Fabio Mini, già comandante della forza internazionale di pace in Kosovo e Capo di Stato Maggiore NATO in Sud Europ, analizza un possibile intervento delle forze occidentali contro Gheddafi
Il generale Fabio Mini
“E’ probabile che la no-fly zone sulla Libia porti a un’invasione di terra. Di più, la no-fly zone non è un atto militarmente determinante. Può essere imposta per anni su un Paese, senza toccare davvero la sua forza militare”. Il generale Fabio Mini, già comandante della forza internazionale di pace in Kosovo e Capo di Stato Maggiore NATO in Sud Europa, vede pesanti nubi di guerra addensarsi sulla Libia. La no-fly zone, spiega, potrebbe essere l’inizio “di una escalation militare dagli esiti imprevedibili e potenzialmente distruttivi”.
Iniziamo dalla risoluzione 1973 votata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Che cosa prevede, esattamente? Solo il controllo dello spazio aereo della Libia, o qualcosa di più?
Ci sono due aspetti da considerare. Il primo è che per applicare la no-fly zone bisogna essere comunque in grado di colpire gli obiettivi a terra che sostengono la forza aerea. E quindi le basi aeree, le basi missilistiche, le artiglierie contraeree, i radar, tutta la strumentazione che deve essere messa fuori uso prima di controllare lo spazio aereo. C’è poi il secondo aspetto, quello della risoluzione 1973 votata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ieri, che non istituisce semplicemente la no-fly zone, ma che dà alla comunità internazionale il diritto di usare tutti i mezzi possibili per proteggere la popolazione civile.
Quindi qualcosa di più della semplice no-fly zone?
Esattamente. La risoluzione dà alla comunità internazionale non soltanto il diritto di presidiare lo spazio aereo, ma anche quello di intervenire ogni volta che la sicurezza dei civili sia messa in pericolo. Questo significa che se le truppe di Gheddafi decidessero di bombardare Bengasi, o qualsiasi altra città, gli eserciti stranieri avrebbero comunque il diritto di bombardare. Con i rischi per i civili che possiamo immaginare. Cosa faremo nel caso Gheddafi e i suoi mercenari decidessero di condurre operazioni militari contro i ribelli e le loro famiglie nelle città riconquistate? Bombarderemo? E le nostre bombe chi colpiranno? In Kosovo abbiamo tranquillamente bombardato obiettivi civili, pensando che fossero militari.
Una no-fly zone ha comunque la possibilità di rivelarsi determinante per fermare le truppe di Gheddafi e bloccare la carneficina?
Assolutamente no. Saddam Hussein ebbe due no-fly zone per ben 12 anni. Per reprimere gli sciiti e i curdi, gli bastò strisciare, non ebbe bisogno dello spazio aereo. Per assurdo, il divieto di volare può aumentare la disposizione di un tiranno sanguinario di fare a terra quello che non può fare dall’aria. E’ successo con Saddam, ma è successo anche con l’operazione Deny Flight in Bosnia-Erzegovina, con il divieto di volo ai serbi. Ciò che non impedì che ci fosse Srebrenica e gli altri massacri.
Da un punto di vista militare, di cosa ha bisogno l’imposizione di una no-fly zone?
Di una marea di cose. Di aerei intercettori che effettuino il pattugliamento, di sorveglianza radar, di aerei per il rifornimento in volo, di AWACS per le operazioni di identificazione degli obiettivi, di un sostegno logistico enorme, di basi avanzate, come quelle di Sigonella, Gioia del Colle, Trapani, e di altre più arretrate, come Aviano. C’è bisogno, nel caso della Libia, di una copertura anche navale. Con i radar delle navi si può controllare il territorio, con i missili delle navi, soprattutto quelli superficie-aria, si può fiaccare la resistenza dell’esercito libico. Ma c’è bisogno soprattutto di una straordinaria coesione politica e diplomatica. Tutti i Paesi intorno alla Libia devono essere coinvolti. La Mauritania, il Ciad, gli altri stati africani che hanno tradizionalmente legami stretti con Gheddafi, e verso cui il rais potrebbe spostare parte della sua forza militare.
Un’ultima domanda, generale Mini. Quale può essere l’esito finale della no-fly zone?
L’occupazione militare. Data l’esperienza passata, non esiste un solo esperimento di no-fly zone che si sia concluso senza ricorrere all’intervento delle truppe di terra. E’ ovvio che sia così. Di solito il Paese cui viene imposta la zona di esclusione aerea continua a massacrare i suoi nemici, a reprimere i civili, a produrre fenomeni migratori. Le forze straniere sono costrette a intensificare gli attacchi. Il passo successivo è la guerra totale, con l’invasione da parte delle truppe di terra. Boots on the ground, scarponi sul terreno, come si dice in gergo. E’ successo in Bosnia, è successo in Kosovo, è successo in Iraq. Ci sarà bisogno di un’ulteriore risoluzione ONU, ma è questo l’esito più probabile.
Il fattoquotidiano
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