domenica 12 settembre 2010

Il personaggio: Ma a Maradona si perdona tutto? Napoli lo rivuole a tutti i costi, nonostante i guai con il fisco. Gli italiani lo amano senza condizioni. Perché questo è l'unico modo: se ragioni, vorresti strangolarlo

MILANO - Qualora il funzionario di Equitalia, la società concessionaria della riscossione fiscale, si trovasse davanti Diego Armando Maradona, nato a Lanús (Argentina) il 30 ottobre 1960, non gli chieda un autografo. L'uomo penserà a un trucco, a un modo di fargli scucire i 31 milioni di euro che deve al fisco italiano, in seguito a una complicata storia di evasione, accertamenti e mancati ricorsi. Ricordi invece una frase pronunciata da Diego nel film «Amando Maradona» di Javier Vasquez: «Quando penso alle cose che mi sono successe, sorrido».

La fortuna e la disgrazia di Maradona è che non sorride da solo: il mondo sorride con lui. Di gioia, per quello che ha fatto; di compassione, per quello che ha distrutto. L'esattore di Equitalia faccia il suo mestiere: chieda i soldi. Noi amanti del calcio - altrettanto italiani, meno equi - faremo il nostro. Eserciteremo il diritto a essere stupiti da un uomo che ha una pagina di Wikipedia lunga come un ricorso tributario e folle come un romanzo di Hunter S. Thompson, quello di «Fear and Loathing in Las Vegas. A Savage Journey to the Heart of the American Dream». «Paura e disgusto a Las Vegas, una selvaggia cavalcata nel cuore del sogno americano». Togliete Las Vegas e aggiungete «sud» ad «americano»: avrete Maradona. Diego Armando è la rappresentazione di una condizione umana ipotetica di terzo tipo: l'irrealtà. Quello che vi sarebbe potuto succedere se aveste un talento smisurato, una smisurata voglia di vivere e foste cresciuti in Argentina, un paese senza mezze misure, dove la trinità laica è formata da tre irregolari: Che Guevara, Evita Peron e, appunto, Diego Maradona. Mi è capitato di parlare di lui con Javier Zanetti, il capitano dell'Inter: ho visto un uomo emozionarsi e tornare bambino.

Per i cinquant'anni, il 30 ottobre, Maradona vorrebbe tornare al San Paolo di Napoli, e ha incaricato l'amico Salvatore Bagni di organizzare il tutto. Un modo forse per dimenticare le delusioni da allenatore al Mondiale sudafricano - dove vestiva come lo sposo alla fine del pranzo di nozze, e ha mostrato altrettanto lucidità - ma anche un gesto verso la città che, insieme a Buenos Aires, l'ha amato senza condizioni. Perché questo è l'unico modo di amare Maradona: se ragioni, vorresti strangolarlo.

Il santo peccatore: non poteva non piacere ai napoletani. Un maestro della confessione e dell'autoindulgenza, abbastanza onesto da ammettere che le stimmate se le è procurate da solo («Ho sbagliato e ho pagato. Ma il pallone non si sporca»). Deciso comunque a pentirsi, a cambiare, a svoltare. Sospeso due volte per positività a test antidoping nel 1991 (uso di cocaina) e nel Mondiale 1994 (uso di efedrina); dopo il ritiro ufficiale dal calcio nel 1997 ha imboccato uno scivolo che - tra droghe, alcol e pessima alimentazione - l'ha portato a pesare 130 chili, a scassarsi cuore e polmoni. By-pass gastrico, epatiti, arresti cardiaci e giudiziari, cliniche psichiatriche e una overdose di sigari cubani, l'unica di cui si abbia notizia. La vita di Maradona è perfino educativa. Qualsiasi genitore del mondo può prenderne la biografia e dire ai figli: «Ecco: non così».
Eppure è molto amato. Nonostante tutto questo o a causa di tutto questo? Impossibile rispondere. Di sicuro la sua vita sregolata lo ha tenuto al centro dell'attenzione. Oltre la sua volontà, probabilmente. «Così come voi giornalisti avete il diritto di giudicare i giocatori, noi abbiamo il diritto di giudicare voi!», ha gridato una volta. Un'altra volta ha innaffiato con la canna da giardino le troupe televisive in attesa. Chissà che invidia Mourinho, se lo venisse a sapere.

Emotivo, eccessivo, enfatico, empatico. Maradona non parla alla testa, prende la pancia. «Diego ha imparato negli stadi come si governa una folla, sa tastare il polso della piazza, ha sempre radunato gente intorno a sé» scrive Emanuela Audisio in «Il ventre di Maradona» (Mondadori, 2006). Non è strano che il suo esordio nel 2005 come conduttore televisivo - «La Noche del 10» - sia stato un trionfo. Se Baggio avesse le pause di Celentano, le giacche di Fiorello, la chiacchiera di Bonolis e l'autostima di Berlusconi potrebbe tentare una mossa del genere: non altrimenti.
Il talento purissimo ha fatto il resto. Nel calcio esistono tanti buoni giocatori, diversi giocolieri e pochi campioni: l'unico campione-giocoliere è stato lui. I suoi palleggi pre-partita erano, insieme, circensi e serissimi. I suoi gol folli o meravigliosi, come quelli messi nella porta dell'Inghilterra il 22 giugno 1986, ai Mondiali del Messico.

Sfottendo la storia, che aveva visto l'Argentina sconfitta nelle Falklands, Maradona segnò il primo con la mano, il secondo partendo da centrocampo, dopo aver scartato metà squadra avversaria. Il gol più perfido e più bello del secolo, nel giro di quattro minuti.
«Se la tua mano è quella di Dio, chi ti ha dato quelle gambe?» cantano a Buenos Aires. È una buona domanda, alla quale Equitalia non sa rispondere, e noi nemmeno.

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