la morte, le autorità cinesi proibiscono di chiamarlo Vescovo
Muore a 86 anni monsignor Leo Yao Liang

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- E' morto il 30 dicembre scorso a 89 anni monsignor Leo Yao Liang, vescovo coadiutore della diocesi di Siwantze (Chongli- Xiwanzi), nella provincia di Hebei (Cina Continentale).

Il presule era nato l'11 aprile 1923 nel villaggio di Gonghui, nella contea di Zhangbei. Ordinato sacerdote il 1° agosto 1948, aveva lavorato come viceparroco in varie parrocchie della Diocesi fino a quando gli era stato impedito di esercitare il ministero sacerdotale ed era stato costretto a guadagnarsi da vivere coltivando ortaggi e vendendo legna.

Nel 1956 venne condannato ai lavori forzati per aver rifiutato di aderire al movimento di indipendenza della Chiesa cattolica dal Papa. Due anni dopo, per lo stesso motivo, gli venne inflitta la pena del carcere a vita.

Era stato liberato nel 1984, dopo quasi trent'anni di prigione. Ordinato Vescovo il 19 febbraio 2002, nel luglio 2006 era stato di nuovo sequestrato dalla polizia in seguito alla consacrazione di una nuova chiesa nella contea di Guyuan, trascorrendo altri trenta mesi in prigione. Una volta liberato, ma sempre sotto stretta sorveglianza, aveva potuto impegnarsi per gli affari della Diocesi. Alla messa domenicale che celebrava partecipavano ogni settimana più di mille fedeli.

“Dopo la morte di monsignor Yao, le autorità civili hanno proibito alla comunità cattolica di onorarlo sotto il titolo di 'Vescovo', imponendo che si usasse quello di 'pastore clandestino'”, denuncia “L'Osservatore Romano”.

“La mattina del 6 gennaio, migliaia di fedeli, provenienti da varie parti del Paese, hanno partecipato ai suoi funerali nonostante i controlli della polizia e l'abbondante nevicata, dimostrando così che monsignor Yao è stato veramente il buon pastore, che dà la vita per le sue pecore”, aggiunge il quotidiano della Santa Sede.

“In lui, come negli altri sei Vescovi cinesi che sono morti durante l'anno 2009 - conclude “L'Osservatore Romano” - , si sono compiute le parole del libro della Sapienza: 'Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto' (3, 1-6)”.

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I Venerdì di Propaganda: Antonia Pillosio e i 50 anni della Filmoteca vaticana
Il 15 gennaio presso la Libreria Internazionale Paolo VI a Roma

ROMA, martedì, 15 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Venerdì 15 gennaio, alle ore 17.30, presso la Libreria Internazionale Paolo VI in via di Propaganda n. 4, a Roma, verrà presentato il libro “La Filmoteca vaticana a 50 anni dalla nascita. Incontri e curiosità” di Antonia Pillosio (Edizioni VivereIn).

L’incontro con l’autrice sarà guidato come al solito dalla dott.ssa Neria De Giovanni.

In occasione dei cinquant’anni di nascita della Filmoteca vaticana l’autrice in collaborazione con la Filmoteca vaticana ha raccolto documenti e riflessioni, schede e interviste per far conoscere ad un più vasto pubblico la storia di questo organismo della Santa Sede e la ricchezza del suo archivio.

Il libro è diviso in due parti con un’appendice fotografica contenente un omaggio al Cardinale Andrzej Maria Deskur, il principale artefice della Filmoteca vaticana.

Dopo l’introduzione del Cardinale John Patrick Foley nella prima parte del libro l’autrice ripercorre brevemente l’interesse che la Chiesa, da Pio XI a Benedetto XVI , ha rivolto al mondo della cinematografia.

Seguono poi diverse schede dei filmati presenti nella Filmoteca Vaticana.

Nella seconda parte del libro il lettore trova una serie di interviste che testimoniano le esperienze di chi ha lavorato e lavora nella Filmoteca vaticana, che propone tra le sue attività anche proiezioni cinematografiche nella “sala Deskur” a Palazzo San Carlo, all’interno del Vaticano.

L’autrice, Antonia Pillosio, lavora per Rai Educational con “La Storia siamo noi” e per Rai Storia con “Dixit” di Giovanni Minoli, direttore RAI.

Da anni collabora a numerose trasmissioni di successo, sia di divulgazione storica come “Progetto Storia” di Rai Tre (“Correva l’Anno”, “Enigma”, “La Grande Storia”) che di inchiesta giornalistica per Rai 2 con la serie “Misteri”.

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Nell'abbazia di Tre Fontane, ebrei, nazisti, disertori e frati

ROMA, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di padre Jacques Brière, Abate di Tre Fontane, apparso sul numero di gennaio di Paulus, dedicato al tema "Paolo l'orante" e contenente un dossier centrale sulla Lettera a Tito.




* * *

Chi visita l'abbazia trappista di Tre Fontane e le sue tre chiese, secolare memoria del martirio dell'apostolo Paolo, è costretto a passare sotto il medievale arco di Carlo Magno. E non può non accorgersi di un altorilievo collocato al suo centro, raffigurante la vergine Maria con il Bambino, che regge tra le mani un cartiglio marmoreo con iscritto un nome eloquente: Emmanuel. Sotto, sulla sinistra, è affissa una lapide che ricorda la provvidenziale ospitalità ricevuta da alcuni ebrei durante l'occupazione nazista di Roma nell'ottobre 1943, dopo la razzia nel Ghetto. Per questo gesto di coraggio, l'abate dell'epoca - dom Maria Leone Ehrard - è stato insignito di un'onorificenza che ne esalta pubblicamente la memoria: la medaglia di "Giusto fra le nazioni", conferitagli dall'ambasciata israeliana. La medaglia dei Giusti è il più alto riconoscimento attribuito a cittadini non ebrei dallo Stato di Israele e viene consegnato a coloro che, rischiando la vita e non avendo ricevuto nulla in cambio, hanno salvato uno o più ebrei dalla persecuzione. Le famiglie ebraiche Sonnino (Giuseppe) e Di Porto (Angelo, Settimo e Alberto), attivamente ricercate, riuscirono a salvarsi dalla deportazione grazie al rifugio loro offerto da dom Leone. Giuseppe Sonnino aveva rapporti commerciali con l'abbazia, perché fabbricava i sacchi con cui i frati portavano al mercato i loro prodotti agricoli. La Saccheria Sonnino è ancora oggi in esercizio nella capitale. Tutti i rifugiati testimoniarono di essere stati accolti fraternamente dai frati, i quali offrirono loro rifugio e vitto senza mai chiedere un contraccambio.

Un racconto incredibile

Per conoscere più da vicino alcuni dettagli relativi all'avvenimento, ho sfogliato il secondo volume (inedito) di dom Alfonso Barbiero, testimone oculare dei fatti. Ne riporto alcuni stralci. «La sera stessa di quel memorabile giorno, 10 settembre 1943, dom Leone aveva un lungo colloquio col capitano tedesco Milch il quale, ferito presso la piramide di Cestio, chiedeva alloggio nella nostra foresteria. Era costui una brava e cosciente persona. Si rese conto esatto della situazione dei religiosi. Si mostrò cortese e remissivo, diede ampie assicurazioni di protezione contro eventuali angherie e soprusi, permise che le campane venissero suonate secondo il costume anche di notte, che tenessimo accesa la luce elettrica, che cantassimo il nostro ufficio, e non volle che la vita religiosa dei monaci fosse comunque disturbata [...] Come dissi sopra, al primo comparire delle truppe d'assalto tedesche abbiamo subìto delle perquisizioni ingiuste, soprusi, sopraffazioni, ma per mezzo del bravo Milch, piano piano, con l'andar del tempo egli ci fece restituire ogni cosa. Così stando le cose la vita all'abbazia delle Tre Fontane si svolgeva quasi in piena normalità, benché in casa si vivesse quasi a diretto contatto con i Tedeschi, i quali si servivano del nostro forno e della nostra cucina. Inoltre avevamo circa una quindicina di elementi militari "rifugiati", in attesa di potersi affiancare al Maresciallo Badoglio. Curioso il fatto che tali soggetti vestiti da frati erano veramente creduti tali dai Tedeschi, che avevano occasione di osservarli dalla mattina alla sera, guai se avessero saputo la loro vera identità, perché ne sarebbe andata di mezzo, oltre che i rifugiati stessi, l'intera Comunità! [...] I Colli Albani, in seguito allo sbarco degli Alleati in quel di Nettuno, erano diventati zona d'operazione, e, moltiplicate le spaventose incursioni, giorno e notte gli Alleati non facevano altro che scorrazzare cercando di colpire le truppe germaniche. Si abbassavano rapidamente, mitragliavano all'impazzata e sparivano, gettando così il terrore ed il panico su tutta la zona. Tra i "rifugiati" non bisogna dimenticare che c'erano parecchi ebrei, [...] capitati qui dopo le prime retate che i Tedeschi avevano fatto degli ebrei in città, che s'erano infilati alla spicciolata mischiandosi ai nostri operai avventizi. Dapprima nessuno li conosceva, ed i poveretti ce la mettevano tutta per non farsi scoprire. Anche per loro si succedettero giorni di trepidazione. Non pratici, anzi ignari affatto di come si tenessero in mano gli strumenti di lavoro, s'ingegnarono a imitare i vicini per non tradirsi e per ingannare il tempo. Non era la giornata che dovevano guadagnarsi, ma la vita da salvare. [...] Venne infine pure la loro liberazione, e tanta fu la loro riconoscenza per l'ospitalità fraterna trovata nella solitudine della Trappa, che a perenne memoria dell'incresciosa parentesi offrirono una bella scultura in marmo della Madonna, che tuttora si può vedere nel bel mezzo della facciata del portico di entrata del monastero, con la relativa dedica fissata a sinistra sopra la cornice del pilastro dell'arco» (riportato in A. Barbiero, Storia dell'abbazia delle Tre Fontane dal 1140 al 1950, cap. XXXVI).

"Giusto fra le nazioni"

L'8 ottobre 2002, in occasione della consegna ufficiale della medaglia dei Giusti alla nostra Comunità, espressi nel modo seguente i sentimenti che accomunavano tutti i partecipanti alla cerimonia: «Ciò che ricordiamo oggi è l'orrore di una situazione nella quale i diritti della persona umana sono stati totalmente negati, ciò che ricordiamo oggi è anche la capacità per l'uomo di non accettare l'inaccettabile; infatti ricordiamo il coraggio di una persona che ha saputo accettare grandi rischi per salvare la vita del prossimo. In queste circostanze possiamo dire che dom Leone Ehrard è stato un uomo provvidenziale. Veniva dall'Alsazia, situata alla frontiera tra Francia e Germania, un Paese di cultura e di lingua tedesca, ma la cui gente ha il cuore francese. Più di altri popoli gli Alsaziani sanno che cosa significa essere sottomessi ad un autorità non desiderata, e questo è ancora più vero per le persone della generazione di dom Leone, nati francesi e poi divenuti tedeschi malvolentieri [...] che ha sperimentato cosa significa l'esilio, ha visto membri delle stesse famiglie, appartenenti alla stessa città, combattersi sotto diverse divise [...] Questa esperienza gli ha permesso di sviluppare una grande compassione, una grande capacità per aiutare chiunque si trovi in pericolo. Molto vicino ai tedeschi per cultura e temperamento, dom Leone ha saputo creare le condizioni che permisero di accogliere profughi ebrei e altre categorie di persone ricercate dalla polizia, pur convivendo con truppe tedesche sotto lo stesso tetto».

Jacques Brière

Abate di Tre Fontane

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