Quando gli svizzeri costringevano i figli dei nostri immigrati a studiare
Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera
«Noi non vuole andare a squola, vuole portare sacchi di malta, mangiare polenta sulle impalcature. Ricevere soldini il sabato essere molto meglio».
Questa, strafalcioni compresi, era la frase messa in bocca ai nostri bambini emigrati a Zurigo in una vignetta anti-italiana in cui i piccoli muratori immigrati in Svizzera venivano presi per l'orecchio e portati, recalcitranti, a studiare.
Era il 1898. E le autorità elvetiche avevano già chiaro un punto: l'integrazione passa attraverso la scuola.
Eppure, un secolo e passa dopo, la deputata forzista Isabella Bertolini, commentando il rapporto annuale dell'Istat, che cosa ha messo tra gli spettri che offrono un «quadro allarmante che va monitorato continuamente per evitare pericolose degenerazioni dei fenomeni legati all'immigrazione»? Il «dato preoccupante » del «boom di alunni stranieri nelle scuole italiane».
Ora, che i motivi di preoccupazione generati dall'ondata di immigrati siano molti non c'è dubbio. Basti dire che, a dispetto delle rassicurazioni di Paolo Ferrero e altri suoi colleghi nei due anni del governo Prodi, «il saldo netto stimato per il 2007 è di oltre 454 mila unità (pari a un tasso migratorio del 7,7 per mille), più che doppio di quello osservato nel 2006», soprattutto a causa di «consistenti ingressi di cittadini neo-comunitari, in particolare romeni» i quali sono «aumentati di quasi 300 mila unità, raggiungendo al 1˚ gennaio 2008 i 640 mila residenti». Il che certo non tranquillizza chi, per quanto dotato di solidi principi anti-razzisti, abbia letto il rapporto riservato dei Carabinieri di qualche mese fa, dove si diceva che a Roma nei primi mesi del 2007 erano stati arrestati 91 albanesi, 94 algerini, 135 bosniaci, 179 marocchini e 1.439 romeni. Una sproporzione che confermava i numeri del 2006, quando i romeni finiti in manette erano stati 4.033: cioè 16 volte più dei secondi classificati, i marocchini.
Così come giustamente preoccupa leggere nel dossier Istat che «un terzo dei reati è compiuto da stranieri: si va dal 39% dei denunciati per violenze sessuali al 36% degli omicidi consumati e al 27% dei denunciati per lesioni dolose». E anche se certi xenofobi dovrebbero riflettere sul fatto che l'Italia ha l'umiliante record europeo delle rapine in banca ma solo in tre casi su cento il bandito è immigrato, è sacrosanto ribellarsi a una realtà in cui i borseggi (reato che semina a torto o a ragione allarme sociale nella popolazione) sono «praticati in sette casi su dieci da uno straniero».
Sono numeri. E i volonterosi pasticcioni anti-razzisti, se si fossero preoccupati davvero di non consegnare questi temi al manganello di certi razzisti nostrani che mostrano i muscoli in questi giorni avrebbero dovuto farsene carico. Evitando le battutine insulse su una percezione di insicurezza collettiva salita nel Nordest in una manciata di anni, dice l'Istat, dal 27 al 37%.
Detto questo, il rapporto smonta inequivocabilmente un paio di callosi stereotipi. Il primo è che non c'è affatto, se mai c'è stata, un'«invasione di islamici», che nel complesso sono una minoranza tale che si potrebbe paradossalmente sostenere che siamo invasi da anti- islamici molto più anti-islamici (si pensi ai polacchi, ai romeni, ai serbi, agli indù...) di quanto siano mediamente gli italiani. Il secondo è che l'«alta criminalità di sangue», marchio spaventoso usato contro i nostri nonni in Argentina da razzisti quali il professor Cornelio Moyano Gacitúa, non è affatto una caratteristica quasi «genetica» degli immigrati.
Anzi, dice l'Istat, «sul totale dei denunciati nel 2006, la quota di stranieri in regola con il permesso di soggiorno è del 6%». Una percentuale bassissima. Tanto che «la propensione a delinquere degli stranieri regolari è di poco superiore a quella della popolazione italiana; del resto la quota di stranieri regolari denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia si ferma al 2 per cento circa».
Andiamo oltre? Visto che gli immigrati hanno mediamente 31 anni (cioè dodici meno di noi) e quelli con più di 65 anni sono solo il 2% contro il nostro 30% e che insomma il paragone andrebbe all'interno delle fasce d'età statisticamente più esposte alla devianza, si può ragionevolmente sostenere che gli immigrati regolari rigano diritti mediamente più degli italiani loro coetanei. «Meditate, gente, meditate...», direbbe il Renzo Arbore di una vecchia pubblicità.
Ed è lì che vedi quanto sia fondamentale l'integrazione dei nuovi arrivati. Quanto conti che si «sentano » italiani. Lo scriveva già, a proposito dei nostri nonni la grande giornalista e sociologa Amy Bernardy: «L'italiano emigra in America. Lo volete italiano? Sarà infelice. Lo volete felice? Sarà americano». Sono i figli, da sempre, che «tirano dentro» fino in fondo i genitori nel Paese che hanno scelto.
Per questo non solo gli svizzeri del 1898 (svizzeri che solo due anni prima avevano scatenato a Zurigo una sanguinosa caccia all'italiano costringendo ad allestire treni speciali per portar in salvo i nostri emigrati) ma anche gli americani e gli australiani, i francesi e i belgi e tutti gli altri popoli che ci hanno accolto per decenni, pretendevano che i nostri bambini andassero a scuola: per farne dei buoni cittadini americani e australiani, francesi e belgi. Destinati a diventare padri della patria come l'argentino Manuel Belgrano, capi di governo come il francese Leon Gambetta, presidenti della repubblica come il cileno Arturo Alessandri, grandi sindaci di San Francisco come Angelo Rossi e di New York come Fiorello La Guardia.
Dei quali, nonostante i nomi italianissimi, non sarebbe mai venuto in mente a nessuno che non fossero americani.
Gian Antonio Stella - Il Corriere della SeraQuesta, strafalcioni compresi, era la frase messa in bocca ai nostri bambini emigrati a Zurigo in una vignetta anti-italiana in cui i piccoli muratori immigrati in Svizzera venivano presi per l'orecchio e portati, recalcitranti, a studiare.
Era il 1898. E le autorità elvetiche avevano già chiaro un punto: l'integrazione passa attraverso la scuola.
Eppure, un secolo e passa dopo, la deputata forzista Isabella Bertolini, commentando il rapporto annuale dell'Istat, che cosa ha messo tra gli spettri che offrono un «quadro allarmante che va monitorato continuamente per evitare pericolose degenerazioni dei fenomeni legati all'immigrazione»? Il «dato preoccupante » del «boom di alunni stranieri nelle scuole italiane».
Ora, che i motivi di preoccupazione generati dall'ondata di immigrati siano molti non c'è dubbio. Basti dire che, a dispetto delle rassicurazioni di Paolo Ferrero e altri suoi colleghi nei due anni del governo Prodi, «il saldo netto stimato per il 2007 è di oltre 454 mila unità (pari a un tasso migratorio del 7,7 per mille), più che doppio di quello osservato nel 2006», soprattutto a causa di «consistenti ingressi di cittadini neo-comunitari, in particolare romeni» i quali sono «aumentati di quasi 300 mila unità, raggiungendo al 1˚ gennaio 2008 i 640 mila residenti». Il che certo non tranquillizza chi, per quanto dotato di solidi principi anti-razzisti, abbia letto il rapporto riservato dei Carabinieri di qualche mese fa, dove si diceva che a Roma nei primi mesi del 2007 erano stati arrestati 91 albanesi, 94 algerini, 135 bosniaci, 179 marocchini e 1.439 romeni. Una sproporzione che confermava i numeri del 2006, quando i romeni finiti in manette erano stati 4.033: cioè 16 volte più dei secondi classificati, i marocchini.
Così come giustamente preoccupa leggere nel dossier Istat che «un terzo dei reati è compiuto da stranieri: si va dal 39% dei denunciati per violenze sessuali al 36% degli omicidi consumati e al 27% dei denunciati per lesioni dolose». E anche se certi xenofobi dovrebbero riflettere sul fatto che l'Italia ha l'umiliante record europeo delle rapine in banca ma solo in tre casi su cento il bandito è immigrato, è sacrosanto ribellarsi a una realtà in cui i borseggi (reato che semina a torto o a ragione allarme sociale nella popolazione) sono «praticati in sette casi su dieci da uno straniero».
Sono numeri. E i volonterosi pasticcioni anti-razzisti, se si fossero preoccupati davvero di non consegnare questi temi al manganello di certi razzisti nostrani che mostrano i muscoli in questi giorni avrebbero dovuto farsene carico. Evitando le battutine insulse su una percezione di insicurezza collettiva salita nel Nordest in una manciata di anni, dice l'Istat, dal 27 al 37%.
Detto questo, il rapporto smonta inequivocabilmente un paio di callosi stereotipi. Il primo è che non c'è affatto, se mai c'è stata, un'«invasione di islamici», che nel complesso sono una minoranza tale che si potrebbe paradossalmente sostenere che siamo invasi da anti- islamici molto più anti-islamici (si pensi ai polacchi, ai romeni, ai serbi, agli indù...) di quanto siano mediamente gli italiani. Il secondo è che l'«alta criminalità di sangue», marchio spaventoso usato contro i nostri nonni in Argentina da razzisti quali il professor Cornelio Moyano Gacitúa, non è affatto una caratteristica quasi «genetica» degli immigrati.
Anzi, dice l'Istat, «sul totale dei denunciati nel 2006, la quota di stranieri in regola con il permesso di soggiorno è del 6%». Una percentuale bassissima. Tanto che «la propensione a delinquere degli stranieri regolari è di poco superiore a quella della popolazione italiana; del resto la quota di stranieri regolari denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia si ferma al 2 per cento circa».
Andiamo oltre? Visto che gli immigrati hanno mediamente 31 anni (cioè dodici meno di noi) e quelli con più di 65 anni sono solo il 2% contro il nostro 30% e che insomma il paragone andrebbe all'interno delle fasce d'età statisticamente più esposte alla devianza, si può ragionevolmente sostenere che gli immigrati regolari rigano diritti mediamente più degli italiani loro coetanei. «Meditate, gente, meditate...», direbbe il Renzo Arbore di una vecchia pubblicità.
Ed è lì che vedi quanto sia fondamentale l'integrazione dei nuovi arrivati. Quanto conti che si «sentano » italiani. Lo scriveva già, a proposito dei nostri nonni la grande giornalista e sociologa Amy Bernardy: «L'italiano emigra in America. Lo volete italiano? Sarà infelice. Lo volete felice? Sarà americano». Sono i figli, da sempre, che «tirano dentro» fino in fondo i genitori nel Paese che hanno scelto.
Per questo non solo gli svizzeri del 1898 (svizzeri che solo due anni prima avevano scatenato a Zurigo una sanguinosa caccia all'italiano costringendo ad allestire treni speciali per portar in salvo i nostri emigrati) ma anche gli americani e gli australiani, i francesi e i belgi e tutti gli altri popoli che ci hanno accolto per decenni, pretendevano che i nostri bambini andassero a scuola: per farne dei buoni cittadini americani e australiani, francesi e belgi. Destinati a diventare padri della patria come l'argentino Manuel Belgrano, capi di governo come il francese Leon Gambetta, presidenti della repubblica come il cileno Arturo Alessandri, grandi sindaci di San Francisco come Angelo Rossi e di New York come Fiorello La Guardia.
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Francis*PAC
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1 commento:
mi risulta che i nostri emigranti arrivati in USA venivano messi in quarantena, mi risulta che in belgio e in francia venissero utilizzati come bassa manovalanza nelle miniere e se qualcuno poi mi viene a dire che gli svizzeri badassero all'istruzione degli italiani allora.... mi viene da ridere. non so che film Lei ha visto o quali propagande lei persegue ma comunque, la saluto cordialmente.
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