sabato 14 giugno 2008

Anime nere ...dentro l’urne, è forse il sonno della morte men duro?, lo Straniero - Piergiorgio Giacchè

Anime nere

...dentro l'urne, è forse il sonno della morte men duro?

Com'era, "O Roma o morte"? Stavolta è andata male. Sarà che Veltroni non è Cavour e che Rutelli non è Garibaldi. Sarà che a sinistra non si ode da tempo nessuno squillo di tromba. Sarà che l'assalto dei nostri Prodi è andato come è andato… Ma ormai non si può più sparare sulla croce bianca e la bandiera rossa. Ci hanno fatti neri, e non è più questione di camicia ma di anima.
Dire "lo sapevamo" davvero non si può, perché in realtà lo sapevano tutti. Non c'è nel corpo elettorale nessuno, votante o astenuto, che non lo sapesse. Da noi si vota o non si vota con la stessa identica consapevolezza: vince chi ha già vinto e comanda chi già comanda. E non vuol dire che la gente sia scoraggiata, ma invece proprio su questa certezza si basa e si incoraggia perfino l'indecisione elettorale. Chi non vota non lo fa per protesta ma per carattere: si tratta soltanto di farsi gli affari propri in latitanza invece che mettendosi in evidenza. Nessuno più si astiene per mandare un messaggio diverso, per dichiarare la sua disaffezione o la sua disillusione. Da tempo, da noi, nessun elettore si può dire affezionato e nessuno si è mai ragionevolmente illuso.

Tutti dunque sapevano come sarebbe andata a finire, perché era già finita, con tanto di risultati scontati prima della conta. E non si sta parlando dei sondaggi ma dell'assenza di miraggi (già prospettive o addirittura utopie) che caratterizza il mercato e lo spettacolo della politica. Un mercato e uno spettacolo reali e non metaforici che, frequentati dal cliente che ha sempre ragione e dallo spettatore che ha sempre il telecomando, sono per davvero le forme e le norme della più avanzata democrazia. E avanzare oltre l'attuale democrazia è difficile oltre che rischioso. Un altro modo o mondo sarà anche possibile ma al corpo elettorale decisamente non piace. Il corpo elettorale è sazio per quanto è saggio, e ahimè viceversa. Sta coi piedi per terra e la testa sotto terra, lui, e si è stufato in ogni senso di partecipare. Preferisce vincere.

Nessuna novità da questa "ritornata" elettorale. Berlusconi aveva già da tempo sdoganato gli italiani e la Lega li aveva già convinti che era ora di mettere i dazi. Quella maggioranza che ieri la pensava esattamente come oggi, ma che era silenziosa e soprattutto obbediente, è stata liberata dalle ideologie e dalle filosofie, dalle chiese e dalle accademie, dalla cultura alta e dalla politica altra, e finalmente vota per quello che è e soprattutto per quello che ha. Dice quello che pensa e sceglie chi gli piace e chi davvero la rappresenta nelle sue palesi aspirazioni e nelle sue esplicite ambizioni. Italia fatta, un Capo ha. Ed è l'uomo più ricco e felice d'Italia. Un ometto che – con l'aiuto di tutti e approfittandosi di tutto – si è fatto e si è rifatto da solo. Un capetto di simpatica ignoranza e di popolana protervia, che non ha complessi quando gira per il mondo, che non ha timori quando decide le cose da fare. Che addirittura non abbia pensieri? L'elettorato più devoto sospetta che sia proprio così, ed è questa la cosa che ammira e che gli invidia di più.

Dalla seconda repubblica si sta passando così a una seconda monarchia. è il piccolo Re che l'ha detto, e ha ragione: la sua e quindi la nostra è una monarchia anarchica, intesa come l'autorità sovrana di un solo Capo che lascia discutere i suoi ministri e – democraticamente e familiarmente – divide con loro le sue minestre. Nel suo regno di Sardegna accoglie tutti i nani e le ballerine, da Putin al Bagaglino; la sua villa di Arcore è aperta da sempre a tutti i suoi amici, che in numero ormai illimitato gli fanno la corte.

E' davvero superfluo cercare le ragioni della sua vittoria, perché non era annunciata ma già avvenuta. Per una volta la cultura ha anticipato la politica: non si tratta di pubblicità televisiva e di commercio elettorale, ma della trasformazione o meglio della liberazione della vera mentalità degli elettori italiani.

La campagna elettorale ovvero la demagogia non è fatta più di esagerate promesse ma di sperticati riconoscimenti: guai a chi si lascia sfuggire la constatazione della scarsa intelligenza o peggio della nulla generosità dell'elettorato. Non c'è niente di peggio che parlare della tragica situazione del mondo e dei mille problemi che affliggono l'umanità. Il condominialismo è di rigore, e non perché affronta i problemi della gente ma perché finge che quelli siano i temi veri dell'esistenza. E così l'immagine della monnezza sta al posto della catastrofe dei rifiuti, l'aumento dei prezzi al posto della piaga della miseria, la pubblica sicurezza al posto della giustizia e perfino della libertà. Più in alto, verso i valori trascendenti, l'embrione ha preso il posto della vita, la famiglia ha preso il posto dell'amore e il mercato quello della fede, visto che è da tutti interrogato e obbedito come un dio.
Se questo è vero anche solo un po', non vale nemmeno la pena di commentare i dettagli e i ritagli dei risultati elettorali, su cui il giornalismo nostrano sta cercando di ricamare valutazioni e consolazioni di ogni genere. I fatti sono due e magari non erano scontati, ma francamente non potevano più essere scongiurati. Da troppo tempo le azioni e i pensieri dei due partiti rivoluzionari italiani (quello del risorgimento e quello della rifondazione) sono in marcia e sono marci. Così, sulla vittoria della Lega c'è molto da capire ma non c'è nulla da imparare. Sulla sconfitta della sinistra cosiddetta radicale c'è invece molto da imparare, ma non c'è davvero niente da capire.

L'esatto contrario di quello che i personaggi e gli interpreti delle due estremità (già estremismi) della politica italiana stanno pensando e dicendo: la sinistra sta già scegliendo la Lega come modello di cultura politica e la Lega comincerà presto a copiare dalla sinistra la sua politica culturale. Già ci immaginiamo i nuovi festival del teatro lombardo-veneto, mentre ronde rosse batteranno le strade per organizzare la prostituzione clandestina in cooperative. Ma davvero non si può continuare a recensire la commedia politica all'italiana. Non è solo per mancanza di battute ma anche perché ci sentiamo i più malridotti. Quelli che si sono fin qui arrogati il dovere dell'apertura sociale e si sono sottomessi al diritto del lavoro culturale, davanti alla sinistra morta non si sentono tanto bene.

Bisognerà mettere sul serio l'arte da parte e i sogni nel cassetto. Bisognerà passare dall'assenza di dibattito all'impotenza di un qualunque discorso. La critica della politica era già inascoltata e inefficace contro il veltronismo degli stenterelli, ma adesso rischia di diventare un esercizio spirituale. La cosa non ci spaventa ma in questa prospettiva è ora che un cambiamento lo facciamo anche noi, "minori" per vocazione e "minoranze" per convinzione. Minori siamo e resteremo, ma non più "frati": in questa Italia del voto elettorale e del vuoto politico non ci sentiamo fratelli di nessuno. Smettiamo di pensare che si somiglino tutti (perché non è vero) e che poi ci somiglino (perché è vero ma non è giusto). Smettiamo di credere che sia inevitabile fare i conti con le loro maggioranze e le loro alternanze. Noi minori non ci possiamo permettere di fare i conti con nessuno, tanto più che non sappiamo far di conto e a mala pena riusciamo a leggere e scrivere. Arrendiamoci all'evidenza, ma non all'acquiescenza: siamo di nome e di fatto "stranieri". Da oggi abbiamo un problema sentimentale in meno e purtroppo un tema intellettuale sempre più vasto e più alto, e quindi impossibile da svolgere. E però in questa rivista ci ostiniamo, in brutta calligrafia e bassa filosofia, di portarlo avanti di qualche stentata riga…

lo Straniero - Piergiorgio Giacchè

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