I nerazzurri inseguono l'impresa: vincere il trofeo due volte di fila. Benitez fallì il colpo col Liverpool: «Ma qui posso farcela»
Centotredici notti dopo quella trionfale di Madrid, i padroni della Coppa riprendono il giro d'Europa da uno stadio che del Bernabeu potrebbe essere l'anticamera: è la casa del Twente, parvenù della Champions, club campione d'Olanda nato solo nel 1965 e per la prima volta iscritto alla fase a gironi. Torna l'Inter e lo fa con le stesse facce tranne una: José Mourinho, frontman dell'ultima cavalcata e convitato di pietra ogni volta che la sua ex creatura mette piede in campo. Almeno finché questa squadra non prenderà le forme volute da Rafa Benitez, l'uomo chiamato da Moratti per centrare un'impresa finora mai riuscita ad alcun club nella storia della Champions League: vincere due volte di seguito.
Lo spagnolo stempera l'ansia da prestazione quanto il portoghese la titillava con pensieri, parole e allusioni, in fondo il ruolo di primo nome in cartellone lo ha già sostenuto una volta anche se non gli andò benissimo: il suo Liverpool, quello che nella notte di Istanbul buttò giù il Milan dal trono, finì la corsa agli ottavi cacciato dal Benfica. «Ogni volta è una storia nuova», insiste Rafa: e sarà anche così, ma la tripletta che ancora brilla è diventata la «scomoda» pietra di paragone per quanto l'Inter farà nei secoli e nei secoli. Come e perché i nerazzurri possano arrivare di nuovo in fondo (a Wembley, sede della finale 2011) è per ora solo un atto di fede. «Possiamo farcela perché abbiamo la stessa mentalità e intensità dello scorsa stagione»: Benitez e Sneijder rispondono quasi in coro.
Le parole sono quelle giuste, il Twente (terzo e imbattuto in campionato, tre vittorie e due pareggi) dirà da stasera a che punto è la notte. Uscire dai blocchi non è mai stato semplice per l'Inter: il primo Mourinho centrò la qualificazione sulle stampelle (8 punti) e il secondo evitò la scuffiata fatale nel gelo di Kiev, tutti all'attacco e il solo Lucio a difendere il fortino. Il campionato poi non aiuta, l'Inter ha fatto meglio della concorrenza, ma siamo alla copia scipita dei campioni. Basterà ancora per poco. A Benitez serve tempo e soprattutto altra gente per plasmarla, fino a gennaio si deve accontentare di lavorare sulla prima variante, ma siamo alla fase embrionale. Molto baco e poca, pochissima farfalla. Parole di Rafa: «Dopo un mese e mezzo si vede qualcosa, ma non basta: mi piacerebbe fossimo più avanti e che i progressi fossero più consistenti».
Questa sera ritrova uno dei muri portanti del palazzo, Maicon torna dopo aver saltato le due partite di campionato e già si può cominciare a ragionare. Il dubbio è quello di Cordoba terzino (il colombiano scaricato da Mourinho ha riguadagnato posizioni con Benitez): soluzione che porterebbe Zanetti a centrocampo. Avanti di questi enigmi e Rafa potrebbe campare cent'anni, ma più che gli uomini il punto interrogativo pende su una squadra che vittoria dopo vittoria ha saputo trasportare sul campo lo spirito del suo condottiero e che ora deve paradossalmente ricominciare da zero. Gloria e storia hanno cancellato la pazza Inter, riprendere da capo sta nel destino anche di chi vince. E proprio per questo può pesare di più. Benitez dice di non avere cure speciali, neanche di aver agito sulla testa dei suoi giocatori per smagnetizzare il ricordo dell'impresa. Schiva le imboscate tattiche («Eto'o più vicino alla porta? O fa il portiere o finisce in fuorigioco...») e così succede che l'unica variante sicura saranno i calzini porta fortuna che gli regalano le figlie. Cominciarono a Liverpool, non hanno ancora finito: i disegni dei mocciosi di South Park lo fanno sorridere e, dice, finora hanno portato bene. Rafa Benitez è pronto, è l'ora dei campioni. La notte olandese non affascina né scalda come quella di Madrid, ma per conquistarla l'Inter dovrà riscoprire tracce di quello spirito.
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