Il premier sfiducia il co-fondatore
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ROMA
«Non ci sono più le condizioni per restare nella stessa casa». Un documento, con questo incipit, per "sfiduciare" Gianfranco Fini, mettendolo politicamente in mora per un ruolo da leader politico più che da terza carica dello Stato. Un cartellino giallo con la sanzione dello sospensione, dai tre ai sei mesi, più che l'espulsione per i finiani troppo fuori linea. Si annuncia così, dopo il prevertice a Palazzo Grazioli, la svolta nei rapporti tra Berlusconi e Fini, in vista dell'ufficio di presidenza del Pdl che dovrebbe sancire, carte alla mano, la rottura tra i cofondatori del partito unico del centrodestra.
Loro, i finiani, preparano le relative contromisure e aggiornano la conta di quanti, alla Camera e al Senato, si dicono pronti a uscire dai gruppi parlamentari per costituirne di propri. Di più, in campo c'è addirittura l'ipotesi di un'uscita dei finiani dal governo, con l'appoggio esterno di parlamentari che fino ad ora sono ancora parte integrante della maggioranza e domani potrebbero distinguersene.
Scenari pesanti, dove l'assenza di un vero e proprio cartellino rosso si deve solo alla difficoltà procedurale di far scattare una vera e propria espulsione dal partito, o a quel minimo spazio che ancora è lasciato ai pontieri. Ancora al lavoro, ad esempio, al Senato per scongiurare la separazione almeno in un ramo del Parlamento. Ipotesi che comunque producono l'effetto di una febbrile contabilità sui reali numeri dei dissenzienti e sulla possibilità di acquisire il sostegno di altri parlamentari. Ne va della stabilità del governo.
I due protagonisti oggi si sono sfiorati ma non hanno scambiato neanche un cenno di saluto. In Aula alla Camera entrambi, Fini sullo scranno del presidente, Berlusconi nell'emiciclo a parlare con deputati della maggioranza, resta deluso chi aspettava un cenno, o un confronto come quello nell'ultima direzione. Persino Umberto Bossi oggi non lascia molto spazio all'ottimismo: «Berlusconi e Fini? Si arrangeranno loro... Io ho già le mie beghe».
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