domenica 19 settembre 2010

Bimbi: Iperattivi o vivaci: il modo per capirlo Nell'ultimo anno di materna i più "giovani" hanno il 60% in più di probabilità di ricevere la diagnosi di ADHD

MILANO - Entrate nell'ultima classe di una scuola materna, quella dei bimbi di 5 anni: ci sarà chi ormai ha sei anni e chi ne ha appena compiuti 5, perché c'è una data-spartiacque (in Italia il 1 gennaio) per l'iscrizione a scuola in un anno scolastico o nel successivo. Ebbene, i più "giovani" della classe hanno il 60 per cento in più di probabilità di ricevere la diagnosi di ADHD, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività, rispetto ai più grandi. Lo ha dimostrato una ricerca statunitense pubblicata sul Journal of Health Economics, condotta su 12mila bimbi americani, riaccendendo la discussione su una malattia che secondo alcuni è stata "inventata" ad arte, a pochi giorni dalla Settimana Europea dell'ADHD, dal 18 al 26 settembre.

TERAPIA CON FARMACI - «Un bimbo del 31 dicembre si ritrova con l'etichetta di ADHD assai più facilmente di uno nato a 24 ore di distanza, il 1 gennaio, solo perché è il più piccolo della sua classe e viene messo a confronto con compagni più avanti nello sviluppo», scrive l'autore, Todd Elder dell'università del Michigan, ipotizzando che negli Stati Uniti un buon 20 per cento dei 5 milioni di bimbi con la diagnosi di ADHD non sia affatto malato. Un dato non irrilevante, visto che di là dall'oceano alla diagnosi fa spesso seguito la terapia con i farmaci, sostanze psicoattive simili alle anfetamine al centro di una bufera perché accusate di "drogare" i bambini, esponendoli a effetti collaterali gravi. Il dibattito ferve anche nel nostro Paese che però nel 2007 ha istituito, unico al mondo, un Registro dei bambini in cura per l'ADHD con i due farmaci in commercio in Italia, metilfenidato o atomoxetina: i medicinali possono essere prescritti solo dai Centri iscritti al Registro, che ha anche stilato criteri precisi per il percorso diagnostico e terapeutico. «In questo modo vogliamo evitare eccessi di diagnosi o prescrizione - spiega Pietro Panei, responsabile del Registro presso l'Istituto Superiore di Sanità -. Un bimbo con sospetto ADHD, segnalato dal pediatra, viene valutato presso i centri di neuropsichiatria infantile del territorio dove, in caso di diagnosi, inizia la psicoterapia. Se i problemi non si risolvono, arriva a uno dei nostri centri di riferimento e qui ripete i test diagnostici; poi, in caso di conferma di ADHD, si decide la strada terapeutica più indicata dando sempre la precedenza al trattamento senza farmaci. L'uso improprio dei medicinali preoccupa tutti».

EFFETTI COLLATERALI - I due farmaci usati per l'ADHD infatti non sono privi di effetti collaterali: con il metilfenidato per esempio si rischiano danni cardiovascolari, l'atomoxetina aumenta il pericolo di suicidio. E di fatto si sa ancora poco sulle conseguenze di un uso a lungo termine, iniziato in tenera età: per capire meglio gli effetti sulla crescita è in corso uno studio europeo a cui partecipa anche il Registro ADHD italiano. «Sono farmaci da usare con cautela, solo quando servono davvero - interviene Maurizio Bonati, responsabile del Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell'Istituto Mario Negri di Milano -. Ma in Italia siamo lontani dagli eccessi statunitensi, dove c'è una tendenza alla medicalizzazione indotta anche dalla spinta a risparmiare: le pillole costano molto meno che imbarcarsi in psicoterapia dopo aver superato un iter diagnostico che richiede più di uno specialista e dalle 10 alle 12 ore di sedute, test e valutazioni cliniche del bambino». La diagnosi è peraltro un nodo critico di tutta la faccenda. Chi sostiene che l'ADHD sia di fatto un'invenzione delle case farmaceutiche sottolinea l'inadeguatezza dei test, a cui risulterebbe positivo qualunque bambino appena un po' vivace: nel questionario, che può essere usato anche da genitori e insegnanti per indirizzare i primi sospetti (ma non per fare la diagnosi vera e propria, per cui serve il medico), ci sono nove situazioni da valutare, tra cui per esempio l'incapacità del bimbo di tenere in ordine le proprie cose, la riluttanza a fare i compiti, la tendenza a non ascoltare. A prima vista ci si potrebbe ritrovare qualunque alunno delle elementari, ma i sintomi tra le altre cose devono persistere da almeno sei mesi, essere incongrui con il grado di sviluppo del bambino, creare disagio in più di un contesto.

DOSARE LE ENERGIE - «Le valutazioni di genitori e insegnanti servono perché è essenziale capire se e come i problemi si manifestino in diversi momenti della vita del bimbo - sottolinea Giuseppe Chiarenza, vicepresidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza -. In una visita a due praticamente nessuno manifesta problemi di distrazione e iperattività, è in gruppo che essere attenti richiede più energie. E i bimbi con ADHD sono come motori perfettamente funzionanti, che però consumano troppo: dobbiamo insegnare loro a dosare le energie, dandogli per esempio più tempo per assolvere ai loro compiti o assegnandogliene di meno gravosi». Resta un fatto: come per molte patologie neuropsichiatriche la diagnosi è clinica, non ci sono marcatori biologici della malattia. Un'altra freccia nell'arco di chi nega l'esistenza dell'ADHD, ma qualcosa sta forse cambiando: «Esistono ormai prove che l'elettroencefalogramma dei bimbi con ADHD è diverso dalla norma e ha caratteristiche specifiche - dice Chiarenza -. La valutazione dell'attività elettrica del cervello può indicare chi sta rispondendo ai farmaci, mentre i test approfonditi sull'attenzione individuano chi può trarre maggior beneficio dalle medicine. Una diagnosi accurata è fondamentale per impostare il trattamento più opportuno, che non per forza richiede il farmaco: spesso basta insegnare ai genitori un nuovo modello di comportamento col figlio, che lo gratifichi e lo incoraggi anziché farlo sentire diverso e "difficile", per innescare una risposta positiva», conclude il neuropsich

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