lunedì 19 aprile 2010

[ZI100419] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 19 aprile 2010

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Santa Sede


Il Papa non si sente solo, confida ai Cardinali
Nel quinto anniversario del suo pontificato

ROMA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI non si sente solo in mezzo alle difficoltà e agli attacchi che la Chiesa e la sua stessa persona stanno subendo ormai da parecchie settimane. Lo ha condifato lui stesso questo lunedì ai Cardinali, nel celebrare il quinto anniversario del pontificato.

Alla festa celebrata con un pranzo, nel Palazzo apostolico, hanno partecipato 46 Cardinali. Nel Vaticano è stato un giorno di festa per gli impiegati.

“In questo momento il Papa sente, molto fortemente, di non essere solo; sente di avere accanto a sé l'intero Collegio cardinalizio che con lui condivide tribolazioni e consolazioni”, si legge nell'edizione italiana de “L'Osservatore Romano” del 19-20 aprile.

“Il Papa ha voluto ringraziare il Collegio cardinalizio per l'aiuto che riceve giorno dopo giorno. Soprattutto nel momento in cui  sembra vedersi  confermata la parola di sant'Agostino citata dal  Vaticano II, che la Chiesa ha peregrinato inter persecutiones mundi et consolationem Dei”.

“A questo proposito il Pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando  che essa, ferita e peccatrice,  sperimenta ancor più le  consolazioni di Dio”, spiega il quotidiano vaticano.

“In particolare per il Papa è una grande consolazione proprio il Collegio cardinalizio – continua 'L'Osservatore Romano' –. Nella Chiesa esistono due principi: uno personale e uno comunionale. Ora il Papa  ha una responsabilità personale, non delegabile; il vescovo è circondato dai suoi presbiteri. Ma il Papa è circondato dal Collegio cardinalizio che potrebbe essere chiamato in termini orientali quasi il suo sinodo, la sua compagnia permanente che lo aiuta, l'accompagna, lo affianca nel suo lavoro”.

Al tavolo intorno al Papa erano seduti i Cardinali Tarcisio Bertone - Segretario di Stato -, Angelo Sodano - Decano del Collegio cardinalizio -, Roger Etchegaray, Giovanni Battista Re, José Saraiva  Martins, e Jozef  Tomko. 

Al  termine del pranzo il Cardinal Sodano ha rivolto a nome di tutti un saluto al Papa ricordando la sera del 19 aprile del 2005, quanto il Cardinal Ratzinger si affacciò al balcone della Basilica di San Pietro come successore di Giovanni Paolo II.

“Ci stringiamo intorno a lei, nel quinto anniversario del suo Pontificato – ha assicurato il porporato –. Con questo spirito noi oggi le diciamo dal profondo del cuore: 'Ad multos annos, ad multos felicissimos annos!'”.

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Il Papa sottolinea il contributo culturale delle minoranze creative
Lettera del Cardinal Bertone all'Università del Sacro Cuore
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, ha sottolineato i contributi culturali "decisivi" delle minoranze creative in una Lettera inviata a nome di Papa Benedetto XVI al presidente dell'Istituto G. Toniolo di Studi Superiori, il Cardinale Dionigi Tettamanzi.

La Lettera è stata inviata in occasione della celebrazione, questa domenica 18 aprile, della 86ª Giornata Nazionale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore, ha reso noto la Sala Stampa della Santa Sede.

Il testo definisce le minoranze creative "uomini che nell'incontro con Cristo hanno trovato la perla preziosa, quella che dà valore a tutta la vita, e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi ad una elaborazione culturale capace di delineare nuovi modelli di sviluppo".

"Senza tali forze umane, che vivono la ricchezza trovata in modo convincente anche per gli altri, non si costruisce niente", afferma.

Nella sua Lettera, il porporato raccoglie le parole che il Papa ha pronunciato nel settembre scorso durante il viaggio in aereo da Roma a Praga per la visita nella Repubblica Ceca.

"Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un'eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale", ha detto in quell'occasione Benedetto XVI.

"La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace", ha aggiunto il Papa.

Il Cardinal Bertone ricorda nel suo testo che determinare modelli in sede economica e politica è compito dei laici, ai quali chiede una "personale testimonianza di impegno sociale e nelle opportune forme aggregative", "agendo sempre nella chiara illuminazione della Parola della fede, scritta o trasmessa, di cui il Magistero è custode fedele e interprete sicuro".

"Si inserisce qui il compito insostituibile dell'Università Cattolica, luogo in cui la relazione educativa è posta a servizio della persona nella costruzione di una qualificata competenza scientifica, che si radica e si alimenta ad un patrimonio di saperi che il volgere delle generazioni ha distillato in sapienza di vita".

La Lettera indica anche che la celebrazione della Giornata Nazionale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore "offre l'occasione a Sua Santità Benedetto XVI di rinnovare il Suo apprezzamento per il significativo ruolo che continua ad avere codesta Istituzione accademica nel panorama culturale della nostra società", sottolineando "la preziosa opera di formazione rivolta specialmente alle nuove generazioni" in questa Università, il cui campus di Roma accoglie il Policlinico Agostino Gemelli.

Quest'anno, la Giornata aveva come tema "Uno slancio creativo per nuovi modelli di sviluppo".

L'Università Cattolica del Sacro Cuore è strutturalmente unita alla Santa Sede attraverso l'Istituto Toniolo di Studi Superiori, il cui compito è quello di raggiungere i fini istituzionali dell'università dei cattolici italiani.

Si assicura così in modo collegiale un solido ancoraggio dell'università alla Cattedra di Pietro e al patrimonio dei valori lasciati in eredità dai suoi fondatori.

Il Cardinal Bertone indica nella Lettera che il lavoro quotidiano di ricerca, insegnamento e studio mostra il rapporto speciale di questa Università con la sede di Pietro.

In quest'opera, "la traditio - via eccellente di educazione creativa - esprime in pienezza il proprio potenziale di innovazione".

"Nessun progresso, infatti, tanto meno sul piano culturale, si nutre di mera ripetizione, ma esige un sempre nuovo inizio", dichiara il Cardinale.

"Richiede, inoltre, quella disponibilità al confronto e al dialogo che apre l'intelligenza e che testimonia la ricca fecondità del patrimonio della fede: carità nella verità".

"Si contribuisce così a formare una solida struttura di personalità, in cui l'identità cristiana penetra il vissuto quotidiano e si esprime all'interno di una professionalità eccellente, in risposta ad una sfida epocale, che esalta quell'impegno creativo che la trasformazione pasquale rinnova nel suo dinamismo vitale".

In questo modo, l'università diventa "un ambiente spirituale e culturale privilegiato, che non restringe l'apprendimento alla funzionalità di un esito economico, ma allarga il respiro su progettualità in cui l'intelligenza investiga e sviluppa i doni del mondo creato", prosegue il testo.

"È questo lo slancio creativo che supera la ripetizione che annoia, il pragmatismo che mortifica. Così la vita universitaria si rinnova e genera una vera communitas, secondo il motto scelto quest'anno come sentiero di riflessione e di crescita comune".

Il Segretario di Stato sottolinea quindi l'importanza di "cercare la verità nella dolcezza di una reciprocità donata" e della gratuità, "presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza".

Fondata nel 1921, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, nelle sue cinque sedi e quattordici Facoltà, ha decine di migliaia di iscritti.

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La visita del Papa a Malta supera le aspettative
La metà della popolazione ha visto Benedetto XVI
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- La metà della popolazione dell'arcipelago di Malta è accorsa a vedere Benedetto XVI durante la sua visita apostolica, un dato che permette di comprendere l'impatto del suo 14° viaggio internazionale.

Al suo ritorno a Roma, il bilancio tracciato da padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, è "estremamente positivo, direi anche superiore all'attesa per gli stessi organizzatori maltesi".

"E questo perché il calore della rispondenza, la quantità spontanea di persone per le strade, tutte molto gioiose e molto ordinate, corrette nella manifestazione del loro entusiasmo, è qualcosa che ha colpito molto profondamente. Io credo che si possa dire tranquillamente che circa 200 mila persone, nei due giorni, hanno potuto vedere il Papa. Quindi, una partecipazione corale".

Gli abitanti di Malta sono circa 400.000, per cui un maltese su due ha visto il Pontefice.

Ai microfoni della "Radio Vaticana", il portavoce ha attribuito questa straordinaria partecipazione alle "radici cristiane di questo popolo" e alla sua "grande tradizione anche cattolica che si è spontaneamente manifestata".

I dati, dichiara, sono significativi, perché "non sembrava così chiaro anche sulla stampa quale sarebbe stata l'accoglienza".

Per quanto riguarda l'incontro che il Papa ha avuto questa domenica nella Nunziatura Apostolica con le vittime di abusi sessuali da parte di religiosi, padre Lombardi ha rivelato che "è stato molto semplice". "Direi che è un messaggio nel modo stesso in cui avviene: un incontro discreto, lontano - diciamo così - dal clamore dei media e dalla pubblicità; impostato a cominciare da un momento di preghiera e poi continuando con un ascolto profondo da parte del Papa delle parole che queste persone desiderano dirgli, tutto quello che possono avere nel cuore e che vogliono dire al Papa come pastore e come padre".

Le risposte "sono molto semplici, molto spontanee di partecipazione, di dolore, di preghiera, di incoraggiamento, di speranza, che il Papa può dire a ciascuno di loro. Importante è che fosse un incontro in cui ognuno dei presenti avesse la sua possibilità di esprimersi e la parola del Papa per lui, perché si tratta di incontrare e - diciamo - di curare delle ferite personali profonde e, quindi, la via non è tanto quella dei messaggi gridati, ma è proprio quella dell'ascolto e del dialogo in profondità. Il Papa ha potuto farlo ed ha concluso di nuovo con una preghiera comune e con una benedizione questo incontro".

"Mi pare di capire che le testimonianze date dagli stessi partecipanti, che hanno voluto liberamente parlarne, sono state estremamente positive. Io, che ero presente, vedevo un clima molto, molto commosso, molto profondo, ma anche molto sereno e pieno di speranza, di risanamento e di riconciliazione", ha confessato.

Il direttore de "L'Osservatore Romano", Giovanni Maria Vian, ha affermato che "in questo processo di purificazione incessante la Chiesa di Roma è chiamata all'esemplarità, e questo sta facendo il suo Vescovo sin dal giorno in cui è stato scelto come successore di Pietro".

"Per questo anche a Malta Benedetto XVI ha indicato la via ai suoi fedeli e al mondo, incontrando alcune vittime di abusi da parte di membri del clero cattolico. Per dichiarare la sua vergogna e il suo dolore, per assicurare che tutto sarà fatto per ristabilire la giustizia, ma soprattutto per pregare e mostrare loro la vicinanza di Dio".

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Il Papa saluterà la Giornata dei bambini vittime della violenza
Don Di Noto: una riprova del suo impegno contro la pedofilia e la violenza minorile
ROMA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Domenica 25 aprile, in occasione della recita dell'Angelus, Benedetto XVI ricorderà con un “saluto specifico” la XIV Giornata nazionale dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e della indifferenza, contro la pedofilia che si celebrerà quel giorno sul tema “Povertà e minori. Responsabilità condivise”.

A renderlo noto è stato don Fortunato Di Noto, fondatore dell'Associazione Meter onlus che dal 1995 celebra questa Giornata presso la Parrocchia Madonna del Carmine di Avola su richiesta di famiglie e di gruppi di bambini.

Nel 1995, infatti, a seguito del tentato omicidio di una bambina di 11 anni, dei racconti di alcuni episodi di abuso e del suicidio di un ragazzo di 14 anni, la comunità cristiana, guidata da don Di Noto, iniziò a riflettere sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, impegnandosi contro ogni forma di sfruttamento e di violenza all’infanzia, concentrando sforzi e risorse per contrastare soprattutto la pedofilia e la pedopornografia.

In una lettera don Di Noto ha fatto appello a tutti ad unirsi a Roma per quella Giornata: “Una delegazione dell'associazione sarà presente per l'occasione in piazza San Pietro. Porteranno degli striscioni e cartelloni ben riconoscibili”.

“La menzione del Santo Padre, che ci ha già ricordati l'anno scorso, per noi ha un valore eccezionale e dimostra una volta di più come stia a cuore a questo Pontefice la lotta alla pedofilia e alla violenza minorile”, ha osservato il sacerdote.

“Il Papa ha reagito in maniera chiara, dura e forte – ha commentato –. E ha ribadito ancora una volta da che parte sta: da quella dei bambini e delle vittime. E noi non possiamo che stare con lui”.

“Alla Giornata, ad oggi, hanno già dato l'adesione molte diocesi – ha detto il fondatore di Meter –. Messaggi di saluto sono giunti dal Presidente del Senato Renato Schifani e siamo in attesa, come ogni anno, di quelli del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del Presidente della Camera Gianfranco Fini”.

Domenica 25 aprile, nelle sede nazionale di Meter, il Vescovo di Noto, mons. Antonio Staglianò, presiederà la Santa Messa alle ore 10:30 presso la Parrocchia Madonna del Carmine di Avola.

“Invito tutti, con immensa gratitudine per il pensiero che il Santo Padre ha voluto dedicarci, ad elevare una corale preghiera di affidamento alla Vergine Maria, Madre di Gesù, per sostenerlo nel Ministero apostolico affinché l'Amore di Dio, rivelatosi in Gesù Cristo, morto e risorto si estenda a tutti gli uomini”, ha quindi concluso.

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I primi cinque anni di Benedetto XVI
"Umile lavoratore nella vigna del Signore"
di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- "Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore", sono state le prime parole dell'appena eletto Benedetto XVI dopo che, il 19 aprile 2005, dalla Cappella Sistina si è levata la fumata bianca che ha fatto sì che il Cardinale cileno Jorge Arturo Medina Estévez pronunciasse le due parole più attese in quel momento dall'opinione pubblica: "Habeamus papam".

Era il terzo Conclave a cui partecipava Joseph Ratzinger, creato Cardinale da Paolo VI nel 1977. Per 24 anni è stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Questo grande umanista ha il record tra tutti i Pontefici come colui che ha scritto più libri prima di diventare Papa: sono 142 le opere pubblicate che presentano la sua ricca teologia e spiritualità, caratterizzata dallo spiegare in un linguaggio molto semplice i grandi misteri della fede che possono essere compresi in un interessante dialogo con la luce naturale della ragione.

Benedetto XVI ama i gatti, suona il piano e il suo compositore preferito è Mozart. Anche suo fratello Georg è sacerdote. Sono stati ordinati insieme nel 1951.

I suoi insegnamenti

Dopo aver terminato il tema dei Salmi, che Papa Giovanni Paolo II aveva iniziato nelle catechesi dell'Udienza generale del mercoledì, Benedetto XVI ha cominciato a parlare di un tema che per lui è sempre stato fondamentale: la tradizione del cristianesimo e il pensiero dei primi secoli. Per questo, ha dedicato varie udienze a parlare di ciascuno degli apostoli, secondo la Sacra Scrittura e la tradizione. Ha poi voluto approfondire i Padri della Chiesa, lasciando capire quanto sia attuale il loro insegnamento.

Ha anche istituito due anni tematici per sottolineare alcuni personaggi e aspetti particolari del cristianesimo, a cominciare dall'Anno Paolino per commemorare i duemila anni della nascita di San Paolo. La sua inaugurazione e la chiusura sono avvenute nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove secondo la tradizione giacciono i resti dell'Apostolo delle Genti. Ha inoltre dedicato varie catechesi a questo apostolo, convertitosi al cristianesimo dopo aver perseguitato al Chiesa.

Il Papa ha voluto dedicare un anno anche ai sacerdoti, evento che si chiuderà a giugno. In questo modo, ha commemorato i 150 anni dalla morte di San Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars, patrono dei parroci.

In qualità di teologo e non di Papa, durante il suo pontificato ha scritto il libro "Gesù di Nazaret", in cui mostra Gesù Cristo come Figlio di Dio, totalmente obbediente al Padre senza perdere un solo tratto di umanità. La pubblicazione della seconda parte di questa importante opera cristologica è attesa per la fine dell'anno.

Tre Encicliche hanno mostrato il suo incredibile talento intellettuale al servizio della fede. La Deus Caritas Est (febbraio 2006) è divisa in due parti: nella prima ricorda alcuni punti essenziali dell'amore che Dio, "in modo misterioso e gratuito, offre all'uomo, insieme all'intrinseco legame di quell'Amore con la realtà dell'amore umano". La seconda parte del testo cerca di concretizzare questo amore nei confronti del prossimo.

Nell'Enciclica Spe Salvi (novembre 2007) assicura che grazie alla speranza l'uomo può affrontare il presente per quanto possa essere difficile, ed esorta gli uomini ad avere sempre l'eterno come meta.

La Caritas in Veritate (luglio 2009) parla della carità cristiana basata sulla verità, che porterà al vero sviluppo. Benedetto XVI ha voluto così rendere omaggio al suo predecessore Paolo VI e all'Enciclica Populorum Progressio, pubblicata nel 1967.

Canonizzazioni

In questi cinque anni di pontificato, Benedetto XVI ha proclamato 516 beati. Grazie a una proposta del prefetto emerito della Congregazione per le Cause dei Santi, il Cardinale José Saraiva Martins, le beatificazioni hanno iniziato ad essere celebrate nelle Diocesi del nuovo beato e sono presiedute da un Arcivescovo in rappresentanza del Papa. In generale le presiede monsignor Angelo Amato, prefetto di questo dicastero vaticano.

Sotto il pontificato si è realizzata la cerimonia di beatificazione più numerosa della storia. Nell'ottobre 2007 sono stati elevati agli altari 498 martiri morti durante la Guerra Civile Spagnola. La cerimonia è stata presieduta dal Cardinale Saraiva Martins. Tra gli altri beati approvati da questo Papa figurano Luis Martin e Zélie Guerin, i genitori di Santa Teresina del Bambin Gesù.

Benedetto XVI ha canonizzato 28 nuovi Santi, tra cui il sacerdote belga Damian de Veuster (1840-1889), l'Apostolo dei Lebbrosi, che a 33 anni si recò nell'isola di Molokai, nell'arcipelago delle Hawaii, per curare a livello fisico e spirituale i lebbrosi isolati in quel luogo. A ottobre canonizzerà la prima australiana: madre Mary MacKillop (1842-1909), cofondatrice delle Suore di San Giuseppe, serva dei poveri e degli analfabeti, che ha svolto una straordinaria opera educativa nel suo Paese.

Fatti senza precedenti

Alcune pubblicazioni e dei pronunciamenti di Benedetto XVI hanno fatto storia, come la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, pubblicata nel novembre 2009. Per la prima volta nella storia della Chiesa, un Pontefice istituisce ordinariati personali per permettere a un gruppo di un altro credo di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica. Avverrà con i circa 500.000 anglicani che per questioni come il sacerdozio e l'episcopato femminile e l'ammissione a questo ministero di persone omosessuali hanno chiesto la comunione con la fede cattolica.

Durante il suo pontificato, il Papa ha visitato tre sinagoghe: a Colonia, New York e Roma. Ha anche visitato tre moschee: nel 2006 la moschea blu di Istanbul, nel 2009 la moschea Hussein ad Amman (Giordania) e la moschea della Roccia a Gerusalemme. Nel novembre 2008 ha anche incontrato la comunità islamica di Roma al termine del forum islamo-cattolico svoltosi nella città.

Un'altra pubblicazione senza precedenti è la Lettera ai cattolici d'Irlanda per i casi di abusi sessuali sui minori da parte di membri del clero. Il documento è il frutto di una riunione che il Pontefice ha avuto con i Vescovi irlandesi per esaminare questi casi e le loro cause, proporre una penitenza nelle Diocesi e stabilire alcune misure perché tali crimini non si ripetano.

Pellegrino

Il suo primo viaggio fuori dall'Italia è stato nel suo Paese natale, la Germania, dove ha presieduto la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia, la cui riflessione si è concentrata sui Re Magi che dall'Oriente si recarono a Betlemme per adorare Gesù.

Nel maggio 2006 è andato in Polonia, dove ha pregato nel campo di concentramento di Auschwitz: "Questo silenzio diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa", ha detto nel suo discorso.

Nel luglio 2006 ha partecipato a Valencia (Spagna) all'Incontro Mondiale delle Famiglie, e nel settembre dello stesso anno è tornato nel suo Paese per visitare le città di Monaco, Altötting e Ratisbona. A dicembre è andato in Turchia per incontrare il Patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I, con cui ha firmato una dichiarazione comune.

Il suo primo viaggio in America Latina è stato in Brasile nel maggio 2007, dove ha inaugurato la V Conferenza generale dell'Episcopato latinoamericano e del Caribe ad Aparecida. Nel settembre dello stesso anno si è recato in Austria per celebrare gli 850 anni della fondazione del Santuario di Mariazell.

Nell'aprile 2008 è andato negli Stati Uniti per celebrare i 200 anni dell'Arcidiocesi metropolitana di Baltimora, da cui sono nate altre quattro Diocesi: New York, Phildelphia, Boston e Louisville. Durante la visita si sono svolti un incontro interreligioso con gli ebrei e uno con le diverse denominazioni cristiane del Paese.

Nel suo viaggio a Sydney, in Australia, nel luglio 2008 ha celebrato la Giornata Mondiale della Gioventù. Decine di migliaia di giovani, molti dei quali provenienti dalle Diocesi di Asia e Oceania, si sono riuniti per meditare sul tema centrale dell'evento, ricevere la forza dello Spirito Santo per essere testimoni di Cristo. A settembre si è recato in Francia per commemorare i 150 anni delle apprizioni della Madonna a Lourdes.

Nel marzo 2009 il Papa è andato in Africa, dove ha consegnato l'Instrumentum laboris del Sinodo realizzato sulla Chiesa in questo continente.

Nel maggio dello stesso anno si è recato in Terra Santa, dove ha voluto compiere un pellegrinaggio alle fonti della fede e ha visitato e incoraggiato la Chiesa locale.

Nel settembre 2009 si è recato nella Repubblica Ceca, visitando l'immagine del Bambin Gesù di Praga e ricordando la figura di San Venceslao, duca di Boemia e martire del Paese nell'VIII secolo.

Il suo ultimo viaggio fuori dall'Italia è stato, sabato e domenica, nella Repubblica di Malta per celebrare i 1950 anni del naufragio di San Paolo nell'arcipelago. "Dal naufragio, per Malta è nata la fortuna di avere la fede; così possiamo pensare anche noi che i naufragi della vita possono fare il progetto di Dio per noi e possono anche essere utili per nuovi inizi nella nostra vita", ha affermato.

Quello che si festeggia questo lunedì è un lustro in cui Benedetto XVI ha saputo imprimere alla Chiesa le sue migliori qualità personali: intelligenza, sensibilità, umanesimo, fermezza e disciplina. "Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere", ha detto cinque anni fa venendo eletto.

"Nella gioia del Signore risorto, fiduciosi nel suo aiuto permanente, andiamo avanti. Il Signore ci aiuterà e Maria sua Santissima Madre starà dalla nostra parte", aveva concluso.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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Si moltiplicano i messaggi di sostegno al Pontefice

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Se è vero che mai un Pontefice era stato tanto oggetto di attacchi come quelli a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, è anche vero che stanno aumentando sempre più le reazioni di sostegno e incoraggiamento nei confronti di Benedetto XVI da parte soprattutto di Capi di Governo, dirigenti di associazioni, docenti universitari, intellettuali, artisti, giornalisti e famiglie.

Una delle lettere di sostegno al Vescovo di Roma, promossa da un gruppo di fedeli cattolici e pubblicata in rete (http://www.soutienabenoitxvi.com) ha raccolto nel momento in cui stiamo scrivendo 19.783 firme, moltissime delle quali scritte da genitori i cui figli ammontano a 39.666.

In Italia un appello promosso da padre Giovanni Cavalcoli insieme alla rivista Riscossa Cristiana (http://www.riscossacristiana.it) ha raccolto oltre 500 firme tra giornalisti, docenti universitari, professionisti, dirigenti di istituzioni pubbliche e private.

Un appello a sostegno del Pontefice Benedetto XVI, redatto invece da settanta tra intellettuali, filosofi, giornalisti, drammaturghi, docenti universitari, artisti e personalità varie del mondo francofono (http://www.appelaverite.fr), ha già raccolto oltre 31.024 firme.

Tra i firmatari di questo appello si trovano: Jean-Luc Marion, dell’Académie Française, professore a Parigi e a Chicago; il noto docente Remi Brague, professore di filosofia e membro dell’Institut; lo scrittore Françoise Taillandier; la filosofa Chantal Delsol (anch’essa membro dell’Institut); l’attore Michael Lonsdale; il matematico - insignito della medaglia Fields - Laurent Lafforgue; Claude Bebear, presidente del consiglio di sorveglianza d'Axa; Alain Joly, pastore luterano; Bernadette Dupont, senatrice; Jacques Arènes, psicanalista; Fabrice Hadjaj, saggista e drammaturgo; Denis Tillinac, scrittore; Alina Reyes, scrittrice; Henri Tincq, giornalista; e Jacques Arenes, psicanalista.

In Italia, insieme alle manifestazioni popolari di affetto, anche il Governo italiano, nel giorno del suo 83° compleanno, ha espresso nei confronti del Pontefice un sostegno pieno e inequivocabile. Nel rivolgergli un "caloroso augurio di buon compleanno", ha infatti voluto confermare al Pontefice la sua "solidarietà" per la "inqualificabile campagna diffamatoria contro la Chiesa e il Papa".

Carlo Casini, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo e Presidente del Movimento per la Vita (MpV), ha scritto una lettera aperta al Santo Padre che verrà pubblicata nel numero di aprile di “Sì alla Vita”, il mensile del Movimento per la vita.

Nella lettera, Carlo Casini spiega: “è quanto meno simbolicamente assai significativo che gli ultimi attuali attacchi contro la Chiesa e anche contro di Lei, Santo Padre, giungano in un momento in cui la Sua voce e quella dei vescovi, si è fatta particolarmente forte per proclamare il diritto dei più piccoli e deboli, quali sono, in particolare, i bambini non ancora nati”.

Il Presidente del MpV ha concluso affermando: “Ed è proprio nella convinzione che questa è la Chiesa dei poveri. Quella che non teme la solitudine, la reazione rabbiosa, persino l’abbandono quando si mette dalla parte degli ultimi, che, Santo Padre, ritroviamo la pace del cuore e l’entusiasmo per un rinnovato impegno” che nessun tradimento, neppure il più turpe può scoraggiare”.

Gil Troy, professore alla McGill e membro attivo della comunità ebraica, ha scritto su “il Sussidiario” del 13 aprile “Non credo che il male perpetrato dai preti responsabili di abusi su minori sia inerente al cattolicesimo. Certo, Papa Benedetto XVI e la gerarchia cattolica dovranno essere coraggiosi e al contempo umili, per sconfiggere questo flagello, ma la Chiesa ha superato la mia prova Tikun”.

“'Tikun – ha aggiunto – significa rimettere a posto, ma implica in qualche misura una riparazione: quando una istituzione o uno Stato sbagliano, come è inevitabile accada essendo composti da imperfetti esseri umani, il giudizio deve essere espresso anche sulla base dei valori che affermano e della loro capacità di riformarsi, non solo sulla base degli errori o dei crimini. E questi preti e i loro complici hanno violentemente infranto i valori centrali della Chiesa”.

Anche nella stampa statunitense, che pure è stata la più critica nei confronti del Pontefice in relazione alle vicende che riguardano alcuni sacerdoti accusati di atti di pedofilia, sono stati pubblicati articoli in favore del Pontefice.

L’opinionista del New York Times, Ross Douthat, ha scritto il 13 aprile un articolo intitolato “Il miglior Papa”, in cui difende l’integrità morale e la storia di Benedetto XVI.

Hendrik Hertzberg sull’ultimo numero del New Yorker, in un articolo intitolato “Indulgence”, riconosce la grande attenzione e delicatezza con cui il Papa “si incontrò personalmente con le vittime dell’abuso durante la sua visita nel 2008 negli Stati Uniti”.

Sempre negli USA il Wall Street Journal ha pubblicato il 25 marzo un editoriale a firma di William McGurn, in cui si critica il gruppo di avvocati che cerca di raccogliere risarcimenti di milioni di dollari dalla Chiesa cattolica e si difende il Pontefice Benedetto XVI, giudicandolo estraneo alle storie dei preti pedofili.

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Dove Dio piange


Nepal: passato, presente e futuro
Intervista al vescovo Anthony Francis Sharma

KATHMANDU (Nepal), lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- In Nepal, il 75% della popolazione è composta da indù. I cristiani raggiungono solo il 2,5% mentre i cattolici ammontano a circa 7.000.

Nel 2007, Benedetto XVI ha elevato il Nepal allo status di Vicariato apostolico e ha nominato come primo vescovo monsignor Anthony Francis Sharma.

Monsignor Sharma è originario del Nepal, è nato infatti a Gurkha, situata nella parte centrale del Paese, ed è cresciuto come brahmano in una famiglia indù.

Fu la mamma ad entrare nella Chiesa cattolica quando lui aveva circa 4 o 5 anni, e a indirizzarlo subito al Cattolicesimo.

Monsignor Sharma ha parlato della situazione della Chiesa in Nepal, nell’ambito del programma televisivo “Where God Weeps” gestito da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre.

Chi o cosa è stato determinante nella sua decisione di diventare sacerdote?

Mons. Sharma: E' stato determinante il mio contatto con i gesuiti che allora lavoravano a Darjeeling, nella parte Nord dell’India. Vedevo come servivano la nostra gente con tanto amore e tanta cura, e quando mi fu chiesto perché volevo diventare gesuita, la mia risposta fu: “vi vedo fare questo per la mia gente, perché non posso unirmi a voi nello stesso impegno?”. Questo è ciò che determinò la mia scelta. Anche il contatto con i gesuiti, principalmente canadesi, e con i giovani che venivano a Darjeeling, mi stimolava.

La popolazione di cattolici in Nepal è molto esigua, raggiungendo solo le 7.000 unità. Qual è stato secondo lei il principale ostacolo al suo desiderio di diventare sacerdote?

Mons. Sharma: Conclusi gli studi, ho lavorato a Darjeeling. Mi sono unito ai gesuiti presenti in loco dopo aver finito il liceo e ho lavorato lì per quasi 25 anni. Successivamente sono stato rettore di uno dei nostri istituti e preside della St. Joseph’s School. Nel 1984 sono stato nominato primo superiore ecclesiastico in Nepal. Quindi non sono andato in Nepal per mia scelta. Sono stato mandato. Sono stato assegnato al Nepal, mentre ero a Darjeeling.

Probabilmente la mia origine nepalese è stata la motivazione principale. In secondo luogo, perché appartengo alla casta brahmana, una casta molto importante in Nepal. La società è governata da una piccola minoranza di indù. Lei ha parlato del 75%, ma questo dato è oggi oggetto di dibattito. I brahmani erano quelli che governavano il Paese e quindi aver assegnato un brahmano al Nepal probabilmente ha a che fare con questo aspetto.

Essere un brahmano è importante per la comunità cattolica quanto lo è per quella indù. Il fatto che lei non dovesse abbassare lo sguardo, essendo brahmano, ha rappresentato un elemento importante?

Monss Sharma: Era un elemento importante allora, credo, così come quello di essere il preside di una scuola rinomata, che ha avuto i re – quello attuale, quello precedente e quello passato – tra i suoi alunni. Ero noto alla comunità nepalese locale. Sapevano che ero originario del Nepal e non avevano difficoltà a riaccogliermi.

Lei è il primo vescovo del Paese. Qual è stato il suo pensiero quando è stato convocato e nominato?

Mons. Sharma: Non ne ero molto felice. Ho opposto resistenza alla mia nomina per molto tempo perché ritenevo che dovesse essere onorato da questa nomina qualcuno che proveniva dalla comunità etnica. E questo perché la maggioranza della nostra gente in Nepal appartiene alle comunità etniche.

Lei ha indicato prima il 75% e io ho detto che è un dato discutibile perché il 70% della nostra popolazione è etnica, mentre solo il 20% è strettamente indù. Ma gli indù, essendo la classe dirigente, hanno incorporato quel 70% facendolo diventare 90%. Queste comunità etniche, invece, appartengono a caste diverse, hanno i propri rituali, i propri sacerdoti, i propri riti, hano tutto diversificato. E a loro non piace essere contati tra gli indù, ma non avevano altra scelta essendo sottoposti a quella classe dirigente.

Quindi sono stati fusi insieme, e quando ai turisti che vengono viene detto che il 90% della popolazione è indù, il 7% buddista, il 2% musulmana e l’1% cristiana, non è vero. Di quel 70% appartenente alla comunità etnica, il 60% ha maggiori affinità con il Buddismo che con l’Induismo. Quindi, in effetti, il Nepal dovrebbe essere considerato come un Paese buddista e non solo perché è il Paese natale del Buddha, ma anche perché è una realtà di fatto.

Lei ha detto che è stata sua madre a portarla verso la Chiesa cattolica quando era ancora piccolo. Qual è stata la reazione di sua madre quando ha saputo della nomina episcopale?

Mons. Sharma: Lei non voleva che mi facessi prete. Anzitutto perché ero l’unico figlio maschio della famiglia e riteneva che avessi degli obblighi. Mia madre è cresciuta secondo la tradizione induista. Conosceva le tradizioni degli indù molto bene. Sebbene fosse analfabeta sapeva recitare il libro di Ramayana dalla prima all’ultima pagina a memoria. Era molto dotata, anche se non sapeva leggere e scrivere. Pensava quindi che avrei dovuto dare continuità alla linea della famiglia e diventare prete era come interromperla. Non mi diede mai il permesso di farlo. Quando questo gesuita canadese che era il mio direttore mi disse che dovevo diventare sacerdote, la mia obiezione fu: “no, Padre, ho il dovere di prendermi cura di mia madre”, ma la sua reazione fu: “Dio stesso se ne farà carico”.

E Dio se ne è fatto carico?

Mons. Sharma: Assolutamente sì. E così sono diventato prete. Ma prima di unirmi ai gesuiti ho portato il mio direttore canadese a trovare mia madre. Quando le ho detto che stavo andando via, mia madre si è prostrata davanti a me dicendo: “se vuoi andare dovrai passarmi sopra”.

Più tardi, quando sono stato ordinato – un figlio è sempre un figlio, a prescindere da quanto sia stato cattivo, per una madre si è sempre bravi figlioli – sono andato a darle la benedizione, ma era strano per me benedire lei, e così ho chiesto la benedizione e le ho detto: “allora nonnina come ci si sente con un figlio prete, cosa che non avresti mai voluto?”.

Mi ha guardato e mi ha detto: “sai cosa ho detto a Dio oggi? Ho perso, hai vinto tu”. Questa è stata la sua ultima rassegnazione e la sua accettazione della volontà di Dio nella sua vita. E così è stato per tutta la sua vita, questo è l’atteggiamento che aveva: non poteva cambiare la determinazione di Dio e così ha dovuto accettarla. Non mi ha mai visto da vescovo. Mia madre è morta prima della mia nomina episcopale, all’età di 89 anni nel 1989, mentre io sono stato nominato solo nel 2007, ma sarebbe stata felice, non ne dubito, ne sarebbe stata fiera.

Essendo nato e cresciuto in Nepal, avrà visto cambiare il Paese in molti modi. Ci può descrivere i cambiamenti positivi e quelli negativi?

Mons. Sharma: All’inizio, prima del 1991, il Paese era completamente indù. I cristiani non potevano essere chiamati per nome e vivevano una vita nascosta.

I cristiani erano perseguitati a quel tempo? Si trattava di persecuzione o di discriminazione?

Mons. Sharma: Forse di discriminazione. E molti cristiani protestanti venivano arrestati perché predicavano il Cristianesimo. Essendo un Paese induista, la predicazione di una religione non indù era vietata dalla legge. Se si trattava di un nepalese, questi era soggetto alla condanna a sei mesi di reclusione. Se si trattava invece di un non-nepalese, la pena era l’espulsione dal territorio. Di conseguenza la predicazione era molto scarsa, ma ciò nonostante erano molti i gruppi fondamentali. La Chiesa era entrata in Nepal nel 1951 su invito del nonno del re dell’epoca.

Perché l’ha invitata se il Nepal era uno Stato induista?

Mons. Sharma: Perché voleva dare maggiore istruzione alla popolazione nepalese. Molti nepalesi infatti frequentavano le nostre scuole in India: Calcutta, Darjeeling e Patna. Per questo i gesuiti di Patna, gesuiti americani, furono invitati ad aprire e gestire delle scuole. Inoltre gli fu messo a disposizione il Palazzo estivo dei Primi Ministri Rana [il Palazzo Singha Durbar], che è ancora lì e può essere utilizzato solo a fini di istruzione.

La Chiesa, quindi, nonostante le leggi anti predicazione, ricevette un certo status e una certa possibilità di presenza nel territorio nepalese, per insegnare. Ma al contempo gli fu vietato espressamente di predicare ai nepalesi. Potevano servire i cattolici, ma non potevano predicare il Cristianesimo ai nepalesi. Gli fu chiesto di sottoscrivere questa regola, ma loro non la firmarono. Tuttavia, in qualche modo agirono sulla base di questa indicazione e questo ha determinato il nostro comportamento da allora.

Recentemente vi è stato un cambiamento epocale. Il Nepal è stato dichiarato uno Stato laico e i re indù che avevano governato il Paese per secoli, sono stati estromessi. Si tratta di un passo positivo per il Nepal?

Mons. Sharma: Io credo che sia un passo positivo. Il Nepal in questo modo si sta avvicinando alla comunità internazionale e si spera, per esempio, che le giornate di sabato e domenica, che oggi sono giornate lavorative, per cui abbiamo la funzione domenicale il sabato, possano seguire il calendario internazionale così che anche noi potremo beneficiarne.

Credo inoltre che in questo modo potremmo ricevere anche maggiore riconoscimento. Ancora, però, non è stato dichiarato per iscritto lo Stato laico. Quando due anni fa la proposta venne fuori, i parlamentari, in segno di approvazione, iniziarono a battere sui propri banchi dicendo “sì”: era ciò che volevano. Furono soprattutto i maoisti e i comunisti. Il Congresso e gli altri partiti non erano del tutto favorevoli, ma vedendo il battere sui banchi si unirono anche loro.

Ma lei crede che avverrà?

Mons. Sharma: Avverrà con la redazione della nuova costituzione. Questa ci darà, spero, un certo grado di libertà per poter predicare liberamente, non ci saranno ostacoli, ma questa domanda mi è stata posta spesso e la mia risposta è: che il Nepal rimanga un Paese indù o che diventi un Paese laico non farà alcuna differenza per noi. Noi continueremo a fare ciò che stiamo facendo, servendo la gente con i nostri programmi sociali ed educativi.

Avrete quindi maggiore libertà?

Mons. Sharma: Avremo più libertà. Non saremo ostacolati. In passato, prima del 1990, quando si aprivano le scuole, io mi dovevo imprescindibilmente presentare alle autorità civili per giustificare la mia presenza, perché pensavano che io intendessi solo diffondere il Cristianesimo nel Paese.

Nel 2007, Benedetto XVI ha elevato il Nepal allo status di Vicariato apostolico. Perché ha scelto questo particolare momento successivo al rovesciamento del governo? È una mossa strategica o politica per radicare la Chiesa più profondamente nel Paese?

Mons. Sharma: La Chiesa cattolica è entrata nella scena politica del Nepal non nel 2007, ma nel 1984. Nel 1982, il re Birendra, prima di essere massacrato insieme alla sua famiglia, era andato a trovare il Papa con sua moglie e il suo entourage. Il motivo della sua visita al Papa era per chiedergli di riconoscere il Nepal come una zona di pace. Il Nepal è un minuscolo Paese di 147.000 chilometri quadrati, schiacciato tra la Cina al nord e l’India al sud, est e ovest, e il rischio era che questi Paesi potessero inghiottirlo.

Il riconoscimento del Nepal come zona di pace, gli avrebbe assicurato la tutela della comunità internazionale, e il riconoscimento del Papa e della Santa Sede avrebbe consentito al Nepal di essere riconosciuto anche dagli altri Paesi come zone di pace. Di fatto l’iniziativa del re ha avuto buon esito e il Nepal è stato riconosciuto come zona di pace.

La seconda è che quando il re ha richiesto questo riconoscimento, il Papa ha rilevato che la Chiesa non era presente nel Paese in forma ufficiale. Così si è dovuta creare una Chiesa che era “missio sui iuris” e io allora sono stato nominato primo Superiore ecclesiastico nel 1984.

La creazione di un Vicariato apostolico avrà certamente avuto implicazioni simboliche se non anche giuridiche, per la Chiesa, consolidando le sue radici nel Paese...

Mons. Sharma: Ha certamente dato riconoscimento alla nostra presenza. È stato un onore concesso alla nostra gente. E anche, credo, un riconoscimento degli sforzi profusi dai nostri pionieri. I pionieri che sono approdati nel Paese nel 1750, i cappuccini, i cui sforzi e sogni sono stati in questo modo coronati. La seconda cosa è che la politica del Vaticano sta procedendo come dovrebbe, portando il Nepal da Missione ecclesiastica, “missio sui iuris” (missione autonoma), a Prefettura apostolica nel 1997, a Vicariato nel 2007. Con il passo successivo, chi verrà dopo di me avrà la gioia di vedere in Nepal una vera e propria diocesi.

Negli Stati indiani di Orissa, Bangalore e altri è in atto una crescita del fondamentalismo indù. Non avete il timore che questo fenomeno possa superare le frontiere e sconfinare nel Nepal?

Mons. Sharma: Ha già superato le frontiere. Esistono dei gruppi di persone noti come NDA (Nepal Defense Army), che dicono di essere gruppi militanti indù, ma che in realtà non lo sono. Sono dei criminali. Estorcono il denaro alla gente per il proprio arricchimento, per fini propri. Non ha nulla a che vedere con l’Induismo. Credo che in Nepal ci dovremo aspettare qualche forma di comportamento aggressivo dalle nostre comunità indù.

Per 240 anni il Nepal è stato un regno indù e d’improvviso è stato dichiarato uno Stato laico. La minaccia quindi è grande. Il re ha perso il suo impero. È stato incoronato imperatore del regno indù, che adesso non esiste più. Il carattere indù è stato rimosso e ciò è visto come una minaccia dalla comunità indù. Dovremmo quindi aspettarci qualche forma di turbolenza come questo fondamentalismo crescente.

Lei dice che si tratta di un gruppo di estremisti. Tuttavia ha detto pubblicamente al Governo che se non fosse intervenuto, avreste chiuso le scuole, cosa che avrebbe portato a una situazione alquanto drammatica vista l’importanza delle scuole in Nepal.

Mons. Sharma: Sono stato costretto a scrivere quella lettera al Governo. A quel tempo non esisteva un governo in carica in Nepal. I diversi partiti erano in lite tra loro e quindi non era stato formato nessun governo. Per questo sono andato al Ministero dell’interno con una lettera suddivisa in tre parti. Nella prima descrivevo la situazione e le uccisioni che erano avvenute. Nella seconda, le conseguenze di ciò e le minacce telefoniche che avevamo ricevuto. Nella terza parte dicevo che se non ci veniva assicurata una adeguata protezione contro queste minacce, saremmo dovuti andare dai genitori dei nostri alunni per dirgli che non eravamo più in grado di fornire e gestire i servizi portati avanti finora, a meno che il governo non avesse fatto qualcosa al riguardo. Era questo il motivo della lettera.

Il lavoro della Chiesa è apprezzato e forse questo ha costretto il Governo a fare qualcosa di concreto. La lettera ha prodotto dei risultati. Infatti, alcuni membri di questo gruppo sono stati arrestati; il personaggio principale, che mi minacciava per telefono, è ancora latitante. La polizia sa chi è e ha la sua foto. Esiste quindi un movimento, ma questo ci ha dato dei buoni risultati.

Qual è il suo auspicio per il Nepal? Le sue speranza per la Chiesa in Nepal?

Mons. Sharma: I nostri sogni e le nostre sfide? La Chiesa vorrebbe arrivare alle zone meno sviluppate del Nepal. I cappuccini del XVII e XVIII secolo stanno tornando. I pionieri delle imprese missionarie in Nepal stanno tornando. Ad oggi c’è un cappuccino che sta imparando il nepalese in un villaggio. La comunità sta procedendo e noi ci stiamo muovendo vero ovest, verso le parti meno sviluppate del Nepal, dove la gente non ha nemmeno l’erba da mangiare.

Non hanno cibo? Perché?

Mons. Sharma: Perché il cibo scarseggia. Ha mai sentito parlare del nettle bush? È una piccola pianta molto urticante. Viene cotta e data in pasto ai porci. È molto nutriente e ha molta proteina. Questo intendevo quando parlavo di erba. Ma neanche questo è disponibile tra questa gente affamata. Nei luoghi più remoti avere il riso sta diventando un problema. Una volta il Nepal riusciva a produrre quantità sufficienti di riso per sfamare la popolazione. Oggi invece dobbiamo importare il riso dall’India.

Alcuni posti sono ancora così lontani e tagliati fuori. Non esistono strade e ci vogliono giorni per raggiungerli. Luoghi in cui è possibile far arrivare del cibo solo lanciandolo dagli elicotteri, ma questi non possono alzarsi in volo ogni volta. In alcuni di questi posti la gente soffre per la mancanza di cibo e in particolare di riso. Il riso è il nostro alimento base. La gente mangia il riso per riempirsi lo stomaco. Potrà non essere sufficiente come nutrimento, ma almeno riempie lo stomaco.

La nostra scelta di andare verso ovest risponde quindi al desiderio di animare la gente, di aiutarla a coltivare, ad avviare il proprio orto e a farlo per conto proprio. La Caritas è impegnata in questo e anche nel fornire istruzione alla gente a cui il governo non ha dato questa opportunità. Il nostro governo dipende pesantemente dall’aiuto straniero e ai luoghi periferici questo aiuto non arriva.

Riguardo alla Chiesa e alle sue necessità, quale è il suo appello ai cattolici?

Mons. Sharma: Vorremmo proseguire nel nostro impegno educativo. Vorremmo avviare un programma sanitario, perché non esiste una sanità. Vorremmo arrivare alle comunità etniche e tribali, che stanno morendo come le etnie raute, bhote, o Chepang; gente che vive nella foresta e si ciba di radici. Gente che non ha l’opportunità di istruirsi. È a loro che vorremmo portare il nostro lavoro; ricondurli nell’ambito della vita del Paese.

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Questa intervista è stata realizzata da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma settimanale prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.



Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org

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Notizie dal mondo


"La fede di Giovanni Paolo II significa speranza per l'umanità"
Celebrato il Congresso Universitario Mondiale dedicato a Papa Wojtyła
MURCIA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Si è svolto dal 14 al 17 aprile presso l'Università Cattolica di Murcia (UCAM), in Spagna, il Congresso Mondiale Giovanni Paolo II il Grande, al quale sono intervenute personalità di spicco del panorama ecclesiale.

Il prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il Cardinale Antonio Cañizares, ha inaugurato il simposio, accompagnato dal presidente dell'Università, José Luis Mendoza, dal Vescovo di Cartagena José Manuel Lorca e dal rettore Josefina García.

All'incontro sono intervenuti numerosi porporati, ciascuno dei quali ha sottolineato l'esempio di Giovanni Paolo II in ogni campo e alcuni tratti del suo carattere.

Il Cardinale Cañizares ha rimarcato l'atteggiamento negli ultimi mesi di vita, definendolo uno dei segni più eloquenti del suo pontificato, mentre il prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, il Cardinale Zenon Grocholewski, ha affermato che "ciascuno degli aspetti specifici, religiosi, pastorali, dottrinali, accademici, culturali e sociali presenti nel suo pontificato riflette senza dubbio la sua grandezza".

L'ex portavoce vaticano Joaquín Navarro Valls, nell'intervento "Giovanni Paolo II, un Papa che interpella il mondo contemporaneo", ha dichiarato che l'opera diplomatica del Papa slavo può perfettamente definirsi una vera diplomazia della virtù.

Per il Cardinale Julián Herranz, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, "il più importante record del Papa polacco, base di tutti gli altri, è rappresentato dalle innumerevoli ore trascorse durante la sua vita e il suo pontificato davanti al Santissimo Sacramento".

Importante è stata poi l'attenzione ai vari contesti culturali e religiosi, sottolineata dal Cardinale Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid, e dal Cardinale Jean Louis Tauran, per il quale Papa Wojtyła "sapeva come esprimere il suo ringraziamento anche alle religioni tradizionali africane".

Il Cardinale Leonardo Sandri ha ricordato dal canto suo la Lettera Apostolica Orientale Lumen, sottolineando la necessità di portare avanti e intensificare i buoni rapporti e il dialogo con le Chiese ortodosse, in vista della piena comunione, mentre il Cardinale Carlos Amigo ha ricordato lo speciale affetto del Papa per i malati, gli anziani e i deboli.

Un altro porporato, il Cardinale Jozef Tomko, ha spiegato invece che "il ministero missionario del grande Papa ruota intorno ai suoi viaggi, mentre il suo magistero missionario trova l'espressione più completa nell'Enciclica Redemptoris missio, a cui si aggiunge la categoria sempre più evidente della Nuova Evangelizzazione".

L'Arcivescovo di Barcellona, il Cardinale Luis Martínez Sistach, ha poi analizzato la collegialità episcopale nel magistero di Giovanni Paolo II, mentre il Cardinale Darío Castrillón ha ricordato il grande amore per l'Eucaristia e il sacerdozio.

L'amore del Papa polacco per la vita consacrata è stato sottolineato anche dal prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il Cardinale Franc Rodé, mentre il responsabile del Pontificio Consiglio per i Laici, il Cardinale Stanislaw Rylko, ha constatato che "in un mondo che idolatra la forma fisica e l'eterna giovinezza, che persegue l'efficienza e il successo, Giovanni Paolo II ha coraggiosamente posto davanti agli occhi di tutti la sua vecchiaia, la sua malattia, la sua sofferenza".

I Cardinali Paul Poupard, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Cultura, Ennio Antonelli, alla guida del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e Paul Joseph Cordes, presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum" hanno quindi sottolineato l'attenzione rispettivamente per la cultura, "la missione della Chiesa e della famiglia" e il "forte accento nel far comprendere dati teologici dei problemi moderni".

Allo stesso modo, difendeva strenuamente la vita. "Dobbiamo ricordare sempre che ciò che conta davvero è la vita che viene al mondo - ha detto il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Rino Fisichella -, una vita che fin dall'inizio viene definita umana".

Grande attenzione è stata poi data alla donna. Il presidente della Rete Europea dell'Istituto di Politica Familiare, Dolores Velarde Catolfi-Salvoni, ha spiegato che per Giovanni Paolo II l'apporto femminile è "in primo luogo di natura spirituale e culturale, ma anche socio-politico ed economico".

Chiudendo il congresso, il Cardinale Cañizares ha spiegato che la grande passione di Giovanni Paolo II è stato Gesù Cristo.

"Ciò che ha detto e mostrato è una testimonianza viva di Cristo. Per questo, quando mi chiedono di riassumere in poche parole la sua figura, do sempre la stessa risposta: 'testimone di Gesù Cristo e testimone della Speranza'".

Il porporato lo ha definito come "il Papa dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo, paladino e costruttore della pace, difensore come nessuno della dignità della persona umana, instancabile lottatore a favore della vita, promotore di una nuova cultura della solidarietà, della vita e di una nuova civiltà dell'amore, uomo del dialogo e dell'incontro tra le religioni, protettore e padre dei poveri, difensore degli oppressi, uomo libero come pochi, amante della libertà, evangelizzatore e missionario, profeta della famiglia. Insomma, uomo di Dio, appassionato dell'uomo e della sua verità".

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E' ora di costruire la pace in Messico
Il secondo Paese per tasso di criminalità al mondo
di Gilberto Hernández García

CITTA' DEL MESSICO, aprile 2010 (ZENIT.org).- Il Messico ha chiuso il 2009 con un saldo di oltre 7.000 morti collegati alla violenza del crimine organizzato, secondo quanto ha riferito il quotidiano El Universal.

Il clima di violenza diffuso ha portato a considerarlo uno dei Paesi con il più alto indice di criminalità del pianeta, secondo solo all'Iraq.

Se la violenza è molto legata al narcotraffico e alle sanguinose lotte tra i cartelli per il controllo dei territori, non mancano altre attività criminali come sequestri, tratta di persone, riciclaggio di denaro, traffico di armi, esecuzioni intimidatorie...

Nell'esortazione pastorale "Che in Cristo, nostra pace, il Messico abbia una vita degna", diffusa a febbraio, i Vescovi messicani segnalano che "non si tratta di fatti isolati o infrequenti, ma di una situazione che è diventata abituale, strutturale".

I presuli denunciano l'aumento della violenza causata da organizzazioni criminali, ma sottolineano anche quella contro le donne e i bambini, la discriminazione nei confronti delle popolazioni indigene, il maltrattamento degli immigrati, l'aborto e l'omofobia.

Questa situazione, osservano, si ripercuote "negativamente sulla vita delle persone, delle famiglie, delle comunità e di tutta la società. Intacca l'economia, altera la pace pubblica e semina sfiducia nelle relazioni" sociali. Secondo uno studio dell'Università Autonoma del Messico (UAM), infatti, solo il 19% dei messicani si sente al sicuro nel Paese.

I Vescovi segnalano che "la violenza può trasformarsi in una forma di sociabilità". "Il comportamento violento non è innato, si acquisisce, si apprende e si sviluppa; su questo influisce il contesto culturale in cui crescono le persone".

Tra gli elementi che lo favoriscono, citano, tra gli altri, "la crisi di valori etici, il predominio dell'edonismo, dell'individualismo e della competizione, la perdita di rispetto dei simboli dell'autorità, la svalutazione delle istituzioni - educative, religiose, politiche, giudiziarie e di polizia -, atteggiamenti discriminatori e machisti".

Allo stesso modo, ricordano "la disuguaglianza, l'esclusione sociale, la povertà, la disoccupazione, i bassi salari, la discriminazione, le migrazioni forzate e i livelli disumani di vita", che "espongono alla violenza molte persone" "per l'irritazione sociale che implicano" e "perché le rendono vulnerabili alla proposte di attività illecite".

Un'altra causa della violenza è "la dissimulazione e la tolleranza nei confronti dei crimini da parte di alcune autorità", per incapacità, irresponsabilità o corruzione.

C'è poi l' "emergenza educativa" più volte citata da Papa Benedetto XVI, che non riguarda solo l'insufficienza di risorse e strutture per offrire un'istruzione di qualità, ma anche "il fallimento dello sforzo di formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita".

Intervento urgente

I Vescovi segnalano tre fattori di rischio sui quali bisogna intervenire urgentemente, iniziando con constatare che si vive "una crisi di legalità": "si è diffuso l'atteggiamento di considerare la legge come norma non da rispettare, ma da negoziare. Si esige il rispetto dei propri diritti, ma si ignorano i propri doveri e i diritti degli altri".

Si è poi "debilitato il tessuto sociale": "si sono allentate le norme sociali, così come le regole non scritte della convivenza".

"Viviamo una crisi di moralità", aggiungono. "Quando si indebolisce o si relativizza l'esperienza religiosa di un popolo, si indebolisce la sua cultura ed entrano in crisi le istituzioni della società".

Il ruolo della religione

La violenza che sconvolge il Messico sembra dar ragione a chi afferma che "il fatto che una società sia eminentemente religiosa o credente in Dio non la rende più morale o più civile, né più etica, più giusta, più egualitaria o più rispettosa dell'ordine pubblico".

In questo contesto, i presuli sottolineano che nella popolazione cattolica si percepisce "una crescente manifestazione di superficialità nell'esperienza di fede", se non "una perdita del senso si Dio".

Per molti la Chiesa, intendendo anche ogni cristiano, dovrebbe dedicarsi solo a un "compito spirituale", inteso in senso ristretto.

In varie occasioni, tuttavia, l'episcopato ha affermato che ciò disconosce la dimensione della fede in un Dio che è Padre e Creatore di tutti gli uomini e di ogni uomo, e che la fede cristiana si basa sulla testimonianza e sulla parola di Cristo, che ha rivelato la grandezza della vita dell'uomo, che deve lottare per costruire un mondo più giusto, fraterno, solidale e pacifico.

Conversione, impegno e perdono

Per i pastori cattolici, la via per superare la situazione di violenza del Messico passa per l'"incontro vivo con Gesù Cristo".

"Il discepolo di Gesù deve amare gratuitamente e senza interesse, come ama Dio, con un amore al di sopra di ogni calcolo e reciprocità".

Anche se nel Paese c'è un chiaro tentativo di eliminare la religione dalla scena pubblica, confinandola alle chiese e alla coscienza dei fedeli, è inoltre necessaria "un'incidenza significativa dei cristiani in politica, economia, cultura e in ogni campo della vita sociale".

I cristiani, ricordano i Vescovi, hanno il compito di essere "costruttori di pace nei luoghi in cui vivono e lavorano".

E' poi fondamentale la riconciliazione sociale, per sanare gli effetti della violenza e prevenirla. "La riconciliazione non implica l'oblio, ma affrontare la storia in verità e giustizia", "comporta autocritica, se siamo stati ingiusti, ed empatia con gli altri, riconoscendone il punto di vista e la sofferenza".

I Vescovi esortano infine al perdono, atteggiamento che a molti risulta scomodo.

"Chiede perdono ci riconcilia con noi stessi, ci permette di accettarci per come siamo", "ci libera dal rancore e dall'attaccamento al passato, permettendoci di assumere la responsabilità di creare in modo nuovo le relazioni interpersonali e sociali", concludono.

[Traduzione dallo spagnolo e adattamento di Roberta Sciamplicotti]

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Italia


Il Cardinale Caffarra celebrerà a Bologna la Messa gregoriana
Intervista a don Alfredo Maria Morselli, parroco di Stiatico
di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il prossimo 2 maggio, alle ore 18,00, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, celebrerà la S. Messa gregoriana (conosciuta come “Messa di San Pio V”) presso la chiesa parrocchiale di S. Maria della Pietà, in via San Vitale 118, a Bologna.

Il luogo della celebrazione non è casuale: qui infatti, dal 1 novembre 2007, viene celebrata, su incarico dello stesso Arcivescovo, la S. Messa gregoriana in tutti i giorni festivi.

Don Alfredo Maria Morselli, parroco di Stiatico (BO), uno dei quattro sacerdoti diocesani incaricati, ha riconosciuto “che è un evento straordinario, da un certo punto di vista. Ma, tanto noi sacerdoti che celebriamo nella chiesa, quanto i fedeli che vi assistono, vogliamo mettere l’accento sull’ordinarietà dell’evento: si tratta di un Vescovo che viene a salutare i suoi fedeli, in una prospettiva di piena pace liturgica, in quel clima desiderato tanto dal Papa, per cui le due forme del rito romano devono coesistere normalmente e pacificamente l’una accanto all’altra. Con sommo giovamento da parte di tutti”.

“La Messa gregoriana – sottolinea –, celebrata accanto alla Nuova Messa, costituisce un freno a derive che purtroppo si verificano con troppa frequenza: l’oblio dell’indole sacrificale della Messa stessa e il nefasto prevalere dell’azione umana su quella divina (fraintendendo il pur giusto concetto di partecipazione attiva)”.

Il sacerdote cita le parole rivolte il 15 aprile scorso da Benedetto XVI ai Vescovi del Brasile: “Il mistero eucaristico è un dono troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni, in particolare quando, 'spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno'".

Partecipazione attiva?

“La Messa gregoriana, così contemplativa, così ricca di ampi spazi di preghiera silenziosa, spesso accompagnati dal canto gregoriano (ingiustamente bandito dalla maggioranza delle nuove celebrazioni), ci ricorda - come ha detto il Papa nel discorso sopra citato -, che 'l'atteggiamento principale e fondamentale del fedele cristiano che partecipa alla celebrazione liturgica non è fare, ma ascoltare, aprirsi, ricevere...'”

“È ovvio che, in questo caso, ricevere non significa restare passivi o disinteressarsi di quello che lì avviene, ma cooperare - poiché di nuovo capaci di farlo per la grazia di Dio - secondo 'la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo, in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati", afferma citando la Sacrosanctum Concilium, (n. 2).

Il sacerdote richiama quindi il Concilio Vaticano II per difendere la Messa in latino.

“È proprio la Messa il cardine della cosiddetta Ermeneutica della riforma, che il Papa porta avanti con tanto coraggio, di fronte ai propugnatori di una falsa ermeneutica della discontinuità e della rottura, secondo la quale esisterebbe una frattura inconciliabile tra pre e post concilio”, sostiene il presbitero.

“La Messa contiene tutte le ricchezze della Chiesa, tutta la sua vita, tutta la proclamazione della sua fede: ed è su questo punto che dobbiamo seguire il Papa, perché se si mostra che la Messa è sempre la stessa - cioè che le due forme del rito romano sono in sé tutt’altro che incompatibili -, sarà poi facile mostrare che la Chiesa ha sempre la stessa morale, la stessa cristologia, la stessa ecclesiologia etc”.

“Chi vuole cambiare tutto – osserva – e usare il Novus Ordo stravolgendolo , a mo’ di liturgia di una nuova religione, non sopporta l’altolà della cittadinanza riacquistata della Messa di sempre”.



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Il monachesimo: una via per unire i popoli dell'Europa?

di Paolo Tanduo

MILANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 18 marzo scorso si è svolto a Milano l'incontro con il vicedirettore del TG5 Andrea Pamparana organizzato dal centro Culturale cattolico san benedetto (www.cccsanbenedetto.it) insieme al Comitato Soci Coop Baggio. A partire dalla sua trilogia (Benedetto – Bernardo – Abelardo) sul monachesimo abbiamo discusso del tema “Il monachesimo: una via per unire i popoli dell'Europa?”.

Mai come oggi l’Occidente ha bisogno di monaci, di veri benedettini, di veri cistercensi e perché no di veri certosini anche se ci paiono anacronistici perché non si occupano di sociale, ha iniziato cosi il suo intervento Andrea Pamaparana. San Benedetto ha giocato un ruolo fondamentale nella storia dell’Occidente, dell’Europa. Non fu solo un gigante della Fede, il fondatore del monachesimo occidentale, ma anche l’iniziatore di un colossale progetto culturale.

Sotto la sua Regola, migliaia di monaci sparsi per l’Europa salvarono l’economia e i libri, il sapere degli antichi, la filosofia di Platone e Aristotele. Essi preservarono gli elementi fondamentali della civiltà greco-romana. Da uomini colti seppero poi trasfondere nel fiume della cultura antica anche le forze nuove di una comprensione biblico-cristiana dell’essenza umana. I monaci raccolgono quella eredità, la arricchiscono e la diffondono. Questa fusione tra Gerusalemme, Atene e Roma è l’atto culturale costitutivo di ciò che noi chiamiamo Europa.

Oggi c’è una rinnovata sete di Dio e di autenticità. Io chiedo ai miei amici della Chiesa, ha detto Pamparana, di parlarmi di Dio perché Dio è un mistero. C’è tanta gente che si interroga sulla morte, sulla vita, sulla scienza e su Dio. Pamparana ha raccontato alcuni episodi della sua vita legati a Giovanni Paolo II e di come abbia rappresentato, con la sua testimonianza in particolare nel momento della sofferenza dovuta alla malattia, qualcosa di straordinario che rimarrà nella storia non solo dei cristiani.

Come Giovanni Paolo II anche Benedetto, Bernardo, Abelardo rappresentano qualcosa che vale non solo per i cristiani o per chi crede in un Dio ma per l’uomo, per la persona, per la collettività, sono patrimonio di tutti. L'articolo 1 della costituzione della regola benedettina è “Ascolta o figlio le parole del Maestro”. Questa regola è fondamentale in una società come la nostra dove la parola ascoltare è desueta. L’atteggiamento di san Benedetto è qualcosa di profondamente legato alla concezione che aveva della sua missione. Benedetto non pensava: “adesso salvo il mondo occidentale in un periodo di ferocia inaudita”.

I monaci benedettini hanno fatto la riforma di tutto il sistema agrario, la bonifica dei campi, rilanciato l’economia europea, il loro contributo spaziò in tutti i campi. Basti ricordare che fu un monaco a inventare la notazione della musica col pentagramma nel monastero di Pomposa. Questa loro attività non era finalizzata però a salvare l’umanità.

Benedetto voleva solo cercare e servire Dio come ricordato da Benedetto XVI nel suo discorso al collegio dei bernardini a Parigi nel 2008: “a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esigeva la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola. Da questa esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarLo con le parole donate da Lui stesso è nata la grande musica occidentale”.

Benedetto spiega ai suoi monaci che è con Gesù che la storia cambia. Il concetto che abbiamo di democrazia nasce da Atene ma non era per tutti, non era di massa, era solo per pochi perché nel mondo antico c’erano gli uomini, che non lavoravano, e c’erano gli schiavi. Gesù è la novità a partire dalla quale gli uomini sono tutti uguali.

Sarà Benedetto a portare a compimento ciò. Benedetto ci dimostra oggi che l’uomo per stare in piedi e rimanervi ha bisogno di due dimensioni: l’ora et labora, l’azione e la contemplazione. E’ dalla Regola che si espande quel sentimento e quel desiderio di servire Dio che diventa il legame fondamentale con la cultura occidentale e con la riscoperta della cultura greca così che oggi “Non possiamo non dirci cristiani”, perché riconosciamo in Atene e Gerusalemme e Roma quella triangolazione che fa parte della nostra cultura e di quelli che pensano che non sia così.

Benedetto, scrive Pamparana nel suo libro, indicava ai suoi discepoli le due strade del monachesimo: la prima strada che guarda verso l’interno dell’uomo, essere monaco ovvero raccogliere in sè tutte le facoltà in un’attenzione e un’obbedienza esclusiva a Dio; l’altra, essere monaco verso il prossimo.

Bernardo avrebbe voluto fare il monaco chiuso nel chiostro a pregare ma poche persone hanno percorso tanti chilometri come lui. I Papi avevano sempre bisogno di Bernardo per risolvere problemi anche di natura politica, le sue lettere sono capolavori di strategia politica. Quando Bernardo venne a Roma, Papa Innocenzo, che era un monaco, si alzò per andargli incontro, quasi a volersi lui inchinare, i cardinali nella sala rimasero turbati, come era possibile: il Papa va verso Bernardo e non il contrario.

Viene alla mente l’immagine di Giovanni Paolo II che diventato Papa riceve i cardinali per il saluto e quando arriva il momento del cardinale Wyszyński gli impedisce di inginocchiarsi, perché lo considerava come un padre a cui lui avrebbe dovuto rendere omaggio. Lo stesso accadde tra Papa Innocenzo e Bernardo. Bernardo era un gigante, avrebbe potuto essere Papa, re, imperatore, ha detto Pamparana. Era talmente stimato che il re di Francia lo chiamò per amministrare le sue terre.

Bernardo viene a Milano reduce da un viaggio in Germania dove era andato per sedare e rimproverare duramente un monaco che aveva accusato gli ebrei di deicidio scatenando un vero e proprio pogrom. Bernardo considerava gli ebrei come fratelli maggiori e per questo viene da loro stimato. A Milano arriva forte di questa popolarità conquistata anche in Germania e i milanesi gli chiedono di diventare cardinale-arcivescovo. Ma a Bernardo non interessava, lui aveva solo fretta di tornare al suo monastero e accudire i suoi monaci, perchè per la maggior parte del suo tempo predicava ai monaci.

I suoi sermoni importantissimi, in particolare i commenti al Cantico dei cantici, vennero raccolti dai suoi monaci, come le sue numerose epistole il cui metodo di catalogazione viene ancora oggi studiato dai sistemisti. I milanesi regalarono a Bernardo un candelabro, capolavoro orafo ancora oggi conservato nel Duomo di Milano, per convincerlo, ma lui rifiutò.

Sì, il chiostro e la strada, mai titolo fu più adatto per narrare la storia di Bernardo. Una storia dove, appunto, il mistero della vita nel chiostro non conduce all’oblio circa gli affanni dell’esistenza, le contraddizioni della storia, ma al contrario ti ci tuffa dentro.

In occasione della morte di Gerardo, il suo fratello più caro, gli altri monaci lo vedono piangere e si chiedono: ma come ci hai sempre insegnato che la morte è la liberazione che ci consente di andare a Dio ed ora piangi? Rimangono sconvolti. Bernardo risponde in modo geniale, Bernardo è un uomo e soffre per la morte del suo amico, ma come fa a risolvere il problema educativo nei confronti dei monaci, “io piango di gioia, di invidia, beato te che finalmente sei col Padre nostro”. Bernardo nasconde una cosa che è meravigliosa la debolezza degli uomini.

Da un siffatto chiostro sei inesorabilmente trascinato sulle strade. Il silenzio del Monastero si popola delle grida di angoscia, della domanda di senso dell’uomo della strada. E capisci, non con dotte argomentazioni, bensì mediante la testimonianza della vita di Bernardo e dei suoi compagni, che l’Europa ha queste radici. Ha radici nutrite alla linfa di grandi valori, grandi ideali, che affondano nel terreno fecondo della rivelazione ebraico-cristiana.

In Bernardo emerge la vivacità intelligente ed operosa della cultura religiosa medioevale. Una cultura dove fede e vita s’intrecciano, dove il santo era uomo più capace di umanità, più acuto nel guardare al mondo e ai problemi della società.

Il movimento benedettino cresce e diventa importantissimo anche sul piano economico e politico come mostra il monastero di Cluny. I benedettini diventano potenti. Questa ricchezza infastidisce e provoca sconcerto nei giovani che cercavano l’essenzialità della regola benedettina. Nasce la riforma Cistercense. Bernardo si unisce a loro, viene fatta la carta della carità, primo esempio di carta costituzionale di unità europea.

Si costituisce una rete tra i monasteri, i monaci non erano francesi, tedeschi, spagnoli, ma solo monaci. Ma come facevano a comunicare? Semplice avevano il latino. Bernardo insieme ai suoi confratelli comincia a costruire monasteri in tutta Europa. Anche i cistercensi cominciano ad accumulare grandi ricchezze. Col rischio di perdere di vista il vero messaggio cristiano che ha al centro la persona.

In questo periodo il movimento benedettino e quello cistercense incontrano il movimento francescano che richiama alla povertà e alla vicinanza ai poveri. Nascono nel movimento del monachesimo i Banchi di santo spirito e i Monti di pietà, cioè la possibilità di aiutare il bisognoso, di dare al piccolo imprenditore ciò di cui ha bisogno: nasce l’economia moderna.

Oggi la nostra cultura vuole negare le sue origini, con conseguenze devastanti. L’altro è profondamente convinto delle sue origini e disprezza che io non apprezzi le mie. La nostra cultura ha radici profonde di uguaglianza tra tutti gli uomini, uguaglianza tra donne e uomini, di lavoro che nobilita l’uomo, di libertà. Pamaprana ha spiegato tutto ciò citando un episodio evangelico: Un giorno un gruppo di uomini condanna a morte una donna fedigrafa, se fosse stato il contrario l’uomo fedigrafo non sarebbe stato condannato. Ma arriva Gesù e dice “scagli la prima pietra chi è senza peccato”. Gesù ristabilisce l’uguaglianza tra tutti gli uomini e tra l’uomo e la donna. Ci insegna ad amare il nostro prossimo. Questi elementi non ci sono in altre culture. Sono presenti nella nostra.

Il carisma di Bernardo era tale che si racconta che le mogli per evitare che i loro mariti lo seguissero li chiudevano in casa quando passava.

La nostra cultura ha sicuramente tra i suoi protagonisti anche Abelardo che dice ai suoi giovani: “per credere, devi capire, devi conoscere, devi sapere”. Con Abelardo cambia la storia dell’educazione, cambia la storia dello studio, nasce l’università secondo la moderna concezione. L’influenza di Abelardo fu immensa.

La fine del XII secolo - incautamente definito come un’epoca oscura ma che rifulse invece di formidabile luce - gli deve il gusto del rigore tecnico e della straordinaria capacità di spiegare e farsi capire. Migliaia di giovani lasciavano le proprie case e da tutta Europa si riversavano, dopo lunghi e perigliosi viaggi, nelle scuole di Parigi e di Francia in cui il grande maestro insegnava. Come scrisse il grande filosofo francese Etienne Gilson: “Abelardo ha imposto uno standard intellettuale al di sotto del quale, ormai, non si accetterà più di ridiscendere”.

Spirito lucido e cuore generoso, uomo e maestro dominato dalla passione. Amò e fu riamato da una donna, Eloisa, la cui vicenda personale di intellettuale e poi di abbadessa si è intrecciata fino alla morte col suo antico maestro, poi sposo e quindi fratello nella Chiesa. Abelardo divenne monaco dopo l’incontro e la storia di passione con Eloisa.

L’incontro con l’altro grande uomo del suo tempo, Bernardo di Chiaravalle, alimentò secoli di leggende e maldicenze. Erano due giganti, si confrontarono e Bernardo sconfisse il maestro Palatino, ma rappresentarono le due facce di una stessa medaglia rilucente di luce, saggezza e santità. Bernardo aveva ragione come uomo di Chiesa ma Abelardo aveva ragione che per credere bisogna prima capire. Abelardo e Bernardo hanno consentito alla cultura europea di fare un salto enorme.

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Segnalazioni


Verrà presentato il volume con le meditazioni di don dal Covolo
"In ascolto dell'Altro", il 20 aprile all'Università LUMSA di Roma

ROMA, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 20 aprile alle ore 17.30 verrà presentato il volume “In ascolto dell’Altro” che raccoglie le meditazioni proposte da don Enrico dal Covolo, SdB, durante gli Esercizi spirituali per la Quaresima predicati al Santo Padre e alla Curia Romana dal 21 al 27 febbraio scorsi nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano.

L’incontro si terrà a Roma presso l’Aula Magna dell’Università LUMSA (via Traspontina, 21). Interverranno: il prof. Giuseppe Dalla Torre, Rettore dell’Università LUMSA; la prof.ssa Stefania Cosci, dell’Università Tor Vergata; il prof. Vito Michele Fazio, dell'Università Campus Biomedico; la prof.ssa Maria Carmela Benvenuto, dell'Università La Sapienza di Roma. Modererà il dott. Mauro Mazza, Direttore di RAI1. Sarà presente anche l’autore.

Il tema del libro, e prima ancora degli Esercizi spirituali, è la capacità d’ascolto. Il libro riporta fedelmente, conservandone lo stile, l’andamento della predicazione di don dal Covolo, che si svolge su due linee fondamentali, del metodo e dei contenuti.

Il metodo è quello antico della Lectio divina. I contenuti riguardano le tappe fondamentali delle storie bibliche di vocazione (la chiamata, la risposta, la missione, il dubbio, la conferma di Dio), confrontate sistematicamente con la vocazione sacerdotale, nell’oggi della Chiesa.

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Lettera per la Giornata Nazionale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha inviato a nome di Papa Benedetto XVI al Cardinale Dionigi Tettamanzi, Presidente dell'Istituto G. Toniolo di Studi Superiori, in occasione della 86a Giornata Nazionale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore, celebrata questa domenica, domenica 18 aprile.



* * *



Signor Cardinale,

la celebrazione della Giornata Nazionale per l'Università Cattolica del Sacro Cuore, che quest'anno ricorre domenica 18 aprile, offre l'occasione a Sua Santità Benedetto XVI di rinnovare il Suo apprezzamento per il significativo ruolo che continua ad avere codesta Istituzione accademica nel panorama culturale della nostra società, attraverso la preziosa opera di formazione rivolta specialmente alle nuove generazioni.

Il tema scelto per questa 86° Giornata, "Uno slancio creativo per nuovi modelli di sviluppo", si pone in opportuna continuità con gli anni precedenti e, soprattutto, in felice consonanza con il Magistero del Santo Padre, il quale, durante il viaggio aereo da Roma a Praga per la Visita Apostolica nella Repubblica Ceca, affermava: "Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un'eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace" (Intervista con Benedetto XVI, 26 settembre 2009).

Minoranze creative, cioè uomini che nell'incontro con Cristo hanno trovato la perla preziosa, quella che dà valore a tutta la vita (cfr Mt 13,45-46), e, proprio per questo, riescono a dare contributi decisivi ad una elaborazione culturale capace di delineare nuovi modelli di sviluppo. Perché senza tali forze umane, che vivono la ricchezza trovata in modo convincente anche per gli altri, non si costruisce niente (cfr J. Ratzinger, Lettera a Marcello Pera, in J. Ratzinger - M. Pera, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Milano 2004, pp. 109-111). Se non è compito diretto della Chiesa in quanto tale - segnatamente del Magistero e del Ministero ecclesiastico - determinare modelli in sede economica e politica (cfr Caritas in veritate, 9), lo è certamente dei cristiani laici, nella personale testimonianza di impegno sociale e nelle opportune forme aggregative: agendo sempre nella chiara illuminazione della Parola della fede, scritta o trasmessa, di cui il Magistero è custode fedele e interprete sicuro (cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum, 10).

Si inserisce qui il compito insostituibile dell'Università Cattolica, luogo in cui la relazione educativa è posta a servizio della persona nella costruzione di una qualificata competenza scientifica, che si radica e si alimenta ad un patrimonio di saperi che il volgere delle generazioni ha distillato in sapienza di vita.

Il peculiare rapporto che lega l'Università Cattolica del Sacro Cuore alla Sede di Pietro si concretizza così nel lavoro quotidiano di ricerca, di insegnamento e di studio, in cui la traditio - via eccellente di educazione creativa - esprime in pienezza il proprio potenziale di innovazione.
Nessun progresso, infatti, tanto meno sul piano culturale, si nutre di mera ripetizione, ma esige un sempre nuovo inizio; richiede, inoltre, quella disponibilità al confronto e al dialogo che apre l'intelligenza e che testimonia la ricca fecondità del patrimonio della fede: carità nella verità. Si contribuisce così a formare una solida struttura di personalità, in cui l'identità cristiana penetra il vissuto quotidiano e si esprime all'interno di una professionalità eccellente, in risposta ad una sfida epocale, che esalta quell'impegno creativo che la trasformazione pasquale rinnova nel suo dinamismo vitale.

L'Università diventa in tal modo un ambiente spirituale e culturale privilegiato, che non restringe l'apprendimento alla funzionalità di un esito economico, ma allarga il respiro su progettualità in cui l'intelligenza investiga e sviluppa i doni del mondo creato. È questo lo slancio creativo che supera la ripetizione che annoia, il pragmatismo che mortifica. Così la vita universitaria si rinnova e genera una vera communitas, secondo il motto scelto quest'anno come sentiero di riflessione e di crescita comune: "In dulcedine societatis quaerere veritatem" (Sant'Alberto Magno, Liber VIII Politicorum, ed. Par. VIII, 804). Cercare la verità nella dolcezza di una reciprocità donata, come insegna il Santo Padre: "La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono. La gratuità è presente nella sua vita in molteplici forme, spesso non riconosciute a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell'esistenza. L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza" (Caritas in veritate, 34). È il segreto del Logos "che nasce sempre giovane nel cuore dei santi" (Epistola a Diogneto 11,2; S. Ch., 33, p. 81).

Nell'affidare a Vostra Eminenza questi pensieri, mi onoro di partecipare a Lei e ai Membri dell'Istituto Toniolo, al Rettore Magnifico, al Senato Accademico e alla grande comunità dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, la Benedizione Apostolica del Sommo Pontefice. A Suo nome, invio anche il contributo con il quale Egli è lieto di sostenere l'opera di codesto Istituto di Studi Superiori.

Mentre formulo anche personalmente ogni miglior auspicio e rinnovo la mia gratitudine per il servizio che l'Università Cattolica del Sacro Cuore offre alla Chiesa e all'intera società, mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio

dell'Eminenza Vostra
Reverendissima
dev.mo nel Signore
Segretario di Stato



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