da diossina a Taranto, che ha contaminato oltre mille capi di bestiame. Su
http://comitatopertaranto.blogspot.com/2008/10/taranto-pecore-diossine.html
potete vedere il filmato, in cui PeaceLink viene citata come associazione
che ha sollevato clamorosamente il caso con l'analisi di un pezzo di
formaggio locale contaminato da diossine e PCB.
Da quella analisi e dall'esposto alla Procura della Repubblica -
presentato da PeaceLink - ne è discesa prima un'indagine dell'Asl di
Taranto (che ha confermato l'allarme di PeaceLink) e poi un'indagine della
magistratura che è attualmente in corso.
Adesso il giornalista Guglielmo Nardocci ha scritto per Famiglia Cristiana
un pezzo in cui racconta la storia degli allevatori che a Taranto sono
stati rovinati dalle emissioni di diossina. Gli economisti definiscono
tutto ciò "costi esterni".
L'articolo lo riportiamo qui sotto e cogliamo l'occasione per ringraziare
Irene Benassi (RAI) e Guglielmo Nardocci (Famiglia Cristiana) per la
serietà dell'impegno nel documentare questa storia sconvolgente che
costituisce un'emergenza nazionale a nostro parere per lungo tempo taciuta
o minimizzata.
Ora la verità è sotto gli occhi di tutti, anche grazie alle associazioni
ambientaliste; si pensi alle analisi del sangue di "TarantoViva" che hanno
confermato la presenza di diossina nel sangue di alcuni tarantini, o alle
analisi del latte materno fatto da "Bambini contro l'inquinamento" che
hanno rintracciato diossina anche nelle mamme che allattano in loco.
Adesso Arpa Puglia e Asl sono in grado di documentare analisticamente il
"profilo" delle diossine e ci auguriamo che quanto prima tale profilo sia
associato - grazie alle indagini della magistratura - in modo chiaro e
inequivocabile alla sua fonte di emissione.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
Fonte: Famiglia Cristiana
TARANTO
CLAMOROSA SVOLTA NELLE INDAGINI PER INQUINAMENTO
Il Triangolo Maledetto
È quello compreso tra Taranto, Statte e le acciaierie Ilva. Qui dovranno
essere abbattuti 1.050 capi di bestiame che pascolavano nella zona
contaminata dalla diossina.
Il silenzio degli innocenti è calato sulle fattorie di Angelo Fornaro,
Giuseppe Sperto, Cosimo Quaranta e i loro allevamenti, localizzati dalle
autorità nel triangolo maledetto inquinato dalla diossina fra Taranto,
Statte e le acciaierie Ilva.
Un'ordinanza della Regione Puglia, dopo mesi di indagini della Procura di
Taranto, ha stabilito che i 1.050 capi di bestiame che pascolano nella
zona dovranno essere abbattuti, perché gli esami delle autorità sanitarie
hanno rivelato livelli di diossina troppo alti nelle carni degli animali.
«Scrivi la mia lettera agli agnelli che non nasceranno, a quelli che sono
già nati e pensavano di morire di Pasqua invece che di inquinamento; e
scrivi pure di quelli che non nasceranno più. Scrivi, scrivi». Cosimo
Quaranta, 58 anni, trecento fra capre e pecore, non si dà pace mentre il
belato degli agnelli della fattoria di Angelo Fornaro, detto "don Angelo"
per rispetto, si fa assordante.
All'agnello mai nato: «Sei un agnello fortunato perché non verrai in
questo mondo qui, puzzolente e avvelenato». A quello già nato: «Sei
sfuggito alla Pasqua, ma sei intossicato come tanti figli nostri».
All'agnello che non vedrà più nascere: «Non ci sarai più tu, ma neanche
io, perché la mia vita dipendeva dalla tua».
"Don Angelo" è quello più colpito dal provvedimento della Regione Puglia:
«Debbo portare al macello tutte le cinquecento pecore e agnelli che ho e
che tengo chiusi qui da marzo; da quando si sono accorti che non c'è più
nulla di sano in quei fili d'erba intorno all'acciaieria Ilva. La Regione
ha stanziato 160 mila euro che dobbiamo dividerci fra tutti. Ovviamente è
una somma che non ci ripaga di nulla, e tuttavia non è questo il problema,
perché noi ci domandiamo cosa faremo io e i miei figli che lavorano con
me. E che ne sarà dei miei quaranta ettari di proprietà sui quali sono
stati posti i sigilli?».
Lo sguardo corre ai camini del complesso industriale che vomitano fumi
tutti i giorni, tranne il venerdì quando la colata di acciaio fa
sprigionare una nube rossa che il vento porta poi a depositarsi sulla
campagna e sulle case d'intorno, persino sul cimitero di Taranto ridotto a
quel solo, malato colore.
Due modi diversi di morire
Enzo, il figlio di "don Angelo", racconta che quelli delle acciaierie
hanno battuto in lungo e in largo la campagna intorno allo stabilimento
industriale, chiedendo a tutti se vi fossero prima dell'Ilva, o
contestualmente, fabbriche a rischio diossina: «Stanno cercando di
imputare ad altri le responsabilità», racconta Enzo, «ma a noi risulta che
c'era una sola fabbrica, indiziata, ma ha chiuso dieci anni fa. Le mie
pecore più vecchie non arrivano a quell'età e la diossina trovata nei fili
d'erba che mangiano è della primavera scorsa, figuriamoci gli agnelli.
Comunque, aspettiamo l'esito delle analisi per giudicare, poi chiederemo
giustizia».
Angelo Fornaro ha perso la moglie per tumore, suo figlio Enzo è stato
operato di cancro al rene, gli è stato tolto; suo fratello sta curando
un'altra forma tumorale: «Per fortuna mia sorella è scappata a Roma. Lei
la scamperà», sorride amaro Enzo.
«Se nelle carni dei nostri agnelli e delle nostre pecore c'è la diossina
perché non dovrebbe essere dentro di noi?», aggiunge Giuseppe Sperto, 70
anni, 150 pecore, «gli animali verranno abbattuti, noi verremo buttati
fuori di qua, due modi diversi di morire».
Al Tribunale di Taranto, fra pochi giorni, si celebrerà il processo di
appello a carico del proprietario dell'Ilva Emilio Riva, attualmente
impegnato nel gruppo di imprenditori che sta cercando di salvare
l'Alitalia. In primo grado era stato condannato a due anni di reclusione
in base all'articolo 437 del Codice penale (omissione dolosa delle misure
di prevenzione delle malattie sul lavoro). Ma fra qualche giorno
arriveranno in Procura anche le analisi richieste dopo la denuncia di
gruppi ambientalisti, quando fu scoperta la diossina nel latte degli
animali e di cui Famiglia Cristiana diede conto proprio in quei giorni.
Chi inquina, lascia le impronte
«La provenienza della diossina», spiega Michele Conversano, direttore del
Servizio igiene e sanità della Asl 1 di Taranto, «è individuabile, perché
ogni tipo di questo flagello reca le impronte digitali di chi la produce».
La perizia (necessariamente di parte perché la denuncia è stata sporta
contro ignoti), fatta dai tecnici dell'Arpa, sta viaggiando in questi
giorni verso gli uffici della Procura. E le impronte sembrerebbero quelle
dell'Ilva.
"Don Angelo", racconta suo figlio, ogni notte alle tre, prima di scendere
dagli animali, si affaccia sulla terrazza della sua bella casa che fu,
prima dei Fornaro, di proprietà di un nobile tarantino; guarda i suoi
animali e le sue terre, come suo padre, come suo nonno. E lo farà,
assicura, finché avrà respiro.
Guglielmo Nardocci
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Alessandro Marescotti
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