di Beppe Muraro
Per i giornali e le tv locali di Verona sono "la coppia diabolica". Ma l'omicidio di Adrian Cosmin compiuto venerdì sera dai suoi datori di lavoro Tancredi Valerio Volpe e Cristina Nervo nel veronese non ha nulla di diabolico. Di criminale, assurdo, terribile, crudele e feroce sì. Ma di diabolico proprio nulla. C'è chi un tempo ha detto che "il denaro è lo sterco del demonio", ma in questa vicenda il diavolo proprio non c'entra. Qui conta solo il denaro.
Quelle 900 mila euro della polizza vita fatta sottoscrivere dai due a Cosmin poche settimane fa e che – una volta intascata – avrebbe potuto risollevare le sorti della loro ditta di autotrasporti, che è sull'orlo del fallimento.
"Cos'è la vita di un ragazzo rumeno di fronte alla nostra sopravvivenza, al nostro decoro, al nostro ruolo in una società che non tollera fallimenti, ma solo successi" devono aver pensato i due veronesi.
E così ci avevano provato già un anno fa Tancredi e Cristina a obbligare il loro camionista a firmare l'assicurazione sulla vita, ma il giovane rumeno allora aveva detto no.
I due non si sono scoraggiati, avevano bisogno di quei soldi e così sono tornati all'assalto fino alla firma di Cosmin. Primo atto di un piano che prevedeva fin dall'inizio la sua morte. Una morte terribile: narcotizzato e poi bruciato al volante della sua auto portata in una stradina di campagna nell'entroterra del lago di Garda, sistemando tutto come se si fosse trattato di un incidente.
Un incidente sul lavoro, in fondo, anche questo.
In una società dove i lavoratori molto spesso vengono considerati alla stregua di merce da sfruttare, anche la vita di Adrian Cosmin poteva essere sacrificata in nome e per conto di un bilancio aziendale che non andava.
E lo si fa fedeli fino in fondo alla filosofia di chi pensa e dice che i lavoratori non sono persone, con nomi cognomi storie e affetti, ma solo una risorsa da usare per il bene dell'Azienda. Vite da sfruttare per una paccata di euro.
Un destino poco diverso da quello di chi viene mandato su un'impalcatura, in un laminatoio, a tagliare marmi, a pulire cisterne o nella stiva di una nave.
Vite precarie, vite sempre appese ad un filo, vite da sfruttare e poi gettare via.
Tanto meglio se alla fine c'è un'assicurazione da incassare.
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