ZENIT
Il mondo visto da Roma
Servizio quotidiano - 01 gennaio 2010
Santa Sede
- Il Papa: i volti dei bambini, un "appello silenzioso" contro la violenza
- Il Papa: l'Anno Santo Compostelano, un "tempo speciale di grazia e perdono"
- Nel 2009, uccisi 37 operatori pastorali
- Il messaggio di pace del Papa su Facebook e Pope2You
- Il Papa chiede preghiere per i giovani dell'era della comunicazione
Uomini e donne di fede
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- Marcia della Pace a L'Aquila per i terremotati
- La Chiesa italiana nel 2009, una presenza costante accanto alla gente
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- Messaggio di Benedetto XVI per l'Anno Santo Compostelano 2010
- Omelia del Papa per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio
- Omelia del Papa al Te Deum di ringraziamento per il 2009
- Visita di Benedetto XVI alla mensa dei poveri di Sant'Egidio
Messaggio ai lettori
Santa Sede
Il Papa: i volti dei bambini, un "appello silenzioso" contro la violenza
Nella Solennità di Maria Madre di Dio e 43.ma Giornata Mondiale della Pace
“Il primo volto che il bambino vede – ha detto il Papa – è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un ‘figlio della pace’”.
E la pace, ha spiegato il Santo Padre, “incomincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione”.
“In realtà – ha aggiunto –, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano”.
“Chi ha il cuore vuoto – ha infatti sottolineato – non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda”.
Da qui nasce il bisogno di educare i bambini al rispetto dell’altro e alla diversità.
“Ormai – ha osservato Benedetto XVI – è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli”.
“Più sono piccoli questi bambini – ha constatato – e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme”.
“I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo. Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori?”, ha chiesto.
“Purtroppo – ha continuato – , l’icona della Madre di Dio della tenerezza trova il suo tragico contrario nelle dolorose immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi, rifugiati, migranti forzati”.
Ma proprio i “volti dei piccoli innocenti”, “scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati dal dolore e dalla disperazione”, ha ribadito il Papa, “sono un appello silenzioso alla nostra responsabilità”, un richiamo che fa crollare “tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza”.
“Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo”, ha detto successivamente.
Soffermandosi poi sul tema della Giornata Mondiale della Pace, “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, il Papa ha spiegato che solo “chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato ad avere maggiore amore per le creature”.
Per questo ha sottolineato la necessità di “una più ampia e approfondita 'responsabilità ecologica', basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali”.
“Solo così l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione della pace”, ha evidenziato ancora.
Della tutela e della cura dell’ambiente, Benedetto XVI è quindi tornato a parlare in occasione dell’Angelus recitato questo venerdì insieme ai fedeli radunatisi in piazza San Pietro.
“Condizione indispensabile per la pace – ha detto – è quello di amministrare con giustizia e saggezza le risorse naturali della Terra”.
Ricordando il recente Vertice di Copenaghen sul clima, il Pontefice ha quindi posto l’accento sull’urgenza di “orientamenti concertati sul piano globale” ed ha ricordato che la protezione dell’ambiente inizia con il rispetto per la vita umana.
Il Papa ha poi lanciato un forte appello alle coscienze di quanti fanno parte di gruppi armati.
“A tutti e a ciascuno dico: fermatevi, riflettete, e abbandonate la via della violenza! Sul momento, questo passo potrà sembrarvi impossibile, ma, se avrete il coraggio di compierlo, Dio vi aiuterà, e sentirete tornare nei vostri cuori la gioia della pace, che forse da tempo avete dimenticata”.
"A tutti auguro di custodire nel cuore, ogni giorno del nuovo anno, la pace che Cristo ci ha donato. Buon anno!", ha infine concluso.
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Il Papa: l'Anno Santo Compostelano, un "tempo speciale di grazia e perdono"
Il 31 dicembre è stata aperta la Porta santa della Cattedrale di Santiago di Compostela
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- L'Anno Santo Compostelano sarà un “tempo speciale di grazia e perdono”, di rinnovamento spirituale, e un'occasione per incontrare Cristo. E' quanto ha scritto Benedetto XVI in un messaggio inviato alla vigilia di questa “grande perdonanza”, inaugurata nel pomeriggio del 31 dicembre con l’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Santiago di Compostela.
L’Anno Santo 2010 è il 119° di una storia secolare iniziata nel 1120 con il papa Callisto II, che concesse a Compostella il privilegio di poter convocare un “Anno Santo” ogniqualvolta la festa di San Giacomo, il 25 luglio, fosse caduta di domenica, offrendo al contempo ai pellegrini la possibilità di lucrare l’indulgenza plenaria. Successivamente, nel 1179, il Papa Alessandro III confermo il privilegio con la bolla “Regis Aeterni”.
In vista del secondo Giubileo Compostellano del Terzo Millennio – il primo si tenne nel 2004, mentre il prossimo cadrà nel 2021 - l'Arcivescovo di Santiago di Compostela, mons. Julían Barrio Barrio, ha rivolto ai fedeli diocesani la Lettera Pastorale “Pellegrini della Fede e testimoni del Cristo risorto”, nella quale si ispira al racconto di Emmaus per spiegare il significato dell’Anno Santo, lo spirito e il posto del pellegrinaggio nell’ambito della vita di fede del credente.
Durante il solenne rito di giovedì il corteo liturgico è uscito dalla Cattedrale e si è diretto verso la Piazza “de la Quintana”, accompagnato dal suono di oltre mille campane delle chiese diocesane.
Nella stessa piazza, il Nunzio apostolico in Spagna, l’Arcivescovo Renzo Fratini, ha letto il messaggio del Santo Padre per l’inizio dell’Anno giacobeo. Successivamente, mons. Barrio ha aperto la Porta Santa, battendo re colpi contro il muro di pietra. Lo stesso Arcivescovo ha quindi varcato per primo la Porta, detta anche “Porta del Perdono”.
Nel messaggio recapitato all’Arcivescovo di Santiago di Compostela il Papa ha evidenziato la ricchezza spirituale del secolare Pellegrinaggio alla Tomba dell’Apostolo Giacomo il Maggiore, “cosparso di tante dimostrazioni di fervore, penitenza, ospitalità, arte e cultura che ci parlano in modo eloquente delle radici spirituali del Vecchio Continente”.
Il tema dell’Anno giacobeo, “Pellegrinando verso la luce”, ha rilevato il Papa, propone una “chiamata evangelizzatrice per le donne e gli uomini di oggi, ricordando il carattere essenzialmente pellegrinante della Chiesa e del cristiano in questo mondo”.
Questo evento giubilare, ha aggiunto, sarà un’occasione per i non credenti di incontrare “Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita”. Nel Cammino compostelano, prosegue il messaggio, “si contemplano nuovi orizzonti che ci fanno riflettere sulle angustie della propria esistenza”.
“Questa – ha esortato il Papa – è la vera meta, la grazia che il semplice percorso materiale del Cammino non può raggiungere da se stesso” e che porta “il pellegrino a convertirsi in testimone di Cristo” nostra “speranza imperitura di salvezza”.
Per questo, Benedetto XVI ha invitato tutti i pellegrini che si recheranno a Santiago a “far fruttificare le suggestive esperienze di fede, carità e fraternità”, che incontreranno lungo la strada e a vivere il Cammino “soprattutto interiormente, lasciandosi interpellare dalla chiamata che il Signore” rivolge ad ognuno di noi.
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Nel 2009, uccisi 37 operatori pastorali
30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Nell’anno 2009 sono stati uccisi 37 operatori pastorali: 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici.
E' quanto si legge nel dossier stilato dall'agenzia della Congregazione vaticana per l'Evangelizzazione dei Popoli, Fides, secondo cui “sono quasi il doppio rispetto al precedente anno 2008, ed è il numero più alto registrato negli ultimi dieci anni”.
Sangue di evangelizzatori in America
Analizzando l’elenco per continente, quest’anno figura al primo posto, con un numero estremamente elevato, l’America, “bagnata dal sangue di 23 operatori pastorali (18 sacerdoti, 2 seminaristi, 1 suora, 2 laici)”, uccisi in Brasile, Colombia, Messico, Cuba, El Salvador, Stati Uniti, Guatemala e Honduras, spiega Fides.
Tra i sacerdoti uccisi in Brasile figurano lo spagnolo Ramiro Ludeña, noto come “padre Ramiro”, che lavorava da 34 anni in un'associazione di sostegno ai bambini e ai ragazzi di strada, ed è stato ucciso proprio da un giovane di 15 anni per rapina.
Nella lista c'è anche il missionario Fidei donum italiano don Ruggero Ruvoletto, ucciso nella sua parrocchia da cui erano stati rubati una cinquantina di Real (circa diciannove Euro).
Don Evaldo Martiol, assassinato da due giovani, vittima di un furto finito in omicidio. “Il suo metodo di evangelizzare era l’amicizia”, ha ricordato il Vescovo durante i funerali.
Padre Gisley Azevedo Gomes, CSS, Assessore nazionale della Sezione Giovani della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB), è stato ucciso da alcuni giovani che lo hanno prima derubato e poi ucciso.
La Colombia, con 5 sacerdoti ed 1 laico uccisi, è al secondo posto. Tutti i sacerdoti sono rimasti vittime di furti finiti tragicamente.
In Messico sono stati uccisi un sacerdote e due seminaristi: mentre si dirigevano ad una riunione di pastorale vocazionale, il loro veicolo è stato raggiunto da un altro, sono stati fatti scendere e colpiti a morte con armi da fuoco.
Particolare commozione ha suscitato anche la morte violenta a Cuba di due sacerdoti spagnoli: don Eduardo de la Fuente Serrano, morto in seguito ad un accoltellamento subito in una strada alla periferia della capitale, e don Mariano Arroyo Merino, ucciso nella sua parrocchia. Il suo corpo era ammanettato, imbavagliato e parzialmente bruciato.
L’unica religiosa uccisa nel continente è Suor Marguerite Bartz, delle Suore del Santissimo Sacramento per gli Indiani e i Negri (SBS), uccisa nel suo convento di Saint Berard, nella zona dei Navajo, nel Nuovo Messico (Stati Uniti d’America). La religiosa era conosciuta per essere una donna da sempre appassionata della ricerca della giustizia e della pace.
Africa, Asia e Europa
Il secondo continente di questa lista di sangue è l'Africa, dove hanno perso la vita in modo violento 9 sacerdoti, 1 religiosa ed 1 laico, nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudafrica, in Kenya ed in Burundi.
Nella martoriata Repubblica Democratica del Congo, dove la Chiesa e la popolazione locale sono oggetto da lungo tempo di brutalità e continue violazioni dei diritti umani, hanno trovato la morte 2 sacerdoti, 1 religiosa e 1 operatore laico della Caritas.
Sia don Jean Gaston Buli che don Daniel Cizimya Nakamaga sono stati uccisi da sconosciuti penetrati durante la notte nella loro abitazione, molto probabilmente per rubare, rispettivamente a Bunia e a Kabare.
Suor Denise Kahambo Murahirwa, monaca trappista, è stata uccisa da uomini armati in uniforme che sono entrati nel monastero di “Notre Dame de la Clarté” a Murhesa, 20 chilometri da Bukavu, poi fuggiti senza rubare nulla.
Il giovane congolese Ricky Agusa Sukaka, operatore della Caritas, è stato ucciso a Musezero, nel nord Kivu, da due uomini che indossavano uniformi dell’esercito.
Due i sacerdoti sono stati uccisi in Asia nel 2009. In India don James Mukalel è stato trovato morto nei pressi di Mangalore, stato del Karnataka, nell’India meridionale, probabile vittima di violenza anticristiana, dato che in precedenza nell’area si erano verificati alcuni casi di attacchi di integralisti.
Nelle Filippine don Cecilio Lucero, difensore dei più deboli e impegnato per la tutela dei diritti umani, è stato ucciso da un gruppo di uomini armati, nella provincia del Nord Samar, a sud della capitale, Manila.
L’unico sacerdote ucciso di cui si ha notizia è don Louis Jousseaume, aggredito e assassinato nella canonica di Egletons, diocesi di Tulle (Francia), dove era parroco. Impegnato anche nel mondo dell’handicap, è stato ucciso proprio da uno di questi emarginati squilibrati di cui si prendeva cura.
Il conteggio di Fides non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma tutti gli operatori pastorali morti in modo violento.
Fides non usa di proposito il termine “martiri”, se non nel suo significato etimologico di “testimone”, “per non entrare in merito al giudizio che la Chiesa potrà eventualmente dare su alcuni di loro”.
Come ha detto il Santo Padre Benedetto XVI nell'Angelus della festa del protomartire Santo Stefano (26 dicembre 2009), la testimonianza “dei martiri cristiani indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita”.
Fides chiarisce che a questo elenco provvisorio deve comunque essere sempre aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo.
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Il messaggio di pace del Papa su Facebook e Pope2You
È possibile inviare le sue cartoline digitali
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pope2You, il portale creato dal Vaticano per permettere ai giovani di tutto il mondo di mettersi in contatto con il Papa, comincia il nuovo anno offrendo la opportunità di inviare agli amici le cartoline di Benedetto XVI per la pace.
“Il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace è stato inserito all'interno di cartoline virtuali con le più belle foto del Papa (ormai caratteristica originale di Pope2You) e può essere condiviso dagli utenti di Facebook e di tutta la rete”, spiega a ZENIT l'animatore di questa iniziativa del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, padre Paolo Padrini.
L'iniziativa continua il successo dell'esperienza natalizia che ha permesso a centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo di inviare gli auguri di Natale al Santo Padre.
Padre Padrini spiega che a gennaio, “in occasione del Mese della Pace, attraverso il portale www.pope2you.net si potranno poi inviare i propri messaggi di Pace in rete, messaggi che saranno - come gli auguri natalizi - consegnati al Santo Padre”.
“I messaggi vengono inviati al mondo, creando così, attorno alla figura e al Messaggio del Papa, una rete di diffusione del messaggio di pace”, spiega ancora.
In un video-messaggio lanciato attraverso www.h2onews.org, l'Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, ha spiegato che “Pope2you vuole essere un momento di maggiore vicinanza tra il Papa e i giovani, tra i giovani e il Papa”.
L'obiettivo, ha sottolineato, consiste nel “far conoscere piano piano ai giovani chi è il Papa Benedetto XVI, cosa il Papa nel suo grande Magistero dona all'umanità, i suoi messaggi, la sua parola, la sua testimonianza, la sua delicata presenza fatta di dolcezza, fatta di attenzione ma di un Magistero profondo, ricco, propositivo”.
Per maggiori informazioni: www.pope2you.net
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Il Papa chiede preghiere per i giovani dell'era della comunicazione
Intenzione generale per il mese di gennaio
E' la proposta del Papa nelle intenzioni di preghiera per il mese appena iniziato contenute nella lettera pontificia da lui affidata all'Apostolato della Preghiera, una iniziativa seguita da circa 50 milioni di persone nei cinque continenti.
Il Vescovo di Roma presenta sempre due intenzioni, una generale e l'altra missionaria.
L'intenzione generale per il mese di gennaio recita: "Perché i giovani sappiano utilizzare i moderni mezzi di comunicazione sociale per la loro crescita personale e per meglio prepararsi a servire la società".
Si tratta di un tema già affrontato dal Papa nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2009 sul tema: "Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia".
L'intenzione missionaria è invece: "Perché ogni credente in Cristo prenda coscienza che l'unità fra tutti i cristiani costituisce una condizione per rendere più efficace l'annuncio del Vangelo".
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Uomini e donne di fede
Il martirio cristiano di un uomo comune
Commemorato a Carpi un padre di famiglia che perse la vita per salvare gli ebrei
di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Questo venerdì, Festa di Maria, madre di Dio, il Vescovo Elio Tinti ha celebrato nella Cattedrale di Carpi la Santa Messa per la Giornata mondiale della Pace.
Organizzata dalle aggregazioni laicali della diocesi di Carpi, quest’anno è stata l’occasione per ricordare il Servo di Dio, Odoardo Focherini, nel 65° anniversario della morte.
Dopo la proiezione del film “Il vento bussa alla mia porta” e del documentario su Flossenburg, le iniziative sono proseguite con il ricordo di Edoardo Focherini, un autentico testimone di pace che ha dato la vita per salvarne altre.
Incarcerato e poi portato nei campi di concentramento per aver contribuito, insieme a don Dante Sala, a far uscire più di 100 ebrei dal confine italiano, Focherini morì il 27 dicembre 1944 a Hersbruck, sottocampo di Flossenburg, vicino a Norimberga.
Trentasette anni, padre di sette figli, Direttore dell'Azione Cattolica e amministratore de l’Avvenire d’Italia iniziò a interessarsi degli ebrei prima dell’8 settembre 1943 quando aiutò un gruppo di profughi giunti da Varsavia.
Salvò 105 ebrei dalla deportazione nazista. Fu preso mentre assisteva un ebreo malato e in seguito internato nel lager di Hersbruck dove morì.
É la storia della vita breve e intensa di Odoardo Focherini, “Giusto tra le genti” e futuro “Beato”.
Odoardo Focherini è un ‘martire’ la cui testimonianza cristiana è così ardente da travalicare il tempo passato ed essere ancora oggi un ‘esempio’ da imitare.
Visse in un periodo storico tormentato, ma non si lasciò mai prendere dallo sconforto, sempre fiducioso ed ottimista.
Attivissimo nel mondo cattolico a 27 anni era già Presidente dell'Azione Cattolica (ACI). Durante la persecuzione fascista del 1933, Focherini corse tra una sede e l’altra dell’ACI per nascondere le bandiere, trafugare le carte e mettere al sicuro registri e verbali delle riunioni.
Nel 1939 alla vigilia della guerra, Focherini divenne il direttore amministrativo de l’Avvenire d'Italia. Il giornale era allora diretto da Raimondo Manzini, autore di accese polemiche contro il fascismo, e Focherini lo affiancò coraggiosamente.
I fascisti bolognesi, il giorno dell’invasione tedesca del Belgio e dell’Olanda, avevano bruciato e sequestrato l’Avvenire d’Italia perché colpevole di aver pubblicato i telegrammi di Pio XII ai governi ed ai popoli colpiti da questa sventura.
Il gerarca fascista Roberto Farinacci aveva definito l’Avvenire come un ‘pretesco covo di vipere’ perché aveva respinto la politica razziale.
Quando i nazisti occuparono l’Italia, l’Avvenire chiuse e di fronte ai tedeschi che ne chiedevano la riapertura Focherini sostenne che le scorte di carta erano esaurite. Non era vero, ma in questo modo l’Avvenire non si mise mai al servizio dell’occupante nazista.
Il 26 settembre del 1943 Bologna subì il primo grosso bombardamento e la sede de l’Avvenire venne distrutta. Da allora Focherini si mise a capo dell’organizzazione per salvare gli ebrei ed i perseguitati.
Focherini aveva assunto a l’Avvenire d’Italia il giornalista ebreo Giacomo Lampronti, licenziato a causa delle leggi razziali e già nel 1942, su richiesta di Raimondo Manzini, a cui il Cardinale di Genova Pietro Boetto aveva inviato alcuni ebrei provenienti dalla Polonia, si prodigò per metterli al sicuro dalla persecuzione su un treno della Croce Rossa Internazionale.
Quella che era stata un’attività sporadica divenne dall’ottobre del 1943 la principale occupazione di Focherini.
Con l'inasprimento delle leggi antigiudaiche e l'inizio delle deportazioni razziali, Odoardo Focherini con don Dante Sala, la signora Ferrarini delle Concerie Donati di Modena e pochi altri, organizzò una rete efficace per l'espatrio verso la Svizzera di oltre un centinaio di ebrei.
Odoardo era l’anima dell’organizzazione. Contattava le famiglie, si procurava i documenti dalle sinagoghe, cercava i finanziamenti, forniva i documenti falsi: un amico compiacente gli aveva procurato delle carte di identità che egli abilmente compilava con i nomi di comuni del sud già in mano agli alleati (Carpi diventava così Capri).
Una volta organizzato un gruppetto lo affidava a don Dante Sala che li accompagnava fino a Cernobbio, dove grazie alla complicità di due coraggiosi cattolici che stazionavano sul confine li facevano passare in Svizzera.
Nonostante l’assoluta segretezza delle operazioni, i nazisti ricevettero alcune lettere anonime e arrestarono don Dante Sala, il quale scampò alla pena per insufficienza di prove.
L’11 marzo 1944 Focherini fu preso all’ospedale mentre si prodigava per un ebreo malato. Fu trasferito al Comando delle SS di Bologna e da qui alle carceri di San Giovanni in Monte.
Durante una visita il cognato Bruno Marchesi gli disse: “sta attento, forse ti stai esponendo troppo, non pensi ai tuoi figli?”. E Odoardo rispose: “Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di aver fatto abbastanza per loro, se non di averne salvati un numero maggiore”.
Trasferito al campo di concentramento di Gries (Bolzano), vi rimase fino al 5 settembre 1944. Segregato nel lager di Flossenburg, Focherini fu trasferito nel campo di lavoro di Hersbruck.
Un luogo orrendo che sembrava l’anticamera dell’inferno. Si lavorava dalle 3 e mezza di mattina fino a sera. Chi non resisteva veniva segnato con una K sulla fronte e inviato immediatamente nei forni crematori.
Ferito ad una gamba e mai curato Focherini contrasse la setticemia e morì. Prima però riuscì a dettare all'amico Olivelli le due ultime lettere ai familiari. Olivelli le scrisse in tedesco per non avere problemi con la censura del campo e Odoardo le siglò con la sua firma. Sono I'ultima testimonianza diretta che Odoardo era ancora vivo.
Ecco le parole affidate all’amico di prigionia: "I miei sette figli...vorrei vederli prima di morire... tuttavia, accetta, o Signore, anche questo sacrificio e custodiscili tu, insieme a mia moglie, ai mie genitori, a tutti i miei cari. Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l'Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo. Vi prego di riferire a mia moglie che le sono sempre rimasto fedele, l'ho sempre pensata, e sempre intensamente amata”.
La notizia della morte arrivò a Carpi nel giugno del 1945 e da quel momento Odoardo Focherini viene ricordato come una figura eccezionale.
Don Claudio Pontiroli ha raccontato che sono state ritrovate più di 300 lettere di condoglianze, tra cui 62 in cui si parla di Odoardo come di un ‘martire della carità’: “Per lui sono state fatte celebrazioni come per nessun'altra vittima della guerra”.
Olga Focherini, una delle figlie di Odoardo ha così ricordato suo padre: “Per trent'anni ho patito l’idea del padre importante, dell’eroe inimitabile, un padre grande e lontano, fino a quando mia madre mi ha consegnato le sue lettere ed è allora che mi sono riappropriata di un padre normale”.
“Dotato di una bella intelligenza, coraggioso ma normale. La sua grandezza sta nel fatto che di fronte al male che stava distruggendo la società, lui non si è voltato dall’altra parte come hanno fatto in tanti. Ha guardato la sofferenza dei perseguitati ed ha creduto che valesse la pena rischiare la propria vita per aiutarli, allo stesso modo in cui avrebbe aiutato i suoi figli e i suoi familiari”.
L’eroismo di un uomo normale confermato anche dalla testimonianza di una signora ebrea di Ferrara che disse alla vedova di Odoardo: “Ho perduto quattordici dei miei, m’è rimasto solo questo figliolo, ma ho trovato la forza di salvarmi e di sopravvivere per quello che mi ha detto suo marito: ‘Avrei già fatto il mio dovere se pensassi solo ai miei sette figlioli, ma sento che non posso abbandonarvi, che Dio non me lo permette'”.
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Notizie dal mondo
"Il futuro dell'Europa passa per la famiglia"
Appello all'Europa dalle famiglie riunite a Madrid
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 27 dicembre faceva molto freddo a Madrid, ma quasi un milione di persone, nonni e nonne, zii e zie, mamme e padri, bambini e bambine, provenienti da tutti i Paesi d’Europa si sono riuniti nello spazio adiacente alla Chiesa ed alla ‘Plaza de Lima’ per celebrare la Sacra Famiglia di Nazareth, e per gridare che “Il futuro dell’Europa passa per la famiglia”.
Nella stessa piazza dove ventisette anni fa il venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II celebrò la messa per le famiglie, la sua frase "Il futuro dell'umanità passa per la famiglia cristiana" è stata ripetuta continuamente ed era visibile nei manifesti gialli rossi e blu appesi ovunque.
La manifestazione a cui hanno partecipato quattordici Cardinali e Arcivescovi europei, quaranta presuli spagnoli, decine di altri Vescovi provenienti da Regno Unito, d'Irlanda, Portogallo, Belgio, Scandinavia, Olanda, Francia, famiglie provenienti oltre che da Spagna e Italia da Croazia, Slovenia, Serbia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Albania, Malta, Ungheria, Germania, accompagnate da sacerdoti e religiosi e religiose, è stata organizzata dalla Arcidiocesi di Madrid insieme al Cammino neocatecumenale.
Con 13.000 partecipanti la delegazione Italiana è stata la più numerosa tra quelle fuori della Spagna. In collegamento video da Piazza San Pietro a Roma il Pontefice Benedetto XVI ha salutato i partecipanti spiegando che “Dio essendo venuto al mondo nel seno di una famiglia, mostra che questa istituzione è un cammino sicuro per incontrarlo e conoscerlo ...”
“Quindi – ha continuato il Papa - uno dei più importanti servizi che noi cristiani possiamo rendere agli altri è offrire la nostra testimonianza, serena e ferma, della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, salvaguardandolo e promuovendolo, essendo tale istituzione di somma importanza per il presente e il futuro dell’umanità”.
“In effetti - ha commentato il Vescovo di Roma -, la famiglia è la migliore scuola nella quale si impara a vivere quei valori che danno dignità alla persona e fanno grandi i popoli”.
“In essa - ha aggiunto -, si condividono i dolori e le gioie, sentendosi tutti avvolti dall’amore che regna in casa per il solo fatto di essere membri della stessa famiglia”.
Benedetto XVI ha quindi concluso affermando: “Chiedo a Dio che nei vostri focolari si respiri sempre questo amore di totale dedizione e fedeltà che Gesù ha portato nel mondo con la sua nascita, alimentandolo e rafforzandolo con la preghiera quotidiana, la pratica costante delle virtù, la reciproca comprensione e il mutuo rispetto”.
Il calore dell’affetto, la bellezza delle famiglie, la concordia dei rappresentanti ecclesiastici hanno riscaldato e illuminato la manifestazione di Madrid, mentre il gelo è rimasto nelle redazioni dei mezzi di comunicazione di massa, i quali, nella stragrande maggioranza, hanno ignorato la manifestazione. La notizia non è stata né scritta né raccontata, ad eccezione di alcuni giornali, radio, agenzie, tv e pagine web cattoliche.
Monsignor Juan Antonio Reig Pla, Vescovo di Alcalà e Presidente della sottocommissione Famiglia e Vita della Conferenza episcopale spagnola, ha spiegato in una intervista pubblicata da L’Osservatore Romano che l’incontro “È una realtà per il continente europeo, e in modo particolare per la Spagna”. E’ stata celebrata la famiglia cristiana “a partire dal matrimonio essa dà origine alla vita, custodisce l'amore, educa le persone” perchè “l'indissolubilità è garanzia di salvaguardia della vita”.
Secondo monsignor Reig Pla, “una società è quello che sono le famiglie. Ho visitato molte carceri, luoghi di vera sofferenza, anche minorili. So che dove si distrugge la famiglia e i suoi valori comincia l'emarginazione”.
“Il raduno di Madrid – ha concluso il Vescovo spagnolo - è un soffio di speranza che vuole mostrare non un'idea, ma tanti coniugi e famiglie che confermano che il progetto di Dio è possibile. È ciò che genera la pace e ciò che intendiamo come il futuro dell'umanità”.
Il Cardinale Arcivescovo di Berlino Georg Sterzinsky ha affermato: "Come Vescovo, esigo che lo Stato e la società accrescano le condizioni necessarie affinché le famiglie possano adempiere ai loro doveri".
Il Cardinale Vicario del Papa per la diocesi di Roma Agostino Vallini ha chiesto l'impegno di "annunciare la bellezza della fede e della famiglia cristiana" "dinanzi a tanti presunti modelli di vita familiare; dinanzi alla crisi delle famiglie; dinanzi alla paura dei giovani per l'amore stabile".
Il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha aggiunto che il mistero di comunione "si realizza nella Chiesa e in ogni vera famiglia". Di fronte alla crisi che registra in Europa un aborto ogni venmticinque secondi ed un divorzio ogni trenta, il Cardinale Antonio Marìa Rouco ha invitato le famiglie di Spagna e d'Europa a dare speranza all’Europa.
L’Arcivescovo di Madrid si è rivolto alle famiglie dicendo "state aprendo nuovamente il cammino per il vero avvenire dell'Europa del presente e del futuro. L'Europa, senza di voi, care famiglie cristiane, rimarrebbe praticamente senza figli o, il che è lo stesso, senza il futuro della vita".
All’incontro erano presenti centinaia di bandiere della Spagna e dei paesi di tutta l’Europa. C’erano anche grandi palloni azzurri con il simbolo di due testate giornalistiche: "La Razón" e "L'Osservatore Romano", che con una tiratura congiunta di oltre 250.000 copie sono state distribuite ai partecipanti.
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A Gerusalemme la bioetica unisce le religioni
di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il dialogo è sicuramente il primo passo per avviare un cammino di pace e di comprensione reciproca. Con questo spirito d’ascolto e di collaborazione, alcuni esperti di bioetica appartenenti alle tre grandi religioni monoteistiche si sono incontrati in due congressi internazionali a Gerusalemme, il 13 e 14 dicembre 2009, presso il Pontifical Institute Notre Dame of Jerusalem Center, diretto dai Legionari di Cristo.
L’obiettivo era quello di cercare un terreno comune tra le religioni nell’area specifica della bioetica, offrendo alcune possibili risposte agli interrogativi posti dalle nuove sfide nel campo della medicina e della biotecnologia.
Intervistato da ZENIT, padre Gonzalo Miranda, già decano della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, e tra gli organizzatori del convegno ha raccontato che nel corso degli incontri “più che meramente imparare come le nostri religioni e culture affrontano i temi emergenti della bioetica, siamo venuti a comprendere i fondamenti di fede e le convinzioni che informano questi temi in ogni tradizione religiosa”.
Il primo convegno (13 dicembre), intitolato “Cultura della vita e religione”, è stato organizzato dalla Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani (www.unescobiochair.org). Sono stati esaminati i temi della vita e la bioetica alla luce delle tradizioni ebraica, cristiana e musulmana, mettendo a fuoco la visione di ogni religione sul valore della vita umana.
Il secondo incontro (14 dicembre), sul tema “Bioetica, legge e religione nei problemi di fine vita”, è stato organizzato dalla Facoltà di Bioetica del Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum” (www.upra.org) insieme alla FIBIP (Federazione Internazionale di Centri e Istituti di Bioetica di Ispirazione Personalista).
Sono stato affrontate le convinzioni e gli orientamenti di ognuna delle tre religioni sui problemi riguardanti la vita umana nelle sue ultime fasi.
Padre Miranda ha sottolineato che con questi incontri “si vuole anche creare un foro accademico che dia continuità al dialogo iniziato in questi due giorni”.
I relatori hanno esposto i principi e i fondamenti della propria tradizione religiosa applicandoli poi ad alcuni problemi bioetico specifici.
Dall’insieme delle conferenze e tavole rotonde è emerso con chiarezza un ricco panorama di elementi profondamente condivisi:
La vita umana è sacra, creata e donata all’uomo da parte di Dio.
Pertanto, ogni singolo essere umano gode di una dignità intrinseca e merita profondo rispetto.
Questo valore inerente di ogni vita umana ci impedisce di danneggiarla o distruggerla.
Solo Dio, creatore della vita, è sovrano nelle decisioni sul tempo dell’inizio e la fine degli essere umani.
La procreazione umana rappresenta anche un valore intrinseco, in quanto importante dimensione della realizzazione della persona, in collaborazione con Dio Creatore.
Causare intenzionalmente la morte, anche con la finalità di porre fine alla sofferenza, è moralmente inaccettabile.
Prolungare la vita ricorrendo ad interventi sproporzionati non è ammissibile e si può interrompere simili interventi lasciando che il processo naturale della morte segua il proprio corso.
Le cure palliative sono di gran valore e devono essere ulteriormente incoraggiate e migliorate.
Si deve anche provvedere al sostegno psicologico e spirituale dei pazienti e dei loro familiari.
Sono stati trattati anche altri temi – come quello della morte encefalica – sui quali c’è un sostanziale accordo anche se il tema merita ulteriori approfondimenti.
I convenuti hanno affermato: “Nutriamo la speranza che i diritti umani e i doveri emergenti dalla ricchezza di ogni religione e cultura possono dare un importante contributo al pensiero bioetico nel continuo progresso attuale in ambito medico, tecnologico e legale”.
“A questo scopo - hanno concluso - desideriamo vivamente riproporre questa esperienza accademica, portando questo dialogo multi culturale e interreligioso da Gerusalemme in altre città e culture in tutto il mondo”.
Ai due incontri hanno partecipato personalità di valore internazionale.
I lavori presentati dal dr. Alberto García, Direttore della Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani e da padre Eamon Kelly, LC., Vicedirettore del Pontifical Institute Notre Dame of Jerusalem Center, hanno visto gli interventi del dr. Yechiel Michael Barilan (Tel Aviv University, Israele), sul tema della bioetica nella tradizione ebraica, e del dr. Mustafa Abu Sway (Al-Quds University of Jerusalem), che ha parlato dello stesso argomento nella tradizione islamica.
Mons. Elio Sgreccia, Presidente della FIBIP e Presidente Emerito della Pontificia Accademia per la Vita, ha illustrato il tema della bioetica nella tradizione cristiana.
Ad una prima tavola rotonda hanno partecipato il dr. Amnon Carmi (UNESCO Chair in Bioethics, University of Haifa, Israele), padre Gonzalo Miranda, LC, (Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma) e il dr. Mustafa Abu Sway.
Nel secondo giorno di lavori sono intervenuti la dr.ssa Laura Palazzani (Università LUMSA, Roma), sul tema “Positive law, ethics and religion” e il dr. David Heyd (The Hebrew University of Jerusalem), sul tema “Jewish bioethics on end of life issues”.
Alla tavola rotonda sul tema “Proportionality in therapy, Palliative care, Living Wills” hanno partecipato la dr.ssa Colleen M. Gallagher (The University of Texas M.D. Anderson Cancer Center, Houston, USA), il dr. Jonathan Halevy (Shaare Zedek Medical Center, Jerusalem) e il dr. Mustafa Abu Sway.
Padre Gonzalo Miranda, LC, ha svolto una relazione sul tema “Christian bioethics on end of life issues”. Il dr. Mutairu Ezimokhai (United Arab Emirates University, Al Ain, UAE) è intervenuto invece sul tema “Islamic bioethics on end of life issues”.
Si è svolta anche una tavola rotonda dal titolo “Death, Determination of death and Euthanasia” a cui hanno partecipato la dr.ssa Paulina Taboada (Catholic University, Chile), il dr. Jonathan Halevy e il dr. Mustafa Abu Sway.
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Italia
Marcia della Pace a L'Aquila per i terremotati
di Chiara Santomiero
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pioveva più forte quando il corteo della 43a Marcia della pace promossa dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, la giustizia e la pace della Cei, da Caritas italiana e da Pax Christi Italia ha raggiunto le macerie della Casa dello studente de L’Aquila, quasi a voler sottolineare lo scempio che può essere causato dall’uomo quando agisce senza responsabilità, verso i suoi simili e verso la natura.
“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il Creato” ha ammonito Papa Benedetto XVI nel messaggio per la 43a Giornata mondiale della pace che si celebra oggi e che ha dato il titolo anche alla marcia di ieri sera nella città ferita dal terremoto del 6 aprile scorso.
“Ogni rottura degli equilibri del Creato – ha dichiarato a ZENIT mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e neo presidente di Pax Christi Italia - è sempre causa di sofferenze e, alla fine, di conflitto. Quest’anno ricordiamo, alla luce del messaggio del Santo Padre, che la rottura degli equilibri è opera talvolta dell’uomo e non solo della causalità naturale. La scelta de L’Aquila come sede della marcia vuole richiamare innanzitutto l’importanza di ricostruire intorno all’uomo e non soltanto alle opere e, in secondo luogo, ricordare che scienza e tecnica possono aiutare l’uomo a custodire il Creato, non a danneggiarlo”.
Il capoluogo abruzzese ha risparmiato ai partecipanti all’iniziativa i famosi rigori del suo inverno, ma la pioggia ha accompagnato tutta la marcia. Una marcia della pace che sembrava attraversare un paese in guerra, con le case scardinate, mobili esposti alle intemperie, tendine di pizzo pendenti da finestre senza imposte. Non c’erano luci né voci nel centro storico de L’Aquila nell’ultima notte dell’anno, solo i canti e le preghiere che hanno segnato la marcia.
“Via dolorosa” è stato definito il percorso attraversato dal corteo e il pensiero è corso alla Terra Santa e ai suoi conflitti. Ci ha pensato anche don Nandino Capovilla, di recente nominato coordinatore di Pax Christi Italia e che è da poco rientrato da Gaza: “Sono ambedue situazioni – ha detto a ZENIT - in cui si gioca una responsabilità degli uomini per le distruzioni che si verificano e per le quali occorre trovare risposte di giustizia”.
“L’atteggiamento della vigilanza che abbiamo assunto nel tempo di Avvento – ha proseguito Capovilla - deve diventare l’atteggiamento fondamentale del cittadino e del credente, evitando di accettare passivamente una realtà che cela delle ingiustizie”.
“Il richiamo che giunge dal passaggio in queste strade desolate, di morte e resurrezione – ha aggiunto –, non può essere solo quello per una ricostruzione fisica e strutturale ma soprattutto morale, in modo che attraverso la nostra assunzione di responsabilità di cittadini si arrivi a un più serio rapporto con l’ambiente e anche con le leggi”.
Durante la marcia, alle riflessioni si sono alternate le testimonianze di alcuni aquilani. “Viviamo con pienezza ogni minuto di ogni giorno del nuovo anno – ha invitato un uomo che a causa del terremoto ha perso il padre e due figli – perché potrebbero non essercene altri”.
Una donna ha raccontato della difficoltà di tenere unita la famiglia davanti ad ogni scelta che impone il dopo terremoto: in tendopoli a L’Aquila o in albergo sulla costa? Cosa fare alla riapertura della scuola delle figlie? Aspettare di rientrare nella propria casa lesionata se pur non irreparabilmente o accettare di inventarsi un nuovo spazio domestico negli alloggi costruiti dal governo?
Avere un tetto contro le intemperie – sia pure con qualche problema causato da aver dovuto costruire troppo in fretta – è importante, ma la mancanza di lavoro è la preoccupazione che sta accomunando molti. La Caritas diocesana che, cessata l’emergenza, ha ripreso a visitare regolarmente le famiglie, sa che questa è diventata oggi la principale preoccupazione.
“In una realtà sofferente come la nostra – ha sottolineato alla nostra agenzia, a proposito della marcia, don Dionisio Humberto Rodríguez Cuartas, responsabile della Caritas diocesana – essere qui ha un significato ancora maggiore perché se una persona, dopo aver sofferto la perdita di tutto, riesce ancora vivere la dimensione della pace è proprio grazie all’operare dello Spirito di Dio in lei”.
L’augurio per il nuovo anno diventa allora: “continuare a nutrire il desiderio di essere costruttori di pace e la speranza che nonostante le difficoltà e i disagi che viviamo noi in questo contesto - ma così come tanti uomini in situazioni di sottosviluppo - il domani sarà migliore di quello di oggi”.
“Condividere questa marcia con quanti dall’Italia hanno voluto essere presenti ma soprattutto con la popolazione del territorio – ha spiegato a ZENIT don Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana - significa cominciare a cogliere alcuni segni che possono essere, nonostante tutto, punti di riferimento per costruire il futuro. Segni di solidarietà, di ripresa della vita, che richiedono maggior convinzione e forza di condivisione in modo tale che il tempo necessario per riportare questa città e in particolare il vissuto della popolazione, alla normalità non sia estremamente lungo ma adatto ai bisogni, alle necessità e soprattutto al desiderio di futuro di questa popolazione”.
“Per il nuovo anno – ha proseguito Nozza - come Chiesa e Caritas ci aspetta il compito di riuscire a concretizzare in maniera significativa quella generosità che ci è stata consegnata dagli italiani e dal mondo intero per intervenire a favore delle comunità, ponendo attenzione ai bisogni delle persone sole, dei minori e delle famiglie”.
Un segno di solidarietà è anche la presenza a L’Aquila di tanti volontari che hanno deciso di offrire alcuni giorni di vacanza per il servizio alla popolazione terremotata. Alice Ferrari, volontaria Caritas della provincia di Cuneo, è sfuggita alla proibizione fatta ai volontari di parlare con i giornalisti e ha raccontato alla nostra agenzia che “la prima impressione della città è stata come un pugno nello stomaco, però abbiamo visto che la gente ha tanta voglia di tornare alla vita precedente e quindi la prima impressione si è trasformata in una buona impressione”.
“Chi soffre – ci ha detto infine mons. Giuseppe Molinari, vescovo de L’Aquila – è in grado di dire parole credibili a tutti. Le parole credibili che vogliamo dire noi sono: tutto il resto può passare, ciò che non passa è l’amore per Dio e per i nostri fratelli. Per l’anno che inizia auguro alla mia comunità tanta comunione, tanta forza insieme e tanta speranza per la nostra città”.
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La Chiesa italiana nel 2009, una presenza costante accanto alla gente
Il bilancio del Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della CEI
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 2009 apppena conclusosi ha mostrato una Chiesa italiana sempre vicina alla gente e rispettosa delle Istituzioni nazionali. E’ questo in sintesi il bilancio tracciato ai microfoni della Radio Vaticana dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il Cardinale Angelo Bagnasco.
“Il sentimento – ha detto il porporato – è quello della gratitudine a Dio perché ci ha guidato: ha guidato i Vescovi italiani, le loro comunità, in un anno di attività intensa e importante, come ad esempio nel convegno delle Chiese del Sud in preparazione al documento sulla Chiesa e il Mezzogiorno, che sarà di prossima definizione”.
“E poi, anche la scelta degli orientamenti pastorali per il nuovo decennio, il tema dell’educazione, la grande sfida educativa – ha continuato –. E poi, a raffronto della nota contingenza economica, è noto l’iniziativa dei vescovi che abbiamo chiamato il 'Prestito della speranza', un fondo di garanzia per le famiglie in particolari difficoltà”.
“Inoltre – ha aggiunto il Cardinale Bagnasco – , non possiamo dimenticare – purtroppo – la tragedia dell’Aquila, del terremoto, che ha visto i Vescovi impegnati anche concretamente attraverso un contributo sostanzioso che speriamo possa veramente contribuire alla ripresa di quelle popolazioni. E così, anche l’alluvione di Messina ci ha visto esprimere la vicinanza dell’episcopato italiano” .
Per quanto riguarda i rapporti tra la Chiesa italiana e le istituzioni del Paese, ha continuato il porporato, il 2009 “si conclude in termini positivi nel senso che la Chiesa italiana ha mostrato ancora una volta la sua presenza innanzitutto accanto alla gente, di cui si è fatta voce, come sempre; e inoltre, di responsabilità leale verso tutte le istituzioni e di collaborazione – come è nello spirito della Chiesa, sempre, di autonomia, certamente, di rispetto delle competenze e della responsabilità, ma anche della collaborazione per il bene del Paese”.
Affrontando poi il tema dell’immigrazione, il Presidente della CEI ha spiegato che “la posizione dei Vescovi italiani da una parte ha sempre ricordato la tradizione e la cultura dell’accoglienza, intrinseca al Vangelo stesso, e dall’altra l’esigenza stessa di sicurezza e di legalità che è un altro diritto di ogni Paese e di ogni società che voglia veramente essere aperta”.
Secondo il Cardinale Bagnasco, ciò di cui abbiamo realmente bisogno, specialmente in questi tempi, è “l’esperienza della fiducia che Dio ha verso l’uomo e che il Natale esprime attraverso l’Incarnazione del Figlio di Dio”.
“Nella misura in cui ognuno e il popolo nel suo insieme crescerà in questa fiducia, sentirà questa fiducia di Dio, sicuramente crescerà anche la fiducia tra di noi, il rispetto reciproco e la stima vicendevole”, ha quindi concluso.
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Tutto Libri
Caravaggio: quando l'arte sacra salva l'anima di un peccatore
di Marialuisa Viglione
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- A 400 anni dalla morte di Caravaggio (1610), registi, autori, scrittori, critici d’arte e semplici fan gli rendono omaggio: con un libro, con un film, con mostre ad hoc, o - chi se lo può permettere - visitando i musei del mondo che custodiscono i suoi capolavori.
Ma c’è un modo più facile per conoscere la figura di questo straordinario artista. Tutte le immagini che lo riguardano sono pubblicate nel libro di Rodolfo Papa “Lo stupore nell‘arte. Caravaggio”, fresco di stampa, edito dalla casa editrice Arsenale.
Lo storico dell’arte ci aiuta ad approfondire in 336 pagine la complessità dell’artista mettendoci a disposizione vita, relazioni e opere, in un libro facile da leggere, sia per lo stile discorsivo, sia perché ci troviamo di fronte tutti i quadri di cui si parla.
E non solo i capolavori di Caravaggio, ma anche dei maestri suoi contemporanei e di quelli antichi da cui l’artista ha attinto per ripresentare quegli stessi segni in modo unico.
Le immagini sono straordinarie e raccontate nei dettagli iconografici storici e teologici, con riferimenti alla storia dell‘arte e alla simbologia cristiana. L’approccio è scientifico e innovativo
L’autore descrive anche per filo e per segno la vita e gli incontri, gli scontri dell’artista. C’è tanto materiale per la sceneggiatura di un film.
Secondo Papa - documenti d’archivio alla mano e lettura dell’opera da parte di uno storico-teologo - Caravaggio ha molto da dire ai pittori e ai cristiani di sempre.
Il suo lavoro è coltissimo, ripropone i segni della Sistina (le mani di Dio e di Adamo), della Pietà e di tante altre opere, rilette in chiave moderna e naturalistica e rinnovate in un nuovo modo di intendere la pittura, rafforzando il messaggio della Chiesa.
Il suo operare rientra nell’ambito della catechesi della Controriforma.
Allora perché la leggenda nera sull’artista? Invidie, incomprensioni dei contemporanei manieristi, e necessità di creare un personaggio con le caratteristiche del “genio e sregolatezza”.
Un Caravaggio non vero, ma che deve sottostare alla cultura dominante dei vari secoli.
Leggere questo libro significa capire chi era davvero questo pittore: dai primi tempi a Milano, alla collaborazione con le botteghe di Roma, sino alla creazione di quello che è poi diventato, amato, pagatissimo, pieno di zelo per affermare la dottrina cattolica con le immagini.
“La cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi - spiega Papa - è il trionfo del cattolicesimo, del rapporto tra la libertà e la grazia, negato, all’epoca, dai protestanti. E rappresenta a Roma la conversione al cattolicesimo di Enrico IV, ugonotto”.
L’assassino di Matteo è lo stesso Adamo della Cappella Sistina, in piedi, tracotante, pieno di superbia: rappresenta il peccato originale, che ostacola la grazia, trattenendo la mano del santo.
Matteo quando scrive il Vangelo ha i piedi che barcollano, non è sicuro, ma la mente è liberamente volta al cielo, in attesa di ispirazione, della grazia.
C’è anche tutta l’interpretazione che 16 anni fa lo stesso Rodolfo Papa ha fatto di Isacco e l’ariete, fino a quel periodo considerato il San Giovannino.
L’autore spiega con i documenti, ma soprattutto con la lettura attenta del dipinto, perché quello è Isacco.
Proprio come scrisse Sant’Agostino, che Caravaggio conosceva bene: è la rappresentazione di Cristo nell’abbraccio tra Isacco (la vita) e l’ariete (la morte).
E poi anche i giochi, i divertimenti del Caravaggio, dal Bacchino malato, al cesto di frutta, a Bacco che invita il principe astemio a bere nel calice.
La novità è che questo volume raccoglie tutti gli interventi approfonditi di Rodolfo Papa sull’opera e la vita di Caravaggio.
Il successo di questo genio della pittura? In tutta la vita cerca di dipingere la verità. I suoi lavori, che ci appaiono così naturali e spontanei, sono frutto di studio, di riletture dei grandi che lo precedettero.
E’ un artista-teologo che cerca di spiegare con immagini chi è Gesù, cosa significa grazia e quale rapporto ha con la libertà, il mistero della resurrezione, il rapporto vita e morte nella Deposizione, un artista che vuole rappresentare la Vergine con fede, dottrina profondissima e creatività nuova.
Leggere il libro di Papa significa penetrare Caravaggio nella sua genialità e anche la dottrina cattolica.
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Spiritualità
Meditazione per Capodanno del fratel Alois di Taizé
All'incontro dei giovani a Poznan
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la meditazione pronunciata nella notte del 31 dicembre dal fratel Alois, Priore della comunità ecumenica di Taizé, in occasione dell'incontro tenutosi nella città polacca di Poznan e che ha riunito circa 30 mila giovani.
* * *
Vent’anni fa, durante il primo incontro europeo di giovani in Polonia, subito dopo la caduta del muro di Berlino, era la festa della libertà ritrovata, un grande momento di gioia.
Era il tempo dell’entusiasmo, ora è piuttosto il tempo della decisione e della perseveranza.
Noi, oggi, riflettiamo abbastanza sul senso della libertà? La libertà, è poter scegliere dove porre le nostre priorità. La libertà significa non cedere alle cattive tendenze in noi. La libertà permette anche una lotta contro le strutture d’ingiustizia nelle società.
La libertà è ancora poter esprimere la nostra fede. Durante la nostra recente visita in Cina, con due miei fratelli, diverse persone ci hanno raccontato le sofferenze che i loro genitori o nonni hanno sopportato per la fede. Molti tra voi, che vengono dalla Polonia o da altri Paesi dell’Europa centrale o orientale, hanno anch’essi genitori o nonni che sanno che cosa significhi soffrire per la fede.
Noi vorremmo ringraziare Dio per questi cristiani che hanno resistito e perseverato. Oggi possiamo rimanere vicini ai cristiani di Cina. Sono commossi quando vengono a sapere che a Taizé preghiamo per loro il venerdì sera.
Questa sera vorrei dire una parola particolare ai giovani polacchi. Voi avete radici profonde nella fede. Lungo i secoli, da voi si è forgiata una tradizione che ha permesso al vostro popolo d’attraversare grandi prove. Spesso queste radici sono legate alla vostra famiglia e alla parrocchia dove siete cresciuti.
Oggi cercate di rinnovare le espressioni della fede, e questo è un bene. Le espressioni esteriori possono cambiare, talvolta devono cambiare, affinché la luce della fede brilli con una nuova luminosità.
Tuttavia questa ricerca troverà uno sbocco se va di pari passo con la comprensione delle tradizioni ricevute. Ecco la sfida: creare del nuovo, appoggiandovi sulla tradizione. La nostra piccola comunità di Taizé vorrebbe accompagnarvi in questa ricerca. Abbiamo ricevuto così tanto dal vostro Paese che ci sentiamo spinti a restare uniti al vostro cammino.
La luce che i bambini hanno appena acceso e che ci siamo passata gli uni agli altri giunge da lontano: la fiamma è stata portata dalla grotta della Natività di Betlemme.
Questa fiamma di pace e amicizia è qui per rischiarare tutti gli umani. Allora non possiamo accettare che nel mondo le disuguaglianze crescano, che solo qualcuno abbia beneficio della prosperità economica, mentre la grande maggioranza conosce la povertà. Noi vogliamo scegliere la semplicità di vita per promuovere la condivisione, la solidarietà, l’uso responsabile delle risorse del nostro pianeta.
Sì, la luce di pace è per tutti gli umani. Questo ci spinge a continuare il nostro «pellegrinaggio di fiducia sulla terra». Ecco quali saranno le prossime tappe.
Gli incontri a Taizé continueranno ogni settimana dell’anno prossimo. Nel mese di agosto ricorderemo frère Roger: saranno cinque anni che ci ha lasciato. E sarà anche il settantesimo anniversario di Taizé.
Quest’anno ci saranno degli incontri in Portogallo, a Sarajevo, in Norvegia.
Poi, tra un anno avremo un nuovo incontro europeo. Si farà in un Paese dove non ha mai ancora avuto luogo. Sarà dal 28 dicembre 2010 al 1° gennaio 2011 nei Paesi Bassi, nella città di Rotterdam.
(in olandese) La preparazione è già stata lanciata da qualche mese, e con entusiasmo. Che gioia vedere che tutte le Chiese nella loro grande diversità si mettono insieme per cercare un nuovo volto della Chiesa. Un grazie ai Neerlandesi!
In questi ultimi anni, il nostro pellegrinaggio si è esteso con incontri in Asia, Africa, America Latina. Perché? La globalizzazione, anche con le ambiguità che essa contiene, ci offre nuove possibilità d’esprimere l’universalità della nostra comunione in Cristo.
Come è stato annunciato un anno fa, il nostro quinto incontro asiatico di giovani avrà luogo tra qualche settimana, all’inizio di febbraio, nelle Filippine, a Manila. I Filippini che sono qui tra noi ci assicurano che le porte e i cuori sono spalancati per l’accoglienza.
E dopo l’Asia, ritorneremo in America Latina. Dall’8 al 12 dicembre 2010, il secondo incontro latinoamericano avrà luogo in Cile, nella città di Santiago.
Ci sono qui dei Cileni, il responsabile della pastorale giovanile di Santiago, il Padre Galo, e alcuni giovani. Uno di questi giovani cileni, Claudio, ci dice una parola:
(in spagnolo) Tre anni fa, i nostri amici di Bolivia ci hanno invitato a partecipare al primo incontro latinoamericano di Taizé. Ora il pellegrinaggio di fiducia sulla terra avrà una nuova tappa nel nostro Paese. Per i giovani cileni e latinoamericani, sarà l’occasione di rinsaldare dei legami di comunione e rinnovare il proprio impegno ad essere discepoli di Gesù Cristo e missionari del suo regno. Con grande gioia vi invitiamo a partecipare all’incontro di Santiago del Cile.
Un bambino: Questa sera, salutiamo i giovani di Moldavia, Armenia, Croazia, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, Estonia, Lettonia, Repubblica Ceca, e d’Italia in modo particolare i giovani di L’Aquila che quest’anno hanno conosciuto il terremoto.
Salutiamo anche quelli del Cile, Brasile, Messico, Porto Rico, Cuba, Colombia, Argentina, Venezuela, Canada e Stati Uniti.
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Parola e vita
Capodanno: non separare la pace dalla vita!
Solennità della Madre di Dio, 1 gennaio 2010
di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- “Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: 'Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere'. Andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo” (Lc 2,15-21).
“Il Signore parlò a Mosè e disse: 'Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò'” (Nm 6,22-27).
“(Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo). Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio, e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Gal 4,3-7).
Il notissimo testo biblico “...quando venne la pienezza del tempo...” (Gal 4,4), inizia con un importante “Ma”, che collega l’evento dell’incarnazione di Cristo, annunciato da Paolo, a quanto precede. Nel versetto precedente, Paolo aveva affermato che l’umanità era schiava degli “elementi del mondo” (Gal 4,3); perciò il suo “ma” significa: noi eravamo schiavi, ma ora siamo stati liberati grazie alla venuta del Signore Gesù.
Per comprendere a fondo, ci chiediamo: che cosa sono gli “elementi del mondo”?
La Bibbia “Via, Verità e Vita” annota al riguardo: ““Gli elementi del mondo” indicano le cose materiali di cui si occupa gran parte della legislazione mosaica. L’espressione abitualmente include gli elementi dell’universo (aria, acqua, terra, fuoco), e le potenze celesti che, secondo certe teorie, vi erano preposte”.
Queste “cose materiali” non sono solo le norme vincolanti della legge di Mosè, ma anche quelle realtà cosmiche, di origine divina, che erano ritenute esercitare un influsso negativo nei confronti degli uomini. Superata oggi ogni forma di superstizione, noi sappiamo che queste “cose materiali cosmiche” sono gli elementi naturali: tutto ciò che riguarda il clima e l’equilibrio delle forze della natura, equilibrio che non sono gli dei a sconvolgere, nè la volontà di Colui che le ha create, ma solamente l’egoismo e l’incuria dell’uomo.
Ho premesso questa spiegazione per collegare il testo di Paolo al Messaggio di Benedetto XVI per l’odierna Giornata Mondiale della Pace intitolato: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.
Il creato è la casa dell’uomo, potrei dire: è la sua “stanza”, nel senso che ovunque nel mondo giunge il raggio dell’azione umana là viene custodita o perturbata la mirabile armonia e lo stupefacente equilibrio di tutto ciò che Dio ha fatto, allo stesso modo in cui l’ordine o il disordine di una stanza dipendono da chi la occupa.
L’esortazione del Papa a custodire il mondo creato, tuttavia, non riguarda semplicemente e solamente la natura, come se bastasse trasformarla in un curatissimo e perfetto giardino, indipendentemente…dalla cura del giardiniere.
In realtà la cura del creato dipende dall’ordine morale che c’è nel cuore dell’uomo, il cui equilibrio interiore è frutto e segno dell’armonia del suo rapporto con Dio e con i fratelli. Al centro della creazione, infatti, come la vetta sta al monte, sta l’uomo stesso, che del Creatore è figlio, e del creato è compendio e vertice, ragione e fine.
Ogni uomo lo è, e lo è non solo fin dal primo istante della sua esistenza creata, quello del concepimento, ma da “prima che fosse concepito nel grembo” (Lc 2,21), visto che Dio lo ha chiamato per nome “prima della creazione del mondo”, come esplicitamente ricorda Paolo altrove (Ef 1,4).
Perciò è il disordine morale e spirituale dell’uomo, cioè il peccato con le sue strutture, ad essere la causa “originale” della violazione e dell’inquinamento del creato. Il peccato, poi, non è una categoria morale-spirituale astratta, ma riguarda sempre il rapporto personale con Dio, Creatore e nostro Padre, è sempre disobbedienza alla sua volontà e infedeltà alla dolce amicizia con Cristo.
Tra i peccati più gravi, l’aborto è detto “abominevole” soprattutto per le conseguenze di “separazione” profonda dell’uomo da se stesso e dalla sua dignità di figlio (ab-homine), oltre che per esprimere un massimo di oggettivo disgusto morale.
Ora, come la beata Teresa di Calcutta affermò davanti al mondo e alla storia in occasione del Nobel per la pace del 1979, è proprio l’aborto “il più grande distruttore della pace” e del creato, dal momento che sopprimere la vita nel grembo vuol dire distruggere l’uomo, il quale non solamente ricapitola in sé tutto ciò che esiste, ma rappresenta lo stesso Creatore.
Perciò il conclamato, perverso “diritto” all’aborto (la legale licenza di uccidere l’uomo nel grembo, dal concepimento in poi), è quel principio di distruzione del creato che estingue nel mondo la fonte della pace.
E’ pura illusione e tragico programma ritenere che la pace si possa separare dalla vita!
Questa precisazione mi sembra anche il senso più vero e profondo del Messaggio di Benedetto XVI.
Eccone, infatti, alcuni passaggi significativi: “La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare..anzitutto per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’”ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.
Ciò richiede, precisa poi il Papa, “che si affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura” (n.12).
Tale messa a fuoco sull’inviolabilità della vita umana (termine che per il suo implicito richiamo alla necessaria difesa ne sottintende soprattutto i più fragili albori nel grembo), è suggerita anche dalla coincidenza della Giornata Mondiale della Pace con la Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.
La verità del fatto della maternità divina di Maria, infatti, ribadisce che Cristo, il “Principe della pace” (Is 9,5) è Figlio di Dio e insieme vero uomo. Perciò com’è vero che chi nega la realtà pienamente umana del Signore va qualificato come “anticristo” (1Gv 4,3), così va considerato avversario e nemico della vera pace chiunque ideologicamente non riconosce il valore assoluto ed inviolabile della vita umana sin dal concepimento, istante in cui “uomo” vuol dire figlio e “figlio” vuol dire uomo.
La solenne benedizione sacerdotale che conclude la santa Messa di oggi è tratta dalla prima Lettura: “Ti benedica il Signore e ti custodisca, il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,22-27).
Per la Bibbia il figlio è il segno più grande della benedizione divina, in se stessa apportatrice di pace. Un segno ed una benedizione che non è stata solo la nascita del bambino Gesù a diffondere nel mondo, ma che si rinnovano ogni volta che la vita umana è creata nel grembo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14).
Il Dio della Pace e il Dio della Vita sono l’unico Dio, il Dio Bambino veduto dai pastori nella stalla di Betlemme e creduto da tutti quelli che ne udirono la testimonianza. Il mondo promette la pace, ma non la da’ perché come ha separato la procreazione dall’amore, così separa la pace dalla vita.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
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Udienza del mercoledì
Catechesi di Benedetto XVI sul teologo Pietro Lombardo
In occasione dell'Udienza generale del mercoledì
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato mercoledì 30 dicembre scorso da Benedetto XVI in occasione dell'Udienza generale nell'aula Paolo VI.
Continuando la catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, il Papa si è soffermato sul teologo Pietro Lombardo, vissuto nel XII secolo.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
in questa ultima udienza dell’anno vorrei parlarvi di Pietro Lombardo: un teologo vissuto nel XII secolo, che ha goduto di grande notorietà, perché una sua opera, intitolata Sentenze, fu adottata come manuale di teologia per molti secoli.
Chi era dunque Pietro Lombardo? Anche se le notizie sulla vita sono scarse, possiamo tuttavia ricostruire le linee essenziali della sua biografia. Nacque tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, nei pressi di Novara, nel Nord dell’Italia, in un territorio un tempo appartenente ai Longobardi: proprio per questo gli fu applicato l’appellativo "Lombardo". Egli apparteneva a una famiglia di modeste condizioni, come possiamo dedurre dalla lettera di presentazione che Bernardo di Chiaravalle scrisse a Gilduino, superiore dell’abbazia di San Vittore a Parigi, per chiedergli di ospitare gratuitamente Pietro, che voleva recarsi in quella città per motivi di studio. In effetti, anche nel Medioevo non solo i nobili o i ricchi potevano studiare e acquisire ruoli importanti nella vita ecclesiale e sociale, ma anche persone di origini umili, come ad esempio Gregorio VII, il Papa che tenne testa all’Imperatore Enrico IV, o Maurizio di Sully, l’Arcivescovo di Parigi che fece costruire Notre-Dame e che era figlio di un povero contadino.
Pietro Lombardo iniziò i suoi studi a Bologna, poi si recò a Reims, e infine a Parigi. Dal 1140 insegnò nella prestigiosa scuola di Notre-Dame. Stimato e apprezzato come teologo, otto anni dopo fu incaricato dal Papa Eugenio III di esaminare le dottrine di Gilberto Porretano, che suscitavano molte discussioni, perché ritenute non del tutto ortodosse. Divenuto sacerdote, fu nominato Vescovo di Parigi nel 1159, un anno prima della sua morte, avvenuta nel 1160.
Come tutti i maestri di teologia del suo tempo, anche Pietro scrisse discorsi e testi di commento alla Sacra Scrittura. Il suo capolavoro però è costituito dai quattro libri delle Sentenze. Si tratta di un testo nato e finalizzato all’insegnamento. Secondo il metodo teologico in uso a quei tempi, occorreva anzitutto conoscere, studiare e commentare il pensiero dei Padri della Chiesa e di altri scrittori ritenuti autorevoli. Pietro raccolse perciò una documentazione molto vasta, costituita principalmente dall’insegnamento dei grandi Padri latini, soprattutto di sant’Agostino, e aperta al contributo di teologi a lui contemporanei. Fra l’altro, egli utilizzò anche un’opera enciclopedica di teologia greca, da poco tempo conosciuta in Occidente: La fede ortodossa, composta da san Giovanni Damasceno. Il grande merito di Pietro Lombardo è di aver ordinato tutto il materiale, che aveva raccolto e selezionato con cura, in un quadro sistematico e armonioso. Infatti, una delle caratteristiche della teologia è organizzare in modo unitario e ordinato il patrimonio della fede. Egli distribuì pertanto le sentenze, cioè le fonti patristiche sui vari argomenti, in quattro libri. Nel primo libro si tratta di Dio e del mistero trinitario; nel secondo, dell’opera della creazione, del peccato e della Grazia; nel terzo, del Mistero dell’Incarnazione e dell’opera della Redenzione, con un’ampia esposizione sulle virtù. Il quarto libro è dedicato ai sacramenti e alle realtà ultime, quelle della vita eterna, o Novissimi. La visione d’insieme che se ne ricava include quasi tutte le verità della fede cattolica. Questo sguardo sintetico e la presentazione chiara, ordinata, schematica e sempre coerente, spiegano il successo straordinario delle Sentenze di Pietro Lombardo. Esse consentivano un apprendimento sicuro da parte degli studenti, e un ampio spazio di approfondimento per i maestri, gli insegnanti che se ne servivano. Un teologo francescano, Alessandro di Hales, vissuto una generazione dopo quella di Pietro, introdusse nelle Sentenze una suddivisione, che ne rese più facile la consultazione e lo studio. Anche i più grandi teologi del tredicesimo secolo, Alberto Magno, Bonaventura da Bagnoregio e Tommaso d’Aquino, iniziarono la loro attività accademica commentando i quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo, arricchendole con le loro riflessioni. Il testo del Lombardo fu il libro in uso in tutte le scuole di teologia, fino al secolo XVI.
Desidero sottolineare come la presentazione organica della fede sia un’esigenza irrinunciabile. Infatti, le singole verità della fede si illuminano a vicenda e, in una loro visione totale e unitaria, appare l’armonia del piano di salvezza di Dio e la centralità del Mistero di Cristo. Sull’esempio di Pietro Lombardo, invito tutti i teologi e i sacerdoti a tenere sempre presente l’intera visione della dottrina cristiana contro gli odierni rischi di frammentazione e di svalutazione di singole verità. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, come pure il Compendio del medesimo Catechismo, ci offrono proprio questo quadro completo della Rivelazione cristiana, da accogliere con fede e con gratitudine. Vorrei incoraggiare perciò anche i singoli fedeli e le comunità cristiane ad approfittare di questi strumenti per conoscere e approfondire i contenuti della nostra fede. Essa ci apparirà così una meravigliosa sinfonia, che ci parla di Dio e del suo amore e che sollecita la nostra ferma adesione e la nostra operosa risposta.
Per avere un’idea dell’interesse che ancor oggi può suscitare la lettura delle Sentenze di Pietro Lombardo, propongo due esempi. Ispirandosi al commento di sant’Agostino al libro della Genesi, Pietro si domanda il motivo per cui la creazione della donna avvenne dalla costola di Adamo e non dalla sua testa o dai suoi piedi. E spiega: "Veniva formata non una dominatrice e neppure una schiava dell’uomo, ma una sua compagna" (Sentenze 3, 18, 3). Poi, sempre sulla base dell’insegnamento patristico, aggiunge: "In questa azione è rappresentato il mistero di Cristo e della Chiesa. Come infatti la donna è stata formata dalla costola di Adamo mentre questi dormiva, così la Chiesa è nata dai sacramenti che iniziarono a scorrere dal costato di Cristo che dormiva sulla Croce, cioè dal sangue e dall’acqua, con cui siamo redenti dalla pena e purificati dalla colpa" (Sentenze 3, 18, 4). Sono riflessioni profonde e valide ancora oggi quando la teologia e la spiritualità del matrimonio cristiano hanno approfondito molto l’analogia con la relazione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa.
In un altro passaggio della sua opera principale, Pietro Lombardo, trattando dei meriti di Cristo, si domanda: "Per quale ragione, allora, [Cristo] volle patire e morire, se le sue virtù erano già sufficienti ad ottenergli tutti i meriti?". La sua risposta è incisiva ed efficace: "Per te, non per se stesso!". Poi continua con un’altra domanda e un’altra risposta, che sembrano riprodurre le discussioni che si tenevano durante le lezioni dei maestri di teologia del Medioevo: "E in che senso egli soffrì e morì per me? Affinché la sua passione e la sua morte fossero per te esempio e causa. Esempio di virtù e di umiltà, causa di gloria e di libertà; esempio dato da Dio obbediente fino alla morte; causa della tua liberazione e della tua beatitudine" (Sentenze 3, 18, 5).
Tra i contributi più importanti offerti da Pietro Lombardo alla storia della teologia, vorrei ricordare la sua trattazione sui sacramenti, dei quali ha dato una definizione direi definitiva: "E’ detto sacramento in senso proprio ciò che è segno della grazia di Dio e forma visibile della grazia invisibile, in modo tale da portarne l’immagine ed esserne causa" (4, 1, 4). Con questa definizione Pietro Lombardo coglie l’essenza dei sacramenti: essi sono causa della grazia, hanno la capacità di comunicare realmente la vita divina. I teologi successivi non abbandoneranno più questa visione e utilizzeranno anche la distinzione tra elemento materiale ed elemento formale, introdotta dal "Maestro delle Sentenze", come venne chiamato Pietro Lombardo. L’elemento materiale è la realtà sensibile e visibile, quello formale sono le parole pronunciate dal ministro. Entrambi sono essenziali per una celebrazione completa e valida dei sacramenti: la materia, la realtà con la quale il Signore ci tocca visibilmente e la parola che dà il significato spirituale. Nel Battesimo, ad esempio, l’elemento materiale è l’acqua che si versa sul capo del bambino e l’elemento formale sono le parole "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Il Lombardo, inoltre, chiarì che solo i sacramenti trasmettono oggettivamente la grazia divina e che sono sette: il Battesimo, la Confermazione, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Unzione degli Infermi, l’Ordine e il Matrimonio (cfr Sentenze 4, 2, 1).
Cari fratelli e sorelle, è importante riconoscere quanto sia preziosa e indispensabile per ogni cristiano la vita sacramentale, nella quale il Signore tramite questa materia, nella comunità della Chiesa, ci tocca e ci trasforma. Come recita il Catechismo della Chiesa Cattolica, i sacramenti sono "forze che escono dal Corpo di Cristo, sempre vivo e vivificante, azioni dello Spirito Santo" (n. 1116). In quest’Anno Sacerdotale, che stiamo celebrando, esorto i sacerdoti, soprattutto i ministri in cura d’anime, ad avere loro stessi, per primi, un’intensa vita sacramentale per essere di aiuto ai fedeli. La celebrazione dei sacramenti sia improntata a dignità e decoro, favorisca il raccoglimento personale e la partecipazione comunitaria, il senso della presenza di Dio e l’ardore missionario. I sacramenti sono il grande tesoro della Chiesa e a ciascuno di noi spetta il compito di celebrarli con frutto spirituale. In essi, un evento sempre sorprendente tocca la nostra vita: Cristo, attraverso i segni visibili, ci viene incontro, ci purifica, ci trasforma e ci rende partecipi della sua divina amicizia.
Cari amici siamo giunti alla fine di questo anno e alle porte dell’anno nuovo. Vi auguro che l’amicizia di Nostro Signore Gesù Cristo vi accompagni ogni giorno di questo anno che sta per iniziare. Possa questa amicizia di Cristo essere nostra luce e guida, aiutandoci ad essere uomini di pace, della sua pace. Buon anno a tutti voi!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Saluto ora i pellegrini di lingua italiana e, in particolare, i giovani, gli ammalati e le coppie di sposi novelli, augurando a tutti che il Nuovo Anno sia sereno e ricco di ogni desiderato bene.
Cari, giovani, in particolare voi Scout provenienti da Soviore, vivete il nuovo anno come un dono prezioso, impegnandovi a costruire la vostra vita alla luce della verità, che risplende nella santa grotta di Betlemme. Voi, ammalati, siate annunciatori delle ricchezze nascoste nel mistero del dolore, che in Cristo è divenuto evento di Redenzione. Voi, sposi novelli, sappiate edificare una famiglia che sia veramente piccola Chiesa, capace di annunciare sempre con la parola e l’esempio la buona Novella recata dagli Angeli agli uomini amati da Dio.
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Angelus
Benedetto XVI: tutti siamo responsabili della protezione del creato
Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le parole pronunciate questo venerdì da Benedetto XVI prima della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro, al termine della Santa Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio.
* * *
Cari fratelli e sorelle!
Oggi il Signore ci dona di iniziare un nuovo anno nel suo Nome e sotto lo sguardo di Maria Santissima, di cui celebriamo la Solennità della Divina Maternità. Sono lieto di incontrarvi per questo primo Angelus del 2010. Mi rivolgo a voi, che siete convenuti numerosi in Piazza San Pietro, ed anche a quanti si uniscono alla nostra preghiera mediante la radio e la televisione: a tutti auguro che l’anno appena incominciato sia un tempo in cui, con l’aiuto del Signore, possiamo andare incontro a Cristo e alla volontà di Dio e così anche migliorare la nostra casa comune che è il mondo.
Un obiettivo condivisibile da tutti, condizione indispensabile per la pace, è quello di amministrare con giustizia e saggezza le risorse naturali della Terra. "Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato": a questo tema, di grande attualità, ho dedicato il mio Messaggio per l’odierna XLIII Giornata Mondiale della Pace. Mentre il Messaggio veniva pubblicato, i Capi di Stato e di Governo erano riuniti a Copenaghen per il vertice sul clima, dove è emersa ancora una volta l’urgenza di orientamenti concertati sul piano globale. Tuttavia, in questo momento, vorrei sottolineare l’importanza che, nella tutela dell’ambiente, hanno anche le scelte dei singoli, delle famiglie e delle amministrazioni locali. "Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita" (cfr Messaggio, n. 11). Tutti infatti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Perciò, anche in questo campo, è fondamentale l’educazione: per imparare a rispettare la natura; orientarsi sempre più "a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico" (ibid.).
Se dobbiamo avere cura delle creature che ci circondano, quale considerazione dovremo avere per le persone, nostri fratelli e sorelle! Quale rispetto per la vita umana! Nel primo giorno dell’anno, vorrei rivolgere un appello alle coscienze di quanti fanno parte di gruppi armati di qualunque tipo. A tutti e a ciascuno dico: fermatevi, riflettete, e abbandonate la via della violenza! Sul momento, questo passo potrà sembrarvi impossibile, ma, se avrete il coraggio di compierlo, Dio vi aiuterà, e sentirete tornare nei vostri cuori la gioia della pace, che forse da tempo avete dimenticata. Affido questo appello all’intercessione della Santissima Madre di Dio, Maria. Oggi, la liturgia ci ricorda che otto giorni dopo la nascita del Bambino Ella, insieme con il suo sposo Giuseppe, lo fecero circoncidere, secondo la legge di Mosè, e gli misero nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo (cfr Lc 2,21). Questo nome, che significa "Dio salva", è il compimento della rivelazione di Dio. Gesù è il volto di Dio, è la benedizione per ogni uomo e per tutti i popoli, è la pace per il mondo. Grazie, Madre Santa, che hai dato alla luce il Salvatore, il Principe della pace!
[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
In questi giorni ho ricevuto numerosi messaggi augurali: ringrazio tutti con affetto, soprattutto per il dono della preghiera. Uno speciale augurio desidero indirizzare al Signor Presidente della Repubblica Italiana. A lui, alle altre Autorità dello Stato e all’intero popolo italiano formulo ogni miglior auspicio per l’anno appena iniziato.
Nell’odierna Giornata Mondiale della Pace, rivolgo un cordiale saluto ai partecipanti alla marcia intitolata "Pace in tutte le terre", promossa dalla Comunità di Sant’Egidio a Roma e in molti altri Paesi del mondo. Estendo l’espressione della mia spirituale vicinanza alle molteplici iniziative per la pace organizzate dalle Chiese particolari, dalle associazioni e dai movimenti ecclesiali; penso, in modo speciale, a quella a carattere nazionale svoltasi ieri a Terni e a L’Aquila.
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare gli aderenti al Movimento dell’Amore Familiare e i giovani amici dell’Opera Don Orione, che stanotte hanno vegliato in Piazza San Pietro pregando per l’unità e la pace nelle famiglie e tra le nazioni. Un saluto va anche agli amici e volontari della Fraterna Domus. A tutti auguro di custodire nel cuore, ogni giorno del nuovo anno, la pace che Cristo ci ha donato. Buon anno!
[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]
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Documenti
Messaggio di Benedetto XVI per l'Anno Santo Compostelano 2010
Un'occasione per incontrare Cristo offerta anche a chi non ha fede
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il messaggio inviato da Benedetto XVI in occasione dell'Anno Santo Compostelano, che ha avuto inizio nel pomeriggio di giovedì 31 dicembre con l'apertura della Porta Santa nella cattedrale di Santiago de Compostela.
L'Anno Santo 2010 è il 119° di una storia iniziata nel 1120 con Papa Callisto II, che concesse all'arcidiocesi spagnola il privilegio di poter convocare un Anno santo ogniqualvolta la festa di san Giacomo, il 25 luglio, fosse caduta di domenica.
* * *
A monsignor Julián Barrio Barrio
arcivescovo di Santiago de Compostela
1. In occasione dell'apertura della Porta Santa, che dà inizio al Giubileo Compostelano 2010, faccio giungere un cordiale saluto a lei, Eccellenza, e ai partecipanti a questa significativa cerimonia, come pure ai pastori e ai fedeli di questa Chiesa particolare, che, per il suo vincolo immemorabile con l'Apostolo Giacomo, affonda le sue radici nel Vangelo di Cristo, offrendo questo tesoro spirituale ai suoi figli e ai pellegrini provenienti dalla Galizia, da altre parti della Spagna, dall'Europa e dagli angoli più remoti del mondo.
Con questo atto solenne, si apre un tempo speciale di grazia e di perdono, della «grande perdonanza» come dice la tradizione. Un'opportunità particolare affinché i credenti riflettano sulla loro genuina vocazione alla santità di vita, s'impregnino della Parola di Dio, che illumina e interpella, e riconoscano Cristo, che va loro incontro, li accompagna nelle vicissitudini del loro camminare per il mondo e si dona a loro personalmente, soprattutto nell'Eucaristia. Ma anche quanti non hanno fede, o forse l'hanno lasciata sfiorire, avranno un'occasione particolare per ricevere il dono di «Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita» (Lumen gentium, n. 16).
2. Santiago de Compostela si distingue da tempi lontani per essere meta eminente di pellegrini, i cui passi hanno segnato un Cammino che porta il nome dell'Apostolo, al cui sepolcro si recano persone provenienti specialmente dalle più diverse regioni d'Europa per rinnovare e rafforzare la loro fede. Un Cammino disseminato di tante dimostrazioni di fervore, penitenza, ospitalità, arte e cultura, che ci parla eloquentemente delle radici spirituali del Vecchio Continente.
Il motto di questo Anno Giubilare Compostelano, «Pellegrinando verso la luce», come pure la lettera pastorale per l'occasione «Pellegrini della fede e testimoni di Cristo risorto», continuano fedelmente questa tradizione e la ripropongono come una chiamata evangelizzatrice agli uomini e alle donne di oggi, ricordando il carattere essenzialmente peregrino della Chiesa e dell'essere cristiani in questo mondo (cfr Lumen gentium, n. 6). Nel cammino si contemplano nuovi orizzonti che fanno riflettere sulla ristrettezza della propria esistenza e sull'immensità che l'essere umano ha dentro e fuori di sé, preparandolo ad andare in cerca di ciò a cui realmente il suo cuore anela. Aperto alla sorpresa e alla trascendenza, il pellegrino si lascia istruire dalla Parola di Dio, e in tal modo purifica la propria fede da adesioni e timori infondati. Così fece il Signore risorto con i discepoli che, storditi e sconfortati, si stavano recando a Emmaus. Quando alla parola si aggiunse il gesto di frazionare il pane, ai discepoli «si aprirono gli occhi» (cfr Lc 24, 31) e riconobbero colui che credevano immerso nella morte. Allora incontrano personalmente Cristo, che vive per sempre e fa parte della loro vita. In quel momento, il loro primo e più ardente desiderio è annunciare e testimoniare agli altri quanto accaduto (cfr Lc 24, 35).
Chiedo ferventemente al Signore di accompagnare i pellegrini, di farsi conoscere e di entrare nei loro cuori, «affinché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10). Questa è la vera meta, la grazia, che il mero percorso materiale del Cammino non può far raggiungere da solo, e che porta il pellegrino a divenire un testimone dinanzi agli altri del fatto che Cristo vive ed è la nostra speranza eterna di salvezza. In questa Arcidiocesi, insieme a molte altre organizzazioni ecclesiali, sono state avviate molteplici iniziative pastorali per contribuire a raggiungere questo fine essenziale del pellegrinaggio a Santiago de Compostela, di carattere spirituale, sebbene in certi casi si tenda a ignorarlo o a snaturarlo.
3. In questo Anno Santo, in sintonia con l'Anno Sacerdotale, un ruolo decisivo spetta ai presbiteri, il cui spirito di accoglienza e di dedizione ai fedeli e ai pellegrini deve essere particolarmente generoso. A loro volta pellegrini, sono chiamati a servire i propri fratelli offrendo loro la vita di Dio, come uomini della Parola divina e del sacro (cfr Al ritiro sacerdotale internazionale ad Ars, 28 settembre 2009). Incoraggio, pertanto, i sacerdoti di questa Arcidiocesi, come pure quanti si uniscono ad essi durante questo Giubileo e a quelli delle diocesi per le quali passa il Cammino, a prodigarsi nell'amministrazione dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia, poiché gli aspetti più ricercati, più preziosi e caratteristici dell'Anno Santo sono il Perdono e l'incontro con Cristo vivo.
4. In questa circostanza, esprimo la mia speciale vicinanza ai pellegrini che giungono e continueranno a giungere a Santiago. Li invito a fare incetta delle suggestive esperienze di fede, di carità e di fraternità che incontreranno nel loro percorso, a vivere il Cammino soprattutto interiormente, lasciandosi interpellare dalla chiamata che il Signore fa a ognuno di essi. Così potranno dire con gioia e fermezza nel Portico della Gloria: «Credo». Chiedo loro anche di non dimenticare nella loro preghiera cadenzata quanti non hanno potuto accompagnarli, le loro famiglie e amici, i malati e i bisognosi, gli emigranti, le persone fragili nella fede e il Popolo di Dio con i suoi Pastori.
5. Ringrazio cordialmente l'Arcidiocesi di Santiago, come pure le autorità e gli altri collaboratori, per gli sforzi compiuti nella preparazione di questo Giubileo Compostelano, e anche i volontari e quanti sono disposti a contribuire al suo buon svolgimento. Affido i frutti spirituali e pastorali di questo Anno Santo alla nostra Madre del cielo, la Vergine Pellegrina, e all'Apostolo Giacomo, l'«amico del Signore», e allo stesso tempo imparto a tutti con affetto la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 19 dicembre 2009
Benedetto XVI
[Traduzione dallo spagnolo a cura de “L'Osservatore Romano”]
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Omelia del Papa per la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio
In occasione della 43a Giornata Mondiale della Pace
* * *
Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!
Nel primo giorno del nuovo anno abbiamo la gioia e la grazia di celebrare la Santissima Madre di Dio e, al tempo stesso, la Giornata Mondiale della Pace. In entrambe le ricorrenze celebriamo Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine e nostra vera pace! A tutti voi, che siete qui convenuti: Rappresentanti dei popoli del mondo, della Chiesa romana e universale, sacerdoti e fedeli; e a quanti sono collegati mediante la radio e la televisione, ripeto le parole dell’antica benedizione: il Signore rivolga a voi il suo volto e vi conceda pace (cfr Nm 6,26). Proprio il tema del Volto e dei volti vorrei sviluppare oggi, alla luce della Parola di Dio - Volto di Dio e volti degli uomini - un tema che ci offre anche una chiave di lettura del problema della pace nel mondo.
Abbiamo ascoltato, sia nella prima lettura – tratta dal Libro dei Numeri – sia nel Salmo responsoriale, alcune espressioni che contengono la metafora del volto riferita a Dio: "Il Signore faccia risplendere per te il suo volto / e ti faccia grazia" (Nm 6,25); "Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via, / la tua salvezza fra tutte le genti" (Sal 66/67,2-3). Il volto è l’espressione per eccellenza della persona, ciò che la rende riconoscibile e da cui traspaiono sentimenti, pensieri, intenzioni del cuore. Dio, per sua natura, è invisibile, tuttavia la Bibbia applica anche a Lui questa immagine. Mostrare il volto è espressione della sua benevolenza, mentre il nasconderlo ne indica l’ira e lo sdegno. Il Libro dell’Esodo dice che "il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico" (Es 33,11), e sempre a Mosè il Signore promette la sua vicinanza con una formula molto singolare: "Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo" (Es 33,14). I Salmi ci mostrano i credenti come coloro che cercano il volto di Dio (cfr Sal 26/27,8; 104/105,4) e che nel culto aspirano a vederlo (cfr Sal 42,3), e ci dicono che "gli uomini retti" lo "contempleranno" (Sal 10/11,7).
Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo. "Quando venne la pienezza del tempo – ci ha ricordato anche oggi l’apostolo Paolo – Dio mandò il suo Figlio" (Gal 4,4). E subito aggiunge: "nato da donna, nato sotto la legge". Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi vedere e riconoscere nel figlio della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di "Madre di Dio". Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo. La madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un "figlio della pace" (Lc 10,6). Tra le molte tipologie di icone della Vergine Maria nella tradizione bizantina, vi è quella detta "della tenerezza", che raffigura Gesù bambino con il viso appoggiato – guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in Lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio. In questa icona mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile che lo ha spinto a "dare il suo figlio unigenito" (Gv 3,16). Ma quella stessa icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la buona notizia: "Non sei più schiavo, ma figlio" (Gal 4,7) – come leggiamo ancora in san Paolo.
Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Signori Ambasciatori, cari amici! Meditare sul mistero del volto di Dio e dell’uomo è una via privilegiata che conduce alla pace. Questa, infatti, incomincia da uno sguardo rispettoso, che riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle, la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione. Ma chi, se non Dio, può garantire, per così dire, la "profondità" del volto dell’uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura dell’infinito mistero dell’essere umano. La nostra percezione del mondo e, in particolare, dei nostri simili, dipende essenzialmente dalla presenza in noi dello Spirito di Dio. E’ una sorta di "risonanza": chi ha il cuore vuoto, non percepisce che immagini piatte, prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli altri uomini, benché a volte proprio il volto umano, segnato dalla durezza della vita e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epifania di Dio. A maggior ragione, dunque, per riconoscerci e rispettarci quali realmente siamo, cioè fratelli, abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori.
Fin da piccoli, è importante essere educati al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi. Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli. Più sono piccoli questi bambini, e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo. Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori? Purtroppo, l’icona della Madre di Dio della tenerezza trova il suo tragico contrario nelle dolorose immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi, rifugiati, migranti forzati. Volti scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati dal dolore e dalla disperazione. I volti dei piccoli innocenti sono un appello silenzioso alla nostra responsabilità: di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire un mondo più degno dell’uomo.
Il mio Messaggio per l’odierna XLIII Giornata Mondiale della Pace: "Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato", si pone all’interno della prospettiva del volto di Dio e dei volti umani. Possiamo, infatti, affermare che l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato. Chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato ad avere maggiore amore per le creature, maggiore sensibilità per il loro valore simbolico. Specialmente il Libro dei Salmi è ricco di testimonianze di questo modo propriamente umano di relazionarsi con la natura: con il cielo, il mare, i monti, le colline, i fiumi, gli animali… "Quante sono le tue opere, Signore! – esclama il Salmista – / Le hai fatte tutte con saggezza; / la terra è piena delle tue creature" (Sal 104/103,24).
In particolare, la prospettiva del "volto" invita a soffermarsi su quella che, anche in questo Messaggio, ho chiamato "ecologia umana". Vi è infatti un nesso strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato. "I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri" (ivi, 12). Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la natura non potrà non pagarne le conseguenze. Si può, in effetti, constatare un reciproco influsso tra volto dell’uomo e "volto" dell’ambiente: "quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio" (ibid.; cfr Enc. Caritas in veritate, 51). Rinnovo, pertanto, il mio appello ad investire sull’educazione, proponendosi come obiettivo, oltre alla necessaria trasmissione di nozioni tecnico-scientifiche, una più ampia e approfondita "responsabilità ecologica", basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali. Solo così l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione della pace.
Cari fratelli e sorelle, nel Tempo di Natale ricorre un Salmo che contiene, tra l’altro, anche un esempio stupendo di come la venuta di Dio trasfiguri il creato e provochi una specie di festa cosmica. Questo inno inizia con un invito universale alla lode: "Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore, uomini di tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome" (Sal 95/96,1). Ma a un certo punto questo appello all’esultanza si estende a tutto il creato: "Gioiscano i cieli, esulti la terra, / risuoni il mare e quanto racchiude; / sia in festa la campagna e quanto contiene, / acclamino tutti gli alberi della foresta" (vv. 11-12). La festa della fede diventa festa dell’uomo e del creato: quella festa che a Natale si esprime anche mediante gli addobbi sugli alberi, per le strade, nelle case. Tutto rifiorisce perché Dio è apparso in mezzo a noi. La Vergine Madre mostra il Bambino Gesù ai pastori di Betlemme, che gioiscono e lodano il Signore (cfr Lc 2,20); la Chiesa rinnova il mistero per gli uomini di ogni generazione, mostra loro il volto di Dio, perché, con la sua benedizione, possano camminare sulla via della pace.
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Omelia del Papa al Te Deum di ringraziamento per il 2009
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere nella sera del 31 dicembre i primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, seguiti dal canto del tradizionale inno Te Deum di ringraziamento a conclusione dell’anno civile e dalla benedizione eucaristica.
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Cari fratelli e sorelle!
Al termine di un anno ricco di eventi per la Chiesa e per il mondo, ci ritroviamo questa sera nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per elevare un inno di ringraziamento al Signore del tempo e della storia.
Sono, anzitutto, le parole dell’apostolo Paolo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, a gettare una luce particolare sulla conclusione dell’anno: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).
Il denso brano paolino ci parla della "pienezza del tempo" e ci illumina sul contenuto di tale espressione. Nella storia della famiglia umana, Dio ha voluto introdurre il suo Verbo eterno, facendogli assumere un’umanità come la nostra. Con l’incarnazione del Figlio di Dio, l’eternità è entrata nel tempo, e la storia dell’uomo si è aperta al compimento nell’assoluto di Dio. Il tempo è stato - per così dire - "toccato" da Cristo, il Figlio di Dio e di Maria, e da lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti: è diventato tempo di salvezza e di grazia. Proprio in questa prospettiva dobbiamo considerare il tempo dell’anno che si chiude e di quello che inizia, per porre le più diverse vicende della nostra vita - importanti o piccole, semplici o indecifrabili, gioiose o tristi - sotto il segno della salvezza ed accogliere la chiamata che Dio ci rivolge per condurci verso una meta che è oltre il tempo stesso: l’eternità.
Il testo paolino vuole anche sottolineare il mistero della vicinanza di Dio all’intera umanità. E’ la vicinanza propria del mistero del Natale: Dio si fa uomo e all’uomo viene data l’inaudita possibilità di essere figlio di Dio. Tutto questo ci riempie di gioia grande e ci porta ad elevare la lode a Dio. Siamo chiamati a dire con la voce, il cuore e la vita il nostro "grazie" a Dio per il dono del Figlio, fonte e compimento di tutti gli altri doni con i quali l’amore divino colma l’esistenza di ciascuno di noi, delle famiglie, delle comunità, della Chiesa e del mondo. Il canto del Te Deum, che oggi risuona nelle Chiese di ogni parte della terra, vuole essere un segno della gioiosa gratitudine che rivolgiamo a Dio per quanto ci ha offerto in Cristo. Davvero «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).
Seguendo una felice consuetudine, questa sera vorrei insieme con voi ringraziare il Signore, in particolare, per le grazie sovrabbondanti elargite alla nostra comunità diocesana di Roma nel corso dell’anno che volge al termine. Desidero rivolgere, innanzitutto, un particolare saluto al Cardinale Vicario, ai Vescovi Ausiliari, ai sacerdoti, alle persone consacrate, come pure ai tanti fedeli laici qui convenuti. Saluto, altresì, con deferente cordialità il Signor Sindaco e le Autorità presenti. Il mio pensiero si estende poi a chiunque vive nella nostra Città, in particolare a quanti si trovano in situazioni di difficoltà e di disagio: a tutti e a ciascuno assicuro la mia vicinanza spirituale, avvalorata dal costante ricordo nella preghiera.
Per quanto riguarda il cammino della Diocesi di Roma, rinnovo il mio apprezzamento per la scelta pastorale di dedicare tempo ad una verifica dell’itinerario percorso, al fine di accrescere il senso di appartenenza alla Chiesa e favorire la corresponsabilità pastorale. Per sottolineare l’importanza di questa verifica, anch’io ho voluto offrire il mio contributo, intervenendo, nel pomeriggio del 26 maggio scorso, al Convegno diocesano in San Giovanni in Laterano. Mi rallegro perché il programma della diocesi sta procedendo positivamente con una capillare azione apostolica, che viene svolta nelle parrocchie, nelle prefetture e nelle varie aggregazioni ecclesiali su due ambiti essenziali per la vita e la missione della Chiesa, quali la celebrazione dell’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità. Desidero incoraggiare i fedeli a partecipare numerosi alle assemblee che si svolgeranno nelle varie parrocchie, così da poter offrire un valido contributo all’edificazione della Chiesa. Ancora oggi il Signore vuole far conoscere il suo amore per l’umanità agli abitanti di Roma ed affida a ciascuno, nella diversità dei ministeri e delle responsabilità, la missione di annunciare la sua parola di verità e di testimoniare la carità e la solidarietà.
Solo contemplando il mistero del Verbo incarnato, l’uomo può trovare la risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza umana e scoprire così la verità sulla propria identità. Per questo la Chiesa, in tutto il mondo e anche qui, nell’Urbe, è impegnata a promuovere lo sviluppo integrale della persona umana. Ho appreso, pertanto, con favore la programmazione di una serie di "incontri culturali in Cattedrale", che avranno come tema la mia recente Enciclica Caritas in veritate.
Da diversi anni tante famiglie, numerosi insegnanti e le comunità parrocchiali si dedicano ad aiutare i giovani a costruire il loro futuro su solide fondamenta, in particolare sulla roccia che è Gesù Cristo. Auspico che questo rinnovato impegno educativo possa sempre più realizzare una feconda sinergia fra la comunità ecclesiale e la città per aiutare i giovani a progettare la propria vita. Formulo voti, altresì, che un prezioso contributo in questo importante ambito possa scaturire dal Convegno promosso dal Vicariato e che si terrà nel prossimo mese di marzo.
Per essere testimoni autorevoli della verità sull’uomo è necessario un ascolto orante della Parola di Dio. A questo proposito, desidero soprattutto raccomandare l’antica tradizione della lectio divina. Le parrocchie e le diverse realtà ecclesiali, anche grazie al sussidio preparato dal Vicariato potranno utilmente promuovere questa antica pratica, in modo che essa diventi parte essenziale della pastorale ordinaria.
La Parola, creduta, annunciata e vissuta ci spinge a comportamenti di solidarietà e di condivisione. Nel lodare il Signore per l’aiuto che le comunità cristiane hanno saputo offrire con generosità a quanti hanno bussato alle loro porte, desidero incoraggiare tutti a proseguire nell’impegno di alleviare le difficoltà in cui versano ancora oggi tante famiglie provate dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Il Natale del Signore, che ci ricorda la gratuità con la quale Dio è venuto a salvarci, facendosi carico della nostra umanità e donandoci la sua vita divina, possa aiutare ogni uomo di buona volontà a comprendere che solo aprendosi all’amore di Dio l’agire umano cambia, si trasforma, diventando lievito di un futuro migliore per tutti.
Cari fratelli e sorelle, Roma ha bisogno di sacerdoti che siano annunciatori coraggiosi del Vangelo e, allo stesso tempo, rivelino il volto misericordioso del Padre. Invito i giovani a non avere paura di rispondere con il dono completo della propria esistenza alla chiamata che il Signore rivolge loro a seguirlo nella via del sacerdozio o della vita consacrata.
Auspico, fin d’ora, che l’incontro del 25 marzo prossimo, 25° anniversario dell’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù e 10° anniversario di quella, indimenticabile, di Tor Vergata, costituisca per tutte le comunità parrocchiali e religiose, i movimenti e le associazioni un momento forte di riflessione e di invocazione per ottenere dal Signore il dono di numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.
Mentre ci congediamo dall’anno che si conclude e ci avviamo verso il nuovo, la liturgia odierna ci introduce nella Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio. La Vergine Santa è Madre della Chiesa e madre di ciascuno dei suoi membri, cioè Madre di ciascuno di noi, in Cristo. Chiediamo a Lei di accompagnarci con la sua premurosa protezione oggi e sempre, perché Cristo ci accolga un giorno nella sua gloria, nell’assemblea dei Santi: Aeterna fac cum sanctis tuis in gloria numerari. Amen!
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Visita di Benedetto XVI alla mensa dei poveri di Sant'Egidio
ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito i discorsi pronuciati da Benedetto XVI nel visitare, il 27 dicembre scorso, la mensa di via Dandolo, nel quartiere di Trastevere a Roma, per pranzare con i poveri assistiti dalla Comunità di San’Egidio.
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Cari Amici!
È per me un’esperienza commovente essere con voi, essere qui nella famiglia della Comunità di Sant’Egidio, essere con gli amici di Gesù, perché Gesù ama specialmente le persone sofferenti, le persone con difficoltà, e vuole averli come i suoi fratelli e sorelle. Grazie per questa possibilità! Sono molto lieto e ringrazio quanti con amore e competenza hanno preparato il cibo – realmente ho sentito la competenza di questa cucina, complimenti! – e anche per quelli che lo hanno servito celermente così che in un’ora abbiamo fatto un grande pranzo. Grazie e complimenti! Rivolgo il mio cordiale pensiero al Vicegerente, Mons. Luigi Moretti, e a Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni-Narni-Amelia. Saluto con affetto il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità – amico da tanto tempo, come anche Mons. Paglia e Mons. Spreafico - ringraziandolo per le cortesi e profonde parole che ha voluto indirizzarmi. Con il prof. Riccardi saluto anche il Presidente Prof. Marco Impagliazzo, il Parroco di Santa Maria in Trastevere, Mons. Matteo Zuppi, Assistente ecclesiastico. Rivolgo infine un particolare pensiero a tutti gli amici di Sant'Egidio e a ciascuno dei presenti. Durante il pranzo ho potuto conoscere un po’ la storia di alcuni, come riflesso delle situazioni umane qui presenti, ho ascoltato vicende dolorose e cariche di umanità, anche storie di un amore ritrovato qui a Sant’Egidio: esperienze di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti, in un modo o nell’altro, provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della Comunità dei credenti e così anche nel mio cuore.
Attraverso gesti di amore di quanti seguono Gesù diventa visibile la verità che "(Dio) per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore" (Enc. Deus caritas est, 17). Gesù dice: "ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,35-36). E conclude: "tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (v. 40). Ascoltando queste parole, come non sentirsi davvero amici di quelli in cui il Signore si riconosce? E non solo amici, ma anche familiari. Sono venuto tra voi proprio nella Festa della Santa Famiglia, perché, in un certo senso, essa vi assomiglia. Infatti, anche la Famiglia di Gesù, fin dai suoi primi passi, ha incontrato difficoltà: ha vissuto il disagio di non trovare ospitalità, fu costretta ad emigrare in Egitto per la violenza del Re Erode. Voi sapete bene cosa significa difficoltà, ma avete qui qualcuno che vi vuole bene e vi aiuta, anzi, qualcuno qui ha trovato la sua famiglia grazie al servizio premuroso della Comunità di Sant'Egidio, che offre un segno dell’amore di Dio per i poveri.
Qui oggi si realizza quanto avviene a casa: chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito, e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno. Mi torna alla mente l’espressione del Salmo: "Ecco, come è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme" (Sal 133,1). L'impegno di far sentire in famiglia chi è solo o nel bisogno, così lodevolmente portato avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, nasce dall’ascolto attento della Parola di Dio e dalla preghiera. Desidero incoraggiare tutti a perseverare in questo cammino di fede. Con le parole di San Giovanni Crisostomo vorrei ricordare a ciascuno: "Pensa che diventi sacerdote di Cristo, dando con la tua propria mano non carne ma pane, non sangue ma un bicchiere d'acqua" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 42,3). Quale ricchezza offre alla vita l’amore di Dio, che si esprime nel servizio concreto verso i fratelli che sono nella necessità! San Lorenzo, diacono della Chiesa di Roma, quando i Magistrati romani di quel tempo gli intimarono di consegnare i tesori della Chiesa, egli mostrò i poveri di Roma come il vero tesoro della Chiesa. Ricordando il gesto di san Lorenzo possiamo ben dire che anche per voi poveri siete il tesoro prezioso della Chiesa.
Amare, servire dona la gioia del Signore, che dice: "Si è più beati nel dare che nel ricevere" (At 20,35). In questo tempo di particolari difficoltà economiche ciascuno sia segno di speranza e testimone di un mondo nuovo per chi, chiuso nel proprio egoismo e illuso di poter essere felice da solo, vive nella tristezza o in una gioia effimera che lascia il cuore vuoto.
Sono trascorsi pochi giorni dal Santo Natale: Dio si è fatto Bambino, si è fatto vicino a noi per dirci che ci ama ed ha bisogno del nostro amore. A tutti auguro con affetto buone feste e la gioia di sperimentare sempre di più l’amore di Dio. Invoco la protezione della Vergine della Visitazione, Colei che ci insegna ad andare "in fretta" verso i bisogni dei fratelli, e con affetto vi benedico.
[Parole di saluto del Santo Padre]
Cari fratelli e sorelle,
dopo aver partecipato al pranzo di festa nella Mensa della Comunità di Sant'Egidio e aver salutato alcuni studenti della Scuola di Lingua e di Cultura della Comunità, rivolgo i più calorosi auguri a voi che non siete potuti entrare, ma che avete preso parte a questo incontro dall’esterno, mi dicono già da un’ora o due. Grazie!
Tante persone, provenienti da vari Paesi, segnate dal bisogno, si ritrovano qui per cercare una parola, un aiuto, una luce per un futuro migliore. Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato.
C'è una lingua, che al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell'amore. Come dice l'apostolo Paolo: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita" (1 Cor 13,1). È questa la lingua anche di questa Scuola, che dobbiamo apprendere e praticare sempre di più. Ce lo insegna il Bambino Gesù, Dio che per amore si è fatto uno di noi e parla innanzitutto con la sua presenza, con la sua umiltà di essere un Bambino che si fa dipendente dal nostro amore. Questa lingua renderà migliori la nostra città e il mondo.
Vi benedico tutti con affetto e con riconoscenza per quanto fate per i poveri, in vista della costruzione della civiltà dell’amore. Grazie a tutti voi. Buone Feste e Buon Anno!
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Messaggio ai lettori
Buon anno! ZENIT ritorna il 6 gennaio
Carissimi lettori e carissime lettrici,
l'équipe di ZENIT vi augura buon anno e vi ringrazia per la vostra fedeltà.
Il Servizio quotidiano riprenderà normalmente a partire dal 6 gennaio, Solennità della Epifania del Signore.
La Redazione
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