«Se chiudono una trentina di giornali, c'è più o meno democrazia?»
La scure Tremonti sui contributi all'editoria diventa un caso per buona parte della stampa italiana. Ma non per tutta
f. p.
In pieno conflitto di interessi, molta stampa parla della manovra fiscale del governo che tra le altre cose taglia drasticamente i contributi alla legge sull'editoria per i giornali cooperativi, non profit e di partito, lasciando però intatti i contributi indiretti per i grandi gruppi e soprattutto abolendo il diritto soggettivo della legge finora conosciuta, cioè la certezza di prendere gli aiuti statali in base a parametri certi.
Tacciono a proposito il Corriere della Sera, forse perché la Rcs dalla nuova legge continuerà a prendere il terzo maggiore contributo in agevolazioni postali, la Stampa (probabilmente per lo stesso motivo), e il Sole 24 ore, secondo beneficiario dopo il gruppo Mondadori dei maggiori aiuti di stato all'editoria e tale destinato a rimanere.
Parla invece di noi e degli altri per i guai provocati dalla manovra di Giulio Tremonti la Repubblica, a pagina 2. Titolo: «Scure sui finanziamenti all'editoria, "così molti quotidiani chiuderanno"». Partendo dal più antico giornale cooperativo, il Corriere Mercantile con i suoi 150 anni di storia, il quotidiano diretto da Ezio Mauro racconta come e perché il pluralismo dell'informazione è oggi a rischio con il taglio dei fondi per l'editoria. «Pressing sul tesoro, ma senza risultati. Si salva solo Radio Radicale», segnala ancora Repubblica, che pubblica anche la copertina de il manifesto di venerdì, «Ci vogliono chiudere».
L'Unità, giornale beneficiario di aiuti di stato e dunque in conflitto di interessi come il nostro, dedica un ampio spazio al tema in pagina 4, con tre interviste ai direttori de il manifesto, Il Secolo d'Italia e Liberazione.
Titolo uno per tutti, tutti per uno: «Editoria, la solita "filosofia": guai ai poveri, potenti intoccabili/La manovra azzera i fondi diretti a giornali di partito e cooperative. Ma non tocca un euro ai grandi gruppi editoriali». Prova a fare il cattivo (con il manifesto) il Giornale, che aiuti di stato non ne ha, nonostante l'editore sia il fratello del presidente del consiglio. Sotto il titolo «Le pretese del Manifesto», il Giornale spiega ai suoi lettori che per quanto riguarda il fondo per l'editoria, il decreto Tremonti «è il rigore, bellezza». Ma è silenzio, bellezza, sugli aiuti - maggioritari, che restano intatti - per i grandi gruppi.
Europa titola «Robin Hood contro i piccoli giornali» e scrive in un editoriale: «Non siamo di quelli che gridano al regime ogni cinque minuti, ma qui c'è un problema. Un problema politico, non di numeri. Se domani, a causa di quei tagli, chiuderanno una trentina di testate, saremo tutti più o meno liberi? Se le voci storiche della sinistra radicale, proprio adesso che chi li rappresenta è fuori dal parlamento, fossero messe a tacere, sarà meglio o peggio per la democrazia? Si può sapere per quale motivo sono stati decisi quei tagli, con quali criteri? Perché l'idea che vengano colpiti apposta i giornali che danno fastidio, che sono più aggressivi con chi sta al governo, ecco quella non può proprio avere diritti di cittadinanza».
Avvenire, informando sulla «corsa contro il tempo», ricorda i tempi strettissimi per tutti: «Mancano 72 ore al nuovo voto di fiducia (dopo quelli di ieri del Senato) con cui martedì prossimo la Camera, convertendo in legge il decreto 112 che racchiude la nuova manovra triennale del ministro Tremonti, potrebbe sancire come drammaticamente vicina la prospettiva della chiusura per alcune di queste realtà. Infliggendo così una ferita al pluralismo dell'informazione in Italia».
Tacciono a proposito il Corriere della Sera, forse perché la Rcs dalla nuova legge continuerà a prendere il terzo maggiore contributo in agevolazioni postali, la Stampa (probabilmente per lo stesso motivo), e il Sole 24 ore, secondo beneficiario dopo il gruppo Mondadori dei maggiori aiuti di stato all'editoria e tale destinato a rimanere.
Parla invece di noi e degli altri per i guai provocati dalla manovra di Giulio Tremonti la Repubblica, a pagina 2. Titolo: «Scure sui finanziamenti all'editoria, "così molti quotidiani chiuderanno"». Partendo dal più antico giornale cooperativo, il Corriere Mercantile con i suoi 150 anni di storia, il quotidiano diretto da Ezio Mauro racconta come e perché il pluralismo dell'informazione è oggi a rischio con il taglio dei fondi per l'editoria. «Pressing sul tesoro, ma senza risultati. Si salva solo Radio Radicale», segnala ancora Repubblica, che pubblica anche la copertina de il manifesto di venerdì, «Ci vogliono chiudere».
L'Unità, giornale beneficiario di aiuti di stato e dunque in conflitto di interessi come il nostro, dedica un ampio spazio al tema in pagina 4, con tre interviste ai direttori de il manifesto, Il Secolo d'Italia e Liberazione.
Titolo uno per tutti, tutti per uno: «Editoria, la solita "filosofia": guai ai poveri, potenti intoccabili/La manovra azzera i fondi diretti a giornali di partito e cooperative. Ma non tocca un euro ai grandi gruppi editoriali». Prova a fare il cattivo (con il manifesto) il Giornale, che aiuti di stato non ne ha, nonostante l'editore sia il fratello del presidente del consiglio. Sotto il titolo «Le pretese del Manifesto», il Giornale spiega ai suoi lettori che per quanto riguarda il fondo per l'editoria, il decreto Tremonti «è il rigore, bellezza». Ma è silenzio, bellezza, sugli aiuti - maggioritari, che restano intatti - per i grandi gruppi.
Europa titola «Robin Hood contro i piccoli giornali» e scrive in un editoriale: «Non siamo di quelli che gridano al regime ogni cinque minuti, ma qui c'è un problema. Un problema politico, non di numeri. Se domani, a causa di quei tagli, chiuderanno una trentina di testate, saremo tutti più o meno liberi? Se le voci storiche della sinistra radicale, proprio adesso che chi li rappresenta è fuori dal parlamento, fossero messe a tacere, sarà meglio o peggio per la democrazia? Si può sapere per quale motivo sono stati decisi quei tagli, con quali criteri? Perché l'idea che vengano colpiti apposta i giornali che danno fastidio, che sono più aggressivi con chi sta al governo, ecco quella non può proprio avere diritti di cittadinanza».
Avvenire, informando sulla «corsa contro il tempo», ricorda i tempi strettissimi per tutti: «Mancano 72 ore al nuovo voto di fiducia (dopo quelli di ieri del Senato) con cui martedì prossimo la Camera, convertendo in legge il decreto 112 che racchiude la nuova manovra triennale del ministro Tremonti, potrebbe sancire come drammaticamente vicina la prospettiva della chiusura per alcune di queste realtà. Infliggendo così una ferita al pluralismo dell'informazione in Italia».
il Manifesto
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