«Amanda e Raffaele erano lì;
Tre prove li incastrano»
Le accuse della Scientifica. La difesa: impianto sgretolato
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
PERUGIA — Tre indizi per formare la prova e sostenere che i tre imputati erano nella stanza del delitto. Tracce di sangue e Dna per affermare che uccisero Meredith Kercher e poi cercarono di alterare la scena del crimine. I test effettuati dalla polizia Scientifica superano l'esame dell'udienza preliminare e aprono la strada al rinvio a giudizio di Amanda Knox e Raffaele Sollecito. Perché è proprio del ragazzo barese il codice genetico trovato sul reggiseno della vittima. Dunque, sostiene l'accusa, «lui era lì insieme agli altri, partecipò all'omicidio». Poi, nel tentativo di avvalorare questa tesi, il pubblico ministero deposita una nuova relazione per smentire la versione fornita da Rudy Hermann Guede, l'unico ad aver chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato.
Sono in aula i presunti assassini, sempre vicino ai propri avvocati. Vietato parlarsi e allora seguono attenti la discussione tra i periti, il contradditorio che può segnare il loro destino. Si parla di macchie ematiche, di alleli, di compatibilità. Dettagli tecnici, nulla a che vedere con le testimonianze e gli alibi relativi a quella sera del primo novembre quando la ventunenne inglese — a Perugia da due mesi con il progetto Erasmus — fu uccisa a coltellate. Ma si capisce che l'accusa segna un punto decisivo a proprio favore anche se poi, alla fine dell'udienza, i legali di Sollecito sosterranno che «è andata bene, l'impianto si è sgretolato».
Dura nove ore l'interrogatorio di Patrizia Stefanoni, la biologa della Scientifica che coordina l'Ert, gli esperti nella ricerca delle tracce. I consulenti della difesa la incalzano, ribadiscono che le prove sono state contraffatte. Sostengono che il Dna sul gancetto del reggiseno è frutto di contaminazione, dichiarano che anche la traccia mista di Amanda e Meredith rilevata sul coltello di Raffaele non prova che è l'arma del delitto. Sono i due indizi principali e le loro argomentazioni vengono smontate. «Perché — spiega Stefanoni — per ogni reperto abbiamo usato un paio di guanti diversi, come possono testimoniare i periti scelti della difesa. E siccome il Dna non vola, è impossibile che i reperti siano stati alterati».
Quando si parla di Rudy, il pubblico ministero Giuliano Mignini deposita una nuova relazione sul cuscino trovato sotto il corpo di Meredith, per sostenere che l'ivoriano non fece alcun tentativo di soccorrerla ma anzi partecipò all'omicidio. «Fatti vecchi», liquidano i difensori Walter Biscotti e Nicodemo Gentile. Ma è il terzo indizio che l'accusa userà. L'ulteriore tassello che giocherà alla prossima udienza, il 18 ottobre, quando chiederà la sua condanna e il processo per Amanda e Raffaele. I legali del barese — Giulia Bongiorno, Luca Maori e Marco Brusco — ostentano sicurezza quando si tratta di fare previsioni sull'esito finale. Ma appare difficile che riescano ad evitare il dibattimento davanti alla Corte d'assise.
Fiorenza SarzaniniCorriere
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