martedì 3 giugno 2008

Che cos'è il razzismo: PER UNA DEFINIZIONE, Volint, Democrazia, Stranieri, Diversi

Che cos'è il razzismo:

PER UNA DEFINIZIONE

Il termine razzismo indica le dottrine o credenze sulla superiorità razziale ed include la convinzione che caratteristiche culturali, qualità morali e capacità intellettive siano legate alla razza di appartenenza.

Secondo tale ideologia, dunque, tutta l’umanità sarebbe classificata secondo una scala di razze biologicamente differenti, partendo dal gradino più basso delle razze "primitive", "deboli", "istintive", fino ad arrivare ai gradini superiori delle razze "civilizzate", "forti", "razionali" e quindi dominanti. Questa concezione presuppone un pregiudizio di base e comporta un discriminazione.

Molti studiosi hanno adottato poi la terminologia razzismo istituzionalizzato per indicare quelle forme di razzismo, per così dire, socio-strutturali in cui l’ideologia razzista è incorporata nei sistemi giuridici, amministrativi e sociali. Dunque, il razzismo istituzionalizzato è il risultato di interessi di classe a livello nazionale o un prodotto del colonialismo e dell’imperialismo, a livello internazionale. In questi termini, l’ideologia razzista serve per giustificare e mantenere in rapporto di subordinazione e sfruttamento popolazioni assoggettate, "in virtù della loro inferiorità biologica".

Il razzismo istituzionalizzato ha raggiunto anche forme estreme; ne sono un esempio lo schiavismo perpetrato in Africa, nel "Nuovo Mondo", in Asia ed Europa, l’antisemitismo nazista, e l’apartheid praticato nella Repubblica Sudafricana, mediante il quale la popolazione minoritaria bianca manteneva il controllo politico ed economico della popolazione maggioritaria di neri, asiatici e meticci, esclusi da tutte le fasi dell’interazione sociale, attraverso la repressione politica e l’uso della forza.

In ogni caso, oggi, quando parliamo di razzismo, istintivamente pensiamo al razzismo del bianco contro il nero o di una razza contro un’altra razza, il che è etimologicamente corretto; ma razzismo va inteso in senso lato, come intolleranza e discriminazione dell’altro perché "diverso", "estraneo", "straniero", da cui deriva il termine xenofobia (da greco xenòs = straniero).

Dunque, possiamo avere discriminazioni nei confronti degli handicappati, degli extracomunitari, dei malati di mente, degli ebrei, dei neri, dei meridionali, degli zingari, dei drogati, degli anziani, delle donne, ecc. In ogni caso, il razzismo è l’enfatizzazione, in negativo, della differenza, a vantaggio di chi esprime il giudizio, e a danno di chi lo subisce.

Gli esperti parlano di vari tipi di razzismo:

Razzismo addizionale: generato dalla paura della droga, della criminalità, ecc…

Razzismo concorrenziale: per il controllo simbolico del territorio, competizione per i posti di lavoro o per gli alloggi, ecc...

Razzismo della disuguaglianza: considerare l’altro inferiore a sé (convinzione che può portare allo schiavismo)

Razzismo della differenza: considerare l’altro differente e quindi inconciliabile (convinzione che può portare allo sterminio)

Razzismo culturale o intolleranza etnocentrica: difesa del proprio stile di vita e di valori in contrapposizione a quello degli altri.

Comunque, il pregiudizio, la discriminazione di mentalità razzista e xenofoba derivano da profondi conflitti collettivi in ambito sociologico o individuali in ambito psicologico.

Sociologicamente, come abbiamo detto, i processi di conflitto tra gruppi derivano dalla competizione per le risorse, per il territorio, per le opportunità di lavoro, per l’accumulo delle ricchezze; pertanto, un gruppo che si sente minacciato dalla presenza di un altro gruppo in questo senso rafforza e giustifica la propria posizione aggressiva e di prevaricazione con una supposta superiorità che dà ad esso diritto e legittimazione ad un’azione di forza.

Dal punto di vista psicologico, invece, il pregiudizio e la discriminazione sono, secondo gli esperti, il sintomo di profondi conflitti di personalità. Ma vediamo più nel dettaglio cosa significa.

Come afferma Vittorio Pieroni, docente dell’Università Pontificia di Roma, "Secondo le teorie psicanalitiche il meccanismo del razzismo è implicito in ognuno di noi poiché l’uomo ha bisogno di circondarsi di suoi simili per rispecchiarsi in loro e cercare in loro caratteristiche simili alle proprie. E’ difficile sopportare negli altri caratteristiche che consideriamo negative. Così l’altro, in questo caso, diventa una minaccia da cui ci si deve difendere, e di conseguenza diventa il bersaglio della nostra aggressività".

"L'uomo per sua natura è tentato di rimuovere quel "negativo" che trova in se stesso, ed in questo processo di rifiuto gli fa comodo proiettarlo "fuori", sul "diverso-da-sé". Da questo punto di vista il razzismo è l'espressione della personalità incompiuta dell'individuo il quale, nel rifiutare l'altro, proietta su di lui l'avversione che egli inconsciamente prova verso se stesso.

Nasce così l’"Io-negato". Il meccanismo è semplice: si trasferisce nell’"altro", nel "diverso", quella parte del proprio "io" che non soddisfa, che è la fonte delle proprie debolezze/manchevolezze. Lo spartiacque che separa l'identità accettata dall'identità negata, da cui prende forma il sé-negato, sta nella dicotomizzazione dell’"Io" in una parte vincente/accettata e in quella perdente/rifiutata e proiettata sull’"alterità". In questo caso L’"altro" diventa allora la proiezione del sé-perdente e, quindi, "negato". Si ha paura della diversità dell'altro in quanto rischia di intaccare l'integrità dell'Io-positivo.

Dentro di noi quindi c'è un "rimosso", un io-perdente/negato di cui vorremmo disfarci e che inevitabilmente irrompe nella coscienza rendendo difficile la sua accettazione in qualità di "corpo estraneo".

In pratica è proprio questa "diversità-negata" che fa da "bilanciere" nel determinare l'accoglienza oppure il rifiuto dell’"altro-diverso-da me": più l'io-negato viene accettato e rientra a far parte integrante della personalità globale, e più facilmente anche l’"altro-diverso-da-me" verrà "riconosciuto" come identità a sé stante.

Ma per arrivare a maturare un tale atteggiamento occorre che l’"Io diventi padrone in casa propria". "Freud innanzitutto ricorda che all'essere umano, oltre all'umiliazione cosmologica copernicana, che lo ha sbalzato dal centro dell'universo, e a quella biologica darwiniana, che lo ha legato al mondo animale, è stata inferta da lui stesso un'umiliazione psicologica, dimostrando che l'Io non è padrone in casa propria, dal momento che i processi psichici sono per se stessi inconsci e soltanto attraverso una percezione incompleta e inattendibile divengono accessibili all'Io e gli si sottomettono.

In sintesi, possiamo dire che quando l'uomo ha acquisito una certa autonomia nel processo di integrazione del proprio sé, allora diventa capace di vivere liberamente in rapporto alle proprie percezioni, sentimenti, bisogni. Raggiunge cioè una base di unitarietà all'interno di un processo globale di accettazione di sé.

Si può pertanto dire che la non accettazione degli altri comincia laddove inizia la non accettazione di se stessi. Questa "proiezione" del proprio io-negato si verifica inoltre anche a livello sociale allargato come pure nel piccolo della privacy familiare: ad esempio, succede non infrequentemente che il figlio con cui si riesce meglio ad interagire non a caso viene identificato con i tratti della propria personalità o della famiglia di origine, mentre quello con cui c'è più difficoltà di rapporto ha preso tutto dalla famiglia del partner...

In altri termini, oltre a radicarsi nella personalità individuale, il razzismo ha radici anche nella costruzione dell'identità collettiva. Sembra proprio che laddove la natura ha creato delle varietà i gruppi sociali hanno fatto tutto il possibile per farne delle "differenze", marcandole come "off-limits".

Fonte

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