Fleming metteva tutti in guardia: secondo lo scopritore della penicillina, un
uso inappropriato dell'antibiotico poteva portare alla selezione di "forme
mutanti" e resistenti di Stafilococco aureo, capaci di provocare infezioni
gravi non soltanto nei pazienti, ma anche nelle persone che stavano loro
vicino. Fleming aveva ragione: dopo un anno di impiego diffuso della
penicillina, una buona percentuale di questi batteri era diventata insensibile
alla terapia. Da allora, nonostante la ricerca abbia prodotto decine di nuove
molecole, le cose sono andate peggiorando fino a diventare davvero allarmanti.
Oggi esistono germi invincibili, in grado di sopravvivere a tutti (o quasi) gli
antibiotici destinati a ucciderli. L'ultimo è comparso in India e, complice il
turismo sanitario di molti inglesi (che vanno a Delhi o a Chennay per
sottoporsi a interventi di chirurgia, anche estetica, più economici che in
patria), è riuscito ad arrivare in Europa e a provocare infezioni a volte
modeste, altre volte mortali, secondo quanto ha segnalato poco tempo fa la
rivista The Lancet.
PREOCCUPAZIONE - Così la preoccupazione negli ambienti sanitari sta crescendo.
La comparsa di questi superbatteri ultraresistenti non è una novità: l'
enterobatterio "indiano" è l'ultimo, ma sono già stati identificati batteri,
chiamati Acinetobacter, contro cui la maggior parte delle molecole a
disposizione in terapia è inefficace e che possono provocare infezioni gravi,
soprattutto nei reparti ospedalieri di chirurgia o di terapia intensiva. E,
ancora prima (fin dagli Anni 60 con un'impennata negli Anni 80 in Italia) sono
stati isolati stafilococchi aurei cosiddetti meticillino-resistenti, in sigla
Mrsa: batteri in grado di sopravvivere anche alla meticillina, l'unico
antibiotico che poteva distruggerli. Ma fino a un certo punto la diffusione di
questi batteri rimaneva confinata agli ospedali, ai reparti di rianimazione e
di terapia intensiva e a quei pazienti che oggi sopravvivono grazie agli enormi
progressi della medicina (trapiantati, malati tumorali), ma che sono anche più
fragili e più suscettibili alle infezioni. Adesso sta accadendo il peggio:
questi batteri iper-resistenti si stanno diffondendo sul territorio e il
problema comincia a interessare anche i pazienti che si rivolgono al medico di
famiglia. «D'altra parte la resistenza - spiega Francesco Scaglione, direttore
della Scuola di specializzazione in Farmacologia medica dell'Università di
Milano - è un sistema che i batteri sviluppano per sopravvivere alle avversità
dell'ambiente e, quindi, all'aggressione degli antibiotici: Darwin insegna».
Così si sono via via selezionati i germi più forti, così gli antibiotici
(complice anche l'abuso che in questi anni se n'è fatto) sono diventati via via
più inefficaci.
SORVEGLIANZA - «In Italia - dice Annalisa Pantosti, responsabile della rete di
sorveglianza dell'antibioticoresistenza (Ar-Iss) all'Istituto superiore di
Sanità - nel 40 per cento dei casi di infezione da stafilococco aureo (il germe
può provocare polmoniti, ascessi o setticemie), viene segnalata resistenza agli
antibiotici. L'Escherichia coli, un batterio che può essere responsabile di
gravi setticemie come di banali cistiti, nel 40 per cento dei casi circa è
insensibile ai fluorochinoloni». Il problema è reale, le soluzioni non sono
semplici. «Fino a un certo punto la ricerca è stata al passo - commenta Gianni
Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive all'Istituto superiore
di Sanità -. Compariva la resistenza, arrivava il nuovo antibiotico. Ora, però,
si batte un po' la fiacca e i nuovi prodotti sono pochi». Quasi tutti gli
antibiotici sono stati scoperti fra gli Anni 50 e 70, e negli ultimi dieci anni
sono comparse soltanto due nuove classi di composti. L'industria farmaceutica
non ha interesse a sviluppare molecole, come gli antibiotici, che, a differenza
degli antipertensivi o degli antidiabetici, vengono somministrati per un breve
periodo di tempo e, per di più, rischiano di diventare rapidamente inservibili
per via delle resistenze. Se la ricerca ha rallentato la sua corsa, i batteri
invece non stanno fermi e veicolano infezioni e resistenze da un capo all'altro
del mondo. E il problema non è soltanto dei Paesi occidentali, ma anche di
quelli in via di sviluppo: in Tanzania, il 70 per cento delle infezioni nei
neonati è insensibile agli antibiotici consigliati dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità. «I germi che acquisiscono resistenze - spiega Scaglione - sono in
grado di trasferirle ad altri batteri attraverso frammenti di Dna chiamati
plasmidi che possono addirittura essere trasportati da individui sani». I più
pessimisti parlano adesso di era post-antibiotica. I più ottimisti continuano a
credere nella ricerca medica e sono sicuri che gli scienziati, alla fine, sono
sempre più furbi dei batteri. «La ricerca è una macchina potente: - dice
Scaglione - quando ci si impegna i risultati arrivano». Attualmente sarebbero
una cinquantina gli antibiotici in sviluppo secondo quanto è stato detto
recentemente a Boston alla 50ma conferenza dell'Icaac, l'Interscience
Conference on Antimicrobial Agents and Chemotherapy. Vale la pena crederci,
perché un mondo senza antibiotici significherebbe non soltanto una ricomparsa
alla grande delle malattie infettive, ma anche la rinuncia a molte delle
terapie della medicina moderna. Senza antibiotici, tanto per fare un esempio,
non si potrebbe operare un'appendicite e tanto meno trapiantare un organo.
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