domenica 25 aprile 2010

[ZI100425] Il mondo visto da Roma

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Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 25 aprile 2010

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Il Papa: la preghiera, prima testimonianza per suscitare vocazioni
Intervento in occasione del Regina Caeli

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il fiorire delle vocazioni è aiutato dalla testimonianza, la cui prima forma è la preghiera.

Benedetto XVI lo ha ricordato in questa IV Domenica di Pasqua, detta anche “del Buon Pastore”, affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro in Vaticano.

In questa domenica la Chiesa celebrava la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che quest’anno ha per tema “La testimonianza suscita vocazioni”, come ricorda il Messaggio diffuso dal Pontefice per l'occasione.

“La prima forma di testimonianza che suscita vocazioni è la preghiera”, ha dichiarato il Papa, citando l’esempio di “Santa Monica che, supplicando Dio con umiltà ed insistenza, ottenne la grazia di veder diventare cristiano suo figlio Agostino”.

“Invito, pertanto, i genitori a pregare, perché il cuore dei figli si apra all’ascolto del Buon Pastore”, ha esortato.

Chiedendosi “come possiamo ascoltare la voce del Signore e riconoscerlo”, il Pontefice ha risposto ricordando la “predicazione degli Apostoli e dei loro successori”, nella quale “risuona la voce di Cristo, che chiama alla comunione con Dio e alla pienezza della vita”.

“Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia”.

In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni, Benedetto XVI ha esortato “in particolare i ministri ordinati, affinché, stimolati dall’Anno Sacerdotale, si sentano impegnati per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”.

“Ricordino che il sacerdote continua l’opera della Redenzione sulla terra; sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo; aderiscano totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa; si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; formino cristianamente il popolo a loro affidato; coltivino con cura la fraternità sacerdotale”, ha auspicato.

Allo stesso modo, ha invitato a prendere esempio “da saggi e zelanti Pastori, come fece san Gregorio di Nazianzo, il quale così scriveva all’amico fraterno e Vescovo san Basilio: 'Insegnaci il tuo amore per le pecore, la tua sollecitudine e la tua capacità di comprensione, la tua sorveglianza … la severità nella dolcezza, la serenità e la mansuetudine nell’attività … i combattimenti in difesa del gregge, le vittorie … conseguite in Cristo'”.

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Il Papa incoraggia quanti lottano per prevenire la violenza sui bambini
E saluta l'Associazione Meter da anni in prima linea contro la pedofilia

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Uno “speciale saluto” è stato rivolto questa domenica da Benedetto XVI all’Associazione Meter, impegnata a difendere i bambini dalla violenza.

Nelle parole che ha pronunciato dopo la recita della preghiera mariana del Regina Caeli insieme a migliaia di fedeli e pellegrini accorsi per l'occasione in Piazza San Pietro in Vaticano, il Papa ha ricordato che l'Associazione “da 14 anni promuove la Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza”.

La Giornata (GBV), giunta alla sua XIV edizione, è iniziata proprio questa domenica.

“In questa occasione voglio soprattutto ringraziare e incoraggiare quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione”, ha affermato il Pontefice.

In particolare, ha citato “i genitori, gli insegnanti e tanti sacerdoti, suore, catechisti e animatori che lavorano con i ragazzi nelle parrocchie, nelle scuole e nelle associazioni”.

Don Fortunato Di Noto, fondatore dell'Associazione Meter (www.associazionemeter.org), ha affermato: “Il Papa è per me un padre, ma per i bambini del mondo è sicuramente un nonno buono e affettuoso cui tutti guardiamo con fiducia e speranza”.

“L'aver ricordato e salutato, in maniera speciale, oggi l'inizio della GBV e posto l'accento sull'educazione dei bambini confermano – se ce ne fosse ancora bisogno – l'attenzione che questo Pontefice ha posto nei confronti dei bambini e rinnovano un impegno permanente, quello per i piccoli, che Cristo stesso ha affidato alla Chiesa. Grazie, Santo Padre”, ha aggiunto il sacerdote, come si legge in un comunicato dell'Associazione.

Nei giorni scorsi è stata inviata a Benedetto XVI una lettera aperta di appoggio e sostegno firmata da 60 bambini delle scuole elementari di Avola (Siracusa), città sede nazionale di Meter.

Monsignor Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, ha dichiarato dal canto suo durante la S. Messa celebrata ad Avola nella parrocchia della Madonna del Carmine che “Dio ci ha fatto per amare e non per disumanizzare l’uomo”, e che “il male è l’espressione più odiosa, quando viene perpetrata sui bambini”.

“Impegniamoci tutti nelle nostre comunità dove si può vivere e sperimentare l’amore di Dio, un amore che chiede conversione, un amore che è capace di perdonare e di rinnovare l’uomo”, ha esortato, seguendo in diretta televisiva il Regina Caeli del Papa in Vaticano.

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Gioia di Benedetto XVI per i due nuovi beati della Chiesa
Si unisce spiritualmente anche alla Marcia per la Vita in Polonia

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha espresso la propria gioia per i due nuovi beati che la Chiesa annovera da questa domenica.

A Roma e a Barcellona (Spagna), sono stati infatti proclamati beati questo 25 aprile due sacerdoti: Angelo Paoli, carmelitano, e José Tous y Soler, cappuccino.

“Del beato Angelo Paoli, originario della Lunigiana e vissuto tra i secoli XVII e XVIII, mi piace ricordare che fu apostolo della carità a Roma, soprannominato 'padre dei poveri'”, ha detto il Pontefice nei suoi saluti ai fedeli al termine del Regina Caeli.

“Si dedicò specialmente ai malati dell’Ospedale San Giovanni, prendendosi cura anche dei convalescenti”, ha ricordato, sottolineando che il suo apostolato “traeva forza dall’Eucaristia e dalla devozione alla Madonna del Carmine, come pure da un’intensa vita di penitenza”.

“Nell’Anno Sacerdotale, propongo volentieri il suo esempio a tutti i sacerdoti, in modo particolare a quanti appartengono ad Istituti religiosi di vita attiva”, ha aggiunto.

Nel suo saluto ai pellegrini di lingua spagnola, il Vescovo di Roma ha ricordato che in questa domenica, detta del Buon Pastore e in cui la Chiesa celebra la Giornata di preghiera per le vocazioni, è stato beatificato anche il sacerdote cappucino José Tous y Soler, fondatore delle Suore Cappuccine della Madre del Divino Pastore.

“Malgrado numerose prove e difficoltà, non si è mai lasciato vincere dall'amarezza o dal risentimento”, ha riconosciuto. “Spiccò per la sua squisita carità e per la capacità di sopportare e comprendere le mancanze altrui”.

“Il suo esempio e la sua intercessione aiutino tutti, soprattutto i sacerdoti, a vivere la fedeltà a Cristo”, ha auspicato.

Rivolgendosi ai fedeli polacchi, Benedetto XVI ha poi rivolto un pensiero particolare ai partecipanti alla Marcia per la vita che si svolgeva questa domenica a Stettino.

Dichiarando di unirsi “spiritualmente a questa nobile iniziativa”, ha augurato che questa “desti in ogni cuore la sollecitudine per la vita nascente e sia sostegno per le famiglie in attesa di figli”.

Nella Domenica del Buon Pastore, ha infine invitato a pregare per coloro che sono chiamati al sacerdozio e alla vita consacrata, “affinché, seguendo la voce del Buon Pastore, rendano con la santità della loro vita e con il loro servizio una convincente testimonianza di fede”.

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Benedetto XVI esorta a "percorrere le strade del continente digitale"
Nell'udienza ai partecipanti al Convegno "Testimoni digitali"

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Percorrere, animati dal coraggio dello Spirito Santo, le strade del continente digitale” è l'esortazione che Benedetto XVI ha rivolto questo sabato ai partecipanti al Convegno nazionale “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana e svoltosi a Roma dal 22 al 24 aprile.

“La nostra fiducia non è acriticamente riposta in alcuno strumento della tecnica – ha affermato il Pontefice –. La nostra forza sta nell’essere Chiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità”.

Il Papa ha riconosciuto che l'epoca attuale “conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività”.

La rete manifesta quindi “una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista”, ma allo stesso tempo “segna un nuovo fossato”, visto che si parla di “digital divide”.

Quest'ultimo elemento, ha osservato, “separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le Nazioni tra loro e anche al loro interno”.

Allo stesso modo, aumentano “i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici forme di degrado e di umiliazione dell’intimità della persona”, assistendo a “un inquinamento dello spirito”.

In questo panorama, ha ricordato il Papa, il Convegno di questi giorni punta a “riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie”.

Secondo Benedetto XVI, la via per tornare ai volti “passa per quella caritas in veritate che rifulge nel volto di Cristo”.

In tale contesto, “i media possono diventare fattori di umanizzazione”.

Perché ciò accada, tuttavia, devono essere “centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli”, “animati dalla carità” e “posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale”.

Solo a queste condizioni, infatti, “il passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità”.

La missione della Chiesa

Il Papa ha poi ricordato che la Chiesa vuole “prendere il largo nel mare digitale” “senza timori”, “affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca” ecclesiale.

“Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete”, ha aggiunto, sottolineando che “è questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa”.

Come ha scritto nel Messaggio per la 44ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà il 16 maggio prossimo, il compito di ogni credente che opera nei media è quello di “spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo 'digitale' i segni necessari per riconoscere il Signore”.

“Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come animatori di comunità, attenti a preparare cammini che conducano alla Parola di Dio, e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche”, ha detto ai partecipanti al Convegno.

A questo proposito, ha esortato tutti i professionisti della comunicazione “a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto”.

In questo compito, ha ricordato, saranno di aiuto “una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore”.

Al contempo, ha chiesto alle Chiese particolari e agli istituti religiosi di “valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse”.

Ciò, ha concluso, farà sì che il mondo della comunicazione sociale “entri a pieno titolo nella programmazione pastorale”.

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Il Papa accetta la rinuncia di un altro Vescovo irlandese
"Avrei dovuto sfidare la cultura dominante", riconosce monsignor Moriarty

KILDARE, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha accettato la rinuncia del Vescovo James Moriarty al governo pastorale della Diocesi irlandese di Kildare e Leighlin, ha reso noto questo giovedì la Sala Stampa della Santa Sede.

Monsignor Moriarty ha presentato la sua rinuncia il 23 dicembre, dopo la pubblicazione del Rapporto Murphy sugli abusi sui minori in Irlanda.

Nel Rapporto compare il suo nome come Vescovo di Dublino, dove vennero insabbiati casi di abusi commessi da religiosi dell'Arcidiocesi per trent'anni.

La rinuncia è stata resa ufficiale dopo il 24 marzo, quando Benedetto XVI ha accettato la rinuncia del Vescovo della Diocesi irlandese di Cloyne, monsignor John Magee, sotto inchiesta dallo scorso anno anch'egli per un possibile insabbiamento dei casi di abuso che sarebbero avvenuti nella sua Diocesi.

Dopo l'accettazione formale della sua rinuncia, monsignor Moriarty è tornato a chiedere scusa alle vittime degli abusi e alle loro famiglie attraverso un comunicato.

“Riconosco nuovamente che dal momento in cui sono diventato Vescovo ausiliare avrei dovuto sfidare la cultura dominante”, indica il testo diffuso giovedì.

“La verità è che la lunga lotta delle vittime per essere ascoltate e rispettate dalle autorità ecclesiastiche ha rivelato una cultura nella Chiesa che alcuni descrivevano semplicemente come non cristiana”, ha affermato.

Ad ogni modo, “è importante notare che, imparando dal passato, la Chiesa in Irlanda realizza ora eccellenti procedure di protezione dei bambini”.

Annunciando, a Natale, che offriva la sua rinuncia al Papa, monsignor Moriarty ha spiegato le ragioni della sua decisione, la più difficile del suo ministero, come ha confessato.

“Spero che questo onori la verità che i sopravvissuti hanno portato alla luce in modo tanto coraggioso e apra la strada a un futuro migliore per tutte le persone coinvolte”, ha dichiarato.

Nel mese di febbraio, quando aveva già presentato la sua rinuncia, il Vescovo Moriarty ha partecipato all'incontro che i Vescovi irlandesi hanno avuto con il Papa in Vaticano per affrontare la questione degli abusi sessuali.

In quell'incontro, ha affermato: “Siamo chiari: i nostri errori hanno danneggiato la fede della nostra gente e la forza della nostra testimonianza”.

Nel comunicato di giovedì ha spiegato: “Abbandonando il mio incarico oggi, questo sarà il mio indimenticabile ricordo come Vescovo di Kildare e Leighlin: la testimonianza di fede, speranza e amore che abbiamo condiviso in tanti modi con il Popolo di Dio, laici, religiosi e clero, in questa Diocesi”.

“Porgo il mio sentito ringraziamento a ciascuno: è stato un privilegio servire in questi otto anni e far parte di tutto ciò”, ha detto riferendosi all'impegno reale e attivo dei cattolici nelle varie attività ecclesiali.

Il presidente della Conferenza Episcopale d'Irlanda, il Cardinale Seán Brady, ha sottolineato il contributo del Vescovo Moriarty nella Conferenza Episcopale nel comunicato sulla sua rinuncia, pubblicato giovedì.

“Vorrei riconoscere il contributo che il Vescovo Mortiarty ha apportato al lavoro della Conferenza dei Vescovi”, ha indicato, sottolineando il suo intervento nel settore del culto, del rinnovamento pastorale e della promozione della fede.

Dedizione rinnovata

Anche i Vescovi di Inghilterra e Galles hanno pubblicato giovedì un comunicato sugli abusi di minori, in cui esprimono il proprio dolore per questo “grave peccato”.

“Sono peccati personali di pochi – afferma il testo –, ma siamo uniti nel Corpo di Cristo, quindi questi peccati interessano tutti”.

I presuli hanno anche riconosciuto gli “errori di alcuni Vescovi e leader religiosi nel modo di far fronte a tali questioni”.

“Anche questi sono aspetti tragici che lamentiamo profondamente e per i quali chiediamo scusa”, aggiunge il comunicato.

Per i Vescovi di Inghilterra e Galles, “è il momento per una preghiera profonda e la riparazione”. Allo stesso modo, hanno invitato i cattolici a fare dei prossimi quattro venerdì del mese di maggio “giornate speciali di preghiera”.

Hanno anche invitato a visitare il Santissimo nelle parrocchie e a chiedere a Dio “guarigione, perdono e dedizione rinnovata”.

“Preghiamo per tutti coloro che hanno subito abusi e per quanti hanno manipolato tali questioni, aumentando la sofferenza delle vittime”.

“Le nostre preghiere non escludono quanti hanno commesso questi peccati di abuso; devono percorrere un cammino di pentimento”.

Il Papa ha riconosciuto il 17 marzo che “in questi ultimi mesi la Chiesa in Irlanda è stata sottoposta a una dura prova per la crisi degli abusi sui minori”.

Nella solennità di San Giuseppe, il 19 marzo, Benedetto XVI ha firmato una Lettera pastorale “per rispondere a questa grave situazione”. Ha anche avuto vari incontri con i Vescovi d'Irlanda.

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Il viaggio del Papa a Malta, passo decisivo per superare la crisi
Constata il portavoce vaticano

CITTÀ DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il viaggio di Benedetto XVI a Malta, e soprattutto l'incontro con le vittime degli abusi da parte di sacerdoti, ha rappresentato un passo decisivo per superare la crisi che attraversa la Chiesa cattolica, constata il portavoce vaticano.

Padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, compie un bilancio del 14° viaggio apostolico internazionale di questo pontificato nell'ultimo editoriale di “Octava Dies”, settimanale del Centro Televisivo Vaticano.

“Il primo viaggio all’estero del Papa quest’anno è stato splendido. Ancora una volta preoccupazioni o timori della vigilia si sono dimostrati ingiustificati. L’anima cordiale e la radice cattolica del popolo maltese hanno preparato a Benedetto XVI un’accoglienza di una spontaneità e di un calore memorabili”, spiega.

“E’ stato un crescendo continuo, fino all’accompagnamento festoso della flottiglia di imbarcazioni attraverso il porto della Valletta e all’entusiasmo finale dei giovani, vero canto di vitalità e di speranza”.

“Paradossalmente, il momento che i media mondiali attendevano maggiormente e di cui hanno più parlato è l’unico che è sfuggito al loro occhio, svolgendosi nella discrezione della preghiera e del rapporto più personale: l’incontro con alcune vittime di abusi sessuali. Ma il modo in cui alcuni partecipanti ne hanno parlato ha toccato in profondità innumerevoli persone: un grande peso era stato tolto dal loro cuore, la guarigione era iniziata, la fiducia e la speranza rinascevano. Il Papa, il mercoledì successivo, ha parlato della 'condivisione della sofferenza' e della sua 'commozione'”.

“Alcuni giorni prima, aveva detto che la penitenza è una grazia, e arrivando a Malta per commemorare il naufragio di San Paolo aveva osservato che questo naufragio era stato un nuovo punto di partenza per la fede e la speranza degli abitanti dell’isola”.

“Così, l’incontro con le vittime ha trovato il suo significato di speranza nel contesto dell’incontro del Papa con una Chiesa viva e in cammino, capace di riconoscere le sue ferite con sincerità, ma anche di ottenere la grazia del risanamento. Di questo messaggio avevamo bisogno”, conclude.

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Nomine per il Sinodo Speciale per il Medio Oriente
In programma dal 10 al 24 ottobre in Vaticano

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- In vista dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo in Vaticano dal 10 al 24 ottobre sul tema “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. 'La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola' (At 4,32)”, Benedetto XVI ha effettuato alcune nomine, come ha reso noto questo sabato la Sala Stampa della Santa Sede.

Il Papa, ricorda il comunicato vaticano, ha nominato sia il Cardinale Pierre Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano), che il Cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq), Presidente Delegato ad honorem.

Allo stesso modo, ha nominato il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, e Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri (Libano), Presidenti Delegati.

Antonios Naguib, Patriarca di Alessandria dei Copti (Egitto), è stato poi nominato Relatore Generale, mentre monsignor Joseph Soueif, Arcivescovo di Cipro dei Maroniti (Cipro), è stato nominato Segretario Speciale.

Questo sabato la Santa Sede ha reso nota anche la nomina a Capo Ufficio nella Congregazione per i Vescovi di monsignor Fabio Fabene, finora Aiutante di Studio nello stesso dicastero.

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Notizie dal mondo


Visita delle reliquie del Curato d'Ars in Irlanda
Offre "l'opportunità di rinnovare il ministero sacerdotale in tutto il Paese"

DUBLINO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- I Vescovi d'Irlanda si preparano a ricevere la visita, dal 25 al 29 aprile, delle reliquie di San Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci, nel contesto dell'Anno Sacerdotale.

Il presidente della Commissione episcopale irlandese per il clero, monsignor Philip Boyce, ha ricordato in un comunicato che il Papa “ha espresso la sua speranza che l'Anno Sacerdotale sostenga la fedeltà e la santità dei sacerdoti e approfondisca il loro impegno nei confronti del rinnovamento interiore per una testimonianza più intensa e decisiva del Vangelo nel mondo di oggi”.

“Gli episodi vergognosi emersi di recente hanno provocato grandi scandali e sofferenze – ha sottolineato il Vescovo –. Quest'Anno, quindi, offre ai laici e ai religiosi la possibilità di diventare vero popolo di Dio”.

Le reliquie verranno esposte in quattro città in altrettanti giorni diversi, dedicati a vari temi: questa domenica visiteranno Cork (“Le vocazioni al sacerdozio”); lunedì Dublino (“La portata sociale del Curato d'Ars”); martedì Knock (“Il sacramento della riconciliazione”); mercoledì Armagh (“L'Eucaristia e la leadership pastorale”).

I Vescovi d'Irlanda sperano che la visita delle reliquie del Santo Curato d'Ars “sia un momento di grazia e di rigenerazione ed esorti i fedeli a pregare davanti alle reliquie nelle chiese scelte in base alle quattro province ecclesiastiche d'Irlanda”.

A loro nome, monsignor Boyce ha affermato che l'iniziativa offre “l'opportunità di rinnovare il ministero sacerdotale in tutto il Paese”.

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Analisi


I comandamenti per l'ambiente
Benedetto XVI invita alla responsabilità verso il creato

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nei cinque anni trascorsi dalla sua elezione al soglio pontificio, Papa Benedetto XVI ha parlato più volte delle questioni relative all’ambiente. Per questo motivo, alcuni l’hanno addirittura chiamato il “Papa verde”, ma questa etichetta non rende ragione alle sue affermazioni.

Un'utile guida a ciò che l’attuale Pontefice ha detto sulla creazione e sulla nostra responsabilità è contenuta in un libro pubblicato lo scorso anno dalla giornalista Woodeene Koenig-Bricker. Nel volume, dal titolo “Ten Commandments for the Environment: Pope Benedict XVI Speaks Out for Creation and Justice” (Ave Maria Press), l’autrice raccoglie le dichiarazioni del Papa, a cui aggiunge le proprie opinioni personali sull’ambiente.

La frase “Ten Commandments for the Environment” non è di Benedetto XVI, ma è tratta dal titolo di un intervento del 2005 dell’allora Vescovo Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace (monsignor Crepaldi è attualmente Arcivescovo di Trieste).

Il messaggio principale di questi comandamenti è che dobbiamo essere amministratori responsabili della creazione di Dio; e questo corrisponde a ciò che il Pontefice ha successivamente riaffermato, secondo la Koenig-Bricker.

“Tutti vediamo oggi che l’uomo potrebbe distruggere il fondamento della sua esistenza, la sua terra, e quindi che non possiamo più semplicemente fare con questa nostra terra, con la realtà affidataci, quanto vogliamo e quanto appare nel momento utile e promettente”, ha affermato il Papa il 24 luglio 2007, rispondendo alle questioni poste dai sacerdoti delle Diocesi di Belluno-Feltre e Treviso.

Questa attenzione per la creazione si fonda su una convinzione che va ben al di là del mero impegno ecologico. Benedetto XVI lo ha detto chiaramente rispondendo a una domanda durante le sue vacanze estive dell’anno successivo. Nell’incontrare il clero della diocesi di Bolzano-Bressanone, il 6 agosto 2008, ha parlato di una “inscindibilità” tra creazione e redenzione.

Soggiogate la terra

“Il Redentore è il Creatore e se noi non annunciamo Dio in questa sua totale grandezza – di Creatore e di Redentore – togliamo valore anche alla Redenzione”, ha affermato il Santo Padre, dopo aver ricordato che purtroppo negli ultimi decenni la dottrina della creazione era quasi scomparsa dalla teologia.

I cristiani sono stati accusati, ha osservato il Papa, di essere responsabili della distruzione della creazione, a causa delle parole della Genesi: “Soggiogate la terra”.

Quest’accusa è falsa, secondo il Papa, poiché se vediamo la terra come creazione di Dio, “il compito di ‘soggiogarla’ non è mai stato inteso come un ordine di renderla schiava, ma piuttosto come compito di essere custodi della creazione e di svilupparne i doni; di collaborare noi stessi in modo attivo all’opera di Dio, all’evoluzione che Egli ha posto nel mondo, così che i doni della creazione siano valorizzati e non calpestati e distrutti”.

Su questo legame fra il naturale e il soprannaturale, tra fede in Dio e rispetto per la creazione Benedetto XVI è ritornato nella sua intervista ai giornalisti durante il volo diretto a Sydney, in Australia, il 12 luglio 2008.

“Abbiamo bisogno del dono della terra, del dono dell'acqua, abbiamo bisogno del Creatore. Il Creatore riappare nel Suo Creato, e, in tal modo, possiamo comprendere che non possiamo essere veramente felici, non possiamo veramente cercare la giustizia per tutto il mondo, senza un criterio nelle nostre idee, senza un Dio che sia giusto e ci doni la luce e la vita”, ha detto.

Il ruolo del Redentore è stato citato dal Papa anche nella sua Messa di Mezzanotte del Natale 2007. Cristo, ha sottolineato, “è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli”.

Il Natale è una festa della creazione ricostituita: la terra è rinnovata e noi celebriamo l’unità tra cielo e terra, e tra uomo e Dio, ha aggiunto.

Dono di Dio

Poco dopo la pubblicazione del libro della Koenig-Bricker, è uscita l’Enciclica del Papa “Caritas in Veritate”. In alcuni brani dell’Enciclica dedicati all’ambiente, il Pontefice mette in guardia dal rischio di vedere la natura sia come mero elemento materiale, sia come più importante della stessa persona umana. Dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l'uomo, sottolinea.

L’uomo deve governare responsabilmente la natura, afferma Benedetto XVI, cosa che implica il dovere di consegnare alle nuove generazioni una terra che si trovi in buone condizioni.

Questa non è solo una questione per la scienza o l’economia, aggiunge, ma deve essere integrata nell’ambito di un’ecologia umana che comprende tutto ciò che forma la nostra esistenza.

“Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell'ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale”.

Benedetto XVI insiste sul fatto che esiste una contraddizione fondamentale nella nostra mentalità quando da un lato si insiste sul rispetto dell’ambiente, mentre dall’altro non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale.

Questo nesso tra il rispetto dell’ambiente e il rispetto della vita è un tema ricorrente nelle affermazioni del Papa in tema ambientale.

“I grandi e importanti temi morali della pace, della non violenza, della giustizia e del rispetto del Creato, non conferiscono in se stessi la dignità all’uomo”, ha detto al nuovo Ambasciatore irlandese presso la Santa Sede il 15 settembre 2007.

La vita umana ha una dignità intrinseca, ha spiegato. “È spiacevole che non di rado gli stessi gruppi sociali e politici che meritevolmente sono in grande sintonia con la magnificenza della creazione di Dio, prestano scarsa attenzione alla meraviglia della vita in grembo”.

Ecologia e pace

All’inizio di quell’anno, in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2007, Benedetto XVI ha anche legato la pace al rispetto per l’ambiente.

“Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire ‘umana’, la quale a sua volta richiede una ‘ecologia sociale’”, ha osservato. “L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa”, ha proseguito.

“Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio”, ha concluso.

Questo rapporto tra ecologia e pace è tornato come tema centrale nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2010.

L’ambiente è un dono di Dio per tutti e né la natura né gli uomini devono mai essere considerati come meri prodotti, ha affermato il Papa, invitando le Nazioni ad una maggiore solidarietà nell’affrontare i problemi ambientali e ad esaminare ciascuno il proprio stile di vita e i propri modelli di consumo e di produzione.

Ancora una volta ha messo in guardia contro il panteismo o il neopaganesimo, che fanno derivare dalla sola natura la salvezza per l’uomo. Benedetto XVI ha affermato che la Chiesa è critica verso una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, perché tale concezione elimina la differenza tra la persona umana e gli altri esseri.

“In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della ‘dignità’ di tutti gli esseri viventi”, ha avvertito.

Concludendo il Messaggio, Benedetto XVI ha osservato che i cristiani considerano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo. Tutela ambientale, rispetto dei valori umani e della vita e solidarietà tra tutti, sono in questo modo legati alla nostra fede in Dio, creatore e redentore. Una visione complessa della natura e del soprannaturale, che va ben al di là della semplice idea ecologista.

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Italia


La Rete, quale risorsa per la fede?

di Chiara Santomiero

ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Siamo diventati o siamo tornati contemporanei dei primi cristiani: in un contesto di vivace pluralismo culturale e religioso, la fede cristiana torna ad essere una questione di adesione personale”.

E' la premessa dalla quale è partito Guido Gili, sociologo della comunicazione presso la Luiss, nel suo intervento nel corso della tavola rotonda “La fede nella Rete delle relazioni: comunione e connessione”, proposta dal convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale”, conclusosi questo sabato a Roma.

“La nostra situazione – ha proseguito Gili - è simile a quella di Paolo, quando predicava nell’agorà di Atene, dove una moltitudine di dèi convivevano e competevano tra loro”. Anche il sistema dei media “si configura come un Nuovo Areopago e quindi chiede un atteggiamento che si ponga in una continuità ideale con quello di Paolo”.

Un’agorà particolare

Bisogna stare attenti, però, a capire bene la metafora proposta per non correre il rischio di semplificazioni fuorvianti: quella mediatica, infatti, è una “piazza particolare in cui coloro che vi ‘camminano’ hanno una visione focalizzata, vedono solo ciò che è oggetto della loro attenzione selettiva”.

Questo ha un aspetto positivo e uno negativo perché, da un lato, “è il fruitore a decidere, attraverso le sue scelte di navigazione, il percorso da compiere ed è quindi sempre il co-autore della comunicazione”, ma dall’altro c’è “la predeterminazione di ogni incontro che si farà sulla piazza, perché l’esposizione e l’attenzione selettiva di coloro che vi si affacciano si dirige prevalentemente su ciò verso cui nutrono già un interesse”.

Diventa, quindi, fondamentale “l’aspetto della credibilità dell’emittente, cioè l’aspetto dell’apertura di fiducia che il ricevente è disposto ad attribuirgli prima ancora di impegnarsi in una relazione con lui”. Perché se non c’è questa “credibilità anticipata, questa aspettativa positiva, che apre alla relazione, in realtà la possibilità di un ‘incontro’ nel senso forte del termine non avviene”.

Lo spazio della cacofonia

L’ambiente mediale è anche “lo spazio della cacofonia, proprio perché aperto, sempre più caotico e frammentato, soggetto alla più grande confusione” dove il relativismo dei valori e degli stili di vita “non è un fatto filosofico o teoretico, ma eminentemente pratico, pragmatico: tutti i contenuti e tutti i programmi e generi hanno lo stesso valore potenziale e a tutti è riconosciuto lo stesso valore purché si ‘facciano vedere’, siano in grado di suscitare l’interesse di qualcuno, assicurino audience e introiti pubblicitari”.

In questo contesto, diventa essenziale “saper riconoscere, valutare le voci sulla base del criterio del rispetto della dignità delle persone perché non è mai indifferente il modo in cui si parla dell’uomo e della sua vita”.

Occorre inoltre che “la Chiesa sappia parlare con una pluralità di voci, che corrispondono alla pluralità delle esperienze e delle sensibilità ecclesiali, personali e di gruppo, ma esprimendo una sostanziale unità” con una “competenza comunicativa che al tempo dei social network non può riguardare solo gli specialisti e i professionisti, ma anche tutti coloro che si uniscono al coro”.

I media sono diventati, inoltre, “un gigantesco campo di battaglia per conquistare consumatori, per la propaganda politica, per l’affermazione di ideologie” e nel quale il potere è distribuito in maniera fortemente diseguale.

Nel caso dei media, secondo Gili, “la giustizia distributiva è anche una giustizia relazionale” e questo “è un campo privilegiato di una azione per la giustizia, e anche di una critica sociale, di cui i cristiani devono farsi protagonisti”.

Vivere bene al tempo della Rete

“La sfida posta dalle nuove tecnologie digitali – ha dichiarato padre Antonio Spadaro, redattore de “La Civiltà Cattolica”, intervenendo alla tavola rotonda - non è usare bene la rete ma vivere bene al tempo della rete”, il che significa “imparare ad essere connessi in materia fluida, naturale, etica e anche spirituale. Vivere la Rete come ambiente di vita. Internet non è un martello, uno strumento, ma un ambiente da vivere”.

Piuttosto, bisogna interrogarsi su come cambia il modo di comprendere il cristianesimo da parte dei credenti. “Navigare – ha affermato padre Spadaro - è il luogo delle risposte che raramente sono univoche”.

Se si digitano sui motori di ricerca le parole “God, religion, spirituality, si ottengono centinaia di milioni di risposte. C’è una ricerca di religiosità a cui la religione tradizionale non sa rispondere bene”.

E se c’è un “rischio di religione a portata di mouse”, occorre però considerare “il possibile cambiamento radicale nella percezione stessa della domanda religiosa”.

Bussola, radar o decoder?

“Una volta l’uomo era chiamato ad orientarsi con la bussola verso una fonte di senso precisa che era la religione tradizionale”, ha proseguito padre Spadaro. In seguito, più o meno dagli anni Settanta del XX secolo, “si è trasformato in un radar aperto a 360 gradi alla ricerca di un messaggio”. Oggi “diventa un decoder, un sistema di decodificazione delle domande in base alle molteplici risposte che lo raggiungono”.

“Siamo sovrastati dall’informazione – ha aggiunto -, ma il problema è decodificarla in base alle molteplici risposte possibili”. “Testimonianza digitale” diventa allora “rendere ragione della speranza laddove le risposte si confrontano velocemente e selvaggiamente”.

E’ quindi “la teologia spirituale che ha le risposte per la Rete perché la chiave fondamentale è il discernimento”. Oggi, secondo padre Spadaro, “la risposta è il luogo di emersione della domanda”. La sfida è “formare educatori spiritualmente capaci di discernere le domande vere all’interno del parco a disposizione”.

La “googlizzazione” della fede

Secondo padre Spadaro, “è il caso di educare le persone al fatto che ci sono realtà che sfuggono sempre e comunque alla logica del ‘motore di ricerca’ e che la googlizzazione della fede è impossibile perché falsa”.

Se digito sul motore di ricerca Google la domanda “Esiste Dio?”, “mi vengono fornite migliaia di risposte indirette” mentre “un motore di ricerca semantica come Wolfram/Alpha afferma ‘non sono in grado di dare una risposta semplice a questa domanda’”. Questo perché “un motore ‘sintattico’ quale è Google si preoccupa unicamente di ‘censire’ le parole che ci sono all’interno di un testo senza tentare di determinare il contesto in cui queste parole vengono utilizzate, mentre la ricerca semantica tende ad interpretare la domanda nel suo contesto”.

“Il modo in cui si pone la domanda – ha sottolineato padre Spadaro - può influenzare l’efficacia della risposta, e dunque deve essere ben posta”, e “la ricerca di Dio è sempre semantica e il suo significato nasce e dipende sempre da un contesto”.

“Il Vangelo – ha proseguito il sacerdote richiamando il discorso dell’allora Cardinale Ratzinger al convegno “Parabole mediatiche” – non è un’informazione tra le altre e la fede non è una merce da vendere in maniera seduttiva, ma atto dell’intelligenza dell’uomo che dà liberamente il suo consenso a Dio”.

Il rapporto Chiesa-Rete

“Il punto critico del rapporto Chiesa-Rete è il concetto di dono”, ha affermato il religioso. La Rete “è il luogo del dono - e i social network sono l’esempio dell’abbattimento del profitto –, ma più che di dono, si tratta di scambio, in una prospettiva di reciprocità”. E’ la logica del “peer-to-peer, nodo a nodo: condivido ciò che ho nel momento in cui lo ricevo, in un processo di scambio”. La logica del dono in rete, ancora, “è quella dei freebies, i prodotti gratuiti creati dagli utenti del web che vengono presi liberamente”.

Tutto ciò sta formando un modo di comprendere la realtà problematico a livello teologico: “la Grazia non si prende, ma si riceve. Non è free, ma, citando Bonhoeffer, “a caro prezzo”. La logica della Grazia crea “legami ‘face to face’, mai nodi di una rete, ma persone”.

“Da luogo di connessione di nodi – ha affermato richiamando ancora l’intervento del Cardinale Ratzinger - , per vocazione la rete è diventare luogo di comunione e la sfida è diventare intagliatori di sicomori”.

“La cultura digitale – ha concluso padre Spadaro - è abbondante di frutti da intagliare per aiutarne la maturazione e il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale”.

Evangelizzare attraverso i media

Ci sono dei segreti per evangelizzare attraverso i media? Almeno sette, secondo il padre gesuita olandese Roderick Vonhögen che ha creato Star quest production network (Sqpw), cioè “Rete di produzione alla ricerca della stella”, un sito che offre contenuti dei generi più diversi, trattandoli con un’ottica cristiana, e raggiunge ogni giorno 250.000 mila persone.

Per prima cosa “non aspettare che la gente si unisca a te, ma cercala nel campo dei suoi interessi, come Dio che fa apparire la stella cometa nel cielo che i magi stanno già scrutando”. Il lavoro di Sqpw è guidato, infatti, “dalla storia dei Re Magi portati dalla stella alla capanna di Betlemme: come fa Dio a raggiungere le persone che non credono?”.

I Re Magi, incuriositi dalla stella, iniziano a porre domande: “bisogna stimolare l’audience ad esplorare, alimentando la relazione con altri incontri, cioè iniziando un viaggio come i Magi”.

L'obiettivo è quello di “far crescere la relazione, non soltanto generare milioni di visite. E’ importante la qualità del rapporto”.

E’ necessario, inoltre, “dare alla gente compagni di viaggio, far incontrare la comunità ecclesiale, stimolare la partecipazione del pubblico coinvolgendolo nella produzione dei programmi”. E per finire, “prendersi cura dei propri fans. I Magi tornano cambiati; non sono più solo dei seguaci ma piccole stelle che attirano a loro volta verso Gesù”.

“La testimonianza personale – ha affermato padre Vonhögen – è fondamentale nel 'marketing', ma anche nell'evangelizzazione”. Perché, infatti, “fidarsi di un' istituzione anonima, impersonale?”.

“Questa – ha concluso il sacerdote – è oggi l'immagine della Chiesa nei media, ma è molto più naturale fidarsi di un amico”.

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Interviste


Quando il Concilio salvò il primato di Pietro
Nelle librerie il romanzo "Intrigo al Concilio Vaticano II"

di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Paolo VI si fece leggere la lettera più volte, lacrime di dolore e di sconcerto gli rigarono il volto: 'Mi hanno tradito! Mi hanno tradito! Oh mio Dio, aiutami! Il fumo di Satana si è infiltrato nella Tua Chiesa!'”.

Con le parole di quella che è passata alla storia come la “notte oscura di Paolo VI” nasce e si sviluppa l’ultimo romanzo di Rosa Alberoni, “Intrigo al Concilio Vaticano II” (edizioni Fede & Cultura, http://fedecultura.com/IntrigoalConcilioVaticanoII.aspx), un thriller ambientato all’interno delle mura vaticane, nel bel mezzo del Concilio Vaticano II.

Tra eresie mal celate, incontri segreti, progetti minacciosi, sofismi, trucchi e continui colpi di scena, Rosa Alberoni racconta in maniera mirabile il complotto di una minoranza organizzata che aveva l’obiettivo di scardinare il primato di Pietro, respingere la Madonna come Madre di Cristo, negare l’esistenza dei Santi e, ancor peggio, l’esistenza del diavolo, e condurre la Chiesa Cattolica verso posizioni protestanti.

Ma proprio quando la battaglia sembrava ormai perduta, in modo misterioso e provvidenziale, la congiura venne scoperta, e il Pontefice insieme ai suoi più stretti e fedeli collaboratori evitò l’indebolimento del primato di Pietro.

L’autrice, Rosa Alberoni, vive a Milano. E' scrittrice, professoressa universitaria di Sociologia Generale e giornalista. Ha collaborato con molti quotidiani, l’ultimo dei quali è il “Corriere della Sera”, e ha tenuto una rubrica su “Sette” e “Corriere Magazine”.

Ha scritto numerosi saggi e romanzi pubblicati da Rusconi, Mondadori e Rizzoli. Tra le ultime opere edite da Rizzoli, il romanzo più recente è “La prigioniera dell’Abbazia”, gli ultimi fortunati saggi “La cacciata di Cristo” e “Il Dio di Michelangelo e la barba di Darwin”.

Per conoscere la storia, le articolazioni e implicazioni di questo romanzo, ZENIT ha intervistato Rosa Alberoni.

Che cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo sul Concilio Vaticano II?

Rosa Alberoni: Un evento inatteso: sono venuta a conoscenza di una congiura ordita contro il Papa durante il Concilio Vaticano II. Sono rimasta colpita e sconcertata da tale rivelazione. Così la mia mente si è messa in moto. Mi ponevo delle domande, sono andata a cercare documenti, libri, per tentare di comprendere ed elaborare le risposte ai tanti quesiti, che più leggevo, scavavo nella storia del Concilio, più aumentavano.

A quel punto ho deciso di trasportare un personaggio, una investigatrice, Rachele, dall’ultimo mio romanzo “La prigioniera dell’Abbazia”, negli anni del Concilio. E Rachele mentre investiga sugli intrighi del Concilio scandaglia anche la propria mente, e si accorge di aver avuto dei cattivi maestri, che sono i seminatori di dubbi, gli incitatori della distruzione sistematica ma sottile dei valori cardini della civiltà cristiana, e quindi non solo della religione cattolica. Ad aiutare Rachele nel febbrile lavoro sorge un personaggio, padre Robert, divenuto eremita proprio perché aveva partecipato attivamente al Concilio e vissuto tutti gli episodi e le tattiche adottate dai congiurati. E poi il doloroso percorso di Paolo VI dopo il Concilio…

Certo, il Concilio non ha dato i frutti che si speravano, ma pochi avevano immaginato l’esistenza di un intrigo. Che cosa si racconta nel romanzo?

Rosa Alberoni: Che non abbia dato i frutti che Giovanni XXIII e Paolo VI si aspettavano lo scopriamo noi oggi. Cioè dopo, sempre dopo, come ci testimonia la storia, quando il danno è evidente e ben radicato. Tuttavia, l’importante è comprendere gli errori fatti, e rimediare. Per recuperare, per ricostruire l’edificio dei valori distrutti, sono convinta che occorra un trauma.

Perché sia gli esseri umani, sia i popoli cambiano solo per traumi. Oppure con l’intervento della Divina Provvidenza. Se avvenisse una rinascita, un risveglio sarebbe salutare non solo per i credenti, ma anche per gli atei e i dubbiosi. Gli atei, invece, oggi sono convinti che è giunta l’ora di sferrare il colpo decisivo alla nostra civiltà, i dubbiosi sono disorientati, non sanno, aspettano che altri agiscano.

Cosa racconto nel romanzo lo lascio scoprire ai lettori, è un thriller, sarebbe un delitto rivelarne anche solo un dettaglio.

Ha studiato la Storia del Concilio Vaticano II ?

Rosa Alberoni: Ho studiato quanto mi serviva per portare legna al camino dell’immaginazione. Ma non sono un'esperta, una vaticanista, e neppure intendo diventarlo. Io sono una narratrice. I nomi sono fantastici perché un romanzo è figlio della fantasia, gli avvenimenti sono affabulati, anche se non si discostano nella sostanza dalla realtà. Il mio romanzo cerca di cogliere il senso della congiura e delle rivolte contro il Papa che si susseguono nel tempo.

Che idea se ne è fatta?

Rosa Alberoni: Che gli uomini sono fragili e fallaci. E la brama di potere può invadere anche dei prelati. E questo è pericoloso e sconcertante, in quanto consacrati. Ma sappiamo che anche loro fanno parte della famiglia umana, non sono degli esseri semidivini. L’importante è che i Papi che si avvicendano sul trono di Pietro riescano a reggere la fatica psichica e fisica del calvario che viene loro imposto. I credenti devono andare in soccorso del Papa. E, volta per volta, devono trasformarsi in soldati adatti agli avvenimenti, e soprattutto non avere paura perché a guidarli e a dar loro forza ci pensa Cristo. Visto l’attacco odierno alla Chiesa cattolica, anche gli atei saggi e lungimiranti dovrebbero affiancarli, per il bene di tutti. Non possono restare spettatori, sarebbe una grave miopia.

La protagonista del romanzo esprime diverse riflessioni sulla crisi di una generazione, quella che è cresciuta durante gli anni Sessanta. A questo proposito qual è il messaggio che il romanzo vuole diffondere?

Rosa Alberoni: Un messaggio di speranza e di ottimismo basato sulla ragione. Se ciascuno di noi riflette e comprende che non bisogna accettare supinamente i messaggi martellanti dei distruttori, ma usare il buon senso dei nonni, si sveglia. E svegliandosi si accorge che ciò che sembrava ovvio, liberatorio, è, al contrario, un inganno, un accecamento che ci induce a compiere e lasciar compiere disastri devastanti per tutti. Alcune persone della generazione del Sessantotto si sono accorte dell’inganno subìto, si sono accorte del veleno infiltrato nell’ideologia dei figli dei fiori, e vorrebbero predicarlo, ma non è loro concesso.

I media sono stati occupati in modo scientifico dai distruttori dei valori. Coloro che si sono liberati dal plagio ideologico, coloro che si sono disintossicati dalla massiccia manipolazione subita, vorrebbero avvisare le attuali generazioni della manipolazione costante a cui sono sottoposti dagli atei militanti e da quelli camuffati. I camuffati sono coloro che affermano “Io credo in Dio, ma è un Dio tutto mio”. Basterebbe obiettare che Dio non è soggetto a modellamenti.

Non è un abito da cucirsi su misura per fare i propri comodi in nome della libertà di espressione. I valori cardini di una civiltà non sono soggetti ad opinioni. I Comandamenti non sono soggetti ad aggiustamenti, perché sono sacri ed anche trasportati e trasposti nel Codici delle leggi.

Per esempio. l’omicidio intenzionale, cosciente, non può essere tramutato con dei sofismi, o in nome della libertà di pensiero, in omicidio colposo, come avviene in un incidente automobilistico, un evento non voluto, eppure accade. E infatti, in questo caso, sia la morale sacra che la legge concordano nel ridimensionare la pena. Ma se io ammazzo un bambino in grembo o in culla l’atto è sempre volontario, quindi non sono ammessi alibi e neppure giustificazioni. La coscienza morale non li ammette, la legge invece sì. Eppure, per non tradire se stessa, anche la legge non dovrebbe concedere la licenza di uccidere chi non è ancora in grado di difendersi.

Alcuni analisti sostengono che gli attacchi al Pontefice e i problemi di pedofilia sono stati generati da quell’ideologia sessantottina che secondo il suo romanzo era presente in forma primordiale nei cospiratori al Concilio. Qual è il suo parere circa le critiche a Benedetto XVI?

Rosa Alberoni: Che quegli analisti hanno ragione. E che agli atei di oggi è stata fornita e costruita ad arte l’occasione per poterlo attaccare. Distruggere il trono di Pietro è un'idea nata con Lutero, ripresa poi dai giacobini, dai comunisti, dai nazisti e infine dagli scientisti-ecologisti-animalisti. Cioè dai propagatori dell’ateismo.

Ho scoperto che alcuni alti prelati si sono, di volta in volta, lasciati sedurre dai leader dell’ideologia dominante, con la convinzione che, liberati dalla guida del Papa, potessero adattarsi facilmente alle circostanze e governare i popoli insieme ai leader politici. Il Papa che, invece, si attiene al suo compito, che è quello di seguire i Testi Sacri, funge perciò da ostacolo al loro piano. E allora ogni errore commesso da un consacrato viene attribuito all’incapacità del Pontefice, alla sua ostinazione a restare abbarbicato al Vangelo. Ma i prelati progressisti, i seguaci della teologia della liberazione, si irritano sempre quando sentono che il vicario di Cristo ammonisce tutti – e in modo particolare gli uomini e le donne consacrati – a non violare i valori cardini della fede e della civiltà cristiana.

Il successore di Pietro in realtà fa il suo mestiere, che è quello di ricordare a tutti che quei valori non sono contrattabili, e redarguisce chi li calpesta. Se poi un Papa, come sta facendo Benedetto XVI, comincia a far pulizia nell’ambito del clero ribelle, nessuno deve meravigliarsi che coloro che vengono disturbati reagiscano con virulenza. I manovratori non gradiscono essere disturbati, è ovvio. Quindi non mi meraviglio degli attacchi che sta subendo Benedetto XVI oggigiorno. Mi preoccupo piuttosto di come informare la povera gente che di queste manovre non sa nulla, perciò i credenti rischiano di far la fine di un altro mio personaggio, di Don Juan.

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Bioetica


Aborto: la vera "questione morale del nostro tempo"
di padre Gonzalo Miranda, L.C.*

ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Ad alcuni potrà sembrare fuori luogo dedicare oggi un numero intero (anzi, due) di una rivista di bioetica (Studia Bioethica) al tema dell'aborto. Si pretende che la questione sia ormai superata dal punto di vista etico e bioetico. Addirittura c'è chi spinge affinché l’aborto venga considerato uno tra i diritti umani...

Noi pensiamo invece che valga la pena parlarne. E che oggi, più di alcuni anni fa, si possa affrontare il dibattito in modo ragionato e serio. Non tanto tempo fa proposi agli autori di un'importante trasmissione televisiva nazionale, alla quale avevo appena partecipato, di invitare due donne americane, madre e figlia, che si trovavano in Italia. Si trattava di una bellissima testimonianza di accoglienza della vita e di perdono, dopo un'interruzione di gravidanza fallita. Accolsero subito la proposta, con una condizione: non si doveva menzionare la parola 'aborto' - “Sa, siamo in televisione”.

Forse oggi la questione non è più un tabù. Se ne può parlare; se ne parla. Ma lo si fa in modo sporadico, spesso solamente sull'onda di qualche nuovo eclatante episodio o della formazione di qualche lista in vista delle elezioni politiche.

Si tratta invece di una questione che merita di essere sempre vagliata, approfondita, compresa, discussa. Il fatto che una madre ponga fine, con l'intervento del medico e con l'avallo della legge, alla vita del figlio che porta nel proprio seno non potrà mai diventare una questione banale, e neanche “normale”. Al contrario, se non si vuole sfuggire da questo dramma e se teniamo presente la sua imponente dimensione sociale nei nostri giorni, dovremmo riconoscere che si tratta di una vera “questione morale”.

Non riduciamo questo concetto al dibattito politico sulla corruzione all'interno di qualche partito. Ci sono problemi che si dimostrano molto più “questioni” e molto più profondamente e drammaticamente “morali”. Nelson Mandela ebbe a dire che la situazione di conflitto nei territori di Gaza è diventata “la questione morale del nostro tempo”. Se si dovesse fare una classifica, penserei che la vera questione morale del nostro tempo, in Italia e in molti altri Paesi, è piuttosto quella dell'aborto. Milioni di donne nel mondo decidono di porre fine alla vita che cresce nel loro grembo; milioni di piccoli esseri umani vengono eliminati prima di poter vedere la luce del sole; milioni di donne e di famiglie soffrono di questa profonda lacerazione. Una questione nella quale è in gioco il modo in cui noi, esseri umani, vogliamo trattare altri esseri umani. Una questione nella quale, inoltre, è in gioco la nostra stessa concezione dell'essere umano e della sua dignità universale. In fondo, si tratta di una questione morale simile ad alcune tra le più dense e profonde che sono state affrontate dall'umanità lungo i secoli. Davanti a questioni simili non basta far finta di niente e tirare avanti, guardando altrove.

A questo proposito, può essere molto istruttivo richiamare la questione morale della schiavitù come si presentò nel dibattito sociale negli Stati Uniti due secoli or sono.

Nel 1857, la Corte Suprema americana emanò una sentenza (nel caso Dred Scott vs Sanford) che negava ai neri i diritti riconosciuti dalla Costituzione ai cittadini americani. Il testo della sentenza spiega che coloro che scrissero la Costituzione “non consideravano i negri portati come schiavi dall'Africa e i loro discendenti come cittadini, dato che all'epoca venivano ritenuti una classe di esseri subordinata ed inferiore, che era stata soggiogata dalla razza dominante, e, emancipati o meno, rimanevano soggetti alla sua autorità, e non avevano diritti e privilegi se non quelli che coloro che avevano il potere e il Governo volessero offrire loro” (1).

Potrebbe sembrare che la questione fosse stata definitivamente chiusa, niente meno che da una sentenza della Corte Suprema in un Paese democratico nel quale le sentenze dettano legge. Quella sentenza, però, non risolse il dibattito sociale sulla schiavitù. L'anno seguente, infatti, ci furono i famosi sette dibattiti pubblici nello Stato dell'Illinois, in vista delle elezioni per il Congresso americano, tra Stephen Douglas e Abraham Lincoln. Il tema centrale fu appunto la schiavitù (2). Non la possibilità o meno di abolirla totalmente. La questione dibattuta era più semplicemente se si dovesse permettere l'estensione legale della schiavitù negli Stati del Nord, nei quali non era ancora stata legalizzata. Douglas accusò ripetutamente Lincoln di essere “abolizionista”, grave insulto all'epoca, che indicava una persona che pretendeva di abolire totalmente la schiavitù. E la prova era che si era permesso di affermare pubblicamente che la Dichiarazione d'Indipendenza americana si applicava tanto ai neri come ai bianchi (affermazione che contrastava evidentemente con la sentenza della Corte Suprema appena citata). Lincoln accusava Douglas di voler “nazionalizzare la schiavitù”, estendendola agli Stati del Nord.

L'argomentazione di Douglas è quanto mai significativa, anche per i nostri tempi: sono i cittadini a dover decidere democraticamente se vogliono o meno legalizzare la schiavitù nel proprio Stato. Era la cosiddetta dottrina della Popular Sovereignty (Sovranità Popolare). In fondo, la schiavitù era legale in molti Stati (era un fatto compiuto); e se i cittadini di altri Stati la volevano, non si vedeva come qualcuno potesse opporsi a questa volontà democraticamente espressa. Tutti gli Stati, dunque, dovevano avere il potere di escludere dall'ordine dei diritti le “razze inferiori”.

Lincoln non argomentò a favore della completa eguaglianza sociale, ma affermò che Douglas ignorava l'umanità basica dei neri e il fatto che gli schiavi avessero lo stesso diritto alla libertà. Disse: “Concordo con il giudice Douglas sul fatto che egli [il negro] non è uguale a me in molti aspetti – certamente non nel colore, e forse neanche nella capacità morale o intellettuale. Ma, nel diritto a mangiare, senza il permesso di nessuno, il pane che guadagna con le proprie mani, lui è uguale a me e uguale al giudice Douglas, e uguale ad ogni uomo vivente”.

E poi caricò con forti espressioni, dicendo che non poteva non odiare lo zelo per diffondere la schiavitù: “Lo odio a causa della mostruosa ingiustizia della schiavitù stessa”. Si chiedeva anche: “Se si fanno eccezioni alla Dichiarazione d'Indipendenza che dichiara il principio che tutti gli uomini sono uguali, dove si finirà? Se un uomo dice che non si applica al negro, perché non potrà dire un altro che non si applica a un altro uomo?”.

Fece anche un'affermazione importante sul futuro del dibattito: la crisi e il conflitto saranno superati solamente quando la schiavitù verrà posta “nella via della definitiva estinzione”. Ebbe anche a dire che la schiavitù doveva essere considerata un male e si doveva impedire la sua espansione: “Questo è il vero problema. Questo è il problema che persisterà nel nostro Paese, quando le lingue del giudice Douglas e la mia siano in silenzio. È l'eterna lotta tra questi due principi – bene e male – nel mondo intero”.

Le elezioni per l'Assemblea Generale dello Stato furono vinte quell'anno dal partito di Stephen Douglas. Evidentemente molti la pensavano come lui. Ma poi, nella corsa per la Presidenza della Nazione, Douglas fu sconfitto da Lincoln. La grave questione morale della schiavitù non si calmò; anzi fu, come sappiamo, uno dei fattori principali dello scoppio della terribile Guerra Civile americana. Solo dopo quella guerra, vinta dai “nordisti” contrari all'estensione della schiavitù, e per l'insistenza del Presidente Lincoln, si arrivò alla sua abolizione, con il XIII emendamento della Costituzione, nel 1865. Solo in quel momento l'aspro dibattito sociale si avviò verso la fine, quando, come aveva detto Lincoln, la schiavitù stessa fu posta “nella via della definitiva estinzione”.

Riflettiamo, dunque. Analizziamo, esaminiamo, meditiamo. Discutiamone. Non c'è sentenza giudiziaria, né piccola né “suprema”, non c'è legge né risoluzione internazionale che possa cancellare la questione morale del nostro tempo. La coscienza umana si può oscurare ma non muore mai.

Studia Bioethica ha dedicato due numeri a questa riflessione (http://www.uprait.org/sb/index.php/bioethica/issue/view/4). Il tema e il numero dei testi pervenuti ci hanno convinto a raccogliere il materiale in un solo quaderno.

Dopo un percorso storico nel quale vengono smascherati alcuni falsi luoghi comuni sulla pratica e il pensiero in materia di aborto, si presenta uno studio della situazione attuale di questa pratica in Italia dal punto di vista demografico. Ci si addentra poi nell'analisi della legge italiana. Innanzitutto proponiamo una considerazione sull'origine storica dei contenuti e sugli effetti della legge 194 del 1978 sulla società italiana. Si studia poi il problema relativo all'applicazione effettiva di quella legge, nei suoi molteplici aspetti. Viene finalmente offerta una prospettiva di reale e possibile miglioramento della legge in vigore.

Viene proposta poi un'analisi critica dell'assunto assai comune che stabilisce una relazione inversamente proporzionale tra pratica della contraccezione e aborto. Due psicologi offrono uno studio sulle conseguenze dell'aborto volontario sull'altra vittima di questa pratica: la donna.
Si amplia ulteriormente l'orizzonte, evidenziando le recenti strategie pro-aborto nel dibattito parlamentare in Inghilterra e fornendo una panoramica della presenza attuale della nostra tematica in una delle vetrine principali della cultura odierna: il cinema.

Finalmente, tre contributi più brevi: uno studio sull'aborto nel pensiero femminista e femminile; un'indagine su alcuni termini molto utilizzati nel contesto culturale attuale che si prestano ad usi ambigui e manipolatori; un rapido sguardo al servizio lodevole ed efficace che prestano in tutta Italia i “Centri di Aiuto alla Vita”.

Altre tematiche, alcune in qualche modo correlate, vengono affrontate nella “Sezione aperta” della rivista. Insieme a quella monografica e alle numerose recensioni di pubblicazioni recenti in materia di bioetica, offrono uno strumento interessante per l'approfondimento e la riflessione personale.
Riflessione che non dobbiamo mai dare per esaurita, soprattutto su un problema come quello dell'aborto, vera questione morale del nostro tempo.


(1) Si può consultare il testo della Sentenza in http://www.pbs.org/wgbh/aia/part4/4h2933t.html (Ultima consultazione il 4-2-09). Traduzione mia.

(2) Si può trovare un resoconto dei dibattiti in http://en.wikipedia.org/wiki/Lincoln-Douglas_debates_of_1858 (Ultima consultazione il 4-2-09). Traduzione mia.

* P.Gonzalo Miranda dal 1993 al 2001 è stato Segretario Operativo del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Roma. Nel 2001 ha fondato la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA). Dal 2001 fino al 2006 è stato Decano della Facoltà di Bioetica della stessa Università. Professore ordinario di Bioetica e di Teologia Morale nelle Facoltà di Bioetica e di Teologia dell’APRA, è membro del Comitato Direttivo del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Membro onorario del Consejo de Bioética della Conferenza Episcopale Messicana, è membro del Consiglio Direttivo della Federazione Internazionale di Centri di Bioetica di Ispirazione Personalista (FIBIP) e del Comitato Di Bioetica della Federazione Internazionale di Facoltà di Medicina Cattoliche (AIFMC). E' inoltre membro del Comitato Direttivo delle riviste “Medicina e Morale” (Roma), “Medicina y Ética” (Messico) e “Vida y Ética” (Argentina).

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Regina Caeli


Il Papa esorta i ministri ordinati a una più forte testimonianza evangelica
Regina Caeli con i fedeli e i pellegrini riuniti in Piazza San Pietro
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo le parole pronunciate questa domenica a mezzogiorno da Papa Benedetto XVI affacciandosi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.





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Cari fratelli e sorelle,

in questa quarta Domenica di Pasqua, detta "del Buon Pastore", si celebra la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che quest’anno ha per tema: "La testimonianza suscita vocazioni", tema "strettamente legato alla vita e alla missione dei sacerdoti e dei consacrati" (Messaggio per la XLVII G. M. di preghiera per le vocazioni, 13 novembre 2009). La prima forma di testimonianza che suscita vocazioni è la preghiera (cfr ibid.), come ci mostra l’esempio di santa Monica che, supplicando Dio con umiltà ed insistenza, ottenne la grazia di veder diventare cristiano suo figlio Agostino, il quale scrive: "Senza incertezze credo e affermo che per le sue preghiere Dio mi ha concesso l’intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità" (De Ordine II, 20, 52, CCL 29, 136). Invito, pertanto, i genitori a pregare, perché il cuore dei figli si apra all’ascolto del Buon Pastore, e "ogni più piccolo germe di vocazione … diventi albero rigoglioso, carico di frutti per il bene della Chiesa e dell’intera umanità" (Messaggio cit.). Come possiamo ascoltare la voce del Signore e riconoscerlo? Nella predicazione degli Apostoli e dei loro successori: in essa risuona la voce di Cristo, che chiama alla comunione con Dio e alla pienezza della vita, come leggiamo oggi nel Vangelo di san Giovanni: "Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano" (Gv 10,27-28). Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia.

In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni, esorto in particolare i ministri ordinati, affinché, stimolati dall’Anno Sacerdotale, si sentano impegnati "per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi" (Lettera di indizione). Ricordino che il sacerdote "continua l’opera della Redenzione sulla terra"; sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo"; aderiscano "totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa"; si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; formino cristianamente il popolo a loro affidato; coltivino con cura la "fraternità sacerdotale" (cfr ibid.). Prendano esempio da saggi e zelanti Pastori, come fece san Gregorio di Nazianzo, il quale così scriveva all’amico fraterno e Vescovo san Basilio: "Insegnaci il tuo amore per le pecore, la tua sollecitudine e la tua capacità di comprensione, la tua sorveglianza … la severità nella dolcezza, la serenità e la mansuetudine nell’attività … i combattimenti in difesa del gregge, le vittorie … conseguite in Cristo" (Oratio IX, 5, PG 35, 825ab).

Ringrazio tutti i presenti e quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro, e su ciascuno invoco la celeste protezione della Vergine Maria, alla quale ci rivolgiamo ora in preghiera.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Stamani, rispettivamente a Roma e a Barcellona, sono stati proclamati Beati due Sacerdoti: Angelo Paoli, Carmelitano, e José Tous y Soler, Cappuccino. A quest’ultimo farò cenno tra poco. Del beato Angelo Paoli, originario della Lunigiana e vissuto tra i secoli XVII e XVIII, mi piace ricordare che fu apostolo della carità a Roma, soprannominato "padre dei poveri". Si dedicò specialmente ai malati dell’Ospedale San Giovanni, prendendosi cura anche dei convalescenti. Il suo apostolato traeva forza dall’Eucaristia e dalla devozione alla Madonna del Carmine, come pure da un’intensa vita di penitenza. Nell’Anno Sacerdotale, propongo volentieri il suo esempio a tutti i sacerdoti, in modo particolare a quanti appartengono ad Istituti religiosi di vita attiva.

Rivolgo uno speciale saluto all’Associazione "Meter", che da 14 anni promuove la Giornata nazionale per i bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza. In questa occasione voglio soprattutto ringraziare e incoraggiare quanti si dedicano alla prevenzione e all’educazione, in particolare i genitori, gli insegnanti e tanti sacerdoti, suore, catechisti e animatori che lavorano con i ragazzi nelle parrocchie, nelle scuole e nelle associazioni. Saluto i fedeli venuti da Brescia, da Cassana presso Ferrara, da alcune parrocchie dell’Umbria e da Toronto, in Canada; i ragazzi delle parrocchie della Valposchiavo, in Svizzera, e quelli di Francavilla al Mare; e il gruppo di fidanzati di Altamura. A tutti auguro una buona domenica.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

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Udienza del Papa ai membri del convegno "Testimoni digitali"
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Papa Benedetto XVI ha rivolto questo sabato mattina ai partecipanti al Convegno nazionale "Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale", promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, durante l'udienza che ha concesso loro.

 



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Eminenza,

Venerati Confratelli nell’episcopato,

cari amici,

sono lieto di questa occasione per incontrarvi e concludere il vostro convegno, dal titolo quanto mai evocativo: "Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale". Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cordiali parole di benvenuto, con le quali, ancora una volta, ha voluto esprimere l’affetto e la vicinanza della Chiesa che è in Italia al mio servizio apostolico. Nelle sue parole, Signor Cardinale, si rispecchia la fedele adesione a Pietro di tutti i cattolici di questa amata Nazione e la stima di tanti uomini e donne animati dal desiderio di cercare la verità.

Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide. Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno. Aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici forme di degrado e di umiliazione dell’intimità della persona. Si assiste allora a un "inquinamento dello spirito, quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia…" (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Questo Convegno, invece, punta proprio a riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie: quando ciò accade, esse restano corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo.

Come è possibile, oggi, tornare ai volti? Ho cercato di indicarne la strada anche nella mia terza Enciclica. Essa passa per quella caritas in veritate, che rifulge nel volto di Cristo. L’amore nella verità costituisce "una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione" (n. 9). I media possono diventare fattori di umanizzazione "non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un’immagine della persona e del bene comune che ne rispetti le valenze universali" (n. 73). Ciò richiede che "essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale" (ibid.). Solamente a tali condizioni il passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità. Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete.

È questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa: il compito di ogni credente che opera nei media è quello di "spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo «digitale» i segni necessari per riconoscere il Signore" (Messaggio per la 44a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come "animatori di comunità", attenti a "preparare cammini che conducano alla Parola di Dio", e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti "sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche" (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di "portico dei gentili", dove "fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto" (ibid.).

Quali animatori della cultura e della comunicazione, voi siete segno vivo di quanto "i moderni mezzi di comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio" (ibid.). Le voci, in questo campo, in Italia non mancano: basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l’emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonico inBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali diocesani e agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica. Esorto tutti i professionisti della comunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore. Le Chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, non esitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse. Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale.

Mentre vi ringrazio del servizio che rendete alla Chiesa e quindi alla causa dell’uomo, vi esorto a percorrere, animati dal coraggio dello Spirito Santo, le strade del continente digitale. La nostra fiducia non è acriticamente riposta in alcuno strumento della tecnica. La nostra forza sta nell’essere Chiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità.

Vi affido alla protezione di Maria Santissima e dei grandi Santi della comunicazione e di cuore tutti vi benedico.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]



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Discorso di Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Belgio

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo sabato mattina ricevendo in udienza il nuovo ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, Charles Ghislain.





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Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in questa circostanza della presentazione delle Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Belgio presso la Santa Sede. La ringrazio delle parole che mi ha rivolto. A mia volta, le chiedo di voler cortesemente esprimere a Sua Maestà Alberto ii, Re del Belgio, che recentemente ho potuto salutare di persona, i miei voti cordiali per la Sua Persona, nonché per la felicità e il successo del popolo belga. Attraverso di lei saluto anche il Governo e tutte le autorità del Regno.

Il suo Paese ha vissuto, all'inizio di quest'anno, le due tragedie dolorose di Liegi e di Buizingen. Desidero rinnovare alle famiglie colpite e alle vittime le assicurazioni della mia vicinanza spirituale. Queste catastrofi ci fanno misurare la fragilità dell'esistenza umana e la necessità, per proteggerla, di una coesione sociale autentica, che non indebolisca la legittima diversità delle opinioni. Essa si basa sulla convinzione che la vita e la dignità umane costituiscono un bene prezioso che occorre difendere e promuovere con decisione, appoggiandosi al diritto naturale. Da molto tempo, la Chiesa s'inscrive pienamente nella storia  e nel tessuto sociale della sua nazione. Desidera continuare a essere un fattore di armoniosa convivenza fra tutti. A questo contribuisce in modo molto attivo, specialmente attraverso le sue numerose istituzioni educative, le sue opere di carattere sociale e l'impegno volontario di tantissimi fedeli. La Chiesa è quindi lieta di mettersi al servizio di tutte le componenti della società belga.

Tuttavia, non pare inutile sottolineare che essa ha, in quanto istituzione, il diritto di esprimersi pubblicamente. Lo condivide con tutti gli individui  e tutte le istituzioni, al fine di dire il suo parere sulle questioni di interesse comune. La Chiesa rispetta la libertà di tutti di pensarla in modo diverso da lei; le farebbe anche piacere che venisse rispettato il suo diritto d'espressione. La Chiesa è depositaria di un insegnamento, di un messaggio religioso che ha ricevuto da Cristo Gesù. Può essere riassunto con le seguenti parole della Sacra Scrittura: «Dio è amore» (1 Gv 4, 16) e proietta la sua luce sul senso della vita personale, familiare e sociale dell'uomo. La Chiesa, avendo come obiettivo il bene comune, non chiede altro che la libertà di poter proporre questo messaggio, senza imporlo a nessuno, nel rispetto della libertà delle coscienze.

È nutrendosi di questo insegnamento ecclesiale in modo radicale  che Giuseppe  de Veuster è divenuto colui che ormai viene chiamato «San Damiano». L'eccezionale destino di quest'uomo mostra fino a che punto il Vangelo suscita un'etica amica della persona, soprattutto se essa è nel bisogno o emarginata. La canonizzazione di questo sacerdote e la fama universale di cui gode è un motivo di legittimo orgoglio per il popolo belga. Questo personaggio attraente non è frutto di un percorso solitario. È bene ricordare le radici religiose che hanno alimentato la sua educazione e la sua formazione, nonché i pedagoghi che hanno risvegliato in lui quella ammirevole generosità. Essa gli farà condividere la vita emarginata dei lebbrosi, fino ad esporsi al male di cui soffrono. Alla luce di simili testimoni, tutti possono capire che il Vangelo è una forza di cui non c'è ragione di avere paura. Sono convinto che, malgrado gli sviluppi sociologici, l'humus cristiano sia ancora ricco nella sua terra. Può nutrire generosamente l'impegno di un numero crescente di volontari che, ispirati dai principi evangelici di fraternità e di solidarietà, accompagnano le persone che vivono delle difficoltà e che, per questa ragione, hanno bisogno di essere aiutate.

Il suo Paese, che già accoglie la sede delle Istituzioni comunitarie, ha visto riaffermare ancora una volta la sua vocazione europea attraverso la scelta di uno dei suoi connazionali come presidente del Consiglio Europeo. Certamente queste scelte successive non sono legate solamente alla posizione geografica del suo Paese e al suo multilinguismo. Membro del nucleo originale dei Paesi fondatori, la sua nazione ha dovuto impegnarsi e distinguersi nella ricerca di un consenso in situazioni molto complesse. Questa qualità deve essere incoraggiata al momento di affrontare, per il bene di tutti, le sfide interne del Paese. Desidero oggi sottolineare che, per dare frutto a lungo termine, l'arte del consenso non si riduce a una capacità puramente dialettica, ma deve ricercare il vero e il bene. Perché «senza verità, senza fiducia e amore per il vero, non c'è coscienza e responsabilità sociale, e l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società, tanto più in una società in via di globalizzazione, in momenti difficili come quelli attuali» (Caritas in veritate, n. 5).

Approfittando del nostro incontro, desidero salutare calorosamente i vescovi del Belgio, che avrò il piacere di accogliere molto presto in occasione della loro visita ad limina Apostolorum. Il mio pensiero va in particolare a Sua Eccellenza monsignor Léonard che, con entusiasmo e generosità, ha iniziato da poco la sua nuova missione di arcivescovo di Malines-Bruxelles. Desidero anche salutare i sacerdoti del suo Paese, nonché i diaconi e tutti i fedeli che costituiscono la comunità cattolica belga. Li invito a testimoniare con audacia la loro fede. Nei loro impegni nella società, facciano valere pienamente il loro diritto di proporre valori che rispettino la natura umana e che corrispondano alle aspirazioni spirituali più profonde e autentiche della persona!

Nel momento in cui assume ufficialmente le sue funzioni presso la Santa Sede, formulo i migliori auspici per il felice svolgimento della sua missione. Sia certo, Signor Ambasciatore, di trovare sempre presso i miei collaboratori un'attenzione e una comprensione cordiali. Invocando l'intercessione della Vergine Maria e di san Damiano, prego il Signore di effondere generose benedizioni su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, nonché sul popolo belga e sui suoi governanti.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana, traduzione a cura de “L'Osservatore Romano”]

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Messaggio ai lettori


La Teologia del Corpo (versione definitiva)
ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il testo della Lectio magistralis del Vescovo Jean Laffitte, Segretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia, sulla Teologia del Corpo, pubblicato nel servizio del sabato 24 aprile non era il testo definitivo. Si prega di considerare come testo definitivo e di riferimento la attuale versione pubblicata nella pagina web di ZENIT all'indirizzo: http://www.zenit.org/article-22197?l=italian

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