uomini ma anche, e molto, alle donne, la diva perfetta nelle commedie brillanti
e nei kolossal horror come Hannibal, la signora alle soglie dei 50 (li compie
tra un mese) che è riuscita a viaggiare felicemente sul doppio binario di
famiglia e carriera. Del suo curriculum fanno parte premi importanti e diverse
candidature agli Oscar, nel 2002 ne ha ricevute due nella stessa stagione, per
Lontano dal paradiso di Todd Haynes e per The hours di Stephen Daldry. Ieri al
Festival Julianne Moore ha ricevuto dalle mani di Paolo Sorrentino il Premio
Marc'Aurelio che nelle scorse edizioni era andato a Sean Connery, Sofia Loren,
Al Pacino, Meryl Streep. Nei Ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko (sui nostri
schermi a febbraio distribuito da Lucky Red) è la compagna di Annette Bening,
una coppia longeva e felice, messa in crisi dall'imprevista apparizione di
Paul, padre biologico dei due figli concepiti grazie all'inseminazione
artificiale. Il tema è all'ordine del giorno e l'ultima battuta del premier
Berlusconi («è meglio essere appassionati di belle ragazze che gay») offre all'
attrice l'occasione di una replica quieta ma netta: «E' un vero peccato che si
dicano cose del genere, nel rifiutare l'atteggiamento sessuale delle persone c'
è qualcosa di arcaico e anche di idiota. Grandissimi personaggi della storia
sono gay, quella frase è imbarazzante e infelice».
La realtà delle famiglie gay è sempre più diffusa, secondo lei in che cosa
questi nuclei sono meglio o peggio di quelli tradizionali?
«I miei figli vanno a scuola a New York e hanno tanti compagni con due mamme o
due papà. Di recente è stato pubblicato sul New York Times uno studio su
famiglie gay, monitorate per vent'anni. Risultato? I ragazzi hanno ricevuto un'
ottima educazione, sono ben inseriti nel sociale e nel mondo del lavoro.
Insomma, come vediamo nel film, l'importante non è il sesso dei genitori, ma l'
amore che riescono a dare ai loro figli».
Il film dice anche che gli equilibri di una famiglia gay sono identici a
quelli di una famiglia etero. Il suo personaggio, Jules, tradisce in un momento
di confusione e infelicità.
«Si, Jules attraversa una fase in cui fatica a esprimere se stessa, quando
incontra Paul ha la sensazione di ricevere quel riconoscimento che le mancava.
Sono cose che succedono, le persone non hanno sempre le idee chiare».
Alla fine il nucleo si ricompone, la famiglia, di qualunque tipo sia, è sempre
importante. La pensa così anche lei?
«Certo, noi esseri umani tendiamo sempre a dividere la realtà in categorie, ma
sarebbe molto meglio non farlo. Oltre a divenatre più tolleranti, potremmo
imparare a conoscere persone diverse da noi e capire che questa diversità non
esiste».
In questi anni è riuscita a costruirsi un percorso professionale scintillante
e anche a tenere in piedi la famiglia. Come ha fatto?
«Non è una realtà scontata, mi sento per estremamente fortunata per questo,
nella vita si ha bisogno di tutte e due le cose, affetto e realizzazione nel
lavoro».
Quando ha capito di essere diventata una star?
«La mia è una storia particolare, la vera carriera è iniziata tardi, a 32
anni, prima avevo fatto tanta tv e tanto teatro off Broadway, poi, negli Anni
90, sono stata scoperta dal cinema quasi per caso. Dopo America oggi di Robert
Altman, mi è capitato di girare tanti film e di incrociare la mia strada con
quella del cinema indipendente statunitense. Adesso continuano a chiedermi fino
a quando andrò avanti, ma la questione dell'età è un problema per i media, non
per me».
E' un'attrice che si prepara molto oppure no?
«A me piace fare e basta, ma c'è anche gente che, al contrario, preferisce
provare molto prima di girare, sul set le esigenze possono essere differenti,
ma non è un problema».
Nessun commento:
Posta un commento