domenica 23 maggio 2010

[ZI100523] Il mondo visto da Roma

Campagna annuale di donazioni 2010 - In cerca dei 2.600...

Se dividiamo la somma che è necessario raccogliere nell'ambito dell'edizione di ZENIT in italiano (130.000 euro) tra i 40.000 lettori privati, si ottiene un contributo annuale di 3,25 euro per ciascuno. Sarebbe il costo di 3 quotidiani!

Sappiamo che in pratica è impossibile ricevere 3,25 euro da ciascuno dei 40.000 lettori privati in italiano, però per raggiungere la meta forse è possibile ricevere 50 euro da 2.600 di voi!
Puoi far parte del "gruppo dei 2.600" che inviano 50 euro?
Come già hanno fatto molti lettori, puoi coprire i 50 euro per tre, cinque o più persone che non possono farlo?

Per favore pensaci!
Invia la tua donazione oggi stesso!
Per inviare donazioni: http://www.zenit.org/italian/donazioni.html

Grazie!


ZENIT

Il mondo visto da Roma

Servizio quotidiano - 23 maggio 2010

Pubblicità

Intrigo al Concilio Vaticano II - Best-Seller

Tra incontri segreti, progetti minacciosi, eresie e continui colpi di scena, Rosa Alberoni racconta in questo libro il complotto di una minoranza organizzata che aveva l'obiettivo di scardinare il primato di Pietro, di respingere la Madonna come Madre di Cristo, di negare l'esistenza dei Santi e del diavolo, e di condurre la Chiesa Cattolica alla deriva protestante. Edito da Fede & Cultura.

http://fedecultura.com/IntrigoalConcilioVaticanoII.aspx

Per vedere le tariffe e mettere il tuo annuncio nei servizi via email di ZENIT visita: http://ads.zenit.org/italian


Santa Sede

Ostensione della Sindone

Analisi

Interviste

Bioetica

Regina Caeli

Documenti


Santa Sede


Il Papa invoca una rinnovata effusione dello Spirito Santo su tutta la Chiesa
Durante la recita del Regina Caeli

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha esortato questa domenica a invocare una rinnovata effusione dello Spirito Santo su tutta la Chiesa, affinché il messaggio di salvezza sia annunciato a tutti.

Dopo aver presieduto la Messa della solennità di Pentecoste nella Basilica vaticana, il Papa si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli davanti a migliaia di fedeli riuniti in Piazza San Pietro.

Ha quindi ricordato la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel Cenacolo insieme alla Vergine, affermando che “in questa festa di Pentecoste, anche noi vogliamo essere spiritualmente uniti alla Madre di Cristo e della Chiesa invocando con fede una rinnovata effusione del divino Paraclito”.

“La invochiamo per tutta la Chiesa, in particolare, in quest’Anno Sacerdotale, per tutti i ministri del Vangelo, affinché il messaggio della salvezza sia annunciato a tutte le genti”, ha aggiunto.

Nel suo saluto ai pellegrini di lingua spagnola, il Pontefice ha insistito su questo fatto invitando “a pregare in modo speciale per la Chiesa”.

In concreto, ha chiesto di pregare “affinché i suoi membri, rafforzati con la grazia dello Spirito Santo, sentano sempre più la gioia di appartenere alla grande famiglia dei discepoli di Cristo, e con fede viva, speranza ferma e carità ardente diano testimonianza nel mondo del Vangelo della salvezza”.

Il Papa si è riferito al mistero di Pentecoste come a un “vero 'battesimo' della Chiesa”, ricordando quella “manifestazione della potenza dello Spirito Santo, il quale – come vento e come fuoco – scese sugli Apostoli radunati nel Cenacolo e li rese capaci di predicare con coraggio il Vangelo a tutte le genti”:

La Chiesa, ha aggiunto, “vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento”.

“La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni”, ha spiegato.

A questo proposito, ha citato gli esempi dei concili e l'incontro dei movimenti ecclesiali con Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro per la Pentecoste del 1998.

“Ma la Chiesa conosce innumerevoli 'pentecoste' che vivificano le comunità locali”, ha proseguito, indicando le liturgie “speciali per la vita della comunità, nelle quali la forza di Dio si è percepita in modo evidente infondendo negli animi gioia ed entusiasmo”, così come “tanti convegni di preghiera, in cui i giovani sentono chiaramente la chiamata di Dio a radicare la loro vita nel suo amore, anche consacrandosi interamente a Lui”.

“Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste – ha dichiarato –. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria”.

“Così è stato all’inizio, nel Cenacolo”, “e così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo”, ha assicurato, ricordando la sua esperienza nel Santuario di Fatima, durante il suo recente viaggio in Portogallo.

“Che cosa ha vissuto, infatti, quell’immensa moltitudine, nella spianata del Santuario, dove tutti eravamo un cuore solo e un’anima sola, se non una rinnovata Pentecoste?”, ha chiesto.

“In mezzo a noi c’era Maria, la Madre di Gesù. E’ questa l’esperienza tipica dei grandi Santuari mariani - Lourdes, Guadalupe, Pompei, Loreto - o anche di quelli più piccoli: dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI: l'unità, "biglietto da visita della Chiesa"
Omelia nella solennità di Pentecoste

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- L'unità è il tratto distintivo della Chiesa, ha affermato Benedetto XVI questa domenica nell'omelia della Messa che ha presieduto nella Basilica vaticana nella solennità di Pentecoste.

In questo giorno, ha spiegato, “siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero”.

Lo Spirito, ha osservato, “è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo”.

“Dal Figlio di Dio morto e risorto e ritornato al Padre spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo”.

“Cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio?”, ha chiesto il Papa. “Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione”.

In questo modo, “si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa”.

L'importanza dell'unità

L'effetto dell’opera di Dio è dunque l’unità, che è “il segno di riconoscimento, il 'biglietto da visita' della Chiesa nel corso della sua storia universale”.

La Chiesa, ha constatato il Vescovo di Roma, “non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane”.

Allo stesso modo, “è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le Nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali”.

“Sempre e in ogni luogo”, “dev’essere veramente, cattolica e universale, la casa di tutti in cui ciascuno si può ritrovare”.

Per questa ragione, Benedetto XVI ha sottolineato “un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana”: “quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo”.

Fuoco d'amore

A Pentecoste, ha proseguito Benedetto XVI, lo Spirito Santo “si manifesta come fuoco”.

“La sua fiamma è discesa sui discepoli riuniti, si è accesa in essi e ha donato loro il nuovo ardore di Dio”. “Gli apostoli, insieme ai fedeli delle diverse comunità, hanno portato questa fiamma divina fino agli estremi confini della Terra”.

“Hanno aperto così una strada per l’umanità, una strada luminosa, e hanno collaborato con Dio che con il suo fuoco vuole rinnovare la faccia della terra”.

“Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! - ha esclamato - Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata”.

Il fuoco di Dio “è quello del roveto che divampa senza bruciare”; “è una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore”.

Cambiamento di rotta

Anche se non brucia, la fiamma dello Spirito Santo “opera una trasformazione, e perciò deve consumare qualcosa nell’uomo”: “le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni con Dio e con il prossimo”.

“Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo paura di essere 'scottati', preferiremmo rimanere così come siamo”, ha ammesso il Pontefice, sottolineando che ciò dipende dal fatto che “molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del possedere e non del donarsi”.

“Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze che ciò comporta”.

In questa situazione, il Papa ricorda che si ha sempre bisogno di sentirci dire da Gesù quello che ripeteva spesso ai suoi amici: “Non abbiate paura”.

“Dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente”.

Il dolore che procura il farsi toccare dal fuoco dello Spirito Santo è allora “necessario alla nostra trasformazione”.

“Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime”, ha concluso.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il Papa sottolinea l'unione dei cattolici del mondo alla Chiesa in Cina
Per la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, che si celebra questo lunedì

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Dopo la recita del Regina Caeli in Vaticano, questa domenica, Benedetto XVI ha sottolineato l'unione dei cattolici di tutto il mondo – nella preghiera e nella carità – alla Chiesa cinese, in occasione della Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, che si celebrerà questo lunedì.

“La memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, ci offre - domani 24 maggio - la possibilità di celebrare la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina”, ha sottolineato.

Il Papa ha ricordato che i fedeli della Cina “pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale si approfondisca sempre di più”.

Allo stesso modo, ha sottolineato che “i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori particolarmente nella solennità odierna”.

La Giornata di preghiera la Chiesa in Cina arriva quest'anno alla sua terza edizione. L'iniziativa di celebrarla era tra le raccomandazioni di Benedetto XVI esposte nella sua Lettera alla Chiesa cattolica in Cina del 2007.

Ogni anno, migliaia di persone si recano in pellegrinaggio in questo giorno al santuario mariano di Sheshan, situato nella Diocesi cinese di Shanghai e dedicato a Maria Ausiliatrice.

Dall'inizio di maggio questo Santuario, indicato dal Papa nella sua Lettera come luogo in cui si esprime in modo particolare la profonda devozione dei cattolici cinesi alla Vergine, ha visto giungere ondate di pellegrini da tutte le Diocesi, non solo del continente, ma anche di Hong Kong, Taiwan e delle comunità della diaspora cinese.

In ogni comunità o nei santuari mariani si sono poi moltiplicati novene, rosari, processioni mariane e preghiere speciali alla vigilia della Giornata, per pregare insieme alla Chiesa universale per la Chiesa in Cina, ha riferito l'agenzia Fides.

I seminaristi del seminario maggiore della provincia del Sichuan si sono recati in pellegrinaggio alla Diocesi di Nan Chung per prepararsi alla Giornata e ringraziare il Signore per il nuovo sacerdote che è stato appena ordinato.

La parrocchia di Qing Shan, nella Mongolia Interiore, ha dedicato le preghiere del mese di Maria e la novena di preparazione al 24 maggio alla Cina e alla Chiesa in questo Paese.

La piccola parrocchia di Nan Guan, della Diocesi di Bao Ji, nella provincia di Shaan Xi, si sta preparando spiritualmente per la Giornata con un pellegrinaggio al quale partecipano 23 fedeli insieme al parroco e con la recita comunitaria del Rosario.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Ringraziamento del Papa per la testimonianza di Teresa Manganiello
Beatificata questo sabato a Benevento

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha ringraziato Dio, dopo la recita del Regina Caeli in Vaticano questa domenica, per la testimonianza della terziaria francescana Teresa Manganiello, beatificata questo sabato a Benevento.

Il Papa si è riferito a questa “fedele laica” “nata a Montefusco, undicesima figlia di una famiglia di contadini”, che “trascorse una vita semplice e umile, tra le faccende di casa e l’impegno spirituale nella chiesa dei Cappuccini”.

“Come san Francesco d’Assisi cercava di imitare Gesù Cristo offrendo sofferenze e penitenze per riparare i peccati, ed era piena di amore per il prossimo”, ha sottolineato.

“Si prodigava per tutti, specialmente per i poveri e i malati. Sempre sorridente e dolce, a soli 27 anni è partita per il Cielo, dove già il suo cuore abitava”.

“Rendiamo grazie a Dio per questa luminosa testimone del Vangelo!”, ha esclamato.

Migliaia di persone hanno partecipato alla beatificazione della cosiddetta “saggia analfabeta”, celebrata nel pomeriggio in Piazza Risorgimento a Benevento.

Il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, monsignor Angelo Amato, ha presieduto la cerimonia, sottolineando la semplicità e l'umiltà con cui ha vissuto la preghiera, la penitenza e la carità.

Teresa, umile contadina di Montefusco, è stata modellata dallo Spirito Santo e la sua vita è stata una contemplazione della Trinità Divina, ha affermato.

La nuova beata non sapeva leggere né scrivere, “ma custodiva tutto ciò che imparava”, ha ricordato il postulatore della sua causa di beatificazione, monsignor Luigi Porsi, per il quale Teresa aveva una “saggezza soprannaturale”.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Vaticano: unità nella diversità nella festa di Pentecoste
Il Papa presiede l'Eucaristia della solennità che chiude il tempo pasquale

di Carmen Elena Villa

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- La Messa solenne di Pentecoste celebrata questa domenica mattina nella Basilica di San Pietro è stata un riflesso di ciò che Benedetto XVI ha chiesto nella sua omelia.

“Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso”, ha detto il Pontefice.

“Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire ‘tecnica’”.

Migliaia di fedeli provenienti da varie parti del mondo si sono riunite a San Pietro, in una sola fede, per celebrare la Pentecoste.

Doris Meier, proveniente dalla Svizzera e studentessa di Filosofia all'università Angelicum di Roma, ha condiviso con ZENIT alla fine della Messa le sue impressioni sulle parole del Papa, il quale a suo avviso “non ha parlato per sé e nemmeno in maniera autoritaria, ma ha parlato con la verità, per i cattolici come una sola Chiesa”.

Da quando vive a Roma, nell'ottobre scorso, Doris ama andare a tutte le cerimonie presiedute da Benedetto XVI, “perché vedo più particolarmente come vivere la liturgia con tanta gente, così ben preparata ma senza perdere l’aspetto di stare pregando. Bisogna sostenere il Papa, e dire che è bello quello che fa”.

Il Pontefice ha guidato la processione di ingresso nella Basilica di San Pietro mentre le voci maschili, adulte e infantili, del coro della Cappella Sistina intonavano la canzone “Tu es Petrus”. Il Papa si è fermato a salutare e a dare la mano ad alcuni dei fedeli, giunti molto presto a San Pietro per cercare un posto privilegiato per vederlo da vicino. Molti si sono mostrati commossi e sorpresi per aver potuto salutare il Papa a breve distanza.

Com'è tradizione, sia le letture che la preghiera dei fedeli sono state lette in varie lingue per mostrare l'universalità della fede cattolica. I fedeli hanno quindi letto in inglese, spagnolo, italiano, portoghese, tedesco, russo e cinese. Questo aspetto è stato ancor più importante visto che si trattava della festa che pone un accento speciale sulla molteplicità dei carismi.

La liturgia eucaristica si è aperta con le offerte, mentre il coro cantava “Conferma o Dio quanto hai fatto per noi”, ispirato al salmo 67. Undici persone, tra religiose e laici, hanno portato le offerte all'altare, le hanno consegnate personalmente a Benedetto XVI e hanno potuto scambiare qualche parola con lui.

Pochi minuti prima della fine della Messa, il Papa si è recato nel suo studio per recitare dalla finestra l'ultimo Regina Caeli dell'anno, visto che si tratta di una preghiera speciale per il tempo pasquale. Migliaia di fedeli lo aspettavano nel caldo della fine della primavera.

Eva Rodrigo, proveniente dalla Spagna, ha potuto percepire in prima persona l'esperienza della diversità dei carismi: “Sono venuta con un'amica portoghese e un'altra svizzera ed eravamo circondate da francesi, inglesi e brasiliani, così quando ci siamo scambiati la pace è stato bello perché ciascuno la dava nella propria lingua, ma era sempre la pace di Cristo”, ha commentato.

Giunta a Roma per un semestre di scambio presso l'Università La Sapienza, Eva ha sottolineato come “il cristianesimo non appartenga ad alcuna cultura speciale. Non è qualcosa di esclusivo dell'Occidente”.

“Mi è piaciuto molto quando il Papa si è riferito nella sua omelia al fatto che non si può identificare la fede cattolica con Stati o culture, perché il cristianesimo va al di là di qualsiasi struttura sociale”. Una fede che, come si è potuto verificare questa domenica, “riconcilia e unisce la famiglia umana”.




Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Portavoce vaticano: la musica rilancia il dialogo cattolico-ortodosso
Il concerto del metropolita Hilarion mostra le radici comuni

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Il portavoce della Santa Sede ritiene che il dialogo tra i cattolici e gli ortodossi abbia compiuto un altro passo grazie al concerto che la Chiesa ortodossa russa ha presentato questa settimana a Roma.

L'atto musicale è stato presentato il 20 maggio in Vaticano come dono di Sua Santità Kirill I, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, a Benedetto XVI nel quinto anniversario del suo pontificato e per il suo 83° compleanno.

Nel concerto sono state eseguite alcune opere dei grandi compositori russi dei secoli XIX e XX. Il fiore all'occhiello è stato rappresentato dall'interpretazione della sinfonia “Canto dell’Ascensione”, composta dal Metropolita Hilarion Alfeyev di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca.

Il Concerto, come ricorda padre Federico Lombardi S.I., direttore della Sala Stampa della Santa Sede, nell'editoriale dell'ultimo numero di “Octava Dies”, settimanale del Centro Televisivo Vaticano, è stato preceduto da un cordiale messaggio dello stesso Patriarca al Papa, letto dal Metropolita Hilarion, che “andava ben al di là di un normale gesto di cortesia”.

“E’ molto chiaro infatti, che nel contesto del panorama culturale europeo odierno, le posizioni ortodosse e cattoliche sui grandi problemi etici sono comuni, poiché discendono da una visione dell’uomo ispirata dal cristianesimo”, considera il portavoce vaticano.

“Il Metropolita Hilarion, nel suo indirizzo, ha fatto riferimento esplicito, ad esempio, alle questioni relative alla vita e alla famiglia. Il discorso finale del Papa è stato più ampio e impegnativo di quelli che abitualmente svolge al termine dei concerti, sviluppando con ampiezza il tema delle radici cristiane dell’Europa, espresse non solo nella vita religiosa, ma anche ‘nell’inestimabile patrimonio culturale e artistico’ dei Paesi in cui la fede cristiana ha favorito e promosso ‘come non mai la creatività e il genio umano’”.

“Di fronte a una secolarizzazione che spinge a prescindere da Dio e dal suo progetto e ‘finisce per negare la stessa dignità umana’, occorre sviluppare la proposta di un ‘nuovo umanesimo’, affinché l’Europa possa tornare a respirare ‘a pieni polmoni’, grazie ‘al dialogo e alla sinergia fra Oriente e Occidente, fra tradizione e modernità’”.

“Il risonare delle note della grande musica russa in Vaticano è stato un segno eloquente della sintonia profonda che su queste prospettive cruciali si è stabilita fra la Chiesa ortodossa russa e quella cattolica. Un segno davvero incoraggiante per il futuro”, conclude padre Lombardi.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Benedetto XVI erige una nuova Diocesi in Myanmar
Monsignor Felix Lian Khen Thang primo Vescovo

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI ha eretto la Diocesi di Kalay (Myanmar), con territorio dismembrato dalla Diocesi di Hakha, rendendola suffraganea della Sede Metropolitana di Mandalay.

Il Papa ha nominato primo Vescovo di Kalay monsignor Felix Lian Khen Thang, Vescovo titolare di Fessei e Ausiliare della Diocesi di Hakha, secondo quando ha reso noto la Sala Stampa della Santa Sede questo sabato.

La nuova Diocesi di Kalay confina ad est con la Diocesi di Myitkyina e a sud con l’Arcidiocesi di Mandalay e la Diocesi di Hakha. E’ suffraganea dell’Arcidiocesi di Mandalay.

La nuova Diocesi ha un territorio di 22.235 chilometri quadrati e una popolazione di 1.373.000 abitanti, più di 49.000 dei quali cattolici.

E' servita da 20 parrocchie, con 26 sacerdoti diocesani e 84 religiose. I seminaristi sono 29, i catechisti 120.

La chiesa parrocchiale di St. Mary a Kalaymyo è diventata la Chiesa Cattedrale della neo-eretta Diocesi.

La Sala Stampa vaticana ha anche riferito che il Pontefice ha elevato la sede di Tunisi (Tunisia) ad Arcidiocesi, promuovendo alla dignità di Arcivescovo monsignor Maroun Lahham, finora Vescovo della stessa Diocesi.

Il Papa ha inoltre annoverato tra i Referendari del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica i reverendi sacerdoti Eduardo Baura de la Peña, docente presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, e Paolo Giuseppe Bianchi, Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo; i reverendi padri Bruno Esposito, O.P., docente presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, e Luigi Sabbarese, C.S., Decano della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana; Edward N. Peters, docente di Diritto Canonico presso il Sacred Heart Major Seminary dell’Arcidiocesi di Detroit (Stati Uniti).

L'11 maggio, il Papa aveva poi nominato Presidente della Commissione Disciplinare della Curia Romana monsignor Giorgio Corbellini, Vescovo titolare di Abula, Presidente dell’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, finora membro della stessa Commissione.

Il 17 maggio ha invece nominato il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, suo Inviato Speciale alle celebrazioni del IV centenario dell’Arcidiocesi di Arequipa (Perù), che si svolgerà dal 14 al 18 luglio prossimi.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Ostensione della Sindone


L'Ostensione 2010, un successo della fede

di Chiara Santomiero

TORINO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- “Sono contento in primo luogo per gli oltre due milioni di pellegrini giunti a Torino durante l’Ostensione ma non è questa la prima ragione. Ho avuto in questi giorni la percezione chiara che il Signore parlava al cuore di questa gente, sia alle persone di fede sia ai pellegrini giunti dinanzi alla Sindone in cerca di risposte”. Lo ha affermato l’Arcivescovo di Torino, il Cardinale Severino Poletto, nella conferenza stampa di chiusura dell’Ostensione della Sindone 2010 tenutasi questo sabato a Torino.

“Chi è venuto ha trovato accoglienza e disponibilità – ha spiegato ringraziando i responsabili del Comitato per l’Ostensione – e spero che possano ritornare a casa ‘avvolti’ dalla Sindone, simbolo dell’amore di Dio”.

Il Cardinale ha inoltre ricordato come l’Ostensione non sia solo un’occasione commerciale; la vera ragione, infatti, “è spirituale perché la Sindone ci offre l’opportunità di rilanciare la fede in un tempo di smarrimento e di nebbia spirituale, riconciliandoci nella parola di Dio”.

Durante la conferenza stampa sono stati presentati i “numeri” finali dell’evento torinese.

I pellegrini passati davanti alla Sindone sono stati 2.113.128.

Sono giunti dai cinque continenti, e tra i non italiani il primato spetta ai francesi con 26.899 presenze, pari al 20,59%, seguiti dai tedeschi con 13.983, pari al 10,70%, e dai polacchi con 11.263 presenze, pari all’8,62%. Dagli Stati Uniti si sono prenotati in 10.674 (8,17%).

Tra gli asiatici, si va dai 2 pellegrini dell’Oman e i 38 dello Sri Lanka ai 234 della Malaysia e i 244 del Giappone. L'Oceania è stata rappresentata da 426 pellegrini dell'Australia, 3 delle Isole Figi e 3 di Haiti. Per quanto riguarda il Sudamerica, si registrano 798 brasiliani e 850 argentini. Tra gli africani, ci sono stati 156 egiziani, 40 pellegrini di Mauritius e 21 camerunensi.

Tra le regioni italiane più rappresentate, il primo posto spetta al Piemonte con 766.388 pellegrini (46,09% degli italiani; 42,73% del totale generale), seguito dalla Lombardia con 340.465 pellegrini (il 20,47% degli italiani); dal Lazio con 87.497 (il 5,26% degli italiani); dal Veneto con 81.917 (4,92% degli italiani); dall'Emilia Romagna con 71.101 (4,27% degli italiani) e dalla Toscana con 62.721 (3,77% degli italiani).

Rispetto alle precedenti ostensioni, è cresciuto in modo rilevante il numero dei fedeli ortodossi, che hanno superato le 8.000 unità, provenienti in prevalenza dall’Est europeo.

Presenze notevoli anche per gli operatori della comunicazione. Dal 10 aprile, giorno di inaugurazione dell’Ostensione, sono stati 1.588 gli operatori media accreditati, 1.313 italiani e 275 stranieri. Il record di presenze spetta al Sudamerica, con il 24% di giornalisti accreditati; seguono la Francia con il 20%, la Germania con il 17%, il Regno Unito con il 13% e gli Stati Uniti con il 10%.

Tra i mezzi preferiti per raggiungere Torino, secondo i dati rilevati dal sistema di prenotazione, ci sono i pullman: sono 15.914 gli autobus arrivati, con oltre un milione di passeggeri; dall’estero i pullman sono stati 1.217.

Il “villaggio dei giovani”, realizzato nel complesso del Seminario minore di Torino, ha registrato 5.000 passaggi, tra ospiti e pellegrini. Le regioni più presenti nel villaggio sono state il Molise e la Puglia.

Soprattutto nei mercoledì pomeriggio, spazio riservato al loro pellegrinaggio, sono state circa 39.800 le persone disabili, malate, cieche e ipovedenti che hanno visitato la Sindone, e 5.400 le carrozzine fornite all’ingresso dei Giardini Reali dai volontari.

A conclusione della conferenza stampa, il Cardinal Poletto ha ricordato che lunedì 24 maggio la Sindone verrà riposta nuovamente nella sua teca per la conservazione. La teca troverà spazio sotto la tribuna reale nel transetto sinistro del Duomo. Entro sabato 13 giugno la cattedrale potrà tornare ad ospitare le normali celebrazioni liturgiche.



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Ripercorrere l'ostensione della Sacra Sindone
Circa 2 milioni di fedeli l'hanno visitata. L'ostensione termina questa domenica

di Carmen Elena Villa

TORINO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- In questi 44 giorni di ostensione della Sindone, Torino ha cambiato volto, accogliendo la folla di pellegrini e turisti giunta per vedere il sudario che ha avvolto duemila anni fa il corpo di un uomo crocifisso che, secondo ricerche e teorie, era Gesù Cristo.

Dalle 6.30 hanno iniziato a formarsi ogni giorno file chilometriche per arrivare alla Cattedrale di San Giovanni Battista, dove si trova la Sacra Sindone.

Vendita di DVD con un documentario completo sulla Sindone e di libri sul tema; uomini e donne che distribuiscono opuscoli con attività culturali a Torino, preghiere e santini; volontari che consegnano gratuitamente “La Voce del Popolo”, in un'edizione speciale realizzata dall'Arcidiocesi di Torino dedicata all'Ostensione. E' questo l'ambiente che si è percepito in quasi un mese e mezzo in cui la Sacra Sindone ha visto di nuovo la luce ed è stata osservata e contemplata da moltissimi occhi nuovi, provenienti da vari Paesi del mondo.

Tra curiosi e fedeli

Molti pellegrini sono arrivati in pullman, in gruppi di varie Diocesi italiane, parrocchie, congregazioni e movimenti ecclesiali. Altri sono andati individualmente in treno, aereo o automobile. Ci sono anche scettici e semplici curiosi che non hanno voluto perdere l'Ostensione. Le motivazioni che hanno spinto tante persone a recarsi a Torino sono diverse, ma tutte unite da un unico nome: Gesù di Nazaret.

Nella lunga fila si ascoltavano commenti in varie lingue sulla curiosità e l'enigma di questa reliquia e sulle particolarità che si sono scoperte negli ultimi anni (tridimensionalità, dettagli dell'immagine, presenza di polline di 2000 anni fa che si trovava solo a Gerusalemme, la prova del Carbonio 14...).

“Lasciamo agli scienziati e agli storici seri, non ai prevenuti in partenza, il compito di valutare e risolvere la questione relativa all’autenticità della Sindone”, ha detto l'Arcivescovo di Torino, il Cardinale Severino Poletto, in alcune dichiarazioni a “La Voce del Popolo”.

“A noi basta sapere che quanti l’hanno studiata a lungo e con criteri scientifici oggettivi finora non sono riusciti a spiegare come si sia formata quell’immagine, concludendo che non è certamente un manufatto, e quindi permangono fondate molte probabilità in favore della sua autenticità”, ha aggiunto.

Il sostegno dei volontari

Circa 4.000 volontari – il più giovane ha 16 anni e il più anziano 86 – hanno lavorato in turni giornalieri di 3 ore e mezza per la logistica dell'Ostensione. Con una maglietta viola come segno distintivo, hanno offerto il proprio tempo per informare i turisti e controllare i flussi di ingresso delle persone. 800 di loro si sono incaricati dei portatori di handicap, perché i loro problemi fisici non fossero un ostacolo per vedere la Sindone. 90 hanno guidato la recita di una preghiera speciale ogni volta che arrivava un gruppo di pellegrini.

Chi guidava questa preghiera ha anche lasciato uno spazio per il silenzio per il raccoglimento dei fedeli. Dopo cinque minuti, i pellegrini abbandonavano il luogo privilegiato per vedere la Sacra Sindone per lasciare spazio al gruppo successivo. I fedeli che volevano hanno potuto rimanere a pregare nella Cattedrale, e vedere la Sindone da alcuni metri di distanza.

I volontari hanno risposto “alle domande più semplici, come possono essere quelle sui tempi e le modalità della visita”, ha detto Carlo Stroppiana, loro coordinatore per questo evento. “Dispensano anche qualche raccomandazione sul comportamento da tenere, rammentando, ad esempio che non si può usare la macchina fotografica in chiesa”.

Per mantenere lo spirito di preghiera, all'uscita della Cattedrale sono state allestite varie tende per amministrare il sacramento della confessione (200 sacerdoti se ne sono incaricati in varie lingue e con un confessionale speciale per i portatori di handicap) e una tenda di adorazione al Santissimo che in genere era sempre piena di fedeli.

Per molti di loro, vedere la Sacra Sindone è stato un momento fondamentale per la fede e la spiritualità. “Guardando la Sindone, ho pensato a quanto fosse reale e umano Gesù. La Sindone è stata per me il testamento della realtà della sofferenza di Gesù e della sua unità con noi nell'umanità”, ha detto a ZENIT Regina Glassi, una giovane studentessa universitaria giunta da Milwaukee (Wisconsin, Stati Uniti) per un semestre di studio a Roma.

Altre attività

Anche la cultura, l'arte e la conoscenza hanno accompagnato questa Ostensione. L'evento più importante è stato quello intitolato “Gesù. Il corpo involto nell'arte”, un'esposizione su Gesù e l'arte con opere di varie fasi della storia di Cristo dipinte in epoche e con tecniche diverse.

Sono presenti 150 opere tra dipinti, sculture, arazzi, affreschi e miniature. Gli autori spaziano da Michelangelo a Rubens, da Donatello al Correggio. La mostra rimarrà aperta fino all'inizio di agosto.

Circa la logistica per l'Ostensione, il sindaco di Torino, Sergo Chiamparino, ha sottolineato “l’impegno di tutta una comunità, religiosa e laica, per accogliere nel modo migliore le tante persone che ci hanno raggiunto per riuscire a conciliare la fede con il senso di una città”.

L'Ostensione 2010 è stata un evento che ha strabiliato centinaia di migliaia di fedeli, che trovandosi di fronte a questo telo misterioso e affascinante hanno potuto concludere, come il beato Sebastiano Valfré: “La Sindone è un segno di Gesù paragonabile alla croce, ma con questa particolarità: la croce ha accolto Gesù vivo e lo ha restituito morto. La Sindone, invece, lo ha accolto morto e ce l'ha restituito vivo”.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Analisi


I risvolti negativi della fecondazione in vitro

di padre John Flynn, L.C.

ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- L’opposizione della Chiesa cattolica alla fecondazione in vitro (FIV) è ben nota, ma recentemente alcune di queste pratiche sono oggetto di critiche anche da parte di osservatori laici.

Sul New York Times del 10 maggio è apparso un articolo sulla questione dell’acquisto di ovuli da parte delle coppie. Nell’articolo si cita una recente pubblicazione di una rivista di bioetica, The Hastings Center Report, secondo la quale i pagamenti alle giovani donne avvengono al di là della regolamentazione del settore.

Lo studio, di Aaron Levine, docente di public policy presso il Georgia Institute of Technology, ha rivelato che su 100 annunci di acquisto di ovuli, pubblicati su giornali universitari, 25 andavano oltre il limite dei 10.000 dollari stabilito autonomamente dalla American Society for Reproductive Medicine.

I pagamenti più elevati erano offerti alle donne di università prestigiose e a quelle con curricula accademici superiori alla media.

Secondo il New York Times, nel 2006 quasi 10.000 bambini sono nati da ovuli donati: circa il doppio rispetto al 2000.

L’articolo ha anche sollevato preoccupazioni per la salute delle donatrici, soprattutto perché le giovani donne potrebbero non essere consapevoli della gravità di alcuni effetti collaterali.

I rischi per la salute sono stati illustrati in un articolo pubblicato il 3 marzo su LifeNews.com. L’autrice, Jennifer Lahl, presidente del Center for Bioethics and Culture Network, ha invitato le donne a rivedere l’eventuale idea di donare i propri ovuli.

I rischi

Tra i possibili rischi per la salute figurano infarto, danni agli organi, infezione, cancro e perdita di fertilità, sostiene la Lahl.

L’autrice ha anche sostenuto che la donazione di ovuli non è assimilabile alla donazione di organi. In quest’ultima, infatti, il donatore si assume dei rischi al fine di salvare una persona malata o morente. Per contro, il destinatario di una donazione di ovuli non è malato, ma un consumatore che acquista un prodotto.

“La società giustamente condanna la vendita e il pagamento degli organi al fine di prevenire gli abusi e tutelare la vita, mentre il pagamento di ingenti somme come compenso monetario per le donatrici di ovuli le esporrebbe allo sfruttamento a causa della loro necessità di denaro”, ha affermato la Lahl.

Non sono solo le donne universitarie a cui viene proposto l’acquisto degli ovuli.

Lo scorso anno, ad una conferenza sulla fecondazione, la professoressa Naomi Pfeffer ha avvertito del fatto che le donne di Paesi poveri vengono sfruttate in una sorta di prostituzione da parte di occidentali che vogliono disperatamente avere bambini, secondo il quotidiano Times del 19 settembre.

“Il rapporto di scambio è analogo a quello di un cliente con una prostituta”, ha affermato. “È una situazione particolare perché è l’unico caso in cui una donna sfrutta il corpo di un’altra donna”, ha osservato la Pfeffer.

Surrogazione

Un’altra pratica oggetto di critiche è quella delle madri surrogate. L’India è una destinazione rinomata per le coppie occidentali in cerca di donne che possano portare in grembo i loro figli. Un motivo di questa diffusione è la mancanza di leggi che ne regolino le procedure, cosa che è stata evidenziata in un articolo del quotidiano Times of India dell’11 maggio.

L’articolo ha riferito come, per la terza volta nell’ultimo anno e mezzo, i figli nati da madri surrogate indiane abbiano dovuto affrontare ostacoli nel riconoscimento legale nei Paesi di origine dei loro genitori genetici.

I casi precedenti riguardavano quello di un bambino di una coppia giapponese, che ha richiesto sei mesi per risolversi, e quello di una coppia tedesca che ha dovuto attendere mesi per ottenere la cittadinanza del proprio figlio nato da una donna indiana. L’ultimo caso è quello di una coppia omosessuale israeliana che sta cercando di ottenere la cittadinanza per il suo bimbo di due mesi.

L’articolo ha citato esperti, secondo cui tali problemi non sorgerebbero se il disegno di legge che è stato discusso negli ultimi cinque mesi fosse approvato.

La situazione delle madri surrogate indiane è stato esaminato in modo approfondito in un articolo del Sunday Times pubblicato il 9 maggio. Secondo l’articolo, nell'Akanksha Infertility Clinic della città di Anand, gestita dalla dottoressa Navana Patel e dal marito Hitesh, dal 2003 167 donne hanno dato luce a 216 bambini, con altre 50 madri surrogate attualmente in stato di gravidanza.

Le coppie pagano più di 14.000 sterline (16.200 euro), di cui circa un terzo va alle madri surrogate. Le donne provengono spesso da una casta inferiore di un villaggio povero e l’ammontare che ricevono equivale a circa 10 anni di salario, secondo il Sunday Times.

L’articolo ha anche spiegato che alla clinica di Anand, una volta che le madri surrogate sono incinte, devono vivere confinate per l’intera durata della loro gravidanza, potendo allontanarsi solo per i controlli medici. I loro mariti e i figli sono autorizzati a visitarle solo la domenica. Il Sunday Times ha riferito dell’angoscia che le donne provano nell’essere separate dai propri figli e del dolore che devono affrontare al momento di consegnare il loro figlio surrogato.

Il 26 aprile, un articolo pubblicato dal quotidiano Toronto Star ha sollevato alcune questioni relative alla situazione in India. In un caso, una coppia canadese ha pagato una madre surrogata in India, ma quando le autorità canadesi hanno richiesto l’effettuazione di test sul DNA, è risultato che i gemelli erano figli di un’altra coppia sconosciuta. I bambini saranno ora probabilmente assegnati a un orfanotrofio.

Problemi legali

Al di là delle preoccupazioni sullo sfruttamento delle donne, la diffusione della surrogazione sta provocando complessi problemi legali. Il Wall Street Journal ha affrontato alcune di tali questioni in un servizio del 15 gennaio.

Negli Stati Uniti, otto Stati hanno approvato leggi che vietano tutte o alcune delle procedure di surrogazione. In altri Stati i tribunali si sono rifiutati di considerare efficaci i contratti di surrogazione, mentre in 10 Stati sono state approvate leggi che autorizzano questa pratica.

Alcune dispute riguardano visioni diverse sui diritti da riconoscere alla madre surrogata, ha spiegato il Wall Street Journal. In una decisione dello scorso dicembre, il giudice del New Jersey Francis Schultz ha decretato che, nonostante la firma di un accordo di rinuncia dei diritti genitoriali, la madre surrogata Angelina Robinson mantiene comunque tali diritti in relazione al bambino che ha portato in grembo per conto di una coppia omosessuale, Donald Robinson Hollingsworth e Sean Hollingsworth. Peraltro, la Robinson è la sorella di Donald Hollingsworth.

Un'altra complicazione è emersa, poco tempo dopo, da un articolo apparso il 26 gennaio sul New York Times che ha posto la questione se un bambino possa avere tre genitori biologici.

Da recenti esperimenti sulle scimmie, alcuni scienziati ne hanno fatto nascere alcune con un padre e due madri, riuscendo a combinare materiale genetico proveniente dagli ovuli di due femmine. Se questo fosse applicato agli uomini complicherebbe ulteriormente la questione della surrogazione, ha affermato l’articolo.

Vita e amore

L’uso di madri surrogate e di terze persone nella fecondazione in vitro sono oggetto di un documento pubblicato lo scorso novembre dalla Conferenza Episcopale degli Stati Uniti.

Nel documento, dal titolo “Life-Giving Love in an Age of Technology”, i Vescovi simpatizzano con le coppie che soffrono a causa di problemi di fertilità, ma affermano che non tutte le soluzioni rispettano la dignità del rapporto sponsale tra due persone. Il fine non giustifica i mezzi, e alcune tecniche di riproduzione non sono moralmente legittime, affermano.

Occorre resistere alla tentazione di avere un figlio come prodotto della tecnologia, secondo il documento. “Gli stessi figli potrebbero essere visti come prodotti della nostra tecnologia, persino come beni di consumo che i genitori hanno acquistato e che hanno il ‘diritto’ di avere, e non come persone eguali in dignità ai loro genitori e destinate alla felicità eterna in Dio”, sottolineano i Vescovi.

L’introduzione di persone terze attraverso l’uso di ovuli o di sperma di donatori o attraverso la surrogazione, inoltre, viola l’integrità del rapporto sponsale, così come sarebbe violato da relazioni sessuali extramatrimoniali.

“Le cliniche per la fertilità dimostrano disprezzo per le gli uomini e le donne, trattandoli come materia prima, quando gli offrono ingenti somme di denaro per il loro sperma o per i loro ovuli, in funzione delle loro specifiche caratteristiche intellettuali, fisiche o caratteriali”, aggiunge il documento.

I Vescovi osservano inoltre che questi incentivi pecuniari possono indurre le donne a mettere a rischio la propria salute attraverso le procedure di estrazione degli ovuli. Esistono quindi molte buone ragioni per nutrire seri dubbi sulla fecondazione in vitro.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Interviste


"Guardare alla Sindone significa lasciarsi guardare dal Signore"
Don Paolo Tomatis spiega il rapporto tra Sindone e liturgia
di Chiara Santomiero

TORINO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Questa domenica, 23 maggio, è l’ultimo giorno della Solenne Ostensione della Sindone del 2010. Il percorso per la venerazione dei fedeli è rimasto aperto sino alle 13.00, e la porta centrale della Cattedrale è stata chiusa alle 14.00. Alle 16.00 è iniziata la concelebrazione eucaristica di chiusura, presieduta dal Cardinale Severino Poletto, Arcivescovo di Torino e Custode pontificio della Sindone, con i Vescovi del Piemonte.

Dei segni caratteristici di questa celebrazione di chiusura e del rapporto tra Sindone e liturgia ZENIT ha parlato con don Paolo Tomatis, direttore dell’Ufficio liturgico dell’Arcidiocesi di Torino.

In che termini si può parlare di un rapporto tra Sindone e liturgia?

Tomatis: La Sindone – un’immagine sacra particolare che ha i tratti di un’icona ma anche di una reliquia - è stata oggetto di venerazione fin dalla sua comparsa. Il culto ufficiale nasce intorno al 1500 e si diffonde in terra sabauda con testi propri che richiamano alla Passione di Cristo e con un giorno liturgico di commemorazione che è il 4 maggio.

Più interessante, al di là della questione storica, è interrogarsi su cosa voglia dire celebrare davanti alla Sindone. Si è discusso molto riguardo a un oggetto la cui esposizione è temporanea e periodica e questo è il motivo per cui non si pone tanto il collegamento tra la liturgia – che è un atto della vita ordinaria – e la Sindone che rimane custodita, nascosta nella sua teca.

Certamente si pone la questione di quale tipo di gesto portare davanti alla Sindone e se alla Sindone si possa tributare lo stesso onore che si tributa alla croce con il gesto dell’adorazione, non solo della venerazione. In quanto immagine, noi offriamo alla Sindone un culto di venerazione, ma in quanto colui che è rappresentato è Cristo crocifisso, adoriamo colui che nella Sindone è raffigurato.

Da qui nascono i gesti della preghiera, dell’inginocchiarsi o della celebrazione dell’Eucarestia davanti alla Sindone. Essa ha alcune affinità con il mistero della liturgia nella misura in cui è mistero che rinvia alla croce e la liturgia è celebrazione della Pasqua e della Passione di Cristo. La Sindone, però, è anche mistero di luce, in quanto rimanda non soltanto alla morte di Gesù ma al contempo al telo abbandonato dal Risorto. Nel chiaroscuro dell’immagine sindonica possiamo contemplare non solo il mistero della croce, ma anche la luce della Pasqua perché nei Vangeli abbiamo notizie della Sindone quando il corpo non c’è più. Essa ci richiama al corpo risorto di Cristo.

Quanto pesa la questione dell’autenticità?

Tomatis: Proprio la liturgia, per certi aspetti, fa sì che noi siamo liberi di venerare la Sindone al di là della sua autenticità. La liturgia, infatti, ha affinato una teologia dell’immagine sacra – che è la teologia dell’icona e non solo – che non ha bisogno dell’autenticità storica ma della verità teologica. Quando noi portiamo in processione una statua con le reliquie di un santo non è così decisivo che le reliquie siano autentiche: il culto resta intatto nella sua verità, che passa dal segno a colui che dal segno e nel segno è significato.

In questo senso la liturgia tratta la Sindone come un’icona e come una reliquia; infatti il testo dell’inno che è stato composto per quest’Ostensione da Anna Maria Galliano, parla della Sindone come “nobile icona” e come “mistica impronta” dove l’allusione che è tipica del segno - cioè il rimando simbolico dell’icona e dell’impronta misteriosa -, rende possibile, accessibile e anche veritiero il culto, al di là di quella che è l’autenticità storica. La verità teologica non ha bisogno dell’autenticità storica.

Gli ortodossi hanno una visione ancora più forte grazie a una teologia che distingue meno il tema dell’autenticità storica e della verità teologica, ma parla della verità tout court. La Sindone, per il mondo liturgico ortodosso, è qualcosa di molto più familiare che per noi in quanto, ad esempio, il c.d. corporale - cioè la tovaglia in cui si posa il sacramento del corpo del Signore -, reca disegnato proprio una Sindone. La scena della deposizione del corpo del Signore sul corporale esplica un rimando simbolico tra la tovaglia che riceve l’ostia consacrata - il corpo del Signore - e il telo che ha accolto il corpo del Signore. In questo senso, la Sindone appartiene all’ordinario della liturgia del mondo ortodosso e per questo i fedeli vi sono molto affezionati.

Sono previsti dei segni particolari nella celebrazione eucaristica di chiusura dell’Ostensione?

Tomatis: Due segni particolari: durante l’atto penitenziale l’assemblea sarà rivolta verso la Sindone. Inoltre, al momento dell’offertorio – in posizione centrale tra l’offerta delle intenzioni contenute nella preghiera dei fedeli e l’offerta dei dono eucaristici – verrà portato all’altare un cesto con le intercessioni, le fotografie, le preghiere lasciate durante l’Ostensione dai pellegrini di tutto il mondo.

Nella liturgia eucaristica la sfida è cogliere nel segno stesso dell’Eucarestia il sacramento del corpo donato raffigurato nella Sindone. Abbiamo lavorato molto insieme con un gruppo di architetti torinesi e dei designer di Vicenza per elaborare un calice e una patena per questa Ostensione, usati in tutte le celebrazioni eucaristiche. Il disegno del calice suggerisce in modo evocativo il telo che avvolge il corpo del Signore, così come il calice stesso avvolge il sacramento del sangue di Gesù.  Una sottile lamina d’argento avvolge il calice e ne fa intravedere l’oro sottostante, così come noi siamo invitati a vedere attraverso il chiaroscuro della croce di Cristo l’oro della Resurrezione.

Abbiamo cercato di lavorare sui grandi simboli della liturgia più che su segni aggiunti, convinti che la liturgia ci parla della Sindone.

Durante le Vie Crucis del periodo dell’Ostensione si è cercato, in particolare, un dialogo con i linguaggi dell’arte contemporanea…

Ogni venerdì c’è stata una Via Crucis che dalla Piazzetta reale è arrivata sul sagrato della cattedrale e quindi dentro la chiesa, avendo come filo rosso e simbolo il lenzuolo che è immagine di Gesù e anche del sepolcro vuoto. All’inizio si tratta di un lenzuolo che asciuga le lacrime della Passione di Gesù, un lenzuolo della consolazione, evocato attraverso le figurazioni astratte eseguite da una compagnia di danza perché in piazza si è cercato di attivare quei linguaggi che possono parlare a tutti, credenti e non credenti. L’idea è che tutti possano essere attirati dentro la storia della Passione di Gesù attraverso attori professionisti recitanti, una coreografia, elementi musicali. Il lenzuolo, poco per volta, diventa il corpo di Gesù sulla croce e il corpo di Gesù tra le braccia della Madonna la cui desolazione è stata drammatizzata sul sagrato del duomo. La via crucis ha riunito, così, i linguaggi contemporanei ai tratti delle sacre rappresentazioni popolari. La conclusione è quella di andare alla Sindone come in un’ultima stazione - che richiama il sepolcro vuoto -, allo stesso modo di Giovanni e Pietro che entrano ma, si dice del discepolo amato, “vide solo le bende e il sudario e credette”. Anche noi siamo entrati in duomo alla fine della via crucis per contemplare la Sindone e vedere e credere, con un parallelo tra la chiesa che custodisce la Sindone e il sepolcro che ha accolto il lenzuolo di Gesù.

L’obiettivo di far dialogare i linguaggi dell’arte contemporanea ha colto nella danza, in modo particolare quella contemporanea, la capacità di creare figure ed esprimere sentimenti attraverso il corpo che si slancia pur rimanendo nella sobrietà necessaria allo spazio della preghiera.

L’Ostensione può svolgere una funzione educativa rispetto alla preghiera e la liturgia?

Tomatis: Guardare alla Sindone significa anche lasciarsi guardare dal Signore, così come nel linguaggio dell’icona guardarla è lasciarsi guardare da Colui che è raffigurato. Il dono della Sindone è l’evento spirituale di poter stare davanti al Signore e all’immagine che interpella ogni grado di fede e di situazione differenziata. Il pellegrinaggio da sempre è in grado di accomunare grandi, piccoli, turisti, vicini, lontani, credenti, non credenti; è veramente cattolico nel senso dell’universalità.

Penso che però ci possa essere anche un altro obiettivo: ritrovare un’attenzione alla preghiera davanti all’immagine. In un mondo in cui siamo segnati dall’immagine in movimento, la fede può ritrovare nel suo dna l’immagine come connaturata alla preghiera.

L’immagine non è indispensabile – possiamo celebrare una Messa in uno spazio vuoto perché l’unica immagine necessaria è quella dell’uomo che è immagine di Dio -, però essa è connaturale nella misura in cui il Figlio di Dio è immagine del Padre, e, come diceva il patriarca Atenagora, il cristianesimo è la religione dei volti, quindi cerca il volto, cerca l’immagine. Oggi è necessario un cambiamento d’immaginario nello spazio liturgico, nell’immaginario della fede: abbiamo bisogno di immagini significative che siano non solo devozionali, didattiche, ma epifaniche, che ci mostrino Colui che si è mostrato a noi.

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Bioetica


Una politica regionale per la tutela della maternità e dei concepiti
ROMA, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Per la rubrica di Bioetica, pubblichiamo l’intervento della dottoressa Lodovica Carli all’incontro che si è tenuto venerdì 21 maggio al Palazzo della Regione Lazio a Roma sul tema: “Regioni: quali politiche per la vita?”.

La relazione è stata curata dalla dottoressa Carli per conto e in rappresentanza del Forum delle Associazioni Familiari.

La dottoressa Lodovica Carli è ginecologa, dirigente Medico Primo livello, docente scuola di formazione insegnanti, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari della Puglia, referente scientifico dell'associazione La Quercia Millenaria.



* * *


La riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato alle Regioni compiti sempre più ampi di autonomia e di responsabilità diretta in settori particolarmente importanti per la vita dei cittadini. La tutela della salute e in particolare la cura della vita umana, in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, è senza dubbio uno di questi.

Proponiamo perciò un’ulteriore riflessione sul tema della applicazione della legge 194/78, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”.

Dal titolo stesso della legge, oltre che dalla sua lettera, traspare il principio per cui lo Stato si impegna a privilegiare la nascita e a tutelare la possibilità per ogni donna di vivere la sua maternità. Non a caso, la 194 vieta l’interruzione volontaria di gravidanza a scopo eugenetico, ed esprime chiaramente la volontà del legislatore di prevenire l’IVG anche in fase post-concezionale, lì dove (art.5) descrive minuziosamente gli interventi dissuasivi e i tentativi di ricerca di alternative all’intervento che devono essere messi in atto dal medico o dal consultorio familiare cui la donna si rivolge: lo Stato e la società civile devono cioè impegnarsi a prevenire ogni causa di abortività volontaria!

In questi anni, d’altronde, si è registrato un progressivo mutamento nell’atteggiamento dell’universo femminile che è approdato ad una idea di libertà non più disgiunta dal valore della maternità, tanto che si è molto attenuata la contrapposizione tra i diritti della madre e quelli del nascituro, in favore dei quali si sono registrati numerosi pronunciamenti giurisdizionali nazionali ed internazionali.

Infine, la situazione demografica nazionale ed in particolare quella della Puglia, penultima regione italiana per tasso di fecondità, impone il tentativo di non rinunciare a nessun bambino.

In realtà, la prima parte della legge 194, dedicata esplicitamente alla prevenzione delle IVG è stata in questi anni ampiamente disattesa, non trovando coerente e concreta applicazione. Ciò assume particolare rilevanza in forza della recente introduzione della RU 486 nella induzione farmacologica della interruzione volontaria della gravidanza. Infatti, la necessità di somministrare il mifepristone entro il 49° giorno di amenorrea, così come stabilito dall’AIFA, ripropone drammaticamente il problema della congruità dei tempi necessari a mettere in atto gli interventi dissuasivi, pensati proprio per tutelare il diritto di nascere del feto, e la libertà di diventare madre della donna.

L’adozione della RU 486 può quindi fortemente ostacolare l’integrale applicazione della legge 194 e specialmente dei suoi artt 1 e 5, in considerazione della esiguità dei tempi a disposizione degli operatori socio-sanitari per mettere in atto gli interventi finalizzati alla rimozione delle cause di aborto  e le misure di sostegno alla maternità.

Non è perciò da sottovalutare il rischio che, con l’utilizzo della RU 486, l’IVG si realizzi senza le misure previste dalla 194, accentuando così la solitudine della donna, protagonista suo malgrado di una scelta totalmente privatizzata, davanti alla quale le istituzioni e la società civile rinunciano di fatto a qualsiasi tentativo di contrasto.

Ciò evidentemente riguarda anche la tutela della salute della donna che sceglie l’IVG, lì dove i noti rischi di emorragie e sepsi secondari all’uso del mifepristone rendono necessario il monitoraggio clinico della paziente, fino alla completa espulsione del feto, così come chiaramente indicato dal Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 18 marzo 2010.

Proponiamo pertanto alcune misure urgenti per l’attuazione di concrete politiche di contrasto all’abortività nelle nostre Regioni:

1. In forza della natura pienamente umana dell’embrione fin dal concepimento, così come scientificamente e biologicamente attestato, la Regione deve impegnarsi a tutelare e promuovere il diritto alla vita di ogni essere umano, fin dal concepimento.

Proponiamo quindi la redazione di apposite Linee Guida regionali  di applicazione della 194, che regolino e verifichino l’efficacia del colloquio del medico o dell’operatore psico-sociale consultoriale cui la donna si rivolge per chiedere l’IVG.

Esse devono prevedere il monitoraggio delle modalità di svolgimento del colloquio, la regolare (anche se anonima) registrazione delle cause inducenti la donna a richiedere l’IVG, per la messa in atto di mirate politiche preventive, delle proposte alternative offerte alla donna e dell’esito del colloquio stesso.

Tutto ciò, sia pur nel pieno rispetto della privacy della donna, deve essere registrato su apposite schede e trasmesso alle autorità regionali competenti per l’opportuno approfondimento, da restituire con apposita relazione annuale regionale al consiglio regionale, per la messa a punto di misure di contrasto e di adeguate modalità di governance. Va garantita effettivamente la settimana di attesa dal rilascio del certificato alla prenotabilità dell’intervento, al fine di offrire alla gestante il tempo di una opportuna riflessione.

2. Va inoltre garantita l’applicazione dell’art.2 legge 194/78, lì dove si prevede la collaborazione fra Associazioni di volontariato della società civile disponibili a sostenere la donna gravida in difficoltà, durante la gravidanza e dopo il parto. Tale collaborazione, è espressione dell’impegno civile diffuso per la tutela del diritto alla vita di ogni persona umana, e permette l’offerta di aiuto a donne che lo richiedano. Tali possibilità devono essere fatte conoscere chiaramente e discretamente in TV, attraverso messaggi radiofonici, nei consultori, negli ospedali e nei reparti maternità, lì dove la possibilità di un’alternativa può permettere di evitare il dramma dell’aborto.

1. A tal fine, la presenza dei medici e del personale obiettore di coscienza nei consultori familiari va conservata e comunque garantita.

2. Definizione del limite delle 22 settimane di amenorrea, epoca a partire dalla quale c’è possibilità di sopravvivenza del feto,  per l’esecuzione di aborti dopo i primi 90 giorni di gravidanza, come previsto dall’art. 6 della legge 194/78; garanzia di assistenza medica atta a salvaguardare la vita del feto al nato da IVG che mostri possibilità di vita autonoma, nel rispetto dell’art.7 della stessa legge

3. Il rilancio e la rivisitazione della fisionomia del servizio consultoriale, cui va garantita l’integrazione delle dimensioni sociale e sanitaria e lo sviluppo di attività sempre più orientate alla cura delle relazioni familiari intese come fonte di bene comune.

Tale orientamento è presente in tutte le più recenti normative regionali in materia di consultori familiari, superando così la vecchia ed inadeguata sanitarizzazione dei consultori.

1. L’urgente avvio e/o ripresa delle procedure di accreditamento dei Consultori privati no profit, riconosciuti ed autorizzati dalle Regioni.

2. L’attivazione di percorsi formativi rivolti agli operatori dei consultori delle Asl e di quelli gestiti da Associazioni ed enti privati no profit, comunque riconosciuti ed accreditati dalle Regioni, con particolare riguardo alla figura del consulente familiare

3. La promozione del parto in anonimato.

In merito poi all’aborto farmacologico, chiediamo l’attuazione del disposto dal Consiglio Superiore di Sanità, in base al quale tutto il processo abortivo innescato dall’assunzione del mifepristone deve avvenire, per tutelare la salute della donna, in regime di ricovero ordinario, fino alla completa espulsione dell’embrione, e la attenta registrazione di eventuali effetti avversi secondari all’utilizzo di questo farmaco, onde permettere un confronto con la tecnica dell’aborto chirurgico.

In materia di educazione e prevenzione primaria, chiediamo una approfondita riflessione  in merito alla prescrizione ed alla somministrazione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, così come permesso in alcune Regioni, in particolare alle adolescenti. Studi compiuti in diversi Paesi europei ed americani hanno infatti da tempo dimostrato un diretto nesso di causalità fra la libera somministrazione del levonorgestrel e l’aumento dei tassi di gravidanza, di abortività e di malattie sessualmente trasmesse tra gli adolescenti.

Proponiamo infine, in tema di educazione dell’affettività e della sessualità, l’istituzione di un tavolo di lavoro fra Ufficio Scolastico Regionale, Associazioni Familiari e Assessorato regionale al Welfare che, in collaborazione con istituzioni accademiche, promuova l’auto formazione permanente di genitori e docenti su questi temi e garantisca percorsi formativi integrati per gli adolescenti, in stretta collaborazione fra famiglia e scuola.

Recenti studi, infatti, hanno messo chiaramente in evidenza l’incongruenza fra i  percorsi proposti nelle scuole, non di rado in modo scoordinato o addirittura caotico, i loro contenuti ed i reali bisogni avvertiti dagli adolescenti italiani.

Ci sembra dunque indispensabile riconoscere alle famiglie il loro diritto-dovere di educare i propri figli, in particolare in questo campo, così come operare per costruire alleanze intelligenti fra Famiglia, Scuola ed Istituzioni.

                                              

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Regina Caeli


Benedetto XVI: "Non c'è Pentecoste senza la Vergine Maria"
Intervento in occasione del Regina Caeli

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica recitando la preghiera mariana del Regina Caeli insieme a migliaia di pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.

* * *


Cari fratelli e sorelle!

Cinquanta giorni dopo la Pasqua, celebriamo la solennità della Pentecoste, in cui ricordiamo la manifestazione della potenza dello Spirito Santo, il quale – come vento e come fuoco – scese sugli Apostoli radunati nel Cenacolo e li rese capaci di predicare con coraggio il Vangelo a tutte le genti (cfr At 2,1-13). Il mistero della Pentecoste, che giustamente noi identifichiamo con quell’evento, vero "battesimo" della Chiesa, non si esaurisce però in esso. La Chiesa infatti vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento. La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni. I Concili, ad esempio, hanno avuto sessioni gratificate da speciali effusioni dello Spirito Santo, e tra questi vi è certamente il Concilio Ecumenico Vaticano II. Possiamo ricordare anche il celebre incontro dei movimenti ecclesiali con il Venerabile Giovanni Paolo II, qui in Piazza San Pietro, proprio nella Pentecoste del 1998. Ma la Chiesa conosce innumerevoli "pentecoste" che vivificano le comunità locali: pensiamo alle Liturgie, in particolare a quelle vissute in momenti speciali per la vita della comunità, nelle quali la forza di Dio si è percepita in modo evidente infondendo negli animi gioia ed entusiasmo. Pensiamo a tanti convegni di preghiera, in cui i giovani sentono chiaramente la chiamata di Dio a radicare la loro vita nel suo amore, anche consacrandosi interamente a Lui.

Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli "erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui" – come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1,14). E così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Ne sono stato testimone anche pochi giorni fa, a Fatima. Che cosa ha vissuto, infatti, quell’immensa moltitudine, nella spianata del Santuario, dove tutti eravamo un cuore solo e un’anima sola, se non una rinnovata Pentecoste? In mezzo a noi c’era Maria, la Madre di Gesù. E’ questa l’esperienza tipica dei grandi Santuari mariani - Lourdes, Guadalupe, Pompei, Loreto - o anche di quelli più piccoli: dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito.

Cari amici, in questa festa di Pentecoste, anche noi vogliamo essere spiritualmente uniti alla Madre di Cristo e della Chiesa invocando con fede una rinnovata effusione del divino Paraclito. La invochiamo per tutta la Chiesa, in particolare, in quest’Anno Sacerdotale, per tutti i ministri del Vangelo, affinché il messaggio della salvezza sia annunciato a tutte le genti.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Ieri, a Benevento, è stata proclamata Beata Teresa Manganiello, fedele laica, appartenente al Terz’Ordine Francescano. Nata a Montefusco, undicesima figlia di una famiglia di contadini, trascorse una vita semplice e umile, tra le faccende di casa e l’impegno spirituale nella chiesa dei Cappuccini. Come san Francesco d’Assisi cercava di imitare Gesù Cristo offrendo sofferenze e penitenze per riparare i peccati, ed era piena di amore per il prossimo: si prodigava per tutti, specialmente per i poveri e i malati. Sempre sorridente e dolce, a soli 27 anni è partita per il Cielo, dove già il suo cuore abitava. Rendiamo grazie a Dio per questa luminosa testimone del Vangelo!

La memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, ci offre - domani 24 maggio - la possibilità di celebrare la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Mentre i fedeli che sono in Cina pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale si approfondisca sempre di più, i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori particolarmente nella solennità odierna.

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i membri del Movimento per la Vita, che promuove la cultura della vita e concretamente aiuta tante giovani donne a portare a termine una gravidanza difficile. Cari amici, con voi ricordo le parole della Beata Teresa di Calcutta: "Quel piccolo bambino, nato e non ancora nato, è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato". Saluto la delegazione del Comune di Vedelago (provincia di Treviso), gli alunni di scuola elementare di Casarano, l’associazione "Il Disegno" di Cesena e gli scout di Cetraro. A tutti auguro una buona festa di Pentecoste, una buona domenica e una buona settimana.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Documenti


Udienza alla delegazione della Bulgaria nella memoria dei Santi Cirillo e Metodio

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del saluto che il Papa ha pronunciato questo sabato ricevendo in udienza Boïko Borissov, Primo Ministro della Repubblica di Bulgaria, con una delegazione, in occasione della memoria liturgica dei Santi Cirillo e Metodio.

* * *


Signor Primo Ministro,
Onorevoli Membri del Governo e distinte Autorità,
Venerati Fratelli della Chiesa Ortodossa e della Chiesa Cattolica!

Sono lieto di poter porgere un cordiale benvenuto a ciascuno di voi, onorevoli Membri della Delegazione Ufficiale, venuti a Roma nella felice circostanza della memoria liturgica dei Santi Cirillo e Metodio. La vostra presenza, che testimonia le radici cristiane del Popolo bulgaro, offre l’occasione propizia per confermare la mia stima verso codesta cara Nazione e ci permette di rinsaldare la nostra amicizia, avvalorata dalla devozione per i due santi Fratelli di Tessalonica.

Attraverso un’infaticabile opera di evangelizzazione, attuata con vero ardore apostolico, i santi Cirillo e Metodio hanno provvidenzialmente radicato il cristianesimo nell’animo del Popolo bulgaro, così che esso è ancorato a quei valori evangelici, che sempre rafforzano l’identità e arricchiscono la cultura di una nazione. Il Vangelo, infatti, non indebolisce quanto di autentico si trova nelle diverse tradizioni culturali; al contrario, proprio perché la fede in Gesù ci mostra lo splendore della Verità, essa dà all’uomo la capacità di riconoscere il vero bene e lo aiuta a realizzarlo nella propria vita e nel contesto sociale. Perciò, a ragione si può sostenere che i santi Cirillo e Metodio hanno significativamente contribuito a modellare l’umanità e la fisionomia spirituale del Popolo bulgaro, inserendolo nella comune tradizione culturale cristiana.

Nel cammino di piena integrazione con le altre Nazioni europee, la Bulgaria è dunque chiamata a promuovere e testimoniare quelle radici cristiane che discendono dagli insegnamenti dei santi Cirillo e Metodio, ancor oggi quanto mai attuali e necessari; è chiamata, cioè, a mantenersi fedele e custodire il prezioso patrimonio che unisce tra loro quanti, sia Ortodossi che Cattolici, professano la stessa fede degli Apostoli e sono uniti dal comune Battesimo. Come Cristiani, abbiamo il dovere di conservare e rinsaldare l’intrinseco legame che esiste tra il Vangelo e le nostre rispettive identità culturali; come discepoli del Signore, nel reciproco rispetto delle diverse tradizioni ecclesiali, siamo chiamati alla comune testimonianza della nostra fede in Gesù, nel nome del quale otteniamo la salvezza.

Auspico di cuore che questo nostro incontro possa essere per voi tutti, qui presenti, e per le realtà ecclesiali e civili che rappresentate, motivo di sempre più intensi rapporti fraterni e solidali. Con questi sentimenti, incoraggio il Popolo bulgaro a perseverare nel proposito di edificare una società fondata sulla giustizia e sulla pace; per questo assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza spirituale. Rinnovo a Lei, Signor Primo Ministro, e a ciascuno di voi, il mio benedicente saluto, con il quale intendo anche raggiungere tutti i cittadini del vostro amato Paese.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Discorso del Papa alla delegazione della Macedonia per la festa dei Santi Cirillo e Metodio

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questo sabato ricevendo in udienza Trjako Veljanoski, presidente del Parlamento della ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia, con una delegazione, in occasione delle celebrazioni in onore dei Santi Cirillo e Metodio.

* * *

 


Signor Presidente del Parlamento,

Onorevoli Membri del Governo e distinte Autorità,

Venerati Fratelli della Chiesa Ortodossa e della Chiesa Cattolica!

Sono lieto di accogliervi e di esprimere al Signore, datore di ogni grazia, la gioia e la riconoscenza per questo momento che ci vede uniti nell’invocarLo per intercessione dei santi Cirillo e Metodio, celesti patroni del vostro popolo e dell’intera Europa, nell’annuale pellegrinaggio che realizzate a Roma per venerare le reliquie di san Cirillo.

Il mio amato predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Slavorum Apostoli, volle ricordare a tutti che, grazie all’insegnamento e ai frutti del Concilio Vaticano II, noi oggi possiamo guardare in modo nuovo l’opera dei due Santi Fratelli di Tessalonica, "dai quali ci separano ormai undici secoli, e leggere, altresì, nella loro vita e attività apostolica i contenuti che la sapiente Provvidenza divina vi inscrisse, affinché si svelassero in una nuova pienezza nella nostra epoca e portassero nuovi frutti" (n. 3). Davvero abbondanti furono, al loro tempo, i frutti dell’evangelizzazione di Cirillo e Metodio. Essi conobbero sofferenze, privazioni e ostilità, ma sopportarono tutto con incrollabile fede ed invincibile speranza in Dio. Fu con questa forza che si spesero per i popoli loro affidati, custodendo i testi della Scrittura, indispensabili alla celebrazione della sacra Liturgia, tradotti da loro in lingua paleoslava, scritti in un nuovo alfabeto e successivamente approvati dall’autorità della Chiesa. Nelle prove e nelle gioie, essi si sentirono sempre accompagnati da Dio e sperimentarono quotidianamente il suo amore e quello dei fratelli. Anche noi sempre più comprendiamo che quando ci sentiamo amati dal Signore e sappiamo corrispondere a questo amore, siamo avvolti e guidati dalla sua grazia in ogni nostra attività e in ogni nostra azione. Secondo l’effusione dei molteplici doni dello Spirito Santo, quanto più sappiamo amare e ci doniamo agli altri, tanto più lo stesso Spirito può venire in aiuto alla nostra debolezza, indicandoci vie nuove per il nostro agire.

Secondo la tradizione, Metodio rimase fino alla fine fedele alle parole che il fratello Cirillo gli aveva detto prima di morire: "Ecco, fratello, condividevamo la stessa sorte, premendo l’aratro sullo stesso solco; io ora cado sul campo al concludersi della mia giornata. Tu… non abbandonare la tua azione di insegnamento…" (ibid., n. 6). Cari fratelli e sorelle, insieme poniamo mano all’aratro e continuiamo a lavorare sullo stesso solco che Dio nella sua provvidenza ha indicato ai santi Cirillo e Metodio. Il Signore benedica il vostro lavoro al servizio del bene comune e dell’intera vostra Nazione, ed effonda con abbondanza su di essa i doni del suo Spirito di unità e di pace.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Il Papa ai partecipanti al convegno della Fondazione Centesimus Annus

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al Convegno promosso dalla Fondazione "Centesimus Annus-Pro Pontifice", ricevuti in udienza questo sabato mattina nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano.

* * *



Signor Cardinale,

venerati Fratelli nell’Episcopato e Sacerdozio,

illustri e cari amici,

sono lieto di salutarvi in occasione del Convegno di studio promosso dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. Saluto il Cardinale Attilio Nicora, Mons. Claudio Maria Celli e gli altri Presuli e Sacerdoti presenti. Un particolare pensiero al Presidente, Dottor Domingo Sugranyes Bickel, che ringrazio per le cortesi parole, e a voi, cari Consiglieri e Soci della Fondazione, che avete voluto rendermi visita con i vostri familiari.

Ho apprezzato che il vostro incontro ponga al centro della riflessione la relazione tra "sviluppo, progresso, bene comune". In effetti, oggi più che mai, la famiglia umana può crescere come società libera di popoli liberi quando la globalizzazione viene guidata dalla solidarietà e dal bene comune, come pure dalla relativa giustizia sociale, che trovano nel messaggio di Cristo e della Chiesa una sorgente preziosa. La crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono le relazioni internazionali, gli Stati, la s@cietà e l'economia, infatti, sono in larga misura dovute alla carenza di fiducia e di un’adeguata ispirazione solidaristica creativa e dinamica orientata al bene comune, che porti a rapporti autenticamente umani di amicizia, di solidarietà e di reciprocità anche "dentro" l’attività economica. Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali; essi sono necessari, ma senza l'orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri; fattori negativi per il progresso e lo sviluppo.

Come rilevavo nell’enciclica Caritas in veritate, uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che "all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano" (n. 9). Una tale interazione, ad esempio, appare essere troppo debole presso quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza. La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività.

Senza il punto di riferimento rappresentato dal bene comune universale non si può dire che esista un vero ethos mondiale e la corrispettiva volontà di viverlo, con adeguate istituzioni. È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano. E questo non in qualsiasi maniera, ma in una maniera ordinata ed armonica. Infatti, il bene comune è composto da più beni: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori a cui i primi vanno subordinati. L’impegno per il bene comune della famiglia dei popoli, come per ogni società, comporta, dunque, il prendersi cura e l’avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell’uomo (cfr ibid., 7). Pertanto, si deve assicurare che l’ordine economico-produttivo sia socialmente responsabile e a misura d’uomo, con un’azione congiunta e unitaria su più piani, anche quello internazionale (cfr ibid., 57.67). Parimenti, si dovrà sostenere il consolidamento di sistemi costituzionali, giuridici e amministrativi nei Paesi che non ne godono ancora in modo pieno. Accanto agli aiuti economici, devono esserci, quindi, quelli finalizzati a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, un sistema di ordine pubblico giusto ed efficiente, nel pieno rispetto dei diritti umani, come pure istituzioni veramente democratiche e partecipative (cfr ibid., 41).

Ciò che, però, è fondamentale e prioritario, in vista dello sviluppo dell’intera famiglia dei popoli, è l’adoperarsi per riconoscere la vera scala dei beni-valori. Solo grazie ad una corretta gerarchia dei beni umani è possibile comprendere quale tipo di sviluppo dev’essere promosso. Lo sviluppo integrale dei popoli, obiettivo centrale del bene comune universale, non è dato solo dalla diffusione dell’imprenditorialità (cfr ibidem), dei beni materiali e cognitivi come la casa e l’istruzione, delle scelte disponibili. Esso è dato specialmente dall’incremento di quelle scelte buone che sono possibili quando esista la nozione di un bene umano integrale, quando ci sia un telos, un fine, alla cui luce viene pensato e voluto lo sviluppo. La nozione di sviluppo umano integrale presuppone coordinate precise, quali la sussidiarietà e la solidarietà, nonché l’interdipendenza tra Stato, società e mercato. In una società mondiale, composta da molti popoli e da religioni diverse, il bene comune e lo sviluppo integrale vanno conseguiti con il contributo di tutti. In questo, le religioni sono decisive, specie quando insegnano la fraternità e la pace, perché educano a dare spazio a Dio e ad essere aperti al trascendente, nelle nostre società segnate dalla secolarizzazione. L’esclusione delle religioni dall’ambito pubblico, come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità; la vita della società si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente ed aggressivo (cfr ibid. 56).

Cari amici, la visione cristiana dello sviluppo, del progresso e del bene comune, come emerge nella Dottrina Sociale della Chiesa, risponde alle attese più profonde dell’uomo e il vostro impegno di approfondirla e diffonderla è un valido apporto per edificare la "civiltà dell’amore". Per questo vi esprimo la mia riconoscenza e il mio augurio, e di cuore Vi benedico tutti.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]



Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su


Omelia di Benedetto XVI nella solennità di Pentecoste

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 23 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell'omelia che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica mattina presiedendo nella Basilica Vaticana la Santa Messa della solennità di Pentecoste.

* * *



Cari fratelli e sorelle,

nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. Facciamo nostra, dunque, e con particolare intensità, l’invocazione della Chiesa stessa: Veni, Sancte Spiritus! Un’invocazione tanto semplice e immediata, ma insieme straordinariamente profonda, sgorgata prima di tutto dal cuore di Cristo. Lo Spirito, infatti, è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo.

Di questa preghiera di Cristo ci parla il brano evangelico odierno, che ha come contesto l’Ultima Cena. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,15-16). Qui ci viene svelato il cuore orante di Gesù, il suo cuore filiale e fraterno. Questa preghiera raggiunge il suo vertice e il suo compimento sulla croce, dove l’invocazione di Cristo fa tutt’uno con il dono totale che Egli fa di se stesso, e così il suo pregare diventa per così dire il sigillo stesso del suo donarsi in pienezza per amore del Padre e dell’umanità: invocazione e donazione dello Spirito s’incontrano, si compenetrano, diventano un’unica realtà. «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre». In realtà, la preghiera di Gesù – quella dell’Ultima Cena e quella sulla croce – è una preghiera che permane anche in Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre. Gesù, infatti, vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo.

Il racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli Apostoli – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11) – presenta il "nuovo corso" dell’opera di Dio iniziato con la risurrezione di Cristo, opera che coinvolge l’uomo, la storia e il cosmo. Dal Figlio di Dio morto e risorto e ritornato al Padre spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo. E cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio? Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento, il "biglietto da visita" della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, dal giorno di Pentecoste, essa parla tutte le lingue. La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane.

Da questo, cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana: quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire "tecnica". La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. La Chiesa è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali. Essa risponde alla sua vocazione, di essere segno e strumento di unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1), solo se rimane autonoma da ogni Stato e da ogni cultura particolare. Sempre e in ogni luogo la Chiesa dev’essere veramente, cattolica e universale, la casa di tutti in cui ciascuno si può ritrovare.

Il racconto degli Atti degli Apostoli ci offre anche un altro spunto molto concreto. L’universalità della Chiesa viene espressa dall’elenco dei popoli, secondo l’antica tradizione: "Siamo Parti, Medi, Elamiti…", eccetera. Si può osservare qui che san Luca va oltre il numero 12, che già esprime sempre un’universalità. Egli guarda oltre gli orizzonti dell’Asia e dell’Africa nord-occidentale, e aggiunge altri tre elementi: i "Romani", cioè il mondo occidentale; i "Giudei e prosèliti", comprendendo in modo nuovo l’unità tra Israele e il mondo; e infine "Cretesi e Arabi", che rappresentano Occidente e Oriente, isole e terra ferma. Questa apertura di orizzonti conferma ulteriormente la novità di Cristo nella dimensione dello spazio umano, della storia delle genti: lo Spirito Santo coinvolge uomini e popoli e, attraverso di essi, supera muri e barriere.

A Pentecoste lo Spirito Santo si manifesta come fuoco. La sua fiamma è discesa sui discepoli riuniti, si è accesa in essi e ha donato loro il nuovo ardore di Dio. Si realizza così ciò che aveva predetto il Signore Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gli Apostoli, insieme ai fedeli delle diverse comunità, hanno portato questa fiamma divina fino agli estremi confini della Terra; hanno aperto così una strada per l’umanità, una strada luminosa, e hanno collaborato con Dio che con il suo fuoco vuole rinnovare la faccia della terra. Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare (cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore.

Un Padre della Chiesa, Origene, in una delle sue Omelie su Geremia, riporta un detto attribuito a Gesù, non contenuto nelle Sacre Scritture ma forse autentico, che recita così: «Chi è presso di me è presso il fuoco» (Omelia su Geremia L. I [III]). In Cristo, infatti, abita la pienezza di Dio, che nella Bibbia è paragonato al fuoco. Abbiamo osservato poco fa che la fiamma dello Spirito Santo arde ma non brucia. E tuttavia essa opera una trasformazione, e perciò deve consumare qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo paura di essere "scottati", preferiremmo rimanere così come siamo. Ciò dipende dal fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede. C’è il timore di dover rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze che ciò comporta.

Cari fratelli e sorelle, abbiamo sempre bisogno di sentirci dire dal Signore Gesù quello che spesso ripeteva ai suoi amici: "Non abbiate paura". Come Simon Pietro e gli altri, dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente. Chi si affida a Gesù sperimenta già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può dare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi toccare dal fuoco dello Spirito Santo! Il dolore che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà della croce: non per nulla nel linguaggio di Gesù il "fuoco" è soprattutto una rappresentazione del mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo. Perciò, illuminati e confortati da queste parole di vita, eleviamo la nostra invocazione: Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Invia ad un amico | stampa questo articolo | commenta questo articolo

torna su



Nessun commento:

Related Posts with Thumbnails