domenica 19 giugno 2011

NATO/BOMBE QUI E LA: Ecco ciò che non sapete sull’immigrazione in Libia e dalla Libia

Le domande irrisolte sulla Nato, la cucina tipica, i lavori che i libici non vogliono fare e le code delle mogli ai distributori

Tripoli. Segnali di trattativa, forse. Vedremo se Gheddafi sarà capace di offrire un’onorevole via di uscita alla Nato, che ieri notte ha bombardato per inerzia. Perché se le cose andassero avanti così, con Bengasi incapace di vincere sul terreno, coperta di onori diplomatici e buona parte del petrolio, e dall’altra parte Gheddafi pariah della comunità internazionale, forte del suo apparato militare, del consenso di una parte della società, della paura dell’altra e di riserve di gas e uranio è possibile che si arrivi a una spartizione della Libia. Fino a quando la Nato potrà reggere il peso delle sue incerte certezze, di questi bombardamenti esemplari e netti?

Ho già parlato di alcuni di questi temi, e oggi voglio esercitarmi su temi più futili, parlarvi della decisione con cui la Confederazione africana del calcio ha confermato la Libia come sede della Coppa d’Africa 2013. E’ un’occasione per parlarvi del calcio libico, come si fa nel caffè affacciato sulla piazza verde che conserva foto color seppia che ricordano, come in un Guerin Sportivo, le glorie del rettangolo libico. Dirvi dell’al Ittihad, la squadra  in cui ha giocato Saadi Gheddafi. I tifosi dell’altra squadra di Tripoli, l’al Ahli, sostengono che gli avversari si gettassero a terra, pur di far segnare il rampollo del rais (gli altri, di rimando, affermano che l’al Ahli abbia raccolto l’eredità dello scomparso Maccabi, la squadra della comunità ebraica cancellata dai pogrom). E di come un italiano, Franco Scoglio, chiamato ad allenare la nazionale libica, rifiutò di schierare il rampollo, e approfittò di una trasferta per scappare a Malta, altro che Zamparini.

Avrei voluto parlarvi della cucina, e delle evidenti eredità italiane ed ebraiche. Dei media libici, della qualità – buona – degli spot propagandistici, di quel conduttore, Yosif Shakeir, che tiene ogni sera un talk show dicendo di ispirarsi a Larry King (la sera che annunciò la notizia falsa dell’est riconquistato scatenò una sparatoria di giubilo che spaventò Tripoli). Ma, alla fine, di una sola cosa mi sento debitore, non avendone mai parlato: l’immigrazione. In Italia ci sono molti equivoci, e scambiamo i volti sconvolti da una traversata difficile (a volte mortale) per i volti di chi fugge dalla disperazione. In Libia – sei milioni di abitanti – c’erano tre milioni di immigrati. Molti sono fuggiti subito, tornando ai paesi d’origine o restando nei campi tunisini. Alcuni sono rimasti e inscenano manifestazioni pro Gheddafi, sventolando le bandiere dei propri paesi. Molti sono restati a lavorare, perché i libici non fanno i muratori, né i giardinieri, né i guardiani notturni, né i domestici. La borghesia si lamenta che la scarsità di manodopera ha portato lo stipendio mensile del personale da 230 euro al mese a 370. Chi scappa lo fa cogliendo l’incertezza del futuro, o l’occasione di andare in Europa. E’ facile: l’altro giorno due senegalesi che facevano le pulizie in un albergo sono scomparsi. Un conoscente mi ha detto che li ha contattati il governo, ha dato loro duecento euro a testa, e indicato dove dovevano recarsi. Il governo ha fornito la barca e un telefonino satellitare, e poi si parte con il primo mare calmo.

Beh, non c’è altro da dire. Vedo le file ai distributori allungarsi, e la trovata di assegnare un distributore ai tassisti, uno ai medici e uno alle donne non funziona, scoppiano liti. Qualcuno affida l’auto alla moglie, che ha guidato una sola volta in vita sua, per fare code più brevi. Più modestamente, è solo il mio ultimo giorno a Tripoli. Ma’ assalama.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Toni Capuozzo

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