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ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 28 marzo 2010
Santa Sede
- Benedetto XVI: la Domenica delle Palme, inno alla sequela di Gesù
- Il Papa ai giovani: testimoniare al mondo Cristo, modello supremo
- Il Papa prega perché Gerusalemme sia un luogo di pace
- Le celebrazioni del Papa in diretta mondiale su Internet
- Il Papa e il Presidente del Guatemala parlano di povertà e delinquenza
- La Santa Sede all'ONU: perché non si trova il denaro per i poveri?
- Promulgazione di decreti della Congregazione per le Cause dei Santi
- Nuovi Nunzi Apostolici per Yemen, Emirati Arabi, Mauritius e Seychelles
Notizie dal mondo
Analisi
Bioetica
Angelus
Documenti
- Omelia di Benedetto XVI nella Domenica delle Palme
- Portavoce vaticano: da questa crisi, l'autorità del Papa esce rafforzata
- Omelia di monsignor Clemens al Forum Internazionale dei Giovani
Santa Sede
Benedetto XVI: la Domenica delle Palme, inno alla sequela di Gesù
Presiede la solenne celebrazione eucaristica in Piazza San Pietro
Il Pontefice ha benedetto le palme e gli ulivi, e al termine della processione ha celebrato la Santa Messa della Passione del Signore. Hanno preso parte alla celebrazione giovani di Roma e di altre Diocesi in occasione della XXV Giornata Mondiale della Gioventù, sul tema "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10, 17).
"Essere cristiani significa considerare la via di Gesù Cristo come la via giusta per l'essere uomini - come quella via che conduce alla meta, ad un'umanità pienamente realizzata e autentica", ha spiegato il Papa nella sua omelia.
"Essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica".
Ascesa a Dio
"Di quale direzione si tratta? Come la si trova?", ha chiesto, rispondendo che si tratta di "un'ascesa alla vera altezza dell'essere uomini".
Gesù, infatti, "cammina avanti a noi, e va verso l'alto", conducendoci "fino alle altezze di Dio, alla comunione con Dio, all'essere-con-Dio. È questa la vera meta, e la comunione con Lui è la via".
Questo camminare con Cristo "è al contempo sempre un camminare nel 'noi' di coloro che vogliono seguire Lui", introduce nella "comunità".
Allo stesso modo, "è sempre anche un essere portati": "ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo - insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio", che "ci tira e ci sostiene".
"Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata; che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l'entrare nel 'noi' della Chiesa":
L'importanza della croce
La Croce, ha proseguito Benedetto XVI, è parte integrante dell'ascesa.
"Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio", "così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all'altezza di Dio attraverso la Croce".
La Croce, dunque "è espressione di ciò che l'amore significa: solo chi perde se stesso, si trova".
Gerusalemme
Se il nostro pellegrinaggio alla sequela di Cristo non va verso una città terrena, ma "verso la nuova Città di Dio che cresce in mezzo a questo mondo", il pellegrinaggio alla Gerusalemme terrestre può essere "un elemento utile per tale viaggio più grande", ha constatato il Papa ricordando il viaggio che ha compiuto in Terra Santa nel maggio scorso.
A quel pellegrinaggio, ha aggiunto, ha collegato tre significati, innanzitutto l'importanza di poter "vedere e toccare con le nostre mani" quello che si ascolta.
"La fede in Gesù Cristo non è un'invenzione leggendaria - ha constatato -. Essa si fonda su di una storia veramente accaduta".
"Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è Lui stesso", ha rilevato.
Quando si va in Terra Santa come pellegrini, ha aggiunto, vi si va anche "come messaggeri della pace, con la preghiera per la pace; con l'invito forte a tutti di fare in quel luogo" "veramente un luogo di pace".
"Così questo pellegrinaggio è al tempo stesso - come terzo aspetto - un incoraggiamento per i cristiani a rimanere nel Paese delle loro origini e ad impegnarsi intensamente in esso per la pace".
Supplica per la pace
Il Papa ha quindi richiamato l'acclamazione con cui i pellegrini salutano Gesù alle porte di Gerusalemme, "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!".
"Sanno troppo bene che in terra non c'è pace. E sanno che il luogo della pace è il cielo - sanno che fa parte dell'essenza del cielo di essere luogo di pace". Questa acclamazione è così "espressione di una profonda pena e, insieme, è preghiera di speranza", come oggi.
"Preghiamo il Signore affinché porti a noi il cielo: la gloria di Dio e la pace degli uomini", ha esortato il Santo Padre.
"Sappiamo che il cielo è cielo, luogo della gloria e della pace, perché lì regna totalmente la volontà di Dio. E sappiamo che la terra non è cielo fin quando in essa non si realizza la volontà di Dio - ha concluso -. Salutiamo quindi Gesù che viene dal cielo e lo preghiamo di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio. Che la regalità di Dio entri nel mondo e così esso sia colmato con lo splendore della pace".
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Il Papa ai giovani: testimoniare al mondo Cristo, modello supremo
25° anniversario dell'istituzione delle Giornate Mondiali della Gioventù
Il Papa si è rivolto ai giovani introducendo la preghiera mariana dell'Angelus al termine della solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, che ha presieduto in Piazza San Pietro.
"Il pensiero non può non andare alla Domenica delle Palme di 25 anni fa - ha affermato -. Era il 1985, che le Nazioni Unite avevano dichiarato 'Anno della Gioventù'".
"Il Venerabile Giovanni Paolo II volle cogliere quella occasione e, commemorando l'ingresso di Cristo in Gerusalemme acclamato dai suoi giovani discepoli, diede inizio alle Giornate Mondiali della Gioventù".
Da allora, la Domenica delle Palme "ha acquisito questa caratteristica", che ogni due o tre anni si manifesta anche nei grandi incontri mondiali, "tracciando una sorta di pellegrinaggio giovanile attraverso l'intero pianeta alla sequela di Gesù".
La prossima Giornata Mondiale della Gioventù a livello internazionale si celebrerà a Madrid (Spagna) nell'agosto 2011.
Giovanni Paolo II "invitò i giovani a professare la loro fede in Cristo che ha preso su di sé la causa dell'uomo", ha ricordato il Pontefice citando l'omelia in cui Papa istituì le Giornate.
"Oggi io rinnovo questo appello alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo", ha aggiunto.
In particolare, ha consegnato questo mandato a 300 delegati del Forum Internazionale dei Giovani, svoltosi da questo mercoledì a questa domenica a Rocca di Papa (Roma).
"Cari amici, non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese - ha esortato -. Servitelo nelle persone più fragili e svantaggiate, in particolare nei vostri coetanei in difficoltà".
A questo proposito, ha poi assicurato "una speciale preghiera" per la Giornata mondiale dei portatori di autismo, promossa dall'ONU, che ricorrerà il 2 aprile prossimo.
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Il Papa prega perché Gerusalemme sia un luogo di pace
Dopo gli scontri degli ultimi giorni
I fatti delle ultime settimane hanno portato i palestinesi a dichiarare una "Giornata della Collera" e al verificarsi di scontri che hanno provocato alcuni feriti.
Israele ha schierato più di 2.500 poliziotti in assetto antisommossa, e alcuni valichi tra Gerusalemme e la Cisgiordania sono stati chiusi.
In questo contesto, il Papa ha affermato nella Domenica delle Palme che "il nostro pensiero e il nostro cuore si dirigono in modo particolare a Gerusalemme, dove il mistero pasquale si è compiuto".
"Sono profondamente addolorato per i recenti contrasti e per le tensioni verificatisi ancora una volta in quella Città, che è patria spirituale di Cristiani, Ebrei e Musulmani, profezia e promessa di quell'universale riconciliazione che Dio desidera per tutta la famiglia umana", ha confessato.
"La pace è un dono che Dio affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono".
"Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza!", ha chiesto.
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Le celebrazioni del Papa in diretta mondiale su Internet
Un servizio di Pope2You
Per la prima volta questo portale per i giovani, promosso dal Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, trasmette in simultanea questi eventi con commenti in ben 5 lingue.
Chi si collegherà a Pope2You.net potrà seguire in diretta streaming le celebrazioni papali, ascoltando l'audio in italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco.
Il servizio è fornito e promosso dal Centro Televisivo Vaticano, dalla Radio Vaticana e dal Servizio Internet della Santa Sede, con il supporto tecnico dell'agenzia H2onews.org.
Oltre a questo servizio, Pope2You ripropone ancora una raccolta di cartoline augurali per le festività pasquali (con bellissime immagini del Santo Padre), da condividere con i propri amici su Facebook, oltre che da inviare ai propri contatti e-mail o scaricare sul proprio computer.
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Il Papa e il Presidente del Guatemala parlano di povertà e delinquenza
Álvaro Colom invita il Santo Padre a visitare il suo Paese
CITTA' DEL VATICANO, domenica, 28 marzo 2010 (ZENIT.org).- Povertà, delinquenza ed emigrazione sono stati gli argomenti centrali della visita compiuta questo venerdì a Benedetto XVI dal Presidente della Repubblica del Guatemala, Álvaro Colom Caballeros.
Dopo l'incontro privato con il Pontefice, durato circa venti minuti, Colom ha rivelato di aver invitato il Papa a visitare il Guatemala.
Dopo l'udienza, il Capo di Stato ha incontrato il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, accompagnato dall'Arcivescovo Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.
Secondo quanto ha rivelato un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, "durante i cordiali colloqui, sono state evidenziate le buone relazioni esistenti fra la Chiesa e lo Stato ed il particolare contributo che la Chiesa offre allo sviluppo del Paese".
"In seguito vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale, con speciale riferimento alle sfide poste dalla povertà, dalla criminalità organizzata e dall'emigrazione. Nel corso della conversazione si è anche sottolineata l'importanza di promuovere la vita umana, fin dal momento del concepimento, ed il ruolo dell'educazione", aggiunge la nota vaticana.
"E' stata davvero un'udienza molto buona, di grande energia e con un Papa molto umano, molto, molto umano", ha affermato Colom in alcune dichiarazioni alla stampa dopo il suo incontro con il Santo Padre. "Ha parlato moltissimo di aiutare i più poveri", ha sottolineato.
Il Presidente ha confermato che si è parlato di "povertà, popoli indigeni e anche, ovviamente, del diritto alla vita e di tutto ciò che riguarda i diritti umani, l'ambiente, la preoccupazione per i cambiamenti climatici e per i loro effetti in Guatemala. Un'udienza davvero molto buona".
Quanto all'invito presentato al Papa per visitare il Paese, il Presidente ha rivelato: "Onestamente non ha detto di no, ma non ha neanche detto di sì. Ma il sottosegretario di Stato tra qualche mese verrà in Guatemala, e questo può essere un buon inizio".
Il Guatemala ha quasi 13,3 milioni di abitanti, soprattutto cattolici, anche se negli ultimi anni si sono moltiplicate le denominazioni di origine protestante, spesso finanziate dall'estero.
Álvaro Colom Caballeros, del partito politico Unidad Nacional de la Esperanza (UNE), è Presidente dal 14 gennaio 2008.
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La Santa Sede all'ONU: perché non si trova il denaro per i poveri?
Esorta a dare priorità alla riduzione della povertà
Lo ha segnalato l'Osservatore Permanente della Santa Sede agli uffici ONU di New York, l'Arcivescovo Celestino Migliore, questo mercoledì in un intervento davanti alla 64ª sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Il presule è intervenuto al IV Dialogo di Alto Livello sul Finanziamento dello Sviluppo, sul tema "Il Consenso di Monterrey e la Dichiarazione di Doha sul Finanziamento dello Sviluppo: Stato di Applicazione e Lavoro Futuro".
Monsignor Migliore ha sottolineato che "l'impatto devastante della recente crisi finanziaria sulle popolazioni più vulnerabili del mondo" è "una preoccupazione condivisa da Governi e cittadini di tutto il mondo".
"Di fatto - ha aggiunto -, l'oscura ombra di questa crisi potrebbe frustrare gli sforzi compiuti finora per aiutare a ridurre la povertà e non far altro che aumentare il numero astronomico delle persone che vivono nell'estrema povertà".
Quanto agli aspetti positivi, l'Arcivescovo ha segnalato che la crisi ha "dato luogo a una cooperazione politica internazionale senza precedenti, evidente nei tre successivi incontri di alto livello del G20 a Washington, Londra e Pittsburgh nel 2009" .
"Questi incontri sono stati capaci di raggiungere un accordo su misure d'emergenza per riattivare l'economia mondiale, inclusi i pacchetti di incentivi fiscali e monetari che hanno evitato una catastrofe globale", ha affermato.
"Ad ogni modo, la stabilizzazione di alcune economie o il recupero di altre non significa che la crisi sia finita".
"L'insieme dell'economia mondiale, in cui i Paesi sono molto interdipendenti, non sarà mai capace di funzionare senza problemi se persisteranno le condizioni che hanno provocato la crisi, e soprattutto se continueranno a esistere le disuguaglianze fondamentali a livello di entrate e ricchezza tra individui e Nazioni".
Imperativo morale
Il rappresentante della Santa Sede ha sottolineato che "non possiamo aspettare un recupero definitivo e permanente dell'economia globale per prendere misure".
"Una ragione significativa è che la riattivazione delle economie delle popolazioni più povere del mondo aiuterà senz'altro a garantire un recupero universale e sostenibile".
"La ragione più importante è però l'imperativo morale: non lasciare tutta una generazione, quasi un quinto della popolazione mondiale, in estrema povertà".
Allo stesso modo, ha sottolineato l'"urgente necessità di riformare, rafforzare e modernizzare il congiunto del sistema di finanziamento per lo sviluppo dei Paesi, così come i programmi dell'ONU, includendo le agenzie specializzate e le organizzazioni regionali, rendendole più efficienti, trasparenti e coordinate, sia nell'ambito internazionale che in quello locale".
"In questo senso, la crisi ha portato alla luce l'urgente necessità di procedere alla riforma del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale, le cui strutture e i cui procedimenti devono riflettere le realtà del mondo di oggi, e non quelle del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale", ha indicato.
"La comunità internazionale, attraverso la Banca Mondiale e importanti agenzie multilaterali, dovrebbe continuare a dare priorità alla lotta alla povertà".
L'Arcivescovo Migliore ha anche riconosciuto che "alla fine della Seconda Guerra Mondiale la comunità internazionale è stata capace di adottare un sistema completo che garantirebbe non solo la pace, ma anche il fatto di evitare la ripetizione di un disordine economico globale".
L'attuale crisi globale, ha aggiunto, "offre un'opportunità simile, che richiede un approccio integrale, basato sulle risorse, sul trasferimento di conoscenze e sulle istituzioni".
"Per raggiungere ciò, tutte le Nazioni, senza eccezione, devono impegnarsi in un rinnovato multilateralismo", ha segnalato.
"Allo stesso tempo, l'efficacia delle misure adottate per affrontare la crisi attuale dovrebbe valutarsi sempre sulla base della capacità di risolvere il problema principale".
"Non dovremmo dimenticare che lo stesso mondo che potrebbe trovare in poche settimane trilioni di dollari per riscattare le banche e le istituzioni finanziarie di investimento non ha ancora potuto trovare l'1% di quella quantità per le necessità degli affamati, iniziando dai tre miliardi di dollari necessari per fornire cibo agli scolari che hanno fame o dai cinque miliardi necessari per sostenere il fondo alimentare d'emergenza del Programma Alimentare Mondiale".
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Promulgazione di decreti della Congregazione per le Cause dei Santi
- un miracolo, attribuito all'intercessione della Beata Bonifacia Rodriguez De Castro, Fondatrice della Congregazione delle Missionarie Serve di San Giuseppe; nata a Salamanca (Spagna) il 6 giugno 1837 e morta a Zamora (Spagna) l'8 agosto 1905;
- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni De Palafox y Mendoza, prima Vescovo di Puebla de los Angeles e poi Vescovo di Osma; nato a Fitero (Spagna) il 24 giugno 1600 e morto a Osma (Spagna) il 1 ottobre 1659;
- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Barbara della Ss.ma Trinità (al secolo: Barbara Maix), Fondatrice della Congregazione delle Suore dell'Immacolato Cuore di Maria; nata a Vienna (Austria) il 27 giugno 1818 e morta a Catumbi (Brasile) il 17 marzo 1873;
- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Anna Maria Adorni, Fondatrice della Congregazione delle Ancelle della Beata Maria Immacolata e dell'Istituto del Buon Pastore di Parma; nata a Fivizzano (Italia) il 19 giugno 1805 e morta a Parma (Italia) il 7 febbraio 1893;
- un miracolo, attribuito all'intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria dell'Immacolata Concezione (al secolo: Maria Isabella Salvat y Romero), Superiora Generale della Congregazione delle Suore della Compagnia della Croce; nata a Madrid (Spagna) il 20 febbraio 1926 e morta a Siviglia (Spagna) il 31 ottobre 1998;
- un miracolo, attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Stefano (al secolo: Giuseppe Nehmé), Religioso professo dell'Ordine Libanese dei Maroniti; nato a Lehfed (Libano) nel marzo 1889 e morta a Kfifane (Libano) il 30 agosto 1938;
- il martirio del Servo di Dio Szilárd Bogdánffy, Vescovo di Oradea Mare dei Latini; nato a Feketetó (Romania) il 21 febbraio 1911 e morto nel carcere di Nagyenyed (Romania) il 2 ottobre 1953;
- il martirio del Servo di Dio Gerardo Hirschfelder, Sacerdote diocesano; nato a Glatz (Germania) il 17 febbraio 1907 e morto nel campo di concentramento di Dachau (Germania) il 1° agosto 1942;
- il martirio del Servo di Dio Luigi Grozde, Laico, Membro dell'Azione Cattolica; nato a Gorenje Vodale (Slovenia) il 27 maggio 1923 e ucciso, in odio alla Fede, a Mirna (Slovenia) il 1° gennaio 1943;
- le virtù eroiche del Servo di Dio Francesco Antonio Marcucci, Arcivescovo-Vescovo di Montalto; nato a Force (Italia) il 27 novembre 1717 e morto a Montalto (Italia) il 12 luglio 1798;
- le virtù eroiche del Servo di Dio Giovanni Francesco Gnidovec, Vescovo di Skopje-Prizren; nato a Veliki Lipovec (Slovenia) il 29 settembre 1873 e morto a Ljubljana (Slovenia) il 3 febbraio 1939;
- le virtù eroiche del Servo di Dio Luigi Novarese, Sacerdote Diocesano e Fondatore dei Silenziosi Operai della Croce; nato a Casale Monferrato (Italia) il 29 luglio 1914 e morto a Rocca Priora (Italia) il 20 luglio 1984;
- le virtù eroiche della Serva di Dio Enrichetta Delille, Fondatrice della Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia; nata a New Orleans (Stati Uniti d'America) tra 1812 e 1813 ed ivi morta il 17 novembre 1862;
- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Teresa (al secolo: Regina Cristina Guglielmina Bonzel), Fondatrice dell'Istituto delle Povere Suore Francescane dell'Adorazione Perpetua del Terz'Ordine di San Francesco; nata a Olpe (Germania) il 17 settembre 1830 ed ivi morta il 6 febbraio 1905;
- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Francesca della Croce (al secolo: Amalia Francesca Rosa Streitel), Fondatrice dell'Istituto delle Suore dell'Addolorata; nata a Mellrichstadt (Germania) il 24 novembre 1844 e morta a Castel Sant'Elia (Italia) il 6 marzo 1911;
- le virtù eroiche della Serva di Dio Maria Felicia di Gesù Sacramentato (al secolo: Maria Felicia Guggiari Echeverría), Suora professa dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi; nata a Villarrica del Espíritu Santo (Paraguay) il 12 gennaio 1925 e morta ad Asunción (Paraguay) il 28 aprile 1959.
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Nuovi Nunzi Apostolici per Yemen, Emirati Arabi, Mauritius e Seychelles
Il Cardinal Sodano e il Cardinale Hummes Inviati Speciali del Papa
Nuovo Nunzio in Yemen e negli Emirati Arabi Uniti, ricorda un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede questo sabato, è monsignor Petar Rajič, Arcivescovo titolare di Sarsenterum, Nunzio Apostolico in Kuwait, Bahrein e Qatar e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica.
Il 13 marzo, il Vaticano aveva poi diffuso la nomina a Nunzio Apostolico a Mauritius e nelle Seychelles di monsignor Eugene Martin Nugent, Arcivescovo titolare di Domnach Sechnaill, Nunzio Apostolico in Madagascar e Delegato Apostolico nelle Isole Comore, con funzioni di Delegato Apostolico in La Réunion.
La Santa Sede ha anche riferito che il Pontefice ha nominato il Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, Legato Pontificio per la celebrazione del X Congresso Eucaristico di Spagna, che avrà luogo a Toledo dal 27 al 30 maggio 2010.
Il Cardinale Cláudio Hummes, O.F.M., Prefetto della Congregazione per il Clero, è stato invece nominato Inviato Speciale del Papa alle celebrazioni del XVI Congresso Eucaristico del Brasile, in programma a Brasilia dal 13 al 16 maggio prossimi.
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Notizie dal mondo
I frutti del Forum Giovanile "Imparare ad amare"
Termina il congresso promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici
ROMA, domenica, 28 marzo 2010 (ZENIT.org).- L'amore, la sessualità e come affrontare questi temi in una società sempre più secolarizzata sono stati i punti chiave del Forum "Imparare ad amare", che ha visto riuniti da mercoledì a questa domenica a Rocca di Papa (Roma) 250 giovani di 92 Paesi e 33 movimenti ecclesiali.
L'evento, organizzato dall'ufficio per i Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici, ha incluso conferenze, liturgie e momenti culturali che hanno permesso ai ragazzi e alle ragazze di approfondire il tema del vero amore, che ha come fonte e fine Dio.
Parlando con ZENIT, padre Eric Jacquinet, direttore per i Giovani del dicastero vaticano, ha definito l'evento un "concentrato di esperienze ecclesiali". "E' una goccia d'acqua, ma fa germogliare il bene in tutto il mondo a causa della diversità del tempo presente", ha osservato.
Cinque continenti, una sola fede
Nelle pause tra una conferenza e l'altra, i giovani hanno socializzato e pianificato attività culturali per il tempo libero serale. In varie lingue e traducendosi a vicenda, hanno trattato la realtà culturale ed ecclesiale dei propri Paesi. ZENIT ha parlato con un rappresentante di ogni continente per captare le impressioni su questo evento.
Rinora Gojani era la rappresentante del Paese più giovane del mondo, il Kosovo, che ha ottenuto l'indipendenza dall'Albania nel febbraio 2008. "E' la prima volta che rappresento il Kosovo come Paese in un forum internazionale", ha riconosciuto.
Per Rinora, che lavora nella Diocesi di Pristina, capitale del Paese, l'esperienza di vedere tanti cattolici "dà molta energia", visto che il suo Paese è a maggioranza musulmana. A Pristina, ha aggiunto, si sta costruendo la prima Cattedrale kosovara.
La ragazza lavora con i salesiani impartendo catechesi e laboratori ai bambini, molti dei quali musulmani. "Non possiamo dire 'Gesù', possiamo solo trasmettere il messaggio ma senza menzionare Gesù perché altrimenti saremmo fraintesi. Pensiamo che questo possa convertire, perché stiamo insegnando la parola di Gesù e il suo amore".
Develt O' Brien è giunto a Roma in rappresentanza della Conferenza Episcopale Australiana. "Penso che sia difficile parlare e condividere questa esperienza in un Paese così secolarizzato. A causa del relativismo, molta gente non riconosce ciò che è bene e ciò che è male", ha dichiarato.
La Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Sydney due anni fa, ha aggiunto, ha ad ogni modo lasciato molti frutti. "E' molto interessante constatare dei cambiamenti in parrocchie e gruppi giovanili. Molta gente è andata avanti sulla linea delle esperienze che abbiamo vissuto".
Per Develt, il Forum "aiuta ad approfondire il vero amore. Può illuminare ciò che accade nella vita, se si è capaci di seguire ciò che dice il Vangelo".
In rappresentanza di Palestina e Terra Santa c'era Gheneim Mughannam. "A noi che veniamo da questa zona risulta più difficile essere cristiani per la cultura, la lingua e la situazione che viviamo", ha confessato.
A suo avviso, vivere in Terra Santa dà "una testimonianza di Gesù molto forte perché Lui è cresciuto in quella terra e ha vissuto questa situazione, che in duemila anni non è cambiata molto".
Philomene Karelle Messi, rappresentante della Diocesi di Yaoundé, capitale del Camerun, ha espresso la propria gioia per aver partecipato al Forum: "Sono felice di conoscere e di interagire con persone di vari Paesi in una sola fede", fede che nel suo Paese si è vista molto rafforzata dalla visita di Benedetto XVI lo scorso anno.
"Ringraziamo il Signore che il Papa, tra tutti i Paesi africani, abbia scelto il Camerun, e serbiamo nel cuore il suo messaggio".
Uno dei delegati della Colombia era Carlos Sampedro, che ha definito il tema centrale del congresso "cruciale". "Il mondo ha bisogno di testimonianze di amore autentico", ha detto. "Siamo riuniti per riflettere, applicare ciò che ascoltiamo alla nostra vita, approfondire partendo dalla fede ciò che significa l'amore".
"E' difficile da riassumere, ma credo che ciò che caratterizza questo incontro sia la gioia di vedere persone nelle quali è riflessa la fede e con cui condivido esperienze simili di apostolato, di preoccupazione per la Chiesa", ha sottolineato.
"Tutti gli interventi sono stati molto interessanti. Il saluto del Santo Padre è stato il culmine, e ci ha tracciato l'orizzonte del vero amore e dell'incontro con il Signore. Dobbiamo raccogliere questo e tornare nei nostri Paesi per trasmettere questa esperienza di formazione", ha concluso.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Analisi
Il rispetto dei diritti umani in Vietnam
Continuano le restrizioni alla libertà religiosa
di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 28 marzo 2010 (ZENIT.org).- Recenti studi dimostrano che vi è ancora una grave carenza di libertà religiosa in Vietnam. Il rilascio di padre Nguyen Van Ly, il 15 marzo scorso, è una notizia buona ma rara, dopo mesi di continue pressioni da parte delle autorità.
Padre Ly ha trascorso tre anni in prigione, durante i quali ha sofferto di cuore. È stato rilasciato per consentirgli di ricevere cure mediche, secondo quanto riferito dall'Associated Press il 15 marzo.
Come ricorda l'agenzia, padre Ly è uno dei più noti personaggi a battersi per il rispetto dei diritti umani in Vietnam. Ha trascorso in prigione più di 15 anni della sua vita, a partire dal 1977.
Lo scorso luglio, 37 senatori degli Stati Uniti hanno indirizzato al Presidente del Vietnam, Nguyen Minh Triet, una lettera in cui chiedevano la sua liberazione. Secondo alcune fonti, dopo le cure mediche, le autorità potrebbero farlo rientrare in carcere.
La notizia è giunta poco dopo la pubblicazione, l'11 marzo, del rapporto del Dipartimento di Stato USA sui diritti umani per l'anno 2009. Nel capitolo dedicato al Vietnam, il rapporto sottolinea le restrizioni all'esercizio dei diritti umani.
Sulla questione della libertà di credo, il rapporto osserva che sebbene le leggi vietino gli abusi fisici, la polizia ha regolarmente maltrattato fisicamente gli imputati arrestati o detenuti. Alcuni di questi abusi sono stati perpetrati quando membri di Chiese protestanti non riconosciute hanno tentato di svolgere le loro funzioni in alcune province del Vietnam.
Il rapporto ammette che vi sono stati miglioramenti in relazione alla libertà di culto, ma osserva anche che le restrizioni a danno di gruppi religiosi continuano ad esistere. Ad esempio, le organizzazioni religiose devono essere ufficialmente riconosciute o registrate, e le loro attività e le nomine di vertice delle Congregazioni religiose devono essere approvate dalle autorità. Questo processo di registrazione avviene in modo "lento e non trasparente", osserva il rapporto.
Controlli
I controlli più severi si verificano quando il Governo ritiene che il gruppo religioso possa essere impegnato politicamente o possa in qualche modo rappresentare un ostacolo al suo operato, afferma il documento, che sottolinea ad ogni modo come la partecipazione alle attività religiose abbia continuato a crescere significativamente.
Il Dipartimento di Stato rileva che, secondo la Chiesa cattolica, il Governo ha continuato ad allentare le restrizioni sull'ammissione di nuovi sacerdoti e non ha obiettato alla nomina di tre nuovi Vescovi nel 2009.
Alcuni sacerdoti cattolici hanno inoltre riferito di un progressivo allentamento dei controlli da parte delle autorità sulle attività di alcune Diocesi fuori Hanoi.
Tuttavia, non tutti i funzionari del Governo USA sono così convinti che il rispetto della libertà religiosa stia migliorando in Vietnam. Il 12 marzo, la Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale (U.S. Commission on International Religious Freedom - USCIRF) ha emanato un comunicato stampa in cui denuncia l'arresto di Le Thi Cong Nhan.
Le Thi Cong Nhan è una dissidente di spicco, impegnata per la tutela dei diritti umani e della libertà religiosa, ricorda il comunicato. È stata scarcerata due mesi prima di aver concluso i tre anni di reclusione comminati per "attività antigovernativa". Pochi giorni dopo, però, è stata nuovamente arrestata per aver dichiarato ai giornalisti che il periodo di detenzione ha confermato in lei la "fede" nel pacifico "impegno per i diritti umani e la democrazia in Vietnam".
"L'USCIRF ha sottoposto all'Amministrazione Obama e al Congresso prove inconfutabili delle gravi e continue violazioni della libertà religiosa in Vietnam", dichiara il comunicato.
L'USCIRF riporta anche la testimonianza, resa durante l'audizione presso la Commissione affari esteri della Camera dei Rappresentanti, del Sottosegretario Kurt Campbell, che ha riconosciuto che il Vietnam sta "arretrando" sulle questioni dei diritti umani e della libertà religiosa.
Cresce la repressione
Anche Human Rights Watch stigmatizza la carenza di libertà religiosa in Vietnam. Il comunicato stampa che accompagna la presentazione del suo World Report 2010, il 21 gennaio, fa riferimento a un "clima di repressione politica sempre più dura in Vietnam".
Secondo Human Rights Watch, il Governo sta cercando di tacitare ogni opposizione in vista del congresso del Partito comunista vietnamita, previsto nel 2011.
Il comunicato sottolinea, oltre all'arresto di militanti politici, la dura repressione contro i cattolici del Centro e Nord Vietnam che si sono opposti alla confisca delle proprietà della Chiesa.
Secondo il rapporto, lo scorso anno i tribunali del Vietnam hanno condannato alla reclusione almeno 20 persone tra oppositori del Governo e militanti di Chiese indipendenti. Questi si aggiungono alle centinaia di pacifici attivisti politici e religiosi che già si trovano a scontare lunghe pene detentive in Vietnam, osserva.
Diversamente da quanto affermato nel rapporto del Dipartimento di Stato, l'organizzazione Human Rights Watch sostiene che la situazione della libertà religiosa si sia deteriorata nel 2009. "Il Governo ha preso di mira esponenti religiosi e loro seguaci che hanno fatto appello ai diritti civili, alla libertà religiosa e all'equa risoluzione delle controversie sui beni immobili", afferma.
Il rapporto evidenzia, ad esempio, i contrasti tra la polizia e le migliaia di cattolici che a Quang Binh hanno protestato contro le confische, operate dal Governo, delle proprietà della Chiesa. A luglio erano 200.000 i cattolici che hanno protestato pacificamente a Quang Binh, dopo che la polizia aveva distrutto una struttura temporanea adibita a cappella, eretta accanto alle rovine di una chiesa storica. Secondo Human Rights Watch, la polizia ha usato gas lacrimogeni e manganelli elettrici contro i fedeli; ha arrestato 19 persone, di cui 7 sono stati imputati di violazione dell'ordine pubblico.
Un altro esempio è quello dell'aggressione, da parte di una folla coordinata dal Governo, ai seguaci di Thich Nhat Hanh, noto monaco buddista che rivendica maggiore libertà religiosa.
Il rapporto riferisce anche degli arresti compiuti lo scorso anno dalle autorità negli altipiani centrali del Vietnam a danno di decine di cristiani locali, accusati di appartenere a Chiese domestiche non registrate.
In diverse occasioni, la polizia ha percosso gli abitanti degli altipiani con i manganelli elettrici, perché si erano rifiutati di sottoscrivere l'impegno ad aderire a Chiese autorizzate dal Governo, constata il rapporto.
Nessun cambiamento
Ad oggi, il 2010 non dà segni di miglioramento nel rispetto della libertà religiosa in Vietnam, come testimonia una serie di servizi. L'8 gennaio, AsiaNews ha riferito che nel cimitero di Dong Chiem è stato distrutto il crocifisso.
Secondo l'agenzia, padre John Le Trong Cung e i fedeli erano intervenuti prima della distruzione della croce per chiedere alla polizia di non perpetrare questa azione sacrilega, ma le centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa hanno reagito con violenza.
Il 18 gennaio, Compass Direct News ha riferito che Sung Cua Po, convertito al cristianesimo nel novembre del 2009, è stato percosso dagli agenti delle autorità locali nella provincia nord-occidentale di Dien Bien finché non ha abiurato la sua fede cristiana.
Il 25 gennaio, UCA News ha pubblicato un servizio sulle difficoltà dell'Arcidiocesi di Hanoi. A molti sacerdoti è stato impedito di visitare i cattolici locali, ha detto padre John Le Trong Cung, segretario della casa arcivescovile di Hanoi.
Il mese seguente, un gruppo di suore e laici, nella Diocesi di Dong Chiem, è stato violentemente aggredito dalle autorità locali, secondo un servizio di AsiaNews del 26 febbraio.
Il 24 febbraio alcune religiose della Congregazione delle Suore amanti della Santa Croce, provenienti da Ho Chi Minh City, e decine di fedeli laici sono stati aggrediti e percossi da agenti in borghese.
Paura
Il Guardian Weekly, nell'edizione del 3 marzo, ha pubblicato un articolo dal titolo "Vietnam's religious living in fear" ("I religiosi del Vietnam vivono nella paura").
"Per molti degli 8 milioni di cristiani del Vietnam, la domenica - una volta giorno di celebrazione e di riflessione - è diventata un momento di attenzione e di paura, di nascondimento nel culto", osserva l'articolo.
In un messaggio del 17 novembre, Papa Benedetto XVI ha scritto al presidente della Conferenza episcopale del Vietnam, il Vescovo Pierre Nguyen Van Nhon, di Da Lat.
Il messaggio è stato inviato in occasione dell'inizio dell'anno giubilare in Vietnam, che segna i 350 anni dalla creazione dei primi due vicariati apostolici e i 50 anni dall'istituzione della gerarchia cattolica nel Paese.
"Il Giubileo è anche un tempo speciale offerto per rinnovare l'annuncio del Vangelo ai concittadini e divenire sempre più una Chiesa che è comunione e missione", ha affermato il Papa. Una missione che la Chiesa in Vietnam continuerà a portare avanti, nonostante l'opposizione da parte delle autorità di governo.
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Bioetica
La Corte Costituzionale condanna la discriminazione degli embrioni
di monsignor Elio Sgreccia e Marina Casini
ROMA, domenica, 28 marzo 2010 (ZENIT.org).- Che la legge 40/2004, che regola la procreazione artificiale sia sotto il fuoco incrociato delle contestazioni e dei ricorsi alla Corte costituzionale è noto a tutti; molti hanno predetto la sua distruzione, nonostante si tratti di una legge consacrata da un referendum, prevedendo un progressivo svuotamento nelle parti significative.
Parti significative sono rappresentate dal riconoscimento dei diritti dell'embrione in collegamento ed equivalenza di diritti delle persone coinvolte, il divieto di soppressione degli embrioni e del loro congelamento, il divieto della fecondazione eterologa, il divieto della selezione eugenetica degli embrioni (di cui, evidentemente la discriminazione degli embrioni presuntivamente malformati mediante diagnosi preimpiantatoria è la più grave espressione), la proibizione dell'accesso alla fecondazione artificiale delle persone non sterili, oltre ad altri fatti più gravi come la clonazione, la fecondazione della donna sola o post mortem del marito.
E' stato per questo insieme di valori - di cui il primo è costituito dal diritto alla vita dell'embrione che anche i cattolici - (i quali per ragioni altrettanto significative e in particolare per la inscindibile connessione tra la dimensione unitiva e quella procreativa dell'atto coniugale, sono contrari ad ogni procreazione artificiale) hanno dato l'appoggio a questa legge per limitare il danno che è insito nelle tecnologie procreative e che era - prima della legge 40/2004 - vistosamente presente nella società a causa del c.d. "far west procreatico".
Il 12 marzo, con la sentenza n. 97, nel giudizio promosso da due ordinanze del Tribunale di Milano (6 e 10 marzo 2010) la Corte Costituzionale è tornata a pronunciarsi sulla legge intitolata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita".
La prima volta è stato nel 2006 (ordinanza n. 369), quando la Corte dichiarò inammissibile il ricorso per motivi procedurali, ma lasciando chiaramente intendere di voler confermare la legge.
La seconda volta è stato nella primavera dello scorso anno, quando la Corte con la sentenza n. 151 del 2009 aveva tolto il vincolo del numero massimo di embrioni da porre in vita e trasferire nelle vie genitali della donna - numero fissato a non più di tre dalla legge - ed aveva così ampliato la possibilità di congelamento. Si è trattato di una decisione assai criticata da parte di quanti vedevano, giustamente, nella legge 40 la c.d. "linea del Piave", ovvero la soglia al di sotto della quale non si doveva scendere. Le demolizioni dei punti significativi della legge 40 ad opera di quella sentenza avevano fatto temere che ciò fosse l'inizio di una deriva eugenetica mediante l'abbattimento del divieto di selezione eugenetica degli embrioni strettamente connesso alla diagnosi genetica pre-impianto. In effetti molti fautori di queste demolizioni avevano già fatto conoscere la loro speranza ulteriormente abolizionista su molti giornali e due Tribunali (Bologna nel giugno 2009 e Salerno nel gennaio 2010) in s seguito alla sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale avevano autorizzato la diagnosi genetica sugli embrioni umani.
Tuttavia - ecco il punto - con l'ordinanza n. 97/2010 del 12 marzo 2010, la Consulta interviene per la terza volta e, dichiarando la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, lascia intendere la costituzionalità del divieto di selezione eugenetica degli embrioni umani e della conseguente pratica della diagnosi genetica pre-impianto. Viene quindi confermato il principio di uguaglianza-non discriminazione tra esseri umani e, nonostante le precedenti demolizioni della legge, ciò consente di ritenere che la Corte voglia mantenere tutto il valore riconosciuto all'embrione in senso personalistico con l'art. 1 della legge stessa.
Sebbene le motivazioni della sentenza siano asciutte e basate su aspetti di carattere tecnico-procedurale, si può comunque ritenere che nel testo non ci sono spazi per manovre che consentono l'abolizione o l'indebolimento di questo principio della non discriminazione che è conseguente al principio di uguaglianza riconosciuto agli esseri umani e cioè alle persone.
Su questa linea c'è aperta una speranza per rivisitare anche altri momenti della nostra legislazione - come per esempio la modifica dell'articolo 1 del Codice Civile al fine di riconoscere la qualità di soggetto a tutti gli esseri umani a partire dal concepimento - e della prassi assistenziale in Medicina.
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Angelus
Benedetto XVI ricorda l'avvio delle Giornate Mondiali della Gioventù
Intervento in occasione dell'Angelus domenicale
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Mentre ci avviamo a concludere questa celebrazione, il pensiero non può non andare alla Domenica delle Palme di 25 anni fa. Era il 1985, che le Nazioni Unite avevano dichiarato "Anno della Gioventù". Il Venerabile Giovanni Paolo II volle cogliere quella occasione e, commemorando l'ingresso di Cristo in Gerusalemme acclamato dai suoi giovani discepoli, diede inizio alle Giornate Mondiali della Gioventù. Da allora, la Domenica delle Palme ha acquisito questa caratteristica, che ogni due o tre anni si manifesta anche nei grandi incontri mondiali, tracciando una sorta di pellegrinaggio giovanile attraverso l'intero pianeta alla sequela di Gesù. 25 anni or sono, il mio amato Predecessore invitò i giovani a professare la loro fede in Cristo che "ha preso su di sé la causa dell'uomo" (Omelia, 31 marzo 1985, nn. 5, 7: Insegnamenti VIII, 1 [1985], 884, 886). Oggi io rinnovo questo appello alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo. Consegno questo mandato in particolare ai 300 delegati del Forum Internazionale dei Giovani, venuti da ogni parte del mondo, convocati dal Pontificio Consiglio per i Laici.
Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani venuti da varie città e diocesi. Cari amici, non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese. Servitelo nelle persone più fragili e svantaggiate, in particolare nei vostri coetanei in difficoltà. A questo proposito, desidero assicurare anche una speciale preghiera per la Giornata mondiale dei portatori di autismo, promossa dall'ONU, che ricorrerà il prossimo 2 aprile.
In questo momento, il nostro pensiero e il nostro cuore si dirigono in modo particolare a Gerusalemme, dove il mistero pasquale si è compiuto. Sono profondamente addolorato per i recenti contrasti e per le tensioni verificatisi ancora una volta in quella Città, che è patria spirituale di Cristiani, Ebrei e Musulmani, profezia e promessa di quell'universale riconciliazione che Dio desidera per tutta la famiglia umana. La pace è un dono che Dio affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono. Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza!
Cari fratelli e sorelle! Come fece Gesù con il discepolo Giovanni, anch'io vi affido a Maria, dicendovi: Ecco la vostra madre (cfr Gv 19,27). A Lei ci rivolgiamo tutti con fiducia filiale, recitando insieme la preghiera dell'Angelus.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Documenti
Omelia di Benedetto XVI nella Domenica delle Palme
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Cari fratelli e sorelle,
cari giovani!
Il Vangelo della benedizione delle palme, che abbiamo ascoltiamo qui riuniti in Piazza San Pietro, comincia con la frase: "Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme" (Lc 19,28). Subito all'inizio della liturgia di questo giorno, la Chiesa anticipa la sua risposta al Vangelo, dicendo: "Seguiamo il Signore". Con ciò il tema della Domenica delle Palme è chiaramente espresso. È la sequela. Essere cristiani significa considerare la via di Gesù Cristo come la via giusta per l'essere uomini - come quella via che conduce alla meta, ad un'umanità pienamente realizzata e autentica. In modo particolare, vorrei ripetere a tutti i giovani e le giovani, in questa XXV Giornata Mondiale della Gioventù, che l'essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica.
Ma di quale direzione si tratta? Come la si trova? La frase del nostro Vangelo offre due indicazioni al riguardo. In primo luogo dice che si tratta di un'ascesa. Ciò ha innanzitutto un significato molto concreto. Gerico, dove ha avuto inizio l'ultima parte del pellegrinaggio di Gesù, si trova a 250 metri sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme - la meta del cammino - sta a 740-780 metri sul livello del mare: un'ascesa di quasi mille metri. Ma questa via esteriore è soprattutto un'immagine del movimento interiore dell'esistenza, che si compie nella sequela di Cristo: è un'ascesa alla vera altezza dell'essere uomini. L'uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l'alto. Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l'aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l'altro. Egli conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell'altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall'ingratitudine. Egli ci conduce verso l'amore - ci conduce verso Dio.
"Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme". Se leggiamo questa parola del Vangelo nel contesto della via di Gesù nel suo insieme - una via che, appunto, prosegue sino alla fine dei tempi - possiamo scoprire nell'indicazione della meta "Gerusalemme" diversi livelli. Naturalmente innanzitutto deve intendersi semplicemente il luogo "Gerusalemme": è la città in cui si trovava il Tempio di Dio, la cui unicità doveva alludere all'unicità di Dio stesso. Questo luogo annuncia quindi anzitutto due cose: da un lato dice che Dio è uno solo in tutto il mondo, supera immensamente tutti i nostri luoghi e tempi; è quel Dio a cui appartiene l'intera creazione. È il Dio di cui tutti gli uomini nel più profondo sono alla ricerca e di cui in qualche modo tutti hanno anche conoscenza. Ma questo Dio si è dato un nome. Si è fatto conoscere a noi, ha avviato una storia con gli uomini; si è scelto un uomo - Abramo - come punto di partenza di questa storia. Il Dio infinito è al contempo il Dio vicino. Egli, che non può essere rinchiuso in alcun edificio, vuole tuttavia abitare in mezzo a noi, essere totalmente con noi.
Se Gesù insieme con l'Israele peregrinante sale verso Gerusalemme, Egli ci va per celebrare con Israele la Pasqua: il memoriale della liberazione di Israele - memoriale che, allo stesso tempo, è sempre speranza della libertà definitiva, che Dio donerà. E Gesù va verso questa festa nella consapevolezza di essere Egli stesso l'Agnello in cui si compirà ciò che il Libro dell'Esodo dice al riguardo: un agnello senza difetto, maschio, che al tramonto, davanti agli occhi dei figli d'Israele, viene immolato "come rito perenne" (cfr Es 12,5-6.14). E infine Gesù sa che la sua via andrà oltre: non avrà nella croce la sua fine. Sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio; che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l'uomo nel suo corpo. Sa che il suo corpo risorto sarà il nuovo sacrificio e il nuovo Tempio; che intorno a Lui, dalla schiera degli Angeli e dei Santi, si formerà la nuova Gerusalemme che è nel cielo e tuttavia è anche già sulla terra, perché nella sua passione Egli ha aperto il confine tra cielo e terra. La sua via conduce al di là della cima del monte del Tempio fino all'altezza di Dio stesso: è questa la grande ascesa alla quale Egli invita tutti noi. Egli rimane sempre presso di noi sulla terra ed è sempre già giunto presso Dio, Egli ci guida sulla terra e oltre la terra.
Così, nell'ampiezza dell'ascesa di Gesù diventano visibili le dimensioni della nostra sequela - la meta alla quale Egli vuole condurci: fino alle altezze di Dio, alla comunione con Dio, all'essere-con-Dio. È questa la vera meta, e la comunione con Lui è la via. La comunione con Cristo è un essere in cammino, una permanente ascesa verso la vera altezza della nostra chiamata. Il camminare insieme con Gesù è al contempo sempre un camminare nel «noi» di coloro che vogliono seguire Lui. Ci introduce in questa comunità. Poiché il cammino fino alla vita vera, fino ad un essere uomini conformi al modello del Figlio di Dio Gesù Cristo supera le nostre proprie forze, questo camminare è sempre anche un essere portati. Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo - insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio. Egli ci tira e ci sostiene. Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata; che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l'entrare nel «noi» della Chiesa; l'aggrapparsi alla cordata, la responsabilità della comunione - il non strappare la corda con la caparbietà e la saccenteria. L'umile credere con la Chiesa, come essere saldati nella cordata dell'ascesa verso Dio, è una condizione essenziale della sequela. Di questo essere nell'insieme della cordata fa parte anche il non comportarsi da padroni della Parola di Dio, il non correre dietro un'idea sbagliata di emancipazione. L'umiltà dell'«essere-con» è essenziale per l'ascesa. Fa anche parte di essa che nei Sacramenti ci lasciamo sempre di nuovo prendere per mano dal Signore; che da Lui ci lasciamo purificare e corroborare; che accettiamo la disciplina dell'ascesa, anche se siamo stanchi.
Infine, dobbiamo ancora dire: dell'ascesa verso l'altezza di Gesù Cristo, dell'ascesa fino all'altezza di Dio stesso fa parte la Croce. Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio, come la gioia per una grande scoperta conoscitiva o per una vera capacità operativa è legata alla disciplina, anzi, alla fatica dell'apprendimento, così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all'altezza di Dio attraverso la Croce. In ultima analisi, la Croce è espressione di ciò che l'amore significa: solo chi perde se stesso, si trova.
Riassumiamo: la sequela di Cristo richiede come primo passo il risvegliarsi della nostalgia per l'autentico essere uomini e così il risvegliarsi per Dio. Richiede poi che si entri nella cordata di quanti salgono, nella comunione della Chiesa. Nel «noi» della Chiesa entriamo in comunione col «Tu» di Gesù Cristo e raggiungiamo così la via verso Dio. È richiesto inoltre che si ascolti la Parola di Gesù Cristo e la si viva: in fede, speranza e amore. Così siamo in cammino verso la Gerusalemme definitiva e già fin d'ora, in qualche modo, ci troviamo là, nella comunione di tutti i Santi di Dio.
Il nostro pellegrinaggio alla sequela di Cristo quindi non va verso una città terrena, ma verso la nuova Città di Dio che cresce in mezzo a questo mondo. Il pellegrinaggio verso la Gerusalemme terrestre, tuttavia, può essere proprio anche per noi cristiani un elemento utile per tale viaggio più grande. Io stesso ho collegato al mio pellegrinaggio in Terra Santa dello scorso anno tre significati. Anzitutto avevo pensato che a noi può capitare in tale occasione ciò che san Giovanni dice all'inizio della sua Prima Lettera: quello che abbiamo udito, lo possiamo, in certo qual modo, vedere e toccare con le nostre mani (cfr 1Gv 1,1). La fede in Gesù Cristo non è un'invenzione leggendaria. Essa si fonda su di una storia veramente accaduta. Questa storia noi la possiamo, per così dire, contemplare e toccare. È commovente trovarsi a Nazaret nel luogo dove l'Angelo apparve a Maria e le trasmise il compito di diventare la Madre del Redentore. È commovente essere a Betlemme nel luogo dove il Verbo, fattosi carne, è venuto ad abitare fra noi; mettere il piede sul terreno santo in cui Dio ha voluto farsi uomo e bambino. È commovente salire la scala verso il Calvario fino al luogo in cui Gesù è morto per noi sulla Croce. E stare infine davanti al sepolcro vuoto; pregare là dove la sua santa salma riposò e dove il terzo giorno avvenne la risurrezione. Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è Lui stesso.
Quando andiamo in Terra Santa come pellegrini, vi andiamo però anche - e questo è il secondo aspetto - come messaggeri della pace, con la preghiera per la pace; con l'invito forte a tutti di fare in quel luogo, che porta nel nome la parola "pace", tutto il possibile affinché esso diventi veramente un luogo di pace. Così questo pellegrinaggio è al tempo stesso - come terzo aspetto - un incoraggiamento per i cristiani a rimanere nel Paese delle loro origini e ad impegnarsi intensamente in esso per la pace.
Torniamo ancora una volta alla liturgia della Domenica delle Palme. Nell'orazione con cui vengono benedetti i rami di palma noi preghiamo affinché nella comunione con Cristo possiamo portare il frutto di buone opere. Da un'interpretazione sbagliata di san Paolo, si è sviluppata ripetutamente, nel corso della storia e anche oggi, l'opinione che le buone opere non farebbero parte dell'essere cristiani, in ogni caso sarebbero insignificanti per la salvezza dell'uomo. Ma se Paolo dice che le opere non possono giustificare l'uomo, con ciò non si oppone all'importanza dell'agire retto e, se egli parla della fine della Legge, non dichiara superati ed irrilevanti i Dieci Comandamenti. Non c'è bisogno ora di riflettere sull'intera ampiezza della questione che interessava l'Apostolo. Importante è rilevare che con il termine "Legge" egli non intende i Dieci Comandamenti, ma il complesso stile di vita mediante il quale Israele si doveva proteggere contro le tentazioni del paganesimo. Ora, però, Cristo ha portato Dio ai pagani. A loro non viene imposta tale forma di distinzione. A loro viene dato come Legge unicamente Cristo. Ma questo significa l'amore per Dio e per il prossimo e tutto ciò che ne fa parte. Fanno parte di quest'amore i Comandamenti letti in modo nuovo e più profondo a partire da Cristo, quei Comandamenti che non sono altro che le regole fondamentali del vero amore: anzitutto e come principio fondamentale l'adorazione di Dio, il primato di Dio, che i primi tre Comandamenti esprimono. Essi ci dicono: senza Dio nulla riesce in modo giusto. Chi sia tale Dio e come Egli sia, lo sappiamo a partire dalla persona di Gesù Cristo. Seguono poi la santità della famiglia (quarto Comandamento), la santità della vita (quinto Comandamento), l'ordinamento del matrimonio (sesto Comandamento), l'ordinamento sociale (settimo Comandamento) e infine l'inviolabilità della verità (ottavo Comandamento). Tutto ciò è oggi di massima attualità e proprio anche nel senso di san Paolo - se leggiamo interamente le sue Lettere. "Portare frutto con le buone opere": all'inizio della Settimana Santa preghiamo il Signore di donare a tutti noi sempre di più questo frutto.
Alla fine del Vangelo per la benedizione delle palme udiamo l'acclamazione con cui i pellegrini salutano Gesù alle porte di Gerusalemme. È la parola dal Salmo 118 (117), che originariamente i sacerdoti proclamavano dalla Città Santa ai pellegrini, ma che, nel frattempo, era diventata espressione della speranza messianica: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Sal 118[117],26; Lc 19,38). I pellegrini vedono in Gesù l'Atteso, che viene nel nome del Signore, anzi, secondo il Vangelo di san Luca, inseriscono ancora una parola: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore". E proseguono con un'acclamazione che ricorda il messaggio degli Angeli a Natale, ma lo modifica in una maniera che fa riflettere. Gli Angeli avevano parlato della gloria di Dio nel più alto dei cieli e della pace in terra per gli uomini della benevolenza divina. I pellegrini all'ingresso della Città Santa dicono: "Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!". Sanno troppo bene che in terra non c'è pace. E sanno che il luogo della pace è il cielo - sanno che fa parte dell'essenza del cielo di essere luogo di pace. Così questa acclamazione è espressione di una profonda pena e, insieme, è preghiera di speranza: Colui che viene nel nome del Signore porti sulla terra ciò che è nei cieli. La sua regalità diventi la regalità di Dio, presenza del cielo sulla terra. La Chiesa, prima della consacrazione eucaristica, canta la parola del Salmo con cui Gesù venne salutato prima del suo ingresso nella Città Santa: essa saluta Gesù come il Re che, venendo da Dio, nel nome di Dio entra in mezzo a noi. Anche oggi questo saluto gioioso è sempre supplica e speranza. Preghiamo il Signore affinché porti a noi il cielo: la gloria di Dio e la pace degli uomini. Intendiamo tale saluto nello spirito della domanda del Padre Nostro: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!". Sappiamo che il cielo è cielo, luogo della gloria e della pace, perché lì regna totalmente la volontà di Dio. E sappiamo che la terra non è cielo fin quando in essa non si realizza la volontà di Dio. Salutiamo quindi Gesù che viene dal cielo e lo preghiamo di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio. Che la regalità di Dio entri nel mondo e così esso sia colmato con lo splendore della pace. Amen.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Portavoce vaticano: da questa crisi, l'autorità del Papa esce rafforzata
Editoriale di padre Federico Lombardi S.I. alla "Radio Vaticana"
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La questione degli abusi sessuali su minori da parte di membri del clero cattolico ha continuato ad essere largamente presente sui media di molti Paesi, in particolare in Europa e in America del Nord anche negli ultimi giorni, dopo la pubblicazione della lettera del Papa ai cattolici irlandesi. Non è una sorpresa. L'argomento è di natura tale da attirare di per sé l'attenzione dei media, e il modo in cui la Chiesa lo affronta è cruciale per la sua credibilità morale.
In realtà, i casi portati all'attenzione del pubblico sono avvenuti generalmente diverso tempo fa, anche decenni addietro, ma riconoscerli e farne ammenda nei confronti delle vittime è il prezzo del ristabilimento della giustizia e di quella "purificazione della memoria" che permette di guardare con rinnovato impegno, e insieme con umiltà e fiducia al futuro.
A questa fiducia contribuiscono i numerosi segnali positivi venuti da diverse Conferenze episcopali, vescovi e istituzioni cattoliche di vari Paesi nei diversi continenti: le direttive per la corretta gestione e la prevenzione degli abusi, ribadite, aggiornate e rinnovate in Germania, Austria, Australia, Canada, e così via.
In particolare una buona notizia è rappresentata dal settimo rapporto annuale sull'applicazione della "Carta per la protezione dei bambini e dei giovani" della Chiesa negli Stati Uniti. Senza indulgere a compiacimenti fuori luogo, non si può non riconoscere lo sforzo straordinario di prevenzione compiuto con numerosissimi corsi di formazione e training sia per i giovani sia per tutto il personale pastorale ed educativo, e si deve prendere atto che il numero delle accuse di abuso è sceso nell'ultimo anno di oltre il 30%, la maggior parte delle quali riguarda fatti di oltre trent'anni fa. Senza entrare in altri dettagli, si deve riconoscere che le misure decise e in corso di attuazione si stanno manifestando efficaci.
La Chiesa negli Stati Uniti ha preso la strada buona per rinnovarsi. Questa ci pare una notizia importante nel contesto dei recenti attacchi mediatici, che hanno provocato indubbiamente dei danni.
Ma a un osservatore non superficiale non sfugge che l'autorità del Papa e l'impegno intenso e coerente della Congregazione per la Dottrina della Fede ne escono non indeboliti, ma confermati nel sostenere e orientare gli episcopati nel combattere ed estirpare la piaga degli abusi dovunque si manifesti.
La recente lettera del Papa alla Chiesa di Irlanda ne è una testimonianza intensa che contribuisce a preparare il futuro attraverso un cammino di "guarigione, rinnovamento, riparazione". Con umiltà e con fiducia, in spirito di penitenza e di speranza, la Chiesa entra ora nella Settimana Santa e domanda la misericordia e la grazia del Signore che soffre e risorge per tutti.
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Omelia di monsignor Clemens al Forum Internazionale dei Giovani
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Eminenza,
Carissimi confratelli nel sacerdozio,
Carissimi fratelli e sorelle in Cristo,
Carissimi amici!
1. Il profeta Ezechiele di Michelangelo
Nella Cappella Sistina, in questo incomparabile luogo storico e artistico - ma anche liturgico e spirituale del Vaticano, al lato destro della volta, in posizione centrale, si trova la gigantesca figura del profeta Ezechiele, dipinta «a fresco» da Michelangelo nell'anno 1510. Ezechiele fa parte della serie dei sette profeti - grandi e minori - dell'Antico Testamento, come Geremia, Isaia e Daniele, Gioele, Zaccaria e Giona, dipinti negli spazi tra le vele .[1]
Avendo appena ascoltato la prima lettura tratta dal libro di Ezechiele (Ez 37, 21-28), vedo una felice coincidenza per il nostro Forum che, nell'affresco di Michelangelo, il vecchio Ezechiele venga raffigurato a colloquio con un giovane. Ezechiele, che proviene da una tribù sacerdotale e opera nel sesto secolo prima di Cristo nell'esilio a Babilonia (dal 598 all'anno 539), porta sul capo e sulle spalle il «tallèd», lo scialle di preghiera della tradizione ebraica. A ogni colore dell'abito di questa maestosa figura si può attribuire un significato proprio: il blu chiaro della sciarpa significa la contemplazione, il rosso del vestito sta per l'amore e la penitenza è rappresentata dal color viola del mantello.
Gli occhi del profeta fissano le due mani del ragazzo alla sua sinistra puntate verso l'alto. La mano destra di Ezechiele è aperta in atteggiamento oratorio, che appoggia e conferma l'evidenza delle sue parole. Con la mano sinistra tiene fermo un rotolo aperto a metà, che dovrebbe essere il libro delle profezie, del quale si scorgono alcune scritte indecifrabili.
Il giovane - dipinto con richiami a Sandro Botticelli (1455-1510) - si appoggia con un piede su un libro chiuso e, mentre si volta leggermente a sinistra, tiene lo sguardo fisso sugli occhi dell'uomo di Dio. Tutta la composizione genera l'impressione che regni una certa tensione fra i due, quasi che due opinioni o visioni si oppongano: l'imponente figura del profeta è movimentata e il suo movimento stesso sembra soffiare sullo scialle di preghiera. Ezechiele si sta girando verso il ragazzo - quasi in un atteggiamento di sfida - che vuole significare: credimi, ho ragione! Dalla mia parte stanno la parola di Dio e anche l'esperienza di una lunga vita!
Allora si pone la domanda: di che cosa vuole convincere questo giovane il grande profeta Ezechiele?
2. L'odierna parola di Ezechiele
Il brano del libro di Ezechiele appena ascoltato potrebbe offrire alla nostra domanda una pur parziale riposta.[2] Questi sette versetti contengono elementi essenziali del suo pensiero profetico, e nello stesso tempo rimandano ad alcuni spunti emersi dalle nostre riflessioni di questi quattro giorni.
Il profeta Ezechiele rivela in questo brano la promessa e il progetto, che Dio vuole adempiere nel suo popolo. Questa promessa è un'alleanza di pace, che rimarrà per sempre, è un impegno divino senza una data di scadenza. Gli uomini non meritano questo patto e per questo si tratta di un puro dono di Dio, semplicemente perché Egli ama gli uomini.
Ezechiele presenta come contenuto dell'alleanza tre promesse, delle quali Dio stesso è l'attore principale: "... di' loro: Così dice il Signore Dio" (Ez 37, 21):
· "Li moltiplicherò ... " (cfr. Ez 37, 26 b )
· "In mezzo a loro sarà la mia dimora ..." (cfr. Ez 37, 28)
· "Io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo" (cfr. Ez 37, 23 b; 27 b)
La prima promessa ricorda l'appello di Dio alla fecondità nel libro della Genesi (cfr. Gen 1, 28; 9, 1), ma mette l'accento sulla partecipazione divina nella crescita del suo popolo. Qui tocchiamo l'argomento di ieri, cioè la fecondità dell'amore, che può assumere varie forme, ma è sempre un dono di Dio. Ezechiele è fermamente convinto che Dio è il Signore della vita (cfr. Ez 18, 4), come fa vedere nella prima parte dello stesso capitolo trentasette, dove traspare la vocazione dell'uomo alla vita eterna (cfr. Ez 37,5).
La seconda promessa proclama la futura dimora di Dio in mezzo al suo popolo. È la visione del nuovo tempio che sarà al centro del paese (cfr. Ez, 40-44). Dio non rimane lontano «sopra le nuvole», ma sarà presente e sempre accessibile per i suoi. Questo significa che l'uomo può rivolgersi direttamente a Lui, specialmente nei momenti decisivi della sua vita, com'è la scelta dello stato di vita, o la scelta di una professione o la scelta di un partner. Molti cercano altri consiglieri e dimenticano il vero maestro della vita e della «scuola dell'amore».
La terza promessa - la cosiddetta «Formula dell'Alleanza» - ricorda nella prima parte - "Io sarò il loro Dio" - il primo comandamento del decalogo (cfr. Es 20, 2; Dt 5,6) e nello stesso tempo conferma la singolare elezione del suo popolo - "Essi saranno il mio popolo" - (cfr. Ger 30, 22). Sappiamo tutti che molti nostri contemporanei aspirano ad altri «dei», come la ricchezza materiale o l'immagine pubblica. Questo vale anche per tante relazioni sociali, talvolta anche per la vita familiare e i rapporti d'amicizia, cioè si obbedisce ai «modelli d'interesse» che sono in questo momento «en vogue» nel mondo.
3. Con Ezechiele nella «scuola d'amore» di Dio
Ritorniamo alla nostra domanda iniziale: che cosa potrebbe aver detto Ezechiele al giovane raffigurato da Michelangelo nella Cappella Sistina? Basandoci sulle parole della prima lettura avrebbe detto: carissimo giovane, non dimenticare mai che Dio è il Dio della vita. Non chiuderti davanti alle sue promesse e al suo progetto di vita per te. Non dimenticare nelle tue decisioni che Dio ha preso la sua dimora presso gli uomini, che Lui ti sta vicino. Va a consultarti con lui, e da' alle sue - talvolta sommesse - parole un credito più grande che alle parole grossolane del mondo. Non accettare altri «dei» come ideali o come esempi, non dimenticare o tradire mai la tua vocazione che ti rende appartenente del suo popolo! Così gli altri riconosceranno - oppure no - in te la presenza e l'agire del Dio invisibile!
Carissimi amici,
Possiamo dire che il matrimonio cristiano presuppone l'accettazione delle promesse di Dio che abbiamo ascoltato oggi dalla bocca del profeta Ezechiele. Tutto l'agire di Dio è una manifestazione del suo amore per l'uomo il quale è chiamato ad entrare in questa dinamica divina d'amore.
La fondamentale differenza da ogni altra forma d'inizio del percorso di una «vita insieme» sta nel fatto che il matrimonio cristiano è preparato e intrapreso e vissuto nella presenza di Dio e con Dio. Dio è il primo testimone e il costante compagno dell'amore dei coniugi. Questa presenza di Dio non è un disturbo o una specie d'ingerenza nella vita coniugale, ma offre a questo grande progetto una chiara direzione e una forte stabilità. Il matrimonio cristiano non è un «circolo chiuso», ma tiene sempre aperta la porta alla vita, alle amicizie vere e all'aiuto per i bisognosi. Così si conosce «da fuori» chi è il Dio dei coniugi e della famiglia, e a quale popolo loro veramente appartengono.
Quest'apertura a Dio e questo riferimento continuo a Lui non valgono solo per il matrimonio e la vita familiare dei cristiani, ma valgono per ogni «vera» relazione interpersonale. Già il grande Cicerone sapeva, nel primo secolo avanti Cristo, che l'amicizia vera presuppone la concordia nelle cose umane e divine, che vuol dire l'accordo sui grandi valori e virtù umane, ma anche in modo speciale il consenso sulla «domanda di Dio».[3] Sono convinto che molti matrimoni falliscono nei nostri giorni perché non si è mai cercato questo consenso/concordia, specialmente nelle «cose divine»!
Ricordiamoci alla fine tre «materie» irrinunciabili per ogni «scuola dell'amo-re», simboleggiati da Michelangelo nei colori del vestito di Ezechiele. Oltre l'abbondante rosso dell'amore vero e profondo, il blu chiaro ci ricorda la meditazione, cioè la necessità di una relazione personale con Dio nella preghiera, e il viola la penitenza, cioè il bisogno del perdono reciproco!
Sappiamo tutti che il progetto d'amore di Dio non è facile, ma sappiamo allo stesso tempo che possediamo delle promesse divine, cioè l'assicurazione della sua vicinanza e del suo conforto, annunciate da Ezechiele circa duemilaseicento anni fa e realizzate appieno nel Figlio di Dio, Gesù Cristo.
Papa Benedetto XVI commenta nella sua prima lettera enciclica «Deus caritas est» (n. 12) l'incarnazione del «Dio-con-noi»: "La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito. Già nell'Antico Testamento la novità biblica non consiste in nozioni astratte, ma nell'agire imprevedibile e in un certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la pecorella smarrita, l'umanità sofferente e perduta ... Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale ... È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare."[4]
Amen.
a Mons. Josef Clemens,
Città del Vaticano
[1] Cfr. H. W. Pfeiffer SJ, Die Sixtinische Kapelle - neu entdeckt, Belser Verlag, Stuttgart 2007, 161 s.
[2] Cfr. M. Greenberg, Ezechiel, vol. II, cap. 21-37, in: HThKAT, Editrice Herder, Freiburg im Breisgau 2005, 474-477; K. F. Pohlmann, Der Prophet Hesekiel/Ezechiel, Kapitel 20-48, in: ATD 22, 2, Editrice Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2000; H.F. Fuhs, Ezechiel II 25-48, in: Die Neue Echter Bibel, Kommentar zum Alten Testament mit der Einheitsübersetzung, Editore Echter, Würzburg 1988, 211-213.
[3] Cfr. Marcus Tullius Cicero, Laelius de amicitia - Über die Freundschaft, Lateinisch-Deutsch ed. M. Faltner, Collana:Tusculum-Bücherei, Heimeran Verlag, München 1966, 28: „Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio."
[4] Benedetto XVI, Lettera enciclica Deus caritas est, 25 dicembre 2005, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, 30 s.
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