Sabato 22.01.2011 16:20
Il problema vero? Di questi tempi tra aumenti delle imposte e rincari delle bollette sembra per i risparmiatori italiani ed europei quello di riuscire a destinare una quota del proprio reddito disponibile (che la crisi economica dell'ultimo biennio ha intaccato e la ripresina asfittica che nessuno pensa possa irrobustirsi troppo prima di uno o due anni non riesce a rimpolpare) al risparmio. La volatilità dei mercati fa il resto, portando molti a optare per scelte ritenute più rassicuranti sotto il profilo del rischio e dunque a puntare su titoli di stato e fondi obbligazionari più che su azioni o, men che meno, strumenti "alternativi" come derivati e fondi hedge.
Eppure dopo un biennio in cui privilegiare la componente obbligazionaria ha sicuramente pagato i segnali di un consolidarsi della ripresa negli Usa e di un seppure lento e faticoso recupero delle principali economie europee, Germania in testa, ora i movimenti delle Borse portano a suggerire di riequilibrare i portafogli in favore di una maggiore componente azionaria, con la possibilità per la parte investita in titoli di stato e obbligazioni corporate di valutare un accorciamento delle scadenze o il passaggio a titoli a tasso variabile come le nuove emissioni di Cct indicizzate all'Euribor. Onde mettersi al riparo da futuri aumenti dei tassi che se non immediati appaiono comunque probabili nel 2012 o forse anche nell'ultima parte dell'anno.
Tra i mercati azionari, un risparmiatore che non ami eccessivamente il rischio dovrebbe continuare a puntare più su Wall Street che non sui listini europei e tanto meno sull'Italia, dato il peso preponderante che i titoli finanziari hanno sui nostri indici e quindi la maggiore volatilità che questo comporta. Vero è che le banche e le assicurazioni italiane, pur non immuni dalla crisi, sembrano avere sofferto meno e dover ricorrere in modo meno esteso, salvo singoli casi (il Banco Popola e forse, nonostante continue smentite, il Montepaschi), ad aumenti di capitale per rafforzare i propri indici patrimoniali anche in vista dell'entrata in vigore dei nuovi requisiti di Basilea III.
Addirittura secondo gli analisti di Goldman Sachs le banche europee, e quindi anche quelle italiane, potrebbero dare maggiori soddisfazioni di quelle statunitensi (obbligate dalla Volker Rule a separare le attività a rischio da quelle commerciali e dunque in prospettiva meno redditizie anche se meno a rischio), cosa che favorirebbe ulteriormente una piazza come Milano dove titoli come Intesa Sanpaolo, UniCredit, ma anche Credem o Bpm hanno certamente ancora molti spazi di recupero e potrebbero dunque continuare ad essere una scommessa vincente.
Se per il settore finanziario italiano ed europeo molto dipenderà dal definitivo superamento della crisi del debito dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) e dunque dalla disponibilità della Germania e della Francia di assumersi ulteriori impegni da un lato e dei paesi "periferici" a varare ulteriori riforme e misure di austerity dall'altro, per tutti gli altri settori la possibilità di offrire o meno ulteriori soddisfazioni agli investitori è legata a doppio filo all'andamento della ripresa economica mondiale e quindi, sempre più, dei paesi emergenti.
Sotto questo profilo sarà da tener d'occhio la Cina (divenuta ormai la seconda maggiore economia mondiale alle spalle dei soli Stati Uniti), dove il Pil continua a crescere a tassi astronomici per qualsiasi paese sviluppato (+9,8% annuo negli ultimi tre mesi del 2010) e dove l'inflazione resta a livelli di guardia, prossimi al 5%, che inducono a ritenere che Pechino continuerà a stringere gradualmente i cordoni del credito sia con nuovi rialzi dei tassi ufficiali, sia elevando la percentuale di liquidità che le banche debbono mantenere come riserva, sia infine consentendo un apprezzamento dello yuan su dollaro ed euro che servirebbe anche ad allentare le tensioni commerciali con Bruxelles e Washington frenando le esportazioni cinesi (cresciute anche durante la crisi economico finanziaria del 2008-2009 oltre che nel 2010).
Se non ci saranno brusche correzioni di rotta il 2011 potrebbe dunque riservare sorprese positive per il comparto del lusso, con Tod's, Bulgari e Damiani che potrebbero anche beneficiare di una ripresa del risiko in atto nel settore a livello mondiale, e per quello industriale, dove Fiat Industrial pare destinata a rimanere sotto i riflettori, grazie alla preferenza accordatagli dagli analisti rispetto a Fiat Spa, non fosse altro per il minor profilo di rischio e per il fatto che la società che controlla le attività auto del gruppo è già ora sui massimi dell'ultimo anno pur dovendo affrontare impegni non da poco come il rimborso del debito di Chrysler, l'eventuale ulteriore salita nel capitale della stessa e a medio termine la fusione tra le due società e la ricerca di nuovi partner, in particolare nell'area del Nafta e in Cina.
Ma una ripresa che proseguisse nonostante un rallentamento della crescita cinese potrebbe anche favorire titoli come Pirelli & C., Prysmian, Enel, Terna, mentre meno brillante dovrebbe essere l'andamento delle quotazioni di acciaio e cemento e dunque le prospettive dei relativi titoli, da Italcementi a Buzzi Unicem, a Tenaris, oltre che, forse, del petrolio (già ora tornato sopra i 90 dollari al barile e che potrebbe perdere quota sia per una minore domanda cinese sia per l'abolizione dello stop alle attività nel Golfo del Messico) e dunque di titoli come Saipem, Eni o Socotherm. Il calo delle sovvenzioni da un lato e minori prezzi per le fonti fossili potrebbero infine penalizzare i titoli dell'energia alternativa che già molto hanno corso negli ultimi anni.
Ancora un anno di transizione, infine, per telefonici ed editoriali, con Telecom Italia, Mediaset, Mondadori, L'Espresso e Rcs MediaGroup impegnate a ridefinire i rispettivi piani industriali a fronte di un panorama tecnologico che cambia continuamente aprendo o chiudendo nuovi spazi di manovra per i vecchi colossi italiani e mondiali, alle prese con la crescente aggressività dei nuovi dominatori della scena, da Apple a Google, fino ad arrivare a Facebook che in attesa di sbarcare a Wall Street continua a far parlare di sé per l'astronomica valutazione (50 miliardi di dollari) alla quale è già arrivata (ovvero è stata portata ad arte, secondo i più diffidenti). Che la prossima "bolla" speculativa sia già in formazione? Nel dubbio meglio essere prudenti e non inseguire eventuali lontani epigoni italiani.
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