sabato 21 giugno 2008

Misure populiste. Annunci demagogici. Crociata sugli immigrati. Ma è con l'attacco sulla giustizia che Berlusconi riprende a mostrare il suo vero volto

 
di Edmondo Berselli
Misure populiste. Annunci demagogici. Crociata sugli immigrati. Ma è con l'attacco sulla giustizia che Berlusconi riprende a mostrare il suo vero volto
LEGGI: Bluff in tuta mimetica di Gianluca Di Feo
GRAFICI:
Le forze dell'ordine e i crimini in Europa
LE OPINIONI: Giornalisti con il bavaglino | Deriva o anarchia?
LA LETTERA:
Credevate davvero che Berlusconi avrebbe rinunciato alle leggi ad personam?

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Le 25 città ideali per vivere, l'Italia non c'è, in testa Copenaghen, poi Monaco, settimanale britannico "Monocle", ENRICO FRANCESCHINI

La classifica compilata dal settimanale britannico "Monocle"
La capitale della Danimarca in testa, bene anche Canada e Australia

Le 25 città ideali, l'Italia non c'è
in testa Copenaghen, poi Monaco

Niente da fare per Roma e Milano, Genova la prima delle non elette
Insieme alla Grecia siamo l'unica grande nazione europea esclusa dall'elenco
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI


Le 25 città ideali, l'Italia non c'è in testa Copenaghen, poi Monaco 
Uno scorcio di Copenhagen
LONDRA - Le classifiche delle città più interessanti, più attraenti, con la migliore qualità della vita, più visitate dai turisti, più ospitali per il business, più eccitanti per il popolo della notte e chi più ne ha più ne metta, sono uno dei tic del nostro tempo: a volte utili, altre volte solo uno spunto per riflettere, quasi un gioco di società. Adesso ce n'è una nuova, compilata dal mensile Monocle, "a briefing on global affairs, business, culture & design" recita il sottotitolo della testata, una sofisticata rivista britannica, fondata poco più di un anno fa da alcuni dei più noti giornalisti nazionali. Propone la graduatoria delle "25 città più vivibili" del mondo, e ha l'arguzia, oltre che l'ardire, di stabilire dei criteri un po' eccentrici: le solite statistiche, sì, ma anche quello che per la sua redazione è importante, come la bassa criminalità, buon scuole e buoni ospedali pubblici, tolleranza verso la diversità e quel "certo non so che", come diremmo noi in italiano, che spinge il trend di un luogo verso l'alto anziché verso il basso.

Così ne viene fuori un elenco che, se in parte è prevedibile e rispetta il canone di quello che ci si può aspettare, per certi aspetti è sorprendente e originale. Per cominciare, mancano due metropoli che di solito sono sempre in tutte le classifiche di questo tipo: New York e Londra. Troppo costose, troppo classiste, troppo orientate su istruzione e sanità privata (buona se paghi, tremenda se ti affidi allo stato), forse entrambe hanno vissuto il proprio "magic moment". Restano "cool", alla moda, tutti i turisti ci vogliono andare in vacanza (specie se sono turisti italiani), ma appunto rischiano di perdersi qualcosa di meglio, che è altrove. E poi il punto della lista di Monocle non è trovare le città più affascinanti per i turisti ma quelle dove vivono meglio i residenti: quelli che ci passano 365 giorni, non una settimana.
 
Ecco allora la graduatoria. In testa Copenaghen, capitale della Danimarca: bella, intelligente, proporzionata, a misura d'uomo, con senso dell'umorismo, sensibile ai problemi dell'ambiente, con buoni trasporti, buone scuole pubbliche, buoni ospedali, buoni ristoranti, poco crimine (6 omicidi l'anno), grande cultura e meno pioggia e freddo di quanto uno (specie se è italiano) si aspetterebbe. Una città a misura d'uomo, con tanto verde ma anche tanti incentivi per il business. Shakespeare sbagliava: non c'è del marcio in Danimarca.

Al secondo posto Monaco di Baviera: stretta tra il boom di Berlino e i progressi di Dresda, sembrava candidata a entrare in crisi, invece rimane la più vivibile, divertente, cosmopolita città tedesca. Al terzo, a sorpresa, Tokyo: una megalopoli che funziona come un orologio svizzero, veloce e lenta al tempo stesso, capace di smentire gli stereotipi su se stessa. Poi seguono i "soliti noti", ovvero le città che sono note per la loro buona qualità della vita: Zurigo e Vienna (per restare in tema con gli Europei di calcio), Helsinki e Stoccolma (la dolce vita nordica), Vancouver e Montreal, Sidney e Melbourne (tutti vorrebbero vivere in Canada e Australia, se non fossero uno freddo e l'altra lontana), Madrid e Barcellona (la Spagna di Zapatero - speriamo anche non quella di Villa&Torres).

Altre sorprese: Honolulu (non solo spiagge e surf - ma vale per le Hawaii il discorso dell'Australia, tutti vorrebbero viverci se non fossero così distanti). Poi, Fukuoka. Sì avete letto bene, non è un errore di stampa: Fukuoka. Pr
ovate a dire dov'è. Non lo sapete? Non l'avete mai sentita nominare? Confesso: neanch'io. Comunque è in Giappone, è la capitale dello shopping e ha le misure giuste. Infine, Minneapolis: la città emergente degli Stati Uniti.

In classifica ci sono anche Parigi (10mo posto), Amsterdam (18esimo), Kyoto (20esimo), seguita da Amburgo, Singapore, Ginevra, Lisbona e Portland (quella dell'Oregon, una specie di San Francisco un po' più settentrionale). A proposito, San Francisco è un'altra assenza di rilievo dall'elenco. E magari vi siete accorti che manca pure qualcun altro: una città italiana. Non ci sono né Roma, né Milano. Siamo, insieme alla Grecia, l'unica grande nazione europea assente dall'elenco.

Un altro segno di declino per il nostro paese? La consolazione è che la prima delle non-elette è Genova. Forse l'anno prossimo, scrivono i redattori di Monocle, sarà entrata fra le "top 25", così come le altre "quasi" classificate: Buenos Aires, Istanbul, Beirut e Phnom Penh. Le venticinque città più vivibili del mondo + altre 5: resta solo da decidere in quale trasferirsi.


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Iran, in carcere la femminista Hana Abdi, "Complotta contro lo Stato", la Repubblica

La ragazza, 21 anni, è stata arrestata in ottobre. E' una leader della campagna
"Un milione di firme" per i diritti delle donne. Molti arresti e fermi negli ultimi mesi

Iran, in carcere la femminista
"Complotta contro lo Stato"


Iran, in carcere la femminista "Complotta contro lo Stato" 
Sempre più dura la condizione delle donne in Iran.
Crescono arresti e fermi di leader femministe
TEHERAN - Organizzare cortei, incontri, anche volantinare in nome dei diritti delle donne significa "complottare contro la sicurezza dello Stato". In termini di pena significa anni di carcere. Avviene in Iran, a Teheran, oggi ma anche altre tre volte nell'ultimo mese e sempre più spesso nell'ultimo anno.

Una femminista iraniana di 21 anni, Hana Abdi, è stata condannata a cinque anni di reclusione da scontare in una sperduta località di frontiera, Gharmeh,
provincia dell'Azerbadjan orientale. La sua colpa, secondo il Tribunale rivoluzionario iraniano, è appunto quella di aver organizzato raduni e incontri per riformare le leggi islamiche che limitano fortemente i diritti delle donne.

La notizia è stata data oggi dal quotidiano di area moderata Kargozaran. La Abdi, ha raccontato il suo avvocato Mohammad Sharif, è stata riconosciuta colpevole di "complotto contro la sicurezza dello Stato". Ci sarà il ricorso in appello. Ma con poche speranze di veder corretta la pena. A meno che la pressione dell'opinione pubblica internazionale...

Hana Abdi era stata arrestata nell'ottobre dell'anno scorso a Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, per aver preso parte a partire dal 2006 alla campagna "un milione di firme", le adesioni che le femministe iraniane intendono raccogliere per chiedere l'abolizione delle norme di legge discriminatorie contro le donne e avere gli stessi diritti degli uomini per quello che riguarda il matrimonio, il divorzio, l'eredità e la custodia dei figli.

Tempi durissimi in Iran per chi combatte in nome dei diritti civili. Nel 2002 Teheran aveva ufficilamente annunciato la moratoria per sette donne condannate a morte tramite lapidazione per adulterio. Ma i dossier di Amnesty raccontano un'altra verità e due donne sarebbero state lapidate nel maggio 2006. Per la sharia (legge islamica), il prigioniero viene sotterrato fino al petto, le mani bloccate. La legge specifica persino la dimensione delle pietre da lanciare, così che la morte sia dolorosa e più lenta. Possono essere condannati alla lapidazione sia le donne che gli uomini ma, in pratica, sono soprattutto le donne a scontare questa pena.
In questa situazione è molto difficile far filtrare notizie e avere informazioni. Negli ultimi mesi quattro militanti femministe - Rezvan Moghadam, Nahid Jafari, Nasrin Afzali e Marzieh Mortazi Langueroudi - sono state condannate a pene di sei mesi di prigione e dieci frustate per aver recato disturbo all'ordine pubblico. Un uomo, Amir Yaqoubali, anche lui impegnato per la difesa dei diritti femminili è stato condannato in maggio a un anno di reclusione. Molte altre militanti femministe coinvolte nella campagna "Un milione di firme" sono state arrestate negli ultimi due anni e condannate a periodi di reclusione e frustate, con la sospensione condizionale della pena. Abdi è una leader. Per lei non è stata prevista alcuna sospensione.


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Pacemaker, 50 anni di vite salvate così cambia la batteria del cuore, di CARLO BRAMBILLA

Un congresso celebra l'anniversario del dispositivo che regola il ritmo cardiaco
Prima ingombrante, ora microscopico. In Italia ogni anno impiantato a 50 mila pazienti

Pacemaker, 50 anni di vite salvate
così cambia la batteria del cuore

Pacemaker, 50 anni di vite salvate così cambia la batteria del cuore

IL PERSONAGGIO italiano più famoso, volato fino a Cleveland per farselo impiantare, lontano da occhi indiscreti, è Silvio Berlusconi. Prima di lui ne ha avuto bisogno il presidente Ciampi. Mentre Umberto Bossi ne utilizza uno di varietà diversa, un defibrillatore. Ma non sono i soli. Ogni anno in Italia sono almeno 50 mila i pazienti che chiedono venga impiantato loro un pacemaker. Un milione le persone che lo utilizzano nel mondo. Più di 440 mila solo in Europa. Negli ultimi 50 anni i pacemaker impiantati in Italia sono stati più di un milione e mezzo. Questa piccola protesi salvavita, grande meno di una scatola di cerini, il generatore di impulsi elettrici che aiuta il cuore a battere al ritmo giusto, compie in questi giorni 50 anni di vita. A celebrare con orgoglio il suo compleanno è il congresso internazionale di cardiologia "Cardiostim" che si chiude domani a Nizza, in Francia.

Il primo pesante, ingombrante, primitivo stimolatore cardiaco impiantato in Svezia nel 1958, confrontato a quelli piccolissimi, ultrasofisticati, tecnologici, poco intrusivi e decisamente affidabili di oggi, sembra uscito da un film dei Flintstones. Largo 10 centimetri, più di 250 grammi di peso, veniva posizionato nell'addome da quanto era grosso. Oggi i pacemeker non pesano neanche 30 grammi, hanno 4 millimetri di spessore, vengono applicati in anestesia locale e sono centrali di comando capaci di comunicare a distanza con il medico, grazie alla telecardiologia, inviando perfino sms, se necessario, all'indirizzo della struttura curante.

"Certo la minore dimensione dell'ultima generazione di pacemaker è la prima cosa che salta all'occhio - ammette Paolo Della Bella, responsabile dell'Unità Operativa di Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino di Milano, eccellenza della cardiologia italiana. - Ma la straordinaria evoluzione di questi apparecchi si deve all'interazione tra la tecnologia più avanzata con le maggiori conoscenze di fisiologia elettrica cardiaca.
Inizialmente il pacemaker veniva impiantato per far fronte a situazioni drammatiche, estreme, come il blocco cardiaco con frequenze troppo basse. Poi un po' per volta le conoscenze della fisiologia hanno permesso di considerare molti altri fattori. Il pacemaker non si limitava più solo a stimolare il cuore, ma sentiva quando il cuore batteva spontaneamente in modo da inibirsi, lasciare il battito spontaneo e ristimolarlo quando necessario. Poi negli anni Settanta c'è stato tutto lo sviluppo della tecnologia intracardiaca. Negli anni Ottanta e Novanta è cresciuta la programmabilità, pacemaker sempre più intelligenti, capaci di decidere quando intervenire. Fino alla telemedicina che consente il controllo a distanza dei pazienti".

Al congresso di Nizza verrà presentato un grande sondaggio condotto tra i pazienti che vivono con un pacemaker. Lo anticipa Philippe Ritter, presidente di Cardiostim: "Dalle interviste risulta come i pazienti vivano con gioia l'avvenuto impianto di un pacemaker. Per il semplice motivo che stanno meglio e possono finalmente condurre una vita normale, da tutti i punti di vista. Compreso naturalmente quello sessuale. Ad essere esageratamente preoccupati sono invece i familiari. Le mogli in particolare, che temono che il marito non debba fare troppi sforzi. Ma i pazienti con pacemaker non si sentono per nulla dei malati. Sono persone che grazie alla tecnologia possono vivere meglio e più a lungo".

la Repubblica.it
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venerdì 20 giugno 2008

Immigrazione: cardinal Martino, ricerca futuro non è reato

Immigrazione: cardinal Martino, ricerca futuro non è reato
CITTA' DEL VATICANO - ''L'esigenza di futuro non è mai 'clandestinà e non è mai reatò'. E' categorico il cardinal Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, che ha espresso queste parole in difesa del diritto all'emigrazione nel corso della preghiera ecumenica nella basilica di Santa Maria in Trastevere in memoria delle vittime dei viaggi verso l'Europa. ''Di speranza non si muore, non si deve morirè', ha scandito il porporato secondo il quale ''si deve e si può coniugare e incontrare con l'altro, non avendo paura della fatica di costruire nella pace, nella giustizia un futuro per tuttì'. (Agr)

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Lotta al neo populismo Il Cainano è solo il massimo esponente

Lotta al neo populismo
Il Cainano è solo il massimo esponente

Che fare?  Il Cainano è solo il massimo esponente di un movimento politico che forse non sa neanche di esistere: il neo populismo all'italiana: una versione della democrazia oligarchica, irrispettosa delle istituzioni e della legalità, che antepone il risultato elettorale perfino al Parlamento svuotandolo di significato.

Che fare dopo l'ennesima umiliazione della democrazia italiana da parte del populismo berlusconiano? Mandare giù il rospo come in passato e ritornare ad ammiccare oppure riprendere l'antiberlusconismo vecchia maniera? Nessuna delle due. Permettere che dopo l'ennesima porcata fatta nel bel mezzo delle ipocrite aperture al dialogo, il governo possa giovarsi di una opposizione disciplinata e costruttiva come nelle democrazie mature è un boomerang. In questo modo Berlusconi riuscirebbe a concretizzare qualche risultato, oltre alle sue porcate, per poi scatenare la propaganda per dimostrare che aveva ragione lui. Dall'altra parte, fermarsi all'antiberlusconismo vecchia maniera si è dimostrato non essere sufficiente soprattutto se a farlo sono i vecchi dinosauri della classe dirigente di centrosinstra corresponsabili di aver avvallato in passato tutta la via crucis ad personam. Corresponsabili nell'aver resuscitato il Cainano quando era politicamente morto. Responsabili di una politica talmente fallimentare da aver permesso al populismo di riconquistare il paese. (A tal proposito devono continuare le indagini per scoprire cosa la classe dirigente del centrosinistra ha ottenuto dal Cainano in cambio del suo sdoganamento. D'Alema, Violante e gli altri devono sputare il rospo).

Per fermare il Cainano la battaglia deve essere invece rivolta al fenomeno del populismo berlusconiano e cioè a quella sottocultura responsabile della deriva democratica in atto. Il Cainano è solo il massimo esponente di un movimento politico che forse non sa neanche di esistere: il neo populismo all'italiana appunto (anche se in sud America e in altre parti del mondo ci sono casi simili). Il neo populismo è una versione della democrazia oligarchica, irrispettosa delle istituzioni e della legalità, che antepone il risultato elettorale perfino al Parlamento svuotandolo di significato. E' una democrazia verticistica, allergica al rispetto del gioco democratico e delle regole anche costituzionali che si è data. Una democrazia dove il potere esecutivo in mano ad un leader forte schiaccia gli altri poteri dello Stato. Il populismo nasce dalla deriva commercialista della società, dall'atomizzazione e dalla perdita di collante e fiducia. Esso si alimenta con il dilagare della disillusione verso la politica e le istituzioni tradizionali e con l'egoismo e la mentalità fai da te che ne deriva. Il populismo è espressione di una sorta di menefreghismo combattivo, di arroganza miope e faziosa ipocriticamente travestita da politica ma che in realtà cela misere ambizioni di cortile e desiderio di prevaricazione. Diversamente da quanto prevede una democrazia sana, il populismo non vive di dialogo ma di scontro. Essendo privo di contenuti collettivi e di spinte ideali, esso regge finchè c'è lotta contro un avversario. Con tale caratteristiche di superficialità e vuoto sostanziale di spessore politico, il populismo è un movimento debole e che dipende dalla sopravvivenza del suo leader.

Ora, il populismo italiota c'era prima e ci sarà dopo il Cainano, lui, grazie alla sua armata mediatica ed economica lo ha solo organizzato e portato al potere più rapidamente imponendosi sui partiti tradizionali allo sbando. Per questo, detronizzare il Cainano è certamente utile ma non basta, ci vuole una battaglia politica per la democrazia e la legalità che impedisca il dilagare nella società delle derive anti democratiche portate dal neo populismo. Una politica di sensibilizzazione, di difesa delle istituzioni e dei traguardi raggiunti dalle democrazie moderne. Ma questo non vuol dire conservatorismo, significa invece contrapporre un cambiamento intelligente e lungimirante ispirato al miglioramento e non all'accantonamento del gioco democratico. Il punto è che la classe dirigente che dovrebbe svolgere tale battaglia, cosi come i loro contenitori, non sono più credibili. Se la classe dirigente di centrosinistra fosse stata all'altezza della situazione non saremmo arrivati a questo punto. Per questo, una lotta al Cainano e al populismo fatta ad esempio da D'Alema oltre ad essere inutile è dannosa perchè non fa che alimentare paradossalmente l'esasperazione popolare e quindi il fenomeno populista. La battaglia può essere combattuta solo unendo le forze politiche, istituzionali e della società civile al di fuori degli schemi tradizionali e affidandosi alla nuova generazione. Alle nuove logiche, ai nuovi linguaggi, alle nuove culture esistenti ma castrate da una partitocrazia invedente ed ottusa. Una battaglia che parta dal basso e che strappi in profondità le radici populiste attraverso la forza di una politica sociale, partecipata, innovativa e sensibilmente democratica avulsa ai cainani sparsi per il mondo.

www.tommasomerlo.ilcannocchiale.it

 
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Germania: tedeschi disprezzano democrazia, studio dell'Università di Lipsia

Germania: tedeschi disprezzano democrazia, studio dell'Università di Lipsia

BERLINO - I tedeschi nutrono un "allarmante disprezzo del sistema democratico" e sono sempre più vicini alle posizioni di estrema Destra: sono alcune delle considerazioni emerse da uno studio presentato oggi da Elmar Braehler e Olivier Decker, ricercatori dell'Istituto di psicologia e sociologia dell'Università di Lipsia.


Lo studio, che ha coinvolto 12 gruppi di discussione con interviste effettuate dal maggio 2007 al gennaio 2008, ha messo in luce, inoltre, un risentimento espresso con "preoccupante naturalezza" da parte dei tedeschi nei confronti degli stranieri.

Per questo, secondo gli autori, posizioni di estrema Destra sono radicate trasversalmente, per stato e posizione sociale, nel cuore della società.

I risultati della ricerca, pubblicati oggi dalla versione online del settimanale Der Spiegel, pur "non generalizzabili in senso statistico", confermano e in parte acutizzano le conclusioni a cui gli stessi autori erano giunti con uno studio del 2006. In quell'occasione, il 15,4% degli intervistati aveva risposto che un 'fuehrer' capace di governare la Germania con mano ferma sarebbe stato "un bene per tutti".

Swisinfo

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Regione Veneto, con il Civil Life, lancia un gioco web per imparar la democrazia,

Regione Veneto, con il Civil Life, lancia un gioco web per imparar la democrazia,


 L'organizzazione della vita democratica, la condivisione di regole di convivenza, il confronto aperto sui valori, l'impegno alla partecipazione e alla progettualità comune sono temi su cui è importante avviare una riflessione con i giovani perché cresca la consapevolezza dell'importanza delle scelte di governo del territorio e per migliorare la qualità della convivenza sociale.

Il Consiglio regionale del Veneto ha voluto aprire uno spazio di rete all'interno del quale offrire ai giovani opportunità di confronto e di riflessione su questi temi. In questo spazio si è scelto il linguaggio del gioco: il gioco in molti casi simula la vita reale, richiede interesse, passione e rispetto delle regole.

Il progetto è direttamente rivolto alle scuole della regione Veneto. Civil Life, questo il suo nome, viene presentato all'attenzione dei consigli di classe come proposta formativa in sintonia con i percorsi didattici strutturati, che può affiancarsi alle attività di educazione civica. Il tema affrontato è quello della partecipazione attiva alla vita democratica, che richiede conoscenza della complessità dei problemi sociali e consapevolezza dell'intreccio di interessi individuali e collettivi che anima ogni decisione politica.

La scelta del Consiglio regionale del Veneto di dar vita a un gioco interattivo (Election play) sulle elezioni politiche vuole porre infatti all'attenzione dei giovani la complessità di questo momento centrale della vita democratica.

Il percorso elettorale nelle sue varie fasi (definizione di un programma, scelta dei candidati, creazione di alleanze e di consenso, rapporto consapevole con i media e i canali di informazione, attenzione ai bisogni degli elettori) richiede consapevolezza della complessità sociale, costante attenzione agli obiettivi dichiarati e rispetto delle regole. In questo senso, il meccanismo del gioco può costituire uno strumento ideale per introdurre nei programmi più seri di educazione civica, uno stimolo al coinvolgimento e all'osservanza delle regole.

Redazione Abano.tv
   

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Il Senato approva il "sospendi-processi" - Salva Premier. Anm: stop a 100mila giudizi

Il Senato approva il "sospendi-processi" - Salva Premier. Anm: stop a 100mila giudizi

Sospensione dei processi per reati commessi fino al 30 giugno 2002; elenco dei procedimenti penali che dovranno essere trattati prima degli altri; uso dell'esercito per garantire la sicurezza nelle strade; articolo 416-bis anche per le mafie straniere. Sono queste alcune delle novità principali contenute nel decreto sicurezza di cui l'Aula del Senato ha concluso l'esame degli emendamenti.

Sospensione dei processi
 Sono sospesi per un anno tutti i processi per reati puniti con piu' di dieci anni di reclusione, che siano stati commessi fino al 30 giugno 2002, quando lo stato del processo sia tra l'udienza preliminare e il dibattimento di primo grado.

Sono esclusi dallo 'stop' i processi in cui gli imputati sono detenuti, quelli per terrorismo, contro i minori, di criminalità organizzata e quelli commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

L'imputato può rinunciare alla sospensione e in ogni caso la prescrizione resta sospesa. E' possibile trasferire l'azione in sede civile. Per i processi che andrebbero sospesi, le parti possono proporre patteggiamento, anche se la richiesta era già stata presentata o erano scaduti i termini.

Esercito in città
Il ministro dell'Interno, di concerto con quello della Difesa e sentito il presidente del Consiglio potrà ricorrere in caso di emergenze particolari all'uso delle forze armate fino a 3.000 unità e per non più di sei mesi.

Novità per il 416-bis
Aumentano di due anni le pene per l' associazione mafiosa e si estende il reato anche alle 'organizzazioni' straniere.

Priorità per reati sulla sicurezza sul lavoro
Nella formazione dei ruoli d'udienza i tribunali dovranno dare "priorità assoluta" ai reati commessi in violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

L'aggravante della clandestinità
Pene aggravate di un terzo se a compiere reato e' un soggetto presente illegalmente in Italia.

Mafiosi senza patrocinio gratuito
I mafiosi già condannati non potranno più avvalersi del gratuito patrocinio.

Rai News 24

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Centinaia di arresti negli Usa per crisi dei mutui subprime, 2 ex manager Bear Stearns

Centinaia di arresti negli Usa per crisi dei mutui subprime

In manette 2 ex manager Bear Stearns
In manette 2 ex manager Bear Stearns

La scure delle autorità federali si abbatte sulla crisi dei mutui subprime e assume le vesti di una 'retata' su Wall Street. Le prime due vittime sono due ex manager di Bear Stearns, arrestati dall'Fbi con l'accusa di frode, complotto e insider trading. Ma la lista è lunga: nell'ambito dell' 'operation malicious morgages', le autorità hanno incriminato 406 persone, 300 delle quali sono state arrestate.

Ralph Ciotti e Matthew Tannin, manager di hedge fund falliti che facevano capo a Bear Stearns, sono stati prelevati dalle rispettive abitazioni a Manhattan e nel New Jersey e ora si trovano a dover rispondere davanti alle autorità del fallimento dei fondi speculativi che hanno acceso la miccia della crisi subprime.

Su Ciotti e Tannin pesa l'accusa di inganno a scapito degli investitori: dalle indagini sarebbe infatti emerso che i due ex manager erano perfettamente al corrente del cattivo stato di salute dei fondi, anche se pubblicamente affermavano il contrario rassicurando e allo stesso tempo ingannando gli investitori.

 Rai News 24

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Approvata dal Parlamento europeo la direttiva sui rimpatri

Approvata dal Parlamento europeo la direttiva sui rimpatri

Operazione di rimpatrio
Operazione di rimpatrio

E' stata approvata dal Parlamento europeo, con 369 sì, 197 no e 106 astenuti, la direttiva sui rimpatri degli extarcomunitari clandestini.

Fra i punti più controversi della direttiva, la durata massima, 18 mesi, per la detenzione "amministrativa" degli immigrati illegali. Un secondo punto di scontro è la possibilità di espellere i clandestini verso i paesi di transito e non verso quelli accertati di provenienza. Altra criticità è rappresentata dal fatto che sia consentito detenere i minori ed espellerli, anche se non accompagnati, e anche se nel paese di rimpatrio non vi sono ne' la famiglia ne' i tutori legali. Un'ulteriore elemento controverso riguarda l'assistenza giuridica per gli immigrati illegali: nell'ultima versione del testo non è più garantito il patrocinio legale gratuito, ma si rimanda la questione alla legislazione nazionale vigente. Infine, il divieto
di ritorno per cinque anni nei paesi dell'Ue da cui sono stati espulsi.

Secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani, il divieto potrebbe pregiudicare la concessione dell'asilo per le persone espulse che potrebbero trovarsi, successivamente, nelle condizioni di invocarlo. E potrebbe anche impedire, in certi casi, i ricongiungimenti familiari.

Le 46 associazioni italiane della federazione Cipsi (Coordinamento iniziative popolari di solidarietà internazionale) avevano chiesto ai parlamentari europei di non approvare la direttiva di rimpatrio perchè in contrasto con la Dichiarazione universale dei diritti umani. "Il progetto di testo della Direttiva, allo stato attuale - aveva denunciato il presidente del Cipsi, Guido Barbera - viola gli articoli 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, nel 60esimo anno della sua approvazione. Per questo il Cipsi invita tutti i parlamentari europei a non votarlo". In particolare, la direttiva sarebbe in contrasto con l'articolo 13 della Dichiarazione, in cui si afferma: "Ogni
individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.  Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel
proprio paese".

Per i sostenitori della direttiva, si tratta di un passo avanti, perchè stabilisce delle garanzie per le persone e delle norme armonizzate. Per gli oppositori, invece, come dichiarato dall'europarlamentare del Prc Giusto Catania, si tratterebbe di "un insulto alla civiltà giuridica dell'Europa, un orrore che rischia di cancellare millenni di cultura dell'accoglienza, le radici profonde di un'identità europea forgiata da pratiche di ospitalità e l'ennesimo monumento alla fortezza Europa, la materializzazione dell'utopia reazionaria che vuole impedire la libertà di circolazione di uomini e donne".

Rai News 24
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IMMIGRAZIONE - Spagna, dentro ai Cpt l'inferno dei senza diritti, Sara Prestianni, il Manifesto

IMMIGRAZIONE - Spagna, dentro ai Cpt l'inferno dei senza diritti

Barcellona, Malaga, Algeciras... Erano inizialmente 8 e sono diventati 10 i «centros de internamiento por extranjeros», vere e proprie prigioni di massima sicurezza in cui nessun deputato spagnolo ha diritto di entrare Sbarre alle finestre, tempi imposti e poliziotti che sorvegliano le giornate dei migranti, fra cui anche minorenni e donne incinte.

Sara Prestianni

Mercoledì 28 maggio il ministro degli Interni spagnolo, Rubacalba, ha annunciato, sulla scia della discussione relativa alla direttiva europea sui rimpatri, la modifica della legge sull'immigrazione, con l'obbiettivo di prolungare da 40 a 60 giorni il limite massimo di detenzione nei centri di permanenza temporanea spagnoli. Ma pochi sanno cosa effettivamente accada dietro le mura dei 10 centri di detenzione presenti sul territorio spagnolo. Negli ultimi anni, solo alcuni parlamentari europei hanno avuto l'autorizzazione d'ingresso, nessun deputato nazionale né le associazioni che da lungo tempo si battono perché sia fatta luce sulle carceri dei migranti, hanno potuto varcare la porta dei Cie (centros de internamiento por extranjeros) spagnoli. Nel luglio del 2007, nell'ambito dell'inchiesta promossa dalla Commissione Libe sulle «Condizioni dei cittadini di Paesi terzi ospiti di centri (campi di detenzione, centri aperti e zone di transito) con particolare attenzione ai servizi disponibili per persone con bisogni specifici, nei 25 Stati membri dell'Ue», siamo riusciti a varcare questa soglia.

Davanti a noi delle vere e proprie prigioni di massima sicurezza dove i migranti vengono «accolti» dopo lo sbarco sul territorio spagnolo o «aspettano» la procedura d'espulsione. Da Madrid alle Canarie lo scenario si ripete: celle chiuse a chiave notte e giorno, strutture decadenti, soprattutto nei centri del sud, solo personale appartenente al corpo di Polizia nazionale, una totale chiusura al mondo esterno, un servizio d'assistenza psico-sanitario assente o profondamente carente e numerose testimonianze raccolte sulle violenze perpetrate contro i migranti da parte dei sorveglianti.

I centri di detenzione in Spagna erano inizialmente 8, poi sono diventati 10, col pretesto dell'«emergenza invasione» , nell'estate del 2006, quando, in seguito all'arrivo dei cayucos, in provenienza da Senegal e Mauritania, sulle coste delle Canarie, due accampamenti militari dell'epoca franchista sono stati adibiti a centri di detenzione, Las Raices a Tenerife, la Isleta a Gran Canaria.

Le nostre visite cominciano al Cie di Barcellona, centro di detenzione modello, aperto nell'agosto del 2006, dopo la chiusura di quello, tristemente noto, della Verneda. Il nuovo centro è stato tirato a lucido, le celle sono pulite così come gli spazi comuni e la mensa, ma sembra più un carcere di massima sicurezza che un luogo di detenzione per un delitto amministrativo, qual è il fatto di non avere documenti.

Le griglie dei portoni si chiudono dietro di noi, e il direttore del centro, comandante della Polizia nazionale, comincia la visita, illustrandoci i due blocchi, quello maschile e quello femminile, che hanno una capienza totale di 226 posti. Continuiamo con le celle d'isolamento, previste per chi non si comporta secondo il regolamento del centro, in pratica quindi per chi si lamenta delle condizioni carcerarie o si ribella all'espulsione. Il loculo d'isolamento prevede una sola brandina e nessun accesso alla luce esterna, solo una piccola grata verso il corridoio. Accanto, sono state adibite due celle speciali per i nuclei familiari, che si contraddistinguono dalle altre per il fatto di essere dotate di un lettino per neonati e un divanetto. La Spagna, a differenza dell'Italia permette la detenzione di minori, se accompagnati, e di donne incinte, anche in gravidanza avanzata.

I migranti che sono detenuti devono rispettare un ferreo orario che scandisce le loro giornate: sveglia alle 8,30 e colazione; dalle 10 alle 13,30 sono rinchiusi nel patio o nella sala comune, perché le camere vengono chiuse; dalle 13,30 alle 16 devono obbligatoriamente trasferirsi nella zona alloggio che viene quindi chiusa a chiave; dalle 17 alle 19 sono previste le visite; alle 19,30 cenano e poi sono accompagnati nelle celle, che vengono chiuse a chiave alle 23. In alcuni centri, come in quello di Madrid, le celle, chiuse di notte, non sono dotate di servizi igienici e i detenuti, come ci racconta una giovane donna incinta, sono costretti a urinare nel lavandino.
Arrivati nelle celle comuni ci troviamo di fronte a una scena che si ripeterà, immancabile, in tutti i centri: i migranti si accalcano alle sbarre, gridano, invocando l'attenzione della sola persona che non porta una divisa che hanno visto entrare nel centro, per raccontare le tragiche condizioni in cui si trovano. Uno di loro ci racconta di essere appena sbarcato in Spagna. È partito due anni e sei mesi prima dal Camerun - dice -, ha trascorso un anno e otto mesi vivendo nelle foreste del Marocco in condizioni di totale precarietà ed esposto a persecuzioni e violenze. In Camerun non vuole tornare e non capisce perché dev'essere detenuto, sperava che la Spagna fosse diversa e che le vessazioni a cui è stato sottoposto dal Marocco, nuovo gendarme d'Europa, fossero finite.

Ma per capire cos'è un centro di detenzione in Spagna bisogna scendere al sud e visitare il Cie di Malaga e quello d'Algeciras. Le due città andaluse sono state, nel corso degli anni, il punto d'accesso principale in Spagna, prima che fosse installato il Sive, il sistema di radar e intercettazione marittime, che ha spostato le porte dell'Europa alle Canarie. Dopo la collaborazione di Senegal e Mauritania nelle operazioni di controllo delle frontiere, nell'ambito dell'azione di Frontex, il punto di partenza verso l'Europa si è nuovamente spostato in Marocco, a Al Houceima, e le coste della penisola spagnola hanno ricominciato ad essere il primo approdo di centinaia di migranti.
Il centro di Algeciras è l'antico carcere della città - un vecchio edificio in totale abbandono -, quello di Malaga, una struttura dei primi del '900, utilizzata prima come convento di suore e in seguito come caserma militare, per poi essere abbandonata per molti anni, prima di essere adibita a centro di detenzione. In entrambe le strutture il personale fa parte della Polizia nazionale, tanto il direttore del centro che il medico di turno. Il centro di Malaga, di cui lo stesso procuratore della Repubblica ha richiesto la chiusura, è tristemente noto per le denunce di abusi sessuali da parte dei poliziotti verso le detenute. Nonostante le gravi accuse, il centro resta funzionante: con una nuova gestione, le detenute violentate espulse, e i poliziotti trasferiti in un altro centro. I migranti vivono dentro stanzoni comuni, completamente al buio poiché le grate delle finestre sono talmente fitte da non lasciar passare la luce, il resto del tempo lo trascorrono in un patio di 10 metri quadrati a cui non abbiamo accesso, per motivi di sicurezza.

Ma è nel centro di El Matoral , uno dei più grandi campi di detenzione europeo, con la sua capienza officiale di 1.010 persone (ma che è arrivato a contenerne fino a 2.000), situato a Fuerteventura, isola dell'arcipelago delle Canarie, che le condizioni di detenzione si degradano ulteriormente. Il centro è diviso in due zone, da un lato due grandi stanzoni, di una capienza di 350 persone ciascuna, dotati di un bagno e qualche doccia e sommersi dai rifiuti accumulati da giorni. Dall'altro lato piccolissime celle, ma dotate di una ventina di letti a castello ciascuna, si affacciano una sull'altra. Nella penombra, i volti dei migranti rinchiusi si avvicinano alle grate, tutti sono vestiti uguali e raccontano la stessa tragica storia della traversata del mare. Ci raccontano anche che passano le giornate chiusi nelle celle, uscendo una volta al giorno, per i pasti. Tra loro molti volti di minori, riconosciuti maggiori dal test osseo a cui sono stati sottoposti in questura, subito dopo lo sbarco. Avranno lo stesso destino degli agli altri: l'alternativa tra un volo nella penisola per poi essere liberati e diventare i nuovi clandestini d'Europa o un volo a destinazione del paese di provenienza. Purtroppo non gli è permesso scegliere tra un'alternativa e l'altra, questo potere risiede nelle mani dei Governi, europei e africani, che firmano accordi di riammissione e inviano fondi per permettere il rimpatrio immediato dei migranti che sbarcano sul territorio europeo.

Molti migranti li troviamo in fila davanti all'ambulatorio, con il corpo martoriato dalle piaghe infette, che si sono provocati nei 15 giorni di traversata nelle carrette del mare, bruciature da carburante o morsi d'insetti. Solo una suora volontaria, presente saltuariamente nel centro, disinfetta momentaneamente le ferite, ma il suo apporto è limitato di fronte alla popolazione presente. Il medico, dicono, non lo vedono da almeno una settimana. Non ci stupisce quindi il fatto di sapere che a uno dei giovani subsahariani arrivati a Barcellona dopo i 40 giorni di internamento nel centro di detenzione delle Canarie, sia stata amputata una gamba. La ferita, provocata dalle condizioni di estrema precarietà del transito fino alla costa senegalese, infettata dall'acqua mista a carburante della traversata, e lasciata senza cura nel centro delle Canarie, si è incancrenita, tanto da non lasciare altra soluzione che l'amputazione. Ma non è solo della mancanza di assistenza sanitaria che si lamentano i migranti nel Cie del Matoral, a Fuerteventura. Parlano anche di violenze fisiche da parte della polizia che controlla il centro, manganellate riservate a chi esce dalla fila imposta durante la distribuzione del pasto o a chi, semplicemente, cerca di opporsi al viaggio dell'espulsione. Proprio per evitare questo «problema», ci dice un poliziotto, generalmente non si dice mai al detenuto che sta per essere espulso, ma si preferisce fargli credere che sta per essere trasferito nella penisola. Questa pratica è confermata anche dal direttore del centro, che, come dice la placca esposta nel suo ufficio, ha fatto un «corso di perfezionamento» dai carabinieri italiani all'epoca dello sbarco dei gommoni albanesi in Puglia, e di quel periodo sembra avere una grande nostalgia.

La violenza della polizia, che gestisce e controlla la struttura, è denunciata anche dai migranti del centro di detenzione di Madrid. Quando ci vedono arrivare si accalcano alle grate della cella comune dove sono obbligati a trascorrere l'intera giornata: rinchiusi, costretti a chiedere il permesso ai poliziotti anche per poter andare in bagno. Entriamo, tra i rifiuti e l'odore di urina che prende alla gola, i racconti continuano: arresti, detenzioni arbitrarie, violenze. Le visite finiscono, i centri si chiudono, ma la mobilitazione è ormai partita e in Spagna ci si chiede cosa succeda realmente dentro le mura di questi centri che ricordano molto di più una prigione di massima sicurezza che un centro di detenzione amministrativa. Il 21 giugno, i militanti e le associazioni spagnole si sono dati appuntamento davanti al centro di detenzione di Malaga per richiederne, infine, la chiusura.

il Manifesto

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MMIGRATI: SAVE THE CHILDREN, DIRETTIVA RIMPATRI VIOLA DIRITTI MINORI



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Milano, aggredita Rebecca, 2enne rom premio Unicef 2008 Il Gruppo EveryOne ha recentemente denunciato l' aggressione

Milano, aggredita 12enne rom premio Unicef 2008

di Redazione (redazione@vita.it)

La ragazzina e la sua famiglia sono state insultate e malmenate da due italiani ieri mattina in zona Giambellino. malmenati. Lo denuncia il gruppo Everyone, che riporta anche altri casi. Ecco il com

E' accaduto ieri mattina, 17 giugno, alle 8 a Milano. La famiglia Covaciu , romena di etnia Rom, già oggetto di continue peregrinazioni per l'Italia a seguito di vessazioni, minacce e sgomberi, stava uscendo dalla tenda in cui da diversi giorni si era stabilita, in un microinsediamento nella zona di Giambellino, quando è stata brutalmente aggredita da due italiani di età compresa fra i 35 e i 40 anni .

Rebecca, 12 anni , nota per essersi aggiudicata in Italia il Premio Unicef – Caffè Shakerato 2008 per le sue doti artistiche applicate all'intercultura, e il fratellino Ioni, 14 anni , sono stati prima spintonati e poi picchiati . I genitori, uno dei quali è Stelian Covaciu , pastore della Chiesa Pentecostale, che assieme al fratello maggiore di Rebecca erano accorsi per difendere i figli, sono stati ricoperti di insulti razzisti, minacciati, indotti a lasciare immediatamente l'Italia e subito dopo percossi . I Covaciu a quel punto sono fuggiti verso la stazione di San Cristoforo, in piazza Tirana, e accorgendosi di essere ancora se guiti hanno chiesto aiuto ai passanti. Nessuno è intervenuto .

Mentre la famiglia si stava avviando verso il parco antistante la stazione, la signora Covaciu, cardiopatica, è stata colta da un malore . Stellian Covaciu ha a quel punto contattato telefonicamente Roberto Malini del Gruppo EveryOne, che ha dato l'allarme facendo inviare sul posto una volante della Squadra Mobile di Milano e un'ambulanza. All'arrivo della Polizia, gli aggressori si sono dileguati . Prima ancora dell'aggressione, l'Unicef aveva manifestato indignazione per la vicenda della piccola Rebecca , simbolo di un'infanzia senza diritti. Il Gruppo EveryOne era in procinto di organizzare un ritorno della famiglia in Romania per sottrarla all'ostilità che colpisce i Rom a Milano.

"Questa nuova violenza contro le famiglie Rom è spaventosa e deve sollevare la protesta della società civile " commentano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini , Matteo Pegoraro e Dario Picciau . "Quello che è avvenuto a Rebecca e alla sua famiglia è sintomatico del clima, ormai fuori controllo nel nostro Paese, di odio e intolleranza nei confronti del popolo Rom . Purtroppo non si tratta affatto di un caso isolato , ma dell'ennesimo gravissimo episodio di violenza, ai danni di una famiglia innocente, che rimarrà impunito e annuncia tempi davvero oscuri per l'Italia." Il Gruppo EveryOne ha recentemente denunciato l' aggressione a Rimini , avvenuta nell'indifferenza generale, di una ragazzina Rom incinta , presa a calci da un italiano mentre chiedeva l'elemosina. A Pesaro, qualche giorno fa, Thoma, il membro più anziano della locale comunità Rom , sofferente di un handicap a una gamba e cardiopatico, è stato colpito al capo e umiliato in pieno centro storico . Nella stessa città, i parroci hanno recentemente vietato ai Rom di chiedere l'elemosina davanti alle chiese .

Nei giorni precedenti all'aggressione della famiglia Covaciu, EveryOne ha ricevuto segnalazioni di numerosi episodi di violenza da parte di italiani nei confronti di persone di etnia Rom , soprattutto dei più deboli: bambini e donne. "L'attuale clima di discriminazione generale e l'atteggiamento ostile delle autorità," continuano Malini, Pegoraro e Picciau "fanno sì che le persone aggredite non trovino più il coraggio di denunciare i loro aggressor i. Inoltre, dichiarazioni come quelle del ministro dell'Interno Roberto Maroni , che predica la tolleranza zero contro i Rom, la loro schedatura con foto segnaletiche e addirittura il prelievo del DNA, lo sgombero indiscriminato e senza alternative di campi di fortuna e insediamenti regolari, la sottrazione dei bambini Rom alle famiglie senza mezzi di sostentamento – proclami che sconcerterebbero qualunque esponente democratico di un Paese civile –, finiscono per fomentare violenze e soprusi ai danni dei più indifesi" .

Assieme a EveryOne, anche Santino Spinelli , dell' Associazione Thèm Romano onlus , e il gruppo "Caffè Shakerato" di Genova , organizzazione per l'intercultura e il rispetto dei diritti dei bambini, esprimono la più viva preoccupazione per l'episodio, effetto ancora una volta dell'odio razziale che imperversa in Italia.
" E' necessaria una condanna unanime del mondo politico italiano e delle Istituzioni europee " concludono i leader del Gruppo "e sono ormai indispensabili provvedimenti seri contro chi viola i diritti umani e si fa portatore di violenze e discriminazioni di matrice xenofoba e razzista".


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Roma, 1000 voci antirazziste contro il dl sicurezza, Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

Roma, 1000 voci antirazziste contro il dl sicurezza
Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

a.g.

 Murales, stop al razzismo, foto interna

No al razzismo, no al decreto sicurezza del Governo. A dirlo sono le mille voci e le decine di organizzazioni della società civile e del no profit che martedì mattina si sono ritrovate nell'Aula Magna dell'Università La Sapienza di Roma per «aprire un agenda culturale e un cammino sociale condiviso per l'accoglienza». Grandi assenti professori e studenti cui va il richiamo del pro-rettore Piero Marietti in apertura dei lavori. «Me ne scuso e ne prendo atto - dice Marietti - questa è un'accoglienza dovuta - ma vedo che la cultura cui ci si appella oggi non ha ritenuto di dover partecipare». Presenti, fra i tanti, l'Unhcr, la Caritas Italiana, la Fondazione Migrantes, il presidente della Regione Puglia Nicki Vendola, l'ex ministro Paolo Ferrero, Tullia Zevi, Gad Lerner.

L'appuntamento ha inizio con un minuto di silenzio per coloro che il governatore della Puglia Nichi Vendola definisce i «morti del cimitero del Mediterraneo», cioè le centinaia di migranti in fuga dal proprio paese che trovano la morte per arrivare in Italia. Insieme per ridare alla questione dell'integrazione «il senso» che esula dal «consenso» dice Vendola.

Ma l'Assemblea, promossa da associazioni laiche e cattoliche come l'Arci, Amnesty International, Acli, Antigone, Cgil, Cnca, Associazione Rom e Sinti insieme, Libera, Magistratura democratica, va al di là della retorica e di fatto dà il via ad una sorta di mobilitazione contro il razzismo «per dire che non c'è sicurezza per nessuno se mancano i diritti umani e la dignità della persona» come sottolinea il presidente dell'Arci Paolo Beni. Lo scopo dell'agenda comune è lo «sforzo per un lavoro educativo e culturale così che sia più facile anche il lavoro politico» come spiega Miraglia dell'Arci all'apertura dei lavori dell'Assemblea.

Fin dalle prime battute è chiaro che al vaglio dell'Assemblea c'è necessariamente il decreto sicurezza all'analisi del Senato e sul quale si chiede un ripensamento in Parlamento. E contro il decreto si alzano le mille voci e le decine di striscioni portati in silenzio nell'Aula dalle associazioni migranti. «Italiani/Sinti- Sinti/ italiani» dicono quelli dell'Associazione Rom e Sinti insieme, «Italiani dal 1400» dice un altro slogan, «Clan destino» è scritto su una maglietta, «Siamo i Sinti di Roma» si presentano i romani con un gioco di parole.

E a prendere la parola per primi sono proprio loro, i migranti, «le vere vittime della sicurezza» come si definisce uno dei rappresentanti immigrati e rifugiati di Caserta, che con una petizione sta cercando di cambiare le regole per il permesso di soggiorno della legge Bossi- Fini. «Criminale non è una parola che si porta scritta sulla fronte - spiega - criminale è chi commette un reato». E «scusate se sono qui» conclude il suo intervento.

Dopo l'emozione si appella alla «razionalità» il pro-rettore dell'Università La Sapienza, che spiega quanto tutti i discorsi restino «vuota retorica» senza il sostegno della scienza. «Tra me e un nigeriano c'è un 3 per mille di differenza genetica» spiega Marietti e questa è una delle ragioni per cui essere razzisti è irragionevole».

«La vera esigenza è il canale di Sicilia» prende la parola Luciano Eusebi, docente di Diritto penale dell'Università la Cattolica che spiega: «Il diritto è il riconoscimento dell'altro, non il diritto ad autorizzare noi stessi ad abortire l'altro dalla nostra vita. Invece questo decreto è soltanto un uso strumentale del diritto per fini penali. Se si introduce la possibilità di lasciare libero ingresso ai migranti solo in caso di necessità - continua Eusebi - gli scafisti faranno in modo che i viaggi della speranza siano sempre più viaggi d'emergenza. Con questo decreto si introduce inoltre la "colpa d'autore": Sei più colpevole non per il reato che hai commesso ma per quello che sei».

Per Tullia Zevi, rappresentante della comunità ebraica di Roma, la sicurezza dipende «dall'integrazione e dal riconoscimento dell'altro» e il timore è che «senza memoria si torni a 50 anni fa quando in nome di un'ideologia razzista nella civilissima Europa si sterminarono 6 milioni di persone sradicando la cultura della diversità».

«Non bisogna aver paura, insomma, di essere ormai una minoranza» incita il giornalista Gad Lerner, intervenendo all'assemblea della Sapienza. «Ho paura che ci stiamo abituando al fatto che il razzismo faccia parte del senso comune del paese e anche in nome del popolo. È il popolo che lo vuole e allora si cancellano la pietà e i valori fondamentali dell'essere umano - continua Lerner - dividendo la gente che muore da quella che crepa». Per il giornalista non si può rischiare di diventare subalterni ad una maggioranza che «prevede i commissari ad hoc per un'etnia, obbligo delle impronte digitali anche per i minori, che legittima un linguaggio che prevede il termine derattizzazione per gli essere umani e che lascia dire ad una radio del partito di Governo che «se gli zingari sono finiti nei lager una qualche ragione ci sarà pure stata. Abbiamo perso le elezioni sull'equazione migranti sicurezza, ma non ci possiamo escludere dalla decisione: bisogna votare contro il decreto sicurezza» conclude Lerner .

Sulle questioni del diritto internazionale ha molto da dire Mauro Palma, presidente del comitato europeo per la prevenzione della tortura, nel ricordare che «il Governo italiano si sta nascondendo sotto l'ombrello dell'Ue per quanto riguarda le norme della detenzione e del rimpatrio. Ma quello che il governo sta mettendo in atto sono tutto sommato tre norme «che esulano da qualsiasi legge europea». Quello dei 18 mesi di detenzione nei centri di permanenza temporanea, in realtà - spiega Palma - non è il limite minino ma il limite massimo posto dall'Ue per paesi che prima avevano tempi di detenzione più lunghi». Dunque è una norma fatta per i paesi con una forte emergenza tra i quali non è certo l'Italia».

l'Unita

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Rom, piazza pulita sui luoghi comuni «Romeni bastardi» Ma i rom sono davvero «sporchi, nomadi, ladri»?

Rom, piazza pulita sui luoghi comuni
In un documentario un'analisi delle nuove forme di razzismo in Italia. Presenzieranno Dijana Pavlovic e Moni Ovadia

«Romeni bastardi»: è la scritta che campeggia su un muro di fianco a un gruppo di case a Pavia, dove vivono alcune famiglie di rom. Segno evidente di un doppio luogo comune e, soprattutto, del un nuovo clima di razzismo dilagante, oggi, in Italia. Quello che vuole tutti i romeni inevitabilmente rom. E quello che vuole tutti i rom inevitabilmente «bastardi». Non a caso «ve ne dovete andare bastardi» era anche la frase più urlata dalla gente a Napoli mentre venivano bruciate le baracche di un campo rom. «Stirpe di Caino», direbbero i notabili dei governi autoritari europei di quattro secoli fa, quando iniziarono a porre quel marchio razziale che indusse i nazisti a sterminare, assieme agli ebrei, mezzo milione di rom.

Ma i rom sono davvero «sporchi, nomadi, ladri»? Sono loro a produrre «sporcizia» o alcuni italiani, invece, li usano come alibi per le proprie discariche esistenti proprio vicino ai loro campi? È vero che rifiutano l'integrazione, la scuola, il lavoro, la casa? E perché se un italiano ruba è un ladro, ma se un rom ruba tutti i rom sono ladri o, ancora peggio, assassini?

Da queste domande prende il via il documentario «Rom bastardo - Indagine sul nuovo razzismo in Italia», realizzato dai giornalisti Carolina Borella, Franco Capone e Andrea Minoglio per cercare di analizzare e smontare alcuni dei luoghi comuni sui rom, che verrà presentato giovedì 21 giugno presso l'Associazione culturale Villa Pallavicini. Alla serata interverrano Ernesto Rossi, presidente dell'associazione Aven Amentza, Dijana Pavlovic, attrice e mediatrice culturale «Alexian» Santino Spinelli, musicista, docente universitario e promotore del corteo contro il razzismo nei confronti dei rom a Roma e Moni Ovadia, con l'Orchestra di via Padova, per un grande concerto finale.

INFORMAZIONI: Associazione culturale Villa Pallavicini, Via Meucci 3, Milano. Giovedì 19 giugno ore 21

Corriere.it
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Vittorio Agnoletto: in europa razzismo e segregazione, il PD acconsente e il PSE si spacca

Vittorio Agnoletto: in europa razzismo e segregazione, il PD acconsente e il PSE si spacca

AGNOLETTO: «L'Europa diventa un grande carcere: decine, forse centinaia di migliaia di persone saranno rinchiuse nei Cpt per un anno e mezzo». Così l'eurodeputato Vittorio Agnoletto commenta l'approvazione da parte del Parlamento europeo della direttiva sui rimpatri. «È finita un'epoca: oggi è stata sepolta l'Europa della Rivoluzione francese e dell'Illuminismo. Trionfano il razzismo e la segregazione - sostiene Agnoletto - Detenzione per 18 mesi, rimpatrio forzato anche in una nazione diversa dal proprio Paese: così aumenteranno i desaparecidos, coloro dei quali, una volta espulsi dall'UE nelle carceri libiche o sudanesi, non si saprà più nulla, condannati a morte in lager in mezzo al deserto». «Questa è la risposta dell'UE a chi scappa dalla fame e dalla povertà».

La decisione del Parlamento Ue, secondo Agnoletto, non ha «nessuna pietà nemmeno per i minori, che potranno essere espulsi anche se non accompagnati e che, in determinate occasioni, potranno perfino essere rinchiusi nei Cpt. Oggi è nata un'Europa senza anima». «È molto grave - conclude l'eurodeputato di Rifondazione comunista/Sinistra europea - che di fronte ad una dura offensiva di una destra razzista, il gruppo socialista si sia spaccato e che i parlamentari del Pd, sia ex Ds, sia ex Margherita, si siano astenuti. Dichiarare che vi è la certezza che i governi non peggioreranno l'attuale legislazione è pura ipocrisia; Berlusconi aspettava solo questo voto per aumentare la detenzione nei CPT italiani a 18 mesi»

Sullo stesso tema anche Paolo Ferrero.

La direttiva sui rimpatri - ha detto - è sbagliata e perfigura un'Europa razzista che considera i clandestini alla stregua di criminali, così facendo molti lavoratori immigrati si troveranno di fatto senza tutele e sotto il ricatto costante dei propri datori di lavoro. Questo voto inoltre apre la strada alla deriva che il Governo Belrusconi ha inaugurato con il recente pacchetto sicurezza. In questo scenario trovo francamente sconcertante che il PD si sia astenuto.


Di : Vittorio Agnoletto

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Ong a G8: aiuto Africa ferma clandestini

Ong a G8: aiuto Africa ferma clandestini

PARIGI - Nel 2005, a Parigi, i presidenti degli 8 Paesi più industrializzati firmarono un impegno a destinare all'aiuto allo sviluppo 50 miliardi di dollari entro il 2010. Due anni e mezzo dopo, a metà strada quindi, ne hanno versati solo il 14%, ma l' aiuto funziona e può fermare l' immigrazione, impedendo così le tragedie sul mare. E' quanto indica il Rapporto 2008 di Data (Debt aids trade Africa), associazione che dal 2002 si impegna per combattere la povertà in Africa, presentato oggi a Parigi alla presenza di alcuni dei principali sostenitori del gruppo, tra cui l' inventore del Live Aid, Bob Geldof, il leader degli U2 Bono e l'ex tennista Yannick Noah. "La prima cosa da accettare - ha commentato Bob Geldof, ricordando che anche l' Italia aveva fatto promesse molto alte, poi non mantenute - è che la necessità di fornire aiuto non è solo una questione morale, ma una soluzione pratica. Perché l'aiuto funziona: la sola cancellazione di parte del debito dei Paesi più poveri ha permesso di mandare a scuola 29 milioni di bambini africani.

Il problema è che i Paesi ricchi, focalizzati sui loro problemi interni, danno molto meno di quanto potrebbero. Senza capire che aiutando i Paesi in via di sviluppo aiuterebbero anche se stessi". Geldof ha riconosciuto che per l' Italia "l' immigrazione è un grosso problema, come dimostra la tragedia di Lampedusa di qualche giorno fa. L'unico modo per fermarla è sostenere lo sviluppo in Africa". L'elemento chiave, secondo Data e i suoi promotori, è imparare a considerare l'aiuto come un investimento, e non come un'elemosina. "In realtà, a nessuno piace ricevere aiuti - ha raccontato Bono - Tempo fa, durante un incontro, un africano ha chiesto: 'Citatemi un Paese che abbia tirato fuori qualcosa di buono dagli aiuti'. E io prontamente ho risposto: l'Irlanda! Noi siamo stati aiutati a costruire strade, a creare un sistema d'istruzione, e così abbiamo potuto avviare uno sviluppo economico altrimenti impensabile".

Anche l'Africa, sostengono esperti convocati da Data - come la musicista e ambasciatrice Unicef Angelique Kidjo - se adeguatamente sostenuta può ottenere una reale crescita. Che si tradurrebbe in maggiore stabilità e benessere sociale, quindi anche in una riduzione dei flussi migratori: "L'Africa può svilupparsi, può arrivare a un livello di vita dignitoso - ha spiegato la Kidjo, originaria del Benin - Sostenere questo sviluppo è l'unico vero metodo per fermare le migrazioni. Costruendo scuole, per esempio, e convincendo i genitori a mandarci i figli, invece di tenerli a casa ad aiutare nel lavoro. E aiutando i ragazzi a proseguire con la formazione secondaria e universitaria nel loro Paese". Una scelta che, ha aggiunto, può avviare un circolo virtuoso: "Se si manda del denaro a chi non riesce a capire che cosa potrebbe farne, diventa inutile. Occorre invece dare alle persone l'istruzione necessaria per utilizzarlo nel modo migliore, in modo che i Paesi possano crescere e fornire nuove opportunità a chi li abita". La ricetta, dunque, pare semplice: migliorare la condizioni di vita nei Paesi del sud del mondo per indurre le persone a non lasciare le loro terre per intraprendere quei viaggi della speranza che troppo spesso finiscono in tragedia. "Nessuno vorrebbe lasciare la propria patria - ha sintetizzato Bob Geldof - ma deve esser messo in condizione di restare". E ciò è possibile, ha concluso la vicepresidente della Banca africana per lo sviluppo Arunma Oteh, solo "aiutando l'Africa a sfruttare le proprie potenzialità, con un lavoro sull'ambiente e le infrastrutture che attragga gli investitori e incentivi gli scambi commerciali".

Ansa

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Lo sviluppo economico dell'Africa passa dal cellulare

Lo sviluppo economico dell'Africa
passa dal cellulare

Le principali aziende telefoniche mondiali offrono ai propri clienti la possibilità di ricevere denaro contante anche nelle zone più remote del continente, grazie a un semplice messaggio di testo.

Molti africani che vivono nelle zone rurali dipendono infatti dal denaro inviato loro dai familiari che lavorano nelle città, ma spesso devono percorrere centinaia di chilometri a piedi prima di riuscire a entrare in possesso del contante. In Kenya, ad esempio, chi lavora in città si affida agli autisti degli autobus per far arrivare il denaro ai propri parenti. Anche chi ha un conto corrente in banca, oggi pochissimi rispetto ai 950 milioni di africani, non dispone facilmente del proprio denaro a causa della mancanza di sportelli nelle zone di campagna. Se gli sportelli bancari sono rari, i telefoni cellulari sono invece ormai milioni, per cui le compagnie di telecomunicazione stanno favorendo la trasformazione del cellulare da semplice ricevitore di chiamate a uno strumento capace di trasformare l'economia africana. I servizi noti come "mobile banking" o "m-banking" consentono infatti di trasferire contanti attraverso un semplice messaggio di testo, facendo affidamento sulla rete di rivenditori locali, che già vendono le carte di ricarica telefonica, per la consegna del denaro.

Lo scorso marzo, l'azienda Orange, di proprietà di France Telecom, ha lanciato il servizio 'Orange Money' nella Costa d'Avorio, dove solo il 7% della popolazione ha un conto corrente. I clienti possono depositare il denaro utilizzando la rete di rivenditori locali e inviarlo con un sms a persone registrate come clienti della stessa azienda, che lo ritirano poi dal rivenditore più vicino. La Vodafone ha lanciato lo scorso anno in Knya il servizio M-Pesa e oggi conta oltre due milioni di clienti. Orascom, che opera in Algeria, Tunisia, Egitto e Zimbabwe, ha annunciato l'intenzione di avviare presto l'm-banking, mentre il principale operatore di telefonia mobile del continente, MTN, ha già avviato le operazioni di mobile-banking in diverse aree del continente, tra cui il Sudafrica.

Stando a quanto riportato dal Guardian, presto comincerà a operare sul mercato africano anche la principale azienda di m-banking mondiale, Monitise, che ha sede nel Regno Unito. Lo scorso maggio ha infatti siglato l'accordo con l'organizzazione "Made in Africa", che sostiene lo sviluppo del continente, per operare in Uganda, Tanzania, Ruanda, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Kenya e Zambia.

Monitise intende creare un servizio che funzioni a prescidere dal fatto che gli utenti abbiano o meno un conto corrente, a prescindere dalla banca che utilizzano in quanto clienti di una banca e che sia fruibile dai clienti di qualsiasi azienda di telecomunicazioni. «Fondamentalmente, noi lavoriamo con le banche per far conoscere i loro servizi fuori dalla ristretta cerchia di persone che hanno già accesso ai servizi bancari, per portarli ai tanti che hanno il telefono cellulare», ha spiegato al Guardian l'amministratore delegato e uno dei fondatori di Monitise, Alastair Lukies.
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la Stampa
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Presto l'immigrazione certificata UE

Presto l'immigrazione certificata UE


C'era un volta l'Europa...

Il "decreto sicurezza" sbarca in Senato dopo il via libera del Consiglio dei Ministri, per esaminare misure urgenti predisposte dal Governo in materia di sicurezza pubblica e le nuove norme per contrastare l'immigrazione clandestina. Il corpo di leggi, accolto da polemiche e forti attacchi, va a colpire una sfera sociale dell'opinione pubblica molto delicata quale la "percezione della sicurezza" e per tale motivo l'attuazione di questo tipo di norme è vitale per la stabilità dell'ordine pubblico della nostra società.

L'introduzione del reato di clandestinità rappresenta un duro colpo per il nostro tessuto sociale, considerando che allo stato attuale l'Italia non sarebbe mai in grado di "punire" l'immigrazione regolare e né potrebbe farlo perché significherebbe condannare persone innocenti, entrando poi nella difficile problematica del "rispetto dei diritti dei rifugiati", nel "diritto di asilo" e nella "violazione di diritti fondamentali dell'uomo". Se si arriverà al punto di parlare di immigrazione clandestina sarà perché occorrerà infliggere un sistema di controllo talmente preciso ed onnipresente, da imporre il completo tracciamento dei movimenti dei cittadini. Ecco perché si inserisce a questo punto la Commissione Europea, che risponde all'emergenza creata dalla suggestione di massa, affermando che "l'Europa ha bisogno di una politica d'immigrazione comune", e che "la clandestinità tollerata o ammessa non è un buon segnale per nessun cittadino europeo", come sostiene il Vice Presidente della Commissione europea e Commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza Jacques Barrot (nella foto) durante la presentazione del pacchetto su asilo e immigrazione che saranno sottoposte alla valutazione del Consiglio Europeo. Si prepara dunque la "certificazione" del programma sull'immigrazione che disciplinerà sia i rapporti con Paesi terzi che con quelli comunitari, senza escludere, tra l'altro, il reato di clandestinità.

Il Commissario Barrot così fissa le linee guida, che vanno oltre i semplici accordi bilaterali sul movimento dei cittadini esteri, e impone regole chiare ma soprattutto omogenee tra i Paesi membri. Si parla dunque di "gestione integrata delle frontiere" , di "intensificazione della lotta all'immigrazione illegale" e "lotta alla tratta di persone", nonché di un corpo di leggi che farà dell'Europa un unico corpo per controllare le frontiere interne e politiche nazionali di immigrazione. L'Europa agirà anche sul diritto di asilo, e su questo pretende l'omogeneizzazione dei testi normativi ma soprattutto l'istituzione di un'agenzia europea di sostegno per l'asilo che fornisca le informazioni sui Paesi d'origine delle persone che chiedono l'asilo. Decisioni che vanno a toccare anche il passaggio dal SIS-I (Schengen Information System) al SIS II che prevede l'approfondimento delle procedure di raccolta dei dati mediante sistemi biometrici, e il rafforzamento dei controlli delle frontiere. L'Agenzia FRONTEX, che ora coordina le squadre nazionali di sorveglianza, sarà dotata di maggiori poteri, nonché di uffici regionali di fonti di finanziamento diretti, con la possibilità di intervenire nei rapporti con i paesi terzi. Verrà implementato a tutti gli effetti il regime di visti elettronico che garantisce maggiore efficienza nella raccolta dei dati sui movimenti e permette un efficace intervento delle forze nazionali.

Sarà dunque l'Unione Europea la regista della regolamentazione dell'immigrazione, così pure della disciplina dei rapporti dei cittadini comunitari, e, dopo aver condannato le misure degli Stati Nazionali, potrebbe arrivare al punto di imporre essa stessa il reato di clandestinità.
Tale eventualità sarà sempre più vicina considerando che l'Europa, così come fece a suo tempo il grande Impero Romano e come oggi fanno gli Stati Uniti, arriverà ad una massima espansione e poi chiuderà i propri confini stabilendo rigidi controlli sulla circolazione dei cittadini. Oggi stiamo vivendo quella fase di "condono" dell'adesione alla Comunità Europea, in cui il processo di allargamento va avanti in maniera arrestabile ma si pone sempre in maniera differente rispetto ai nuovi candidati. Basti pensare che per i Balcani Occidentali è stato elaborato un accordo di stabilizzazione e di associazione definito di terza generazione, che non ha come fase successiva obbligatoria la candidatura a Stato membro, ma l'ulteriore approvazione da parte degli Stati membri. Probabilmente per gli Stati del mediterraneo e prossimi al Caucaso di faranno nuove regole di adesione e di collaborazione, tale che l'Unione Europea diventa stratificata ma sempre notevolmente accentrata nelle mani della Commissione, dei burocrati e dei comitati di esperti. A ricordare la vera natura dell'Europa è stato solo il Senatore a vita Francesco Cossiga, che nella sua intervista ricorda le parole del Cancelliere socialdemocratico tedesco Schmidt che riprese l'allora Presidente della Commissione dicendo: "Stia zitto lei, che è il primo dei nostri impiegati". L'ex Presidente Cossiga, analizzando il no di Lisbona, spiega proprio che l'Europa che abbiamo creato non è quella che i cittadini si aspettavo, e che degli atti notevolmente tecnici, tra l'altro non sottoposti al veto dei cittadini, ci impongono di rinunciare a parti molto importanti della nostra sovranità.

Fulvia Novellino
Rinascita Balcanica

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Immigrazione, passa la linea dura della Ue

Immigrazione, passa la linea dura della Ue

A Strasburgo approvata la direttiva sui rimpatri senza modifiche al testo presentato dal Consiglio dei ministri Ue. Il voto favorevole con 369 sì, contrari in 197

 
Il Parlamento europeo conferma la linea dura
 sull'immigrazione. A Strasburgo infatti è sta-
 ta approvata la direttiva sui rimpatri senza
 modifiche al testo presentato dal Consiglio
 dei ministri Ue. Il sì arriva con 369 voti favo-
 revoli, contrari in 197 (astenuti in 106). Per i
 clandestini prevista la detenzione amministra-
 tiva fino a 18 mesi.

Il testo approvato a Strasburgo prevede il "ritorno volontario" degli immigrati illegali entro 7-30 giorni; la durata della detenzione per un massimo di 6 mesi prorogabile fino a un totale di 18 (nel caso di "rischio di fuga" o di rifiuto dell'espulsione); il divieto di riammissione per 5 anni. Nel testo anche la possibilità di accesso delle organizzazioni non governative ai centri di detenzione e la possibilità di fare ricorso contro l'espulsione (con il patrocinio legale gratuito agli immigrati privi di mezzi).

Per quanto riguarda i minori, con o senza famiglia, anche per loro potranno aprirsi le porte dei centri di detenzione. La direttiva chiede agli Stati membri di tenere presente "l'interesse principale del bambino", ma autorizza anche l'espulsione dei minori non accompagnati anche verso Paesi dove non siano presenti né un tutore, né i familiari, ma solo "strutture d'accoglienza adeguate".

Montesera

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Immigrazione, Ue approva norma su carcere per clandestini con 369 voti a favore, 197 contro e 106 astenuti.

Immigrazione, Ue approva norma su carcere per clandestini
con 369 voti a favore, 197 contro e 106 astenuti.


STRASBURGO (Reuters) - I parlamentari dell'Unione europea hanno approvato oggi il provvedimento che prevede che gli immigrati clandestini possano restare in carcere per un periodo fino a 18 mesi e che ci sia bando che vieta il loro ritorno per un periodo fino a cinque anni: una norma che gli attivisti sostengono metta a repentaglio i diritti umani.

Dopo circa tre anni di discussioni, all'inizio del mese i ministri dell'Interno dell'Ue hanno approvato il provvedimento.

I parlamentari europei hanno approvato la nuova norma sull'immigrazione a grande maggioranza, con 369 voti a favore, 197 contro e 106 astenuti.

Il limite dei 18 mesi al periodo di detenzione è superiore a quello che vige attualmente nei due terzi dei 27 paesi del blocco.

Sebbene gli Stati europei possano fissare un tetto inferiore a questo periodo se lo ritengono opportuno, i gruppi a sostegno dei diritti umani hanno detto che ciò incentiverà le autorità competenti a mettere in carcere un numero più alto di migranti illegali.

"Crediamo che il testo approvato oggi dal Parlamento europeo non garantisca il rientro dei migranti clandestini in sicurezza e dignità", ha detto in una nota Amnesty International.

"(Il provvedimento) dà un pessimo esempio".

La Commissione europea ritiene che ci siano fino a otto milioni di clandestini nell'Ue: oltre 200.000 sono stati arrestati nel Vecchio continente nella prima metà del 2007 mentre meno di 90.000 sono stati espulsi. Sulla base del nuovo testo potranno finire in carcere anche i bambini.



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