L'immigrazione è solo un problema di sicurezza?
Corrado Bonifazi*
I provvedimenti presi dal Governo Berlusconi in tema di immigrazione hanno come obiettivo principale quello di evitare che la presenza di stranieri (specie se clandestini) sul nostro territorio comporti un aumento della criminalità e diminuisca la sicurezza dei cittadini. Quello di un rapporto diretto tra immigrazione e crescita della criminalità è un problema vecchio come le migrazioni: non c'è flusso migratorio di una certa consistenza che non abbia, prima o poi, sollevato questo genere di preoccupazioni nel paese di arrivo. Per decenni ne sono stati incolpati i nostri emigranti: è avvenuto, ad esempio, negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. In quest'ultimo paese è ancora recente il grande sconcerto della pubblica opinione per la strage di Duisburg ad opera della 'ndrangheta calabrese.
I due lati della medaglia
Ed ora che anche noi siamo diventati sufficientemente ricchi da poter vivere dall'altro lato della medaglia i fenomeni migratori, ci preoccupiamo che questi nuovi arrivati non provochino una crescita della criminalità. Sugli interventi dell'attuale governo sono state sollevate da più parti numerose osservazioni critiche, in relazione alla loro opportunità ed efficacia, alla costituzionalità dei provvedimenti e alla loro conformità al diritto comunitario. Sarebbe però quanto mai opportuno che, parallelamente, si avviasse anche una riflessione esplicita sul ruolo che l'Italia vuole dare all'immigrazione, chiedendosi, in particolare, se il nostro paese può permettersi il lusso di ridurre un fenomeno di queste dimensioni e di questo impatto al solo (pur importante) aspetto della sicurezza.
Uno degli elementi certi a disposizione è che né la Turco-Napolitano, né la Bossi-Fini, né i governi di centro-sinistra, né quelli di centro-destra sono stati sinora in grado di impedire la formazione di un vasto bacino di irregolarità. Secondo le ultime stime a disposizione, nel gennaio di quest'anno gli irregolari sarebbero stati almeno 650 mila[1], ricreando così un'area di irregolarità di dimensioni più o meno analoghe a quella che nel 2006 il Governo Prodi aveva assorbito, grazie a un secondo decreto flussi allargato a tutti gli stranieri che avevano presentato domanda di ingresso.
Attribuire questa situazione a una troppo morbida applicazione della Bossi-Fini da parte del centro-sinistra appare riduttivo. Un andamento simile si era infatti già registrato tra il 2002 e il 2005 con esecutivi Berlusconi saldamente in carica. Nel 2002 il centro-destra aveva accompagnato l'approvazione della Bossi-Fini con quella che è stata la più grande regolarizzazione mai attuata in Europa: oltre 700 mila domande, di cui circa 650 mila accettate. Valori che sono stati raggiunti solo in Spagna nel 2005. Nonostante questo grande sforzo, che nelle intenzioni dei promotori doveva essere l'ultimo di questo tipo, a luglio del 2005 gli irregolari erano quantificati in 541 mila unità da una approfondita ricerca condotta dall'Ismu (http://www.ismu.org ) e promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, allora diretto dall'attuale Ministro dell'Interno Maroni.
Lavoro, invecchiamento e salute
Andamenti così netti e intensi, registrati per di più sotto governi di opposto orientamento politico, dimostrano come in questi anni i canali di ingresso regolare per lavoro siano stati largamente sottostimati rispetto alle reali esigenze del sistema produttivo. Dalle imprese e dalle famiglie italiane è, infatti, arrivata una forte e crescente domanda di lavoro straniero. Ciò è avvenuto per una serie di ragioni concomitanti, alcune positive altre molto meno.
Tra i fattori positivi c'è l'alto livello di benessere economico raggiunto dal paese: il Centro-Nord, l'area dove si concentra quasi il 90% del lavoro immigrato, ha attualmente un reddito pro-capite decisamente più elevato della media della UE a 15 e un tasso di disoccupazione sensibilmente più basso, con valori prossimi alla piena occupazione in più di una realtà locale.
I fattori negativi sono più compositi. Vanno dal peso più elevato dell'economia sommersa rispetto agli altri paesi dell'Unione alle conseguenze della bassa fecondità e dell'invecchiamento della popolazione, dai limiti del nostro sistema di welfare a una mobilità interna meno intensa di quanto lascerebbero presagire i differenziali di reddito (ma v. Gustavo De Santis, La donna è mobile (e l'uomo anche)). Tanto per avere un'idea del peso quantitativo di questi fattori basti pensare che, tra il 1991 e il 2007, la popolazione autoctona di età compresa tra i 15 e i 39 anni è diminuita di 1,9 milioni di unità, per il 99% concentrate nel Centro-Nord. O ancora, che le famiglie italiane stanno fronteggiando, con gli strumenti inadeguati di un welfare mediterraneo, un processo di invecchiamento che non ha eguali. Un processo che in quindici anni ha visto le persone con più di 65 anni aumentare di 3 milioni di unità, raggiungendo gli 11,8 milioni di cui 2,3 milioni con almeno una forma di disabilità (v. tab. 1).
http://www.migrantitorino.it/?p=1811#more-1811
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